Votes taken by Birbatron

  1. .

    Sangue Blu


    Post Ottavo - Survivor



    Non era di certo come se lo era aspettato, vincere: se lo aspettava glorioso, trionfante, ma aveva quel senso di amarezza che solo chi, come lui, aveva combattuto poteva comprendere. Quel senso di pesantezza, quel retrogusto amaro e rivoltante, quel sapore nauseabondo del sangue e quell'odore putrido della codardia, della paura e dell'adrenalina.

    Ora sentiva dolore, ora sentiva le fitte ai polsi e alla spalla, sentiva i muscoli dolere e le braccia pesanti, il fiatone che faticava a calmarsi, quella sensazione di giramento di testa e leggerezza, mista ad una insormontabile pesantezza e spossatezza, quasi volesse lasciarsi andare.

    Gli occhi viola osservavano il corpo ormai inerme del nemico, ma non provava che una sorta di perversa gioia, la gioia dei vincitori, dei sopravvissuti, la gioia sadica di chi è stato costretto a ferire pur di sopravvivere, ed ad una così giovane età pure.

    Così com'erano venuti i sensi di colpa se ne andarono, lasciando spazio ad una leggerezza e contentezza sadiche e ciniche, egoiste ed arroganti.

    Io ho vinto

    Pensò il ragazzo.

    Io sono sopravvissuto, sono salvo

    Non poteva fare a meno che pensarci, vedere quel corpo martoriato e sanguinolento lo riempiva di una consapevolezza tetra, ma nondimeno reale e forte: lui aveva vinto, lui era ancora in piedi, lui era...Vivo.

    E mentre ponderava, a pochi passi dall'ormai incapacitato nemico, un trambusto sembrò arrivare da lontano, quasi Jin non fosse neanche lì presente, se ne accorse solo dopo un po', voltandosi con sguardo vuoto e quasi scosso, ancora in conflitto fra il suo -seppur effimero- rimorso e quella sensazione di sadica goduria, sbatacchiò poco poco gli occhi come per svegliarsi.

    Io...Si. Sono vivo, maestro Ryuuji. Sono...vivo.

    La voce flebile, il tono incerto, lo sguardo a tratti scorreva verso Juto, a tratti si fissava sulla bomba, poi si volgeva a Chojiro ed al maestro, non stava mai fermo. Una luce tremolante negli occhi, cercò di farsi forza e godersi quel trionfo meritato, sorridendo tirato ed annuendo, con ben poca convinzione.

    Io...non lo so maestro Ryuuji, non lo so cos'è successo. Ero andato in cantina, a prendere da bere come mi era stato chiesto, e da lì...non so spiegare. Ho un vuoto, ricordo poco, è confuso e....

    Lasciò la frase a metà, volgendosi verso Chojiro

    Ti sei rimesso, vedo. Mi sarebbe servito il tuo aiuto qua, ma....hai fatto bene a chiamare Ryuuji. E si, è una...bomba.

    Quel tono saccente e sicuro di sé era sparito, lasciando posto ad una voce più sommessa e ancora spezzata dal fiatone e dalla fatica, rotta dalle emozioni contrastanti e dagli eventi, sintomo di una psiche scossa nel profondo: non voleva che finisse così, non la sua prima uscita di casa. Non la sua prima missione, eppure sapeva che era destinato a fare ciò, ma non voleva accettarlo. Non voleva ammettere a sé stesso di non essere altro che un soldato, un'arma umana a disposizione del Clan e del Villaggio, come qualunque altro Shinobi.

    Non processò subito l'ordine di Chojiro, ma non appena ritornò alla realtà estrasse i kunai dal corpo di Juto, mani tremanti ed insicure nel farlo, mentre la sua mente vagava. Si vedeva che non era presente, le parole del Kiriano non le registrò, limitandosi ad annuire appena appena come per riflesso.

    Jin....Jin Hyuuga

    Rispose monotono il giovane della foglia, quando Chojiro gli chiese il nome. Scosse il capo, cercando di riprendere controllo di sé e del suo corpo, giusto in tempo per accorgersi di Ryuuji e delle sue parole, sebbene suonassero leggermente lontane ed ovattate.

    Il nome, però, lo udì bene. Juto.
    Lo fece scattare, lo fece gridare, quasi impazzito.

    Juto! Le cuoche, le cuoche lo conoscevano! Juto!

    Distese il dito verso il verdognolo, mezzo isterico, scemando

    Juto...amore..Hanabira...che tragico.

    E spossato, provato oltremodo dalla fatica di quel giorno, cadde seduto, gambe contro il petto e capo infossato, mani penzoloni sulle ginocchia, il corpo un sobbalzo continuo. Piangeva, piangeva di gioia e disperazione al tempo stesso, piangeva isterico e felice, stanco e sollevato, contento e disgustato. Piangeva per pietà e per il dolore, sia per il suo sia per quello di Juto, sia per quello di Chojiro. Era solo un ragazzino, cresciuto al chiuso in una gabbia dorata, circondato dalla sicurezza delle mura e della guardia del Clan, dei genitori e degli altri membri, dei maestri dell'accademia e della servitù. E quel ragazzo era appena stato gettato fra le fiamme, ed era stato bruciato: nessun allenamento, nessuna disciplina, nessun onere nobile avrebbero potuto preparare quella giovane anima a quello che sarebbe accaduto quel giorno, e la realizzazione fu tale da renderlo umano ed indifeso, bambino come bambino non era mai stato.
    Chakra: 2.5/10
    Vitalità: 6/8
    En. Vitale: 28/30
    Statistiche Primarie
    Forza: 100
    Velocità:  100
    Resistenza: 100
    Riflessi: 100
    Statistiche Secondarie
    Concentrazione: 100
    Agilità: 100
    Intuito: 100
    Precisione: 100
    Slot Difesa
    1: ///
    2: ///
    3: ///
    Slot Azione
    1: ///
    2: ///
    3: ///
    Slot Tecnica
    1: ///
    2: ///
    Equipaggiamento
    • Kunai × 5
    • Hanbo × 1
    • Occhiali × 1
    • Gomitiera Imbottita × 1
    • Ginocchiera Imbottita × 1
    • Guanto in Cuoio × 1
    • Bende Rinforzate × 1
    • Tonico Coagulante Inferiore × 1
    • Filo di Nylon Rinforzato [10m] × 3
    • Shuriken × 2

    Note
    ///

  2. .
    Legenda:
    Narrato
    Pensato
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    Nessuno sembrava venire a salvarlo, era da solo contro quello che gli pareva essere un mostro invincibile, almeno per i suoi standard: nessun tipo di addestramento lo avrebbe preparato ad una situazione di combattimento, né l'accademia né le lezioni private. Era inesperto, pieno di sé e sfrontato, difatti non riuscì a deflettere la palla di metallo come avrebbe sperato, perdendo il kunai e facendosi male ai polsi nel tentativo.
    Stavolta non poté fare a meno di digrignare i denti, sibilando dolente. Ma il resto aveva dato i suoi frutti, ed ora la marionetta giaceva sfasciata a diversi metri da lui, Jin aveva un sorriso trionfante in volto, carico di quell'orgoglio che solo il retaggio nobile può fornire. Il capo alto, prese fiato per qualche momento, gustandosi -per quanto potesse farlo- quel piccolo trionfo, che s'era guadagnato non senza dolore e sudore.

    Quella sensazione euforica ancora lo pervadeva, quando una risata riecheggiò nell'antro mentre questo andava ad illuminarsi, smascherando un congegno non meglio identificato, ma che di sicuro non poteva permettere nulla di buono, essendo nascosto e sorvegliato con tanta perizia.

    << Nulla che l'accademia non possa insegnare ai miei coetanei.>>
    Rispose secco l'hyuga, al complimento dell'altro: sguardo serio, mento alto, petto gonfio. Il tono era spiccio, di chi non voleva dilungarsi troppo, d'altronde non sarebbe stato saggio iniziare a monologare nel bel mezzo di uno scontro, né dialogare con un potenziale avversario.
    Rimase ad ascoltare passivo, seguendo con lo sguardo i movimenti del figuro, non volendo perdersi una sola mossa: adrenalina, istinto di sopravvivenza, cautela, ed un pizzico di paranoia. Tutto ciò contribuiva a renderlo ben più teso di quanto normalmente non sarebbe stato, e meno confidente nelle sue abilità del solito. Non ne andava fiero, ma ci sarebbe stato tempo dopo per piangersi addosso, ora doveva uscire vivo da quella trappola. E non era né facile né scontato.

    Mentre il figuro ciarlava e ciarlava, Jin scattò verso la sua cintola, estraendo un Kunai da essa. Un singolo Kunai. [Azione Gratuita Istantanea, estrazione Kunai x1]

    Parli troppo, lo sai?

    I polsi ancora dolenti, prese rapidamente la mira e lanciò, mirando alla bocca, come a volergli lanciare un messaggio: non parlare mentre combatti. Avrebbe atteso il momento propizio, ovvero mentre l'avverso si sarebbe cimentato nella formazione dei sigilli per una tecnica. Combinare un'azione piuttosto lunga ad un monologo inutile non è una tattica saggia, ed anche uno studente lo sa.
    [AdO: Lancio Kunai x1 in linea retta, Potenza: 8, Velocità: 100]

    Un gesto simbolico e di distrazione più che di vero assalto, atto ad interrompere le movenze dell'altro, che -secondo Jin- peccò di esuberanza nel sottovalutarlo a quel modo. Avrebbe potuto assaltarlo senza dire una parola, lì si che sarebbe stato spacciato. Ma peccò di esuberanza, e quindi verrà punito, sempre che non riesca a sgusciare via per qualche miracoloso arteficio.
    Cercò quindi di capitalizzare su quell'errore tattico, lanciandosi all'assalto del figuro [Slot Azione 1, movimento verso nemico]
    Incanalando nel frammente l'energie nel corpo tutto, così che questo si faccia tonico e prestante, pronto a smerciare botte e -forse forse- anche qualche ossa rotta.

    Arrestò di getto la sua carica a pochi centimetri dal figuro e caricò tutto il peso sulla gamba sinistra, che sarebbe partita verso l'alto con intento omicida, accompagnata da una rapida rotazione del busto tutto, atta ad allineare il collo del piede con il mento avverso, inclinando l'arto di qualche millimetro verso l'interno coscia per conferire una rotazione al colpo [Slot Tecnica Avanzata: Tecnica della concatenazione dei tre Colpi I: +3 a Velocità. Forza 100, Velocità 175, Calcio piede Dx ascensionale su mento]
    Ma non sarebbe finita lì, per la natura stessa della tecnica. Avrebbe sfruttato la rotazione iniziale per lanciarsi all'assalto una seconda volta, sollevando stavolta il piede opposto così che il collo vada ad impattare contro il fianco avversario
    [Slot Azione 2: Concatenazione dei tre colpi, +3 a Velocità. Vel: 175, Forza: 100, Calcio piede Sx sul fianco Dx]
    Seguitando quindi ad attaccare con ferocia, avrebbe concluso la serie con una rotazione feroce del busto, atta a portare il piede destro fin sopra il capo avversario, calandolo quindi con forza e ferocia di tacco verso il nemico, sperando di aprirgli la testa come uno spaccanoci.
    [Slot Azione 3: Concatenazione dei tre colpi, +3 a Forza, Vel: 100, Forza: 175, Calcio Dx discendente su capoccia]

    Vitalità: 6/8
    Energia Vitale: 28/30
    Riserva: 2.75/10
    Slot Tecnica Avanzata: Concatenazione dei tre colpi (Calcio piede Dx mento, +3 vel) (-3 bassi)
    Slot azione 1: movimento
    Slot azione 2: Concatenazione dei tre colpi, calcio piede Sx fianco Dx, +3 Vel
    Slot Azione 3: Concatenazione dei tre colpi, Calcio discendente piede Dx su capoccia +3 forza
    AdO: Lancio Kunai linea retta



    Edited by DarthFranz - 3/3/2018, 16:02
  3. .
    Legenda:
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    Pensato
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    I vantaggi dell'essere un hyuga erano di certo molti, ma il ragazzino era stato men che meno viziato. Anzi. Sembrava quasi, se non fosse per il cognome importante e per i vestiti di lusso per l'occasione, un ragazzo di una famiglia di ceto medio-basso.
    Non gli era stata concessa nessuna scorciatoia, aveva ricevuto tutto il peso della nobiltà senza i privilegi.

    Non che la cosa gli pesasse, evidentemente: non sembrava avere tempo per preoccuparsi di queste cose. Gonfiò il petto ed attese risposte, crucciando la fronte quando udì il suo istruttore ridere. Non capiva.

    Ho detto qualcosa di sbagliato?

    Domandò incerto, inarcando un sopracciglio con fare curioso: a differenza sua, sembrava che tutti avessero i capelli neri. Jin li aveva bianchi, come quelli di un vecchio o di un albino. Anche il colore degli occhi era stranamente acceso: un violaceo piuttosto chiaro. La pelle quasi candida, una pecora nera in mezzo a pecore bianche. Ne andava fiero, però.

    Ah!

    Esclamò poi, allungando il collo ed osservando la carrozza, con sguardo sorpreso: gli occhi si illuminarono ed una generale eccitazione prese il sopravvento del volto altrimenti rigido del ragazzo.

    Non ho mai viaggiato in carrozza!

    Confessò con un pelo di vergogna, arrossendo e piegando il capo. Lo infossò fra le scapole, come a volersi nascondere, per poi correre veloce verso la carrozza. Vi salì rapidamente, visibilmente eccitato, sedendosi il più possibile vicino al finestrino, qual'ora ve ne fosse stato uno. L'odore del tacchino riempì l'aria rapidamente, e fu quasi con timore che ne chiese un pezzo. Non era abituato, aveva vissuto come un ragazzo qualsiasi fino ad ora, nonostante il retaggio nobile della famiglia. Si cambiò rapidamente nel suo vestito da cerimonia,
    doveva -in fondo- solo infilarsi un kimono di seta blu sopra il mondano abbigliamento da studente: stretto in vita per non impedire i movimenti.

    Ascoltò attentamente le parole del superiore, intervallando ad esse una breve masticata della coscia, visibilmente affamato. Forse non aveva neanche fatto colazione.

    Fare da scorta?

    Chiese sorpreso, indugiando

    Scusi la domanda, ma perché non avete chiamato un genin o un chunin? Non credete...si insomma, che sia troppo pericoloso per uno studente?

    Abbassò lo sguardo, aggiungendo come a voler riparare ad un torto

    Non che non sia onorato! Tutt'altro! E' solo che...hanno attentato alla vita della signora, no? Ho paura di lasciarci la pelle.

    Confessò, calando di nuovo gli occhi e poggiando il capo sullo schienale, visibilmente preoccupato. Non era mai stato messo in una situazione simile, prima d'ora.
    Divertirsi? Davvero poteva?

    [...]

    Arrivarono con quindici minuti di ritardo, ma non ci fece troppo caso: la sua mente era occupata da altro.
    Lo sguardo era teso, e come biasimarlo? Era solo un ragazzino, buttato a forza in una possibile situazione di vita o di morte. O almeno, così lui l'aveva intesa.
    Le iridi saettavano da una parte all'altra, sempre sul chi vive, il corpo tutto era rigido e pronto all'azione. Calmarsi? E come?
    L'edificio era fin troppo protetto, e ciò non faceva che accrescere i timori del giovane studente: quelle mura, anziché ispirare fiducia e protezione, evocavano pericolo. Perché mai, in fondo, avrebbero dovuto erigere mura, se non per difendersi?

    Tutta quella gente. Troppa. Forse era paranoico, forse no, ma sarebbe stato facile infiltrarsi senza farsi vedere. Troppi ospiti.

    Non sarebbe stato meglio fare un matrimonio per poche persone?
    Non voglio sembrare irrispettoso, ma se è come dite...sarebbe facile intrufolarsi. Non credo che ci si ricordi di ogni singolo invitato.


    Vociò verso Ryuuji con tono preoccupato ma nondimeno cortese, abbassando il tono per evitare di farsi sentire dagli altri.
    Era visibilmente preoccupato, ma cercò di ricacciare i timori dentro di sé, non voleva fare brutta figura!
    L'odore delle piante e dei fiori, poi, contribuì a renderlo un tantino più quieto. Le orecchie sempre rizzate, però: non si sa mai.

    Principessa Hanabira.

    Vociò quindi il ragazzino, improvvisando un inchino: mano destra sul cuore, sinistra dietro la schiena, busto leggermente inclinato verso il basso: come gli avevano insegnato a casa.
    Il tono calmo e riverente, lo sguardo carico di orgoglio ma di rispetto allo stesso tempo, sorrise infine, entrando dentro al palazzo.
    Tanto rosa, troppo.

    [...]

    Non ci volle molto prima che gli venissero assegnati compiti. Fu un sollievo per lui: occupare la mente con altre faccende lo avrebbe aiutato a dimenticarsi del vero motivo per cui era qui.
    O almeno, così pensava.

    Non disse nulla a Ryuuji, annuì convinto e sorrise, incamminandosi verso il giardino con aria tranquilla e vogliosa di mettersi in gioco.
    L'aria fresca, il profumo, sempre meglio del rosa accecante all'interno del castello. Lo trovava pacchiano, ma non avrebbe mai osato mettere in discussione i gusti della principessa.
    Non gli ci volle molto per trovare la zona: gente indaffarata ogni dove, ma un piccolo ammasso s'era formato laddove doveva essere montato il gazebo: non è un lavoro per quattro persone, insomma.

    Ivi si diresse, tenendo occhi ed orecchie aperte durante il tragitto: ogni cosa, ogni minimo particolare, suono, odore. Non gli importava cosa nello specifico, lui voleva prestare attenzione a tutto. O almeno, voleva provarci.
    Occupare la mente con altro, evidentemente, non era così utile.

    Salve, serve una mano?

    Chiese quindi, presentandosi con un sorriso ai servitori, alzando pelo pelo la mano sinistra. Non v'era superiorità nel suo tono di voce, e lo sguardo era il suo solito: orgoglioso ma rispettoso, carico di quella fermezza che solo sangue nobile può dare (o una buona dose di disciplina paterna, in alternativa). Il petto si gonfiò un poco, e senza neanche attendere si fiondò nel mezzo dei preparativi, aiutando per come avesse potuto: passare cavi? L'avrebbe fatto. Legare, segare, incollare? Non avrebbe rifiutato. Tirare la stoffa, cucirla, montare i paletti nel terreno? Non si sarebbe tirato indietro. Portare bevande, cibi o quant'altro? Non l'avrebbe considerato sopra di lui.

    E se fosse scappata qualche domanda, non sarebbe stato tempo sprecato.

    Ho saputo della principessa, gran brutta storia. Mi sembra una donna gentile, perché le stanno alle costole?

    Chiese ad uno, mentre gli passava un bicchiere d'acqua

    La principessa è una gran signora, elegante e gentile! Una vera nobildonna!

    Sentenziò verso un secondo, mentre si dava da fare per montare i sostegni della tenda, cercando di carpire informazioni dall'eventuale risposta. L'espressione, il tono, le parole. Sarebbe stato schivo? Accondiscendente? Avrebbe fatto scena muta, oppure -perché no- gli avrebbe confidato qualcosina?

    Questo posto è sperduto! Non potevate farlo a konoha?

    Domandò anche, cercando di integrare ogni domanda nella conversazione come se fosse naturale. Che male c'era, in fondo, ad essere ciarlieri?

    Cercò anche di sfruttare la ricerca dei gatti: un posto sbagliato di qua, uno di là. Magari un'orecchio troppo teso, uno sguardo fugace verso questa o quell'altra zona.
    E se gli avessero detto qualcosa? Non conosce il castello, s'era sbagliato, non avrebbe ricommesso lo stesso errore!

    Uno Shinobi, in fondo, deve essere sempre pronto a raccattare informazioni.

    [...]

    E così la giornata passò, ed arrivò la sera.
    Se avesse avuto qualche informazione degna di nota non avrebbe perso tempo, la sera stessa: si sarebbe annotato tutto su un piccolo diario, ed avrebbe passato il resto del tempo ad analizzare eventuali indizi o tasselli (sempre che ve ne fossero).

    In caso contrario avrebbe semplicemente dormito, preparandosi al giorno successivo.
  4. .
    Legenda:
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    L'accademia non fu particolarmente ostica per lui, ma d'altronde si sapeva: gli Hyuga erano dei geni, il modello da seguire: qualsiasi ragazzino aspirava a loro, o così gli era stato detto dai genitori, riempiendolo d'orgoglio fin dalla più tenerà età.
    Orgoglio che, forse in eccesso, si mostrò nel periodo in accademia: era sempre il primo a farsi avanti, sempre il primo a consegnare i test, sicuro come pochi delle sue abilità.

    In fondo, scorre in me il sangue degli Hyuga!

    Pensava spesso, alzando il capo e sorridendo convinto prima di fare qualsiasi cosa. C'è chi giura che è solo grazie alle sue abilità ed all'amore dei genitori se ha ottenuto così tanti successi, c'è chi invece sarebbe pronto a provare che è solo il suo cognome a dargli peso e propulsione, e che in realtà il ragazzo manca di qualsivoglia talento.

    Invidiosi!

    Si ritrovava spesso a pensare. I meriti erano solo suoi, e dei suoi geni. Ma senza di lui, ne era certo, sarebbero andati sprecati.
    Jin era, ed ancora è, un ragazzo piuttosto alto e ben piazzato, dal fisico allenato e dai muscoli definiti, quasi i genitori lo avessero costretto a rigida disciplina militare dalla tenerà età. Occhi calmi, qualcuno giurerebbe di non aver mai visto una traccia di insicurezza in quelle iridi, volto fiero, sempre alzato e mai chinato.
    Non a caso, quello era il suo motto: "Io non mi piego.". Perché avrebbe dovuto? Cos'avevano gli altri di così importante da far piegare il capo ad un Hyuga? Sarebbe dovuto essere il contrario. Eccome.

    Ma c'è chi avrebbe giurato che, sotto la sua scorza e la sua stizza, si celasse una bomba pronta ad esplodere. Alcuni lo chiamavano "L'uccello in gabbia". Aveva sempre detestato quel nome, come osavano? Ma forse, solo forse, avevano un poco ragione.

    [....]

    Il gufo lo avrebbe trovato facilmente, era nel solito posto: nel cortile di casa, ad allenarsi. Non aveva tregua, era sempre sotto scrutinio da parte dei familiari, doveva dare il massimo.
    In verità trovarlo fuori dalla proprietà sarebbe stato difficile, se non impossibile: le uscite erano poche e centellinate, almeno finché non avesse passato l'esame da Genin. I coprifuoco erano stretti, e mentre gli altri erano a bighellonare e a fare amicizia, lui era in casa a fare ciò che gli era richiesto, senza domandare.

    Non perché non volesse, ma perché non poteva: non gli era concesso contraddire l'autorità patriarcale, in fondo lui doveva sapere quello che stava facendo.

    E' per il tuo bene Jin, lo sai!

    Gli ripeteva sempre la madre, con un sorriso amorevole in volto e gli occhi pieni di lacrime: le piangeva il cuore, ma voleva il meglio per suo figlio, sebbene lo dimostrasse in maniera non convenzionale. C'è chi non lo avrebbe definito amore, ma per Jin era normale.

    Madre, padre!

    Gridò quindi, dando una carezza al gufo e lasciandolo andare, dopo aver sfilato il rotolo a lui intestato: lo stringeva nella mano destra con aria trionfale, una delle poche volte in cui lo si vedeva sorridere. Era giovale, gli occhi strizzati e ricolmi di soddisfazione, le guance rosse per l'emozione, e forse forse una leggera risata venne lasciata fluire, mentre corse dentro casa allo stesso modo di chi corre ad abbracciare un parente assente da anni.

    Sudato, sporco, la canotta era macchiata di terra e chiazzata, i pantaloni erano rotti in più punti, le mani erano rosse e quasi gli dolevano, ma non poteva aspettare oltre. I capelli flosci, l'aria stanca e senza fiato, il viso che da prima era più simile ad un cadavere che ad una persona riprese colore e vitalità, illuminandosi come quando un bimbo riceve un regalo di natale da tempo atteso. Ancora imperlato, puzzava, ma non era importante. Fece leggere il messaggio ai genitori, e lasciò lì il rotolo ad attestare i suoi meriti.

    Orgoglioso di sé stesso, orgoglioso di tutto, corse gli scalini ed andò a farsi un bagno caldo, più presto del solito: se lo poteva concedere. Per festeggiare lo lasciarono uscire per due orette, e gli estesero il coprifuoco di mezz'ora. Era una giornata speciale, più delle precedenti: poté mangiare un po' quello che voleva, fecero persino uno strappo portandogli il dolce a letto. Era esausto, ma felice.
    Ma lo erano di più i genitori.

    [....]

    Il giorno fatidico arrivò, e Jin si alzò ben due ore prima dell'incontro. Spese un'ora ad allenarsi, si lavò e si imbellettò, voleva essere presentabile: nello zaino, oltre al resto delle attrezzature, venne infilato un kimono cerimoniale passatogli dal padre per l'occasione, mentre uscì di casa con vestiti comodi e adatti ad eventuali camminate di lunga durata: oltre ai guanti, alle gomitiere ed alle ginocchiere indossava un giubbotto leggero a mezze maniche, sotto al quale faceva capolino una maglia verde pisello, ed alle gambe dei pantaloni blu comodi. Nulla di sfarzoso per quello. Capelli bianchi spazzolati e messi in tiro.

    Hanbo alla cintola, assieme ai kunai ed agli shuriken, gli occhialini calcati sulla cima del capo, pronti ad essere calati qualora servissero.
    Arrivò una decina di minuti prima del previsto, camminando con aria tranquilla, o almeno ci provava: era visibilmente eccitato, sebbene tentasse di contenere la cosa per darsi un'aria professionale e degna di uno studente d'élite, non voleva deludere nessuna aspettativa:
    era richiesta estrema serietà.

    Fece un bel respiro e cercò quindi di dissipare quell'eccitazione così palpabile ed ovvia, sollevando il capo e sorridendo fiero: gonfiò il petto, strinse lo zaino alle spalle, controllò che l'Hanbo non fosse svolazzante e tuonò, annuendo e allargando le spalle

    Mettiamo in cammino, allora! Sono onorato, non vi deluderò!

    Anche quello, era il suo motto. E la sua più grande debolezza.
4 replies since 26/6/2017
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