Votes taken by Munisai

  1. .
    CITAZIONE (F e n i x @ 6/1/2020, 17:12) 
    "sperando di passare inosservato" non l'hai scritto perchè ti ho sgamato, farfallone :guru:

    Eggià. Tra i tuoi difetti non ricordavo anche l'essere sbirro, ma ti si vuol bene lo stesso <3


    Ciao Youshi, ciao Waky. Che si dice?

    CITAZIONE (~Cube @ 6/1/2020, 17:08) 
    Come ho sempre detto apprezzo tantissimo il tuo stile e il tuo ritorno non mi fa che piacere :wosd:

    Sempre troppo gentile, Cube.
    Tra l'altro mi hai ricordato dell'Era Glaciale, mi spiace di avervi appesi, ma immagino ve la siate cavata anche senza di me.
    Riguardo l'Abete ho visto che ci sono parecchie pagine in più di quanto ricordassi, quindi immagino la storia sia andata un bel po' avanti.

    Comunque più tardi provo a rientrare su discord (sperando di ricordarmi i dati di accesso), così mi raccontate tutto e parliamo per bene.
  2. .
    E niente, ieri mi sentivo un po' nostalgico. Così ho fatto un salto sulla Legend dopo tanti mesi, giusto prima di andare a letto, per vedere se la baracca era ancora in piedi. A quanto pare lo è.

    Così mi sono detto: "Andiamo a fare un saluto a quegli stronzi e vediamo che aria tira".
    Quindi eccomi qua. Come ve la passate? Vi sono mancato tantiiiiiiiiissimo, dite la verità.
  3. .

    Progetti in Cantiere


    La Più Grande delle Minacce • Capitolo X

    L'ex Amministratore si offrì senza alcun problema di aiutare il ragazzino biondo a vincere le proprie paure. Aiuto che si sarebbe concretizzato nelle peggiori torture fisiche e psicologiche probabilmente, viste le prove mortali alle quali quel pugno di temerari otesi aveva spontaneamente deciso di sottoporsi.
    Così come il Kokage attraverso i Sigilli Maledetti e le tenebre più oscure che essi facevano affiorare in coloro che tentavano a rischio della vita di impossessarsene, anche lo Yakushi si era dimostrato più che in grado di tormentate animo e corpo dei suoi sottoposti. O vittime, che dir si voglia.
    L'uomo dagli occhiali finti era forse ancora più inquietante del capovillaggio sotto quell'aspetto, in quanto sembrava palesemente e genuinamente divertito al pensiero delle tribolazioni elargite ai subordinati. La cosa sembrava regalargli allegria e gioia, simile a quella di un bambino pestifero che ride a crepapelle mentre gioca a smembrare le sue bambole.
    Eppure il metodo era efficacie, o almeno così la vedeva Munisai, e lo aveva ben espresso con la metafora del fabbro e del lavoro che compie per realizzare la sua opera. D'altronde il rosso aveva sempre detestato le pappemolli e riteneva che con la gentilezza e le parole d'incoraggiamento non si andasse molto lontano, non se si nutrivano ambizioni di eccellenza nella vita. E comunque, men che meno in un ambito militare come il loro. Quindi, esperienze dure, al limite del possibile, ma con un profitto a dir poco inestimabile. Costruire mattone dopo mattone la forza e la resilienza per poter affrontare e conquistare le vere sfide in agguato là fuori, in un mondo spietato che non faceva sconti a nessuno.

    Il Jonin esortò i due cadetti ad assecondare le loro inclinazioni, a coltivare i loro talenti. Al ragazzone, nello specifico, suggerì di sviluppare le capacità preesistenti come fabbro portandole al livello successivo, magari visitando vari territori al fine di farne proprie le tecniche.
    Neanche a farlo apposta, Munisai aveva fatto proprio quella pensata ancor prima di decidere di fare del Suono la sua nuova dimora.
    Fece un breve cenno di approvazione col capo, continuando a guardare negli occhi il superiore.
    Credo che sia un ottimo consiglio convenne il rosso.
    In effetti avevo già in mente qualcosa del genere, una sorta di pellegrinaggio, per così dire. Un viaggio per il continente che mi porti ad arricchire le mie conoscenze e ad affinare le mie capacità in quest'arte che mi sta così a cuore, confrontandomi con esperti del mestiere.
    Si grattò il mento, riflettendo.
    Ma è un progetto che intendo rimandare di alcuni mesi.
    Per il momento voglio ambientarmi bene qui a Oto e concentrarmi solo sulla mia carriera ninja. Addestrarmi e diventare uno shinobi degno di questo nome, in grado di reggersi sulle proprie gambe.
    Ora come ora penso sia questa la mia priorità, poi penserò al resto.

    Già, il novellino aveva tutte le intenzioni di diventare uno dei migliori fabbri sulla piazza, e sapeva di averne la stoffa. Ma prima di dedicarsi alla propria crescita in quell'ambito, reputava indispensabile radicarsi bene nel suo nuovo Villaggio, diventare un ninja capace e dunque accrescere la sua forza, e il suo prestigio.
    Tutto sarebbe stato più semplice e accessibile, a quel punto.

    Febh continuò parlando della situazione non esattamente idilliaca in cui versava Oto, di tutte le decisioni da prendere e dei vari cambiamenti nell'assetto del Suono necessari a riportarlo alla prosperità e alla migliore efficienza. Ogni argomento era importante e degno di discussione, ma il rosso non si azzardò a sciorinare idee o proposte.
    Lui era un outsider, di quel posto come di quel mondo. L'ultimo raggio dell'ultima ruota del carro, per essere chiari.
    Lì c'era un Kage appena eletto pronto a prendere in mano la situazione, mentre molti ancora dovevano rientrare dalle rispettive prove. Parecchie cose erano ancora in sospeso, per aria, proprio come le inquietanti colonne che risplendevano di pura energia sulla vetusta magione.
    La più pazzesca e traumatica riunione che si fosse mai vista non poteva certo dirsi conclusa.



  4. .

    La Camelia


    Tsubaki Monogatari • Capitolo I

    La missione affidata a Munisai e Saru era stata portata a termine senza troppi problemi. L'unico inconveniente era stato che Kamine, la loro guida, si fosse trovata costretta ad insegnar loro come aderire alle superfici utilizzando il chakra, ma per il resto tutto era filato liscio.
    I due ragazzi erano sulla via del ritorno verso i rispettivi Villaggi e avevano deciso di percorrere un pezzo di strada assieme, almeno fin quando i percorsi non si fossero inevitabilmente divisi.
    Monaci del cazzo.

    Ad esser giusti, i bonzi erano stati accoglienti. Fin troppo accoglienti, ma in fondo erano dei bonzi no?
    Dopo aver effettuato la consegna, i due ragazzi erano stati invitati a fermarsi al monastero per riposarsi dopo le loro fatiche ed era stato offerto loro il ristoro e l'accoglienza che ci si aspettava da dei sant'uomini. Kamine se l'era svignata, per inciso, raccomandando però ai giovani di accettare l'invito dei santoni e di non offenderli in alcun modo.
    Non è chiaro se gli asceti avessero preso i due in particolare simpatia oppure se tale pratica rientrasse nei loro costumi, fatto sta che due tra i più anziani offrirono ai fattorini una visita guidata in piena regola del tempio, illustrandone la storia e declamando, poi, i precetti della loro particolare setta.
    Di questi faceva parte, prevedibilmente, il ripudiare ogni forma di violenza, cosa che purtroppo condizionava anche la loro dieta, rigorosamente vegetariana. Non solo. Costoro mangiavano solo le poche erbe e ortaggi che riuscivano loro stessi a coltivare nel loro orto su quella dannata montagna, ed era loro usanza consumarli crudi. Sostenevano che in quella maniera si preservassero tutti i nutrienti e che l'essenza vitale presente in tutte le cose potesse solo così essere correttamente assimilata dal corpo e poi dallo spirito.
    Puttanate del genere, insomma, a quel punto l'otese faticava a seguire quei vaneggiamenti, immaginando con orrore la vita di quei disgraziati che dovevano alimentarsi quotidianamente in quella maniera. Un'esperienza che, purtroppo, toccò sperimentare anche ai due Genin. Un pasto da re se eri una vacca o un ovino, ma ci voleva un bel coraggio per definire cibo quella roba. L'unico aspetto positivo fu il tè verde servito alla fine, uno dei migliori che avessero mai bevuto.
    Quando il sole sparì oltre l'orizzonte, e c'è da dire che il panorama era mozzafiato da lassù, i bonzi invitarono gli ospiti ad unirsi a loro in meditazione e nelle orazioni della sera.
    Munisai a quel punto ne aveva avuto ampiamente abbastanza. Pur essendo partiti dalla locanda quella mattina all'alba, erano ancora bloccati lì nonostante il loro compito fosse bello che concluso da un pezzo. Avevano assecondato gli usi di quella gente, ma non aveva intenzione di trattenersi oltre.
    Inventò una scusa su presunte cause di forza maggiore, forte della propria abilità nel raccontare frottole quando voleva, e, afferrata Saru per un braccio, se l'era filata mentre la congrega al gran completo si esibiva in profondi inchini e soavi sorrisi, ringraziando ancora una volta per il servigio ricevuto.

    Forse avremmo dovuto fermarci di nuovo alla locanda sbuffò il rosso.
    Camminavano da circa tre ore ormai attraversando prima dei campi e poi la fitta vegetazione di un bosco. Secondo i calcoli del ragazzo, tra non molto sarebbe giunto il momento per loro di salutarsi e andare ognuno per conto proprio.
    Se la sunese avesse viaggiato via mare, come aveva fatto all'andata, forse non sarebbe stato un rientro così tragico per lei. Una volta raggiunto il porto e imbarcatasi, infatti, avrebbe potuto dormire sull'imbarcazione, quantomeno. L'otese invece doveva farsela a piedi, e c'erano svariate centinaia di chilometri a separarlo dal Suono. Avrebbe dovuto scarpinare tutta la notte e oltre per giungere a destinazione nel primo pomeriggio del giorno dopo, più o meno. Morto di sonno e tutto.
    Era stato effettivamente poco avveduto nella circostanza. Sarebbe stato sicuramente più furbo passare la notte alla stessa locanda che li aveva accolti la sera prima, per poi mettersi in cammino il mattino seguente, fresco e riposato.

    No, ma stiamo scherzando? Non aveva la minima voglia di sottoporsi ad un tour de force come quello che gli si prospettava, soprattutto considerando che non aveva alcuna urgenza di rientrare a Oto, non avendo impegni o incarichi imminenti.
    Proprio mentre stava seriamente valutando di mettere su un accampamento di fortuna lì in mezzo alle frasche e dormire all'addiaccio, delle luci, filtrando in lontananza attraverso la radura, attirarono la sua attenzione.
    Curioso di scoprire di cosa si trattasse, si voltò verso la compagna di viaggio inclinando il capo e alzando le sopracciglia.
    Andiamo a vedere?
    A prescindere dalla risposta, lui sarebbe andato comunque.
    Sul limitare del bosco ma non del tutto fuori dallo stesso, sorgeva un edificio dall'aria piuttosto antica, ma ben tenuto. Sull'insegna di legno presente sull'ingresso svettava l'immagine di una camelia stilizzata, pregevolmente dipinta a mano, e sotto di essa la scritta "Tsubaki Ryokan".

    Seikoro-Ryokan-Hotel-Kyoto-4-stars


    Oddio, forse trascorrere del tempo con quei monaci non era stato del tutto inutile? Che la Provvidenza dei Kami fosse discesa sul ragazzo? Era esattamente quello di cui aveva bisogno.
    Se Saru l'aveva seguito fin lì, e sicuramente l'aveva fatto, il rosso si sarebbe girato per fronteggiarla.
    Penso che passerò la notte qui annunciò, indicando con un pollice la costruzione dietro di lui.
    Scrollò appena le spalle.
    Non devo tornare al Villaggio con urgenza, quindi credo che mi risparmierò di vagare tutta la notte riducendomi a uno straccio.
    Fece una breve pausa, guardandola bene negli occhi.
    Tu cosa vuoi fare?
    Non lo avrebbe mai ammesso o fatto trasparire, ma gli avrebbe fatto piacere se anche la kunoichi avesse deciso di fermarsi. L'episodio della sera prima era ancora qualcosa in cui voleva vederci chiaro, inoltre non gli sarebbe dispiaciuto approfondire la conoscenza della ragazza.
    Suna non verrà inghiottita dal deserto se posticipi il tuo rientro di mezza giornata, immagino avrebbe aggiunto con un ghigno sarcastico.

    Conclusosi lo scambio fra i due, essi avrebbero attraversato il portone d'ingresso e avrebbero percorso il viale deliziosamente immerso nel verdeSenza-titolo-1, come tutto quanto il complesso del resto, fino ad entrare nell'atrioSenza-titolo-4 principale.
    Dietro il banco della reception c'erano due anziani, con ogni evidenza i coniugi proprietari dell'attività. L'uomo5457-200498909 era abbioccato sulla sua sedia, dove sonnecchiava placidamente. Accanto a lui, una donnina5688-198022252 almeno venti centimetri più bassa della sunese e dal viso dolce parve illuminarsi quando vide i due nuovi potenziali clienti.
    Svegliati, vecchio pelandrone! Abbiamo degli ospiti! bisbigliò la signora a denti stretti rivolta al marito, assestandogli un paio di gomitate nel costato.
    EH? Cosa? Be-benvenuti, benvenuti! partì subito il vecchio quasi in automatico, dopo essersi palesemente svegliato di soprassalto.
    I due ninja li avevano ormai raggiunti.
    Buonasera. Vorremmo-- esordì il rosso, ma la padrona di casa in uno slancio d'entusiasmo non gli diede neanche il tempo di esprimersi.
    Benvenuti allo Tsubaki, miei cari disse con tono materno, prima di esibirsi nell'inchino più profondo che la veneranda età le consentisse.
    Io sono Masako Yamahisa e questo è mio marito, il signor Yamahisa.
    Kenta puntualizzò l'uomo con un accenno d'inchino mentre scrutava educatamente ma con un pizzico di preoccupazione Munisai, che, c'è da dire, non aveva l'aspetto più rassicurante a questo mondo.
    Sua moglie invece sembrava già adorare entrambi i ragazzi alla follia. Si vedeva lontano un miglio che era una di quelle nonne buone come il pane e dolci all'inverosimile.
    Questo è un ryokan a conduzione familiare, lo gestiamo noi due con l'aiuto di nostra nipote, Urumi, che conoscerete tra poco. La nostra struttura giace su sorgenti naturali d'acqua termale, e naturalmente tutti i nostri ospiti possono usufruirne liberamente.
    Venite, vi faccio vedere. Non dovrebbe esserci nessuno al momento.

    Se i giovani l'avessero seguita, avrebbero potuto godere di una vista sulla onsen a cielo aperto.

    onsen


    Veramente bello concesse l'otese annuendo, positivamente colpito.
    Poi tornarono nella hall, dove la donna proseguì.
    I nostri alloggi possono accogliere comodamente dai due ai quattro ospiti, e al momento sono quasi tutti liberi, quindi potremo accomodarvi in uno dei migliori a nostra disposizione, miei cari. I pasti saranno serviti, a vostra scelta, direttamente in cameraSenza-titolo-3 oppure in una sala comuneYuzuya-Ryokan-Hotel-Kyoto-5-stars.
    Oh cielo, avete cenato? Possiamo far preparare qualcosa per voi anche subito.
    Sei affamata, tesoro?
    avrebbe infine domandato a Saru, indugiando con lo sguardo sui fianchi fin troppo snelli per i suoi gusti.
    Da vera nonna quale era avrebbe considerato pelle e ossa chiunque non fosse provvisto di una generosa dose di ciccia.
    Senza lasciare troppo tempo alla kunoichi per replicare, avrebbe ripreso.
    Vediamo, cosa mi dimentico...? fece, tamburellando con l'indice sul mento.
    Lo yukata suggerì Kenta.
    Ah, naturalmente! batté pacatamente un pugno nel palmo dell'altra mano.
    Vi forniremo subito uno yukata da indossare per la vostra permanenza con noi. Urumi! URUMI! ABBIAMO DEGLI OSPITI!
    Cara, prima di questo non dovremmo--? iniziò il marito.
    Shhh, non mi distrarre che poi mi dimentico!
    Intanto Urumi2351923574-d6c05733d0 aveva fatto capolino da un corridoio. Una ragazza due o tre anni più grande dei ninja e con gli stessi occhi grandi e viola di sua nonna.
    Oh! Benvenuti, io sono Urumi si introdusse agli sconosciuti con un inchino.
    Ecco, mia moglie non vi ha neanche dato il tempo di presentarvi. Dovete scusarla, lei è così. Esuberante ahahah!
    Oh cielo, cosa vorresti dire, vecchia tartaruga?
    I due scoppiarono a ridere all'unisono. Malgrado i caratteri diversi, sembravano una coppia affiatata.
    Ha ragione ammise il rosso, annuendo.
    Io mi chiamo Munisai Kanashige aggiunse, con un breve cenno del capo in segno di saluto.
    Lasciò che Saru si presentasse da sé.
    Urumi, due yukata per i nostri graditi ospiti, per favore.
    Sì, nonna.
    La ragazza prese a squadrare da capo a piedi i due shinobi, prendendo loro le misure a occhio, probabilmente. Indugiò un po' di più sul ragazzo, forse per via della stazza importante e non così comune. Infine sorrise.
    Sarò subito di ritorno assicurò, prima di lasciare i presenti.
    Allora, giovanotti. Quanti giorni starete con noi?
    Solo una notte, temo rispose l'otese.
    Oh, ma che disdetta! fece la vecchina, sconsolata.
    Sei sicuro, gioia? Non perché sia il nostro ryokan, ma si sta davvero bene qui.
    Non ne du--
    Vedrete, cambierete idea. Dopo una notte nel comfort dello Tsubaki prolungherete la vostra sosta, ci scommetto ahahah!
    Cara... implorò il vecchio.
    D'accordo, d'accordo alzò le mani la coniuge, per poi rivolgersi ancora una volta ai due compagni.
    Non voglio trattenervi oltre, sembrate stanchi. Fatemi sapere solo riguardo la cena, va bene?
    Appena nostra nipote sarà tornata vi farò accompagnare nella vostra camera. E' già pulita e in ordine, pronta per essere occupata.

    Sembrò riflettere per lunghissimi istanti, come se un pensiero le fosse balenato nella mente solo in quel momento.
    Spostò lo sguardo da Munisai a Saru, per poi fermarsi su quest'ultima.
    O forse preferite alloggi separati?
    Il rosso fece scivolare con discrezione lo sguardo sulla sunese, restando in silenzio.
    Se lei lo avesse guardato, avrebbe scorto i suoi occhi verde acido scrutarla ed un sorriso indecifrabile sul viso.
    A lei la decisione. A lei la mossa.



  5. .

    Psycho Circus


    La Più Grande delle Minacce • Capitolo VI

    Una luce sfolgorante investì i due Munisai, il bambino e l'adulto, abbagliandoli e avvolgendoli completamente come una calda coperta.
    Poi, fu l'oblio. Quella orribile esperienza appena vissuta e tutto ciò che era stato nella vita del ragazzo svanirono nel nulla, cancellati dalla memoria.
    Almeno per il momento.


    ——— ♦ ———




    Il vecchio Kanashige non era certo un uomo dai natali illustri. Non era un nobile né veniva da una famiglia facoltosa, tuttavia uno spiccato spirito imprenditoriale, uno scarsa stima per le regole e una buona dose di fortuna avevano fatto di lui uno degli individui più ricchi e potenti del Paese delle Risaie. Oltre ad essere un magnate dell'edilizia, era anche uno degli elementi di punta di un'organizzazione che controllava il traffico di droga dell'area, uno dei più fiorenti di tutto il Continente. Un vero pilastro della società e dell'economia otese, che come noto non erano tra le più specchiate.
    Purtroppo gestire gli affari e accumulare risorse era l'unica cosa in cui realmente eccellesse, mentre occuparsi di una famiglia non era mai stato il suo forte. Oltre ad aver inanellato ben due divorzi, aveva commesso l'errore che molti genitori ricchi da far schifo commettevano con la propria prole: viziarla.
    Nel caso specifico Munisai, unico figlio dell'imprenditore, era cresciuto nello sfarzo più sfrenato, coccolato e accontentato in ogni maniera possibile. Gli era sempre bastato chiedere per soddisfare qualsiasi capriccio. E così, ormai alla soglia dei ventun anni, il giovane era venuto su come un ragazzone smargiasso, piuttosto borioso, ma sostanzialmente inetto in qualsiasi cosa contasse davvero.
    Non aveva mai lavorato un giorno della sua vita, era costantemente attorniato da gente al suo soldo che si occupava di lui in ogni modo, dalla servitù che lavorava nella sua sontuosa magione alle guardie del corpo che lo accompagnavano ovunque andasse. Diamine, persino la gente che frequentava, i suoi amici, a ben vedere gli ronzavano intorno soprattutto per i suoi quattrini. Non sapeva cosa fosse la fatica, o la dedizione, o privarsi di qualcosa. Era un miracolo che sapesse come ci si allacciava le scarpe.
    Ora, cosa fa una persona con mezzi economici quasi illimitati? Si diverte, ovvio!
    Li brucia in donne, alcool e droga,e ci mancherebbe anche! E di tutti i luoghi in cui il rosso amava indugiare nei propri vizi, sicuramente lo Psycho Circus era uno dei suoi preferiti.
    Ovviamente i beni che possedeva grazie alla grana di papino non si contavano, tra mobili e immobili, ma spesso e volentieri lo si poteva trovare a bazzicare con i suoi compagni proprio nella discoteca di sua proprietà.
    Fu così anche quella notte.



    Dj Hadoweru stava dando il meglio di sé mentre una calca amorfa ballava e si dimenava sulla pista da ballo.
    Ai margini di questa, eccolo lì Munisai che a ogni passo si beccava i saluti e i complimenti di due o tre persone, e nel mentre si faceva largo tra la folla, non che gli riuscisse particolarmente difficile data la statura importante e l'abbigliamento che, anche in un ambiente scarsamente illuminato come quello, l'avrebbero reso riconoscibile dal capo opposto della sala.
    Una camicia bianca con dei motivi fiammeggianti lungo le spalle, tenuta sbottonata rigorosamente fino a metà addome, lasciando il busto muscoloso in bella mostra, dei pantaloni arancione chiaro lunghi fino a metà polpaccio e ai piedi dei mocassini dalla punta stretta e all'insù in pelle laccata. Appoggiati sul naso degli occhiali da sole a mezzaluna dalle lenti viola che, diciamocelo, in una discoteca ma in generale in un contesto civilizzato non avrebbero mai dovuto trovare posto (che fine avevano fatto i fidi occhialoni da lavoro?).
    Ma la cosa più spettacolare era la pelliccia rosa che portava sopra, una vera gioia per gli occhi. Oddio, forse la parola pelliccia non è corretta, ma ci siamo capiti insomma. Invece che di pelo d'animale era costituita interamente da piume di fenicottero, e a giudicare da quanto gonfia e maestosa fosse era evidente che qualche bracconiere si fosse divertito a farne fuori un intero stormo per procurare il materiale per confezionarla.


    Incrociò la strada di una attraente cameriera che girava il locale con un vassoio pieno di bicchieri.
    A Munisai bastò una mano per inforcare al volo tre flute colmi del migliore vino spumante in circolazione, con l'altra diede una sonora pacca sul sedere alla suddetta cameriera, che ridacchiò apparentemente imbarazzata mentre quello che effettivamente era il suo datore di lavoro la superava con un sorrisetto allusivo stampato in faccia.
    Continuò a guadare la marea di gente fino a raggiungere un gruppetto di ragazzi. Quello poteva considerarsi il centro nevralgico dello Psycho Circus, ovvero in punto in cui si riuniva il piccolo boss e la sua banda.
    Al centro di quel capannello, infatti, vi era un ampio e comodo sofà in pelle rossa dove sedevano tutte acchittate le due fregne più grandi che potreste mai avere la fortuna di incontrare. L'anfitrione porse loro i bicchieri col pregiato fermentato in un raro e tutt'altro che disinteressato gesto di galanteria, prima di accomodarsi giusto in mezzo alle due, sorseggiando la propria bevanda per poi poggiare i piedi sul tavolino davanti a sé e gettare il braccio attorno al collo di ciascuna ragazza.
    Cazzo, quella sì che era vita.

    Importante precisazione, quelle due erano le sue fidanzate. Lo sarebbero state ancora un tre giorni, poi sotto a chi tocca.
    Lui era fatto così. Si annoiava, quindi gli piaceva cambiare regolarmente. Non a caso si era già bombato almeno una volta un buon 80% delle ragazze presenti in discoteca quella notte.
    Una delle poche lezioni che il vecchio Kanashige era riuscito a tramandare al suo rampollo, soprattutto in virtù delle esperienze matrimoniali, era che fosse di gran lunga meglio fare regali costosi e mirati per ottenere le "attenzioni" del gentil sesso ogni volta che ne sentiva il bisogno, piuttosto che mettere l'anello al dito ad una singola donna e farsi spennare a vita. Gli sembrava ancora di sentirlo metterlo in guardia.
    "La donna che non paghi non sai mai quanto ti costa!"

    Comunque fu mentre il rosso parlottava con i propri compari, o meglio urlava, per sovrastare il frastuono della musica, che il dj lo convocò sulla pista da ballo.
    Non rompermi i coglioni Hadoweru, non vedi che sto cercando di rilassarmi qui? tuonò il boss, tuttavia dal suo tono si capiva benissimo che l'idea non gli dispiacesse affatto quella sera.
    Voleva solo farsi pregare un po', e infatti subito partì un coro d'incoraggiamento da tutti i presenti. Dopo qualche momento di finta titubanza, infine cedette.
    E va bene, va bene! esclamò misericordioso.
    Si voltò verso la gnocca alla sua destra baciandola con passione.
    Poi si girò verso quella a sinistra.
    Rifletté un attimo, quindi limonò duro anche con lei.
    Non sia mai che si offendesse. Ci vuole tatto nella vita.

    Guadagnò quindi il centro della dance floor con un balzo felino.
    Si sentiva gasato, euforico. Probabilmente era un po' fatto per via delle pasticche che ricordava di aver preso, che poi non fosse vero erano dettagli. L'autosuggestione è uno strumento assai potente.

    E poi niente, cominciò lo spettacolo.
    Il rosso sapeva bene che molti dei suoi amici pensavano che a ballare fosse una sega, anche se non avevano le palle di dirglielo in faccia, non era mica scemo. Ma cosa poteva mai capirne quella accozzaglia di plebei leccapiedi?
    Nulla, ecco cosa.
    La tecnica e la musicalità dei suoi movimenti era a dir poco impeccabile, vi dico, e sapete che non sarei mai parziale. Una autentica gioia per gli occhi, specialmente per le fanciulle.
    Quale fluidità, e quale squisita finezza in quei sensuali movimenti pelvici.
    E poi hop con quel calcetto che fa tanto adorabile canaglia.
    Ve l'ho detto, era un fenomeno.
    Peccato che proprio sul più bello, con la folla in visibilio e le femmine in procinto di strapparsi le vesti di dosso alla vista di quell'irresistibile lavoro di anche, o almeno credo, la musica si fermò di colpo.
    E anche il rumoreggiare dei presenti, i quali si ritrassero lasciando il padrone di casa da solo in mezzo allo stage.
    Che diavolo succede? Chi ha detto di fermare la musica? si lamentò subito, guardandosi intorno in cerca di risposte.

    Dieci figure completamente irriconoscibili a causa delle bende avvolte attorno alla testa e armate di coltello si fecero largo tra la folla, e nessuno parve sorpreso o allarmato nel vederle.
    Nessuno a parte Munisai.
    Ah. Ahahah rise a fatica, ma il suo nervosismo era palpabile.
    Bello scherzo del cazzo, me l'avete quasi fatta.
    Kensuke? Noboru?

    Passò lo sguardo su ciascuno dei propri amici, o presunti tali, speranzoso che le sue parole trovassero conferma nei loro volti sorridenti. Ma non fu così. Le loro espressioni erano diventate fredde, impassibili. Come anche quelle di tutti gli altri.
    Quando vide che gli intrusi continuavano ad avanzare circondandolo e che anche le sue fide guardie del corpo restavano immobili invece di intervenire per salvarlo, il rosso cominciò davvero a sudare freddo.
    Era tutto vero, dunque? Il poveraccio fece appello a tutto il sangue freddo di cui disponeva prima di parlare.
    Non tutto era perduto. In base ai suoi due decenni di vita, non esistevano problemi che il denaro non potesse risolvere, o persone che non si potessero comprare.
    Allargò le braccia, in segno di amicizia e di resa, facendo del suo meglio per non far tremare la voce.
    Signori, parliamone, sì?
    Chiunque vi abbia mandato, qualsiasi cifra vi abbiano promesso, io vi pagherò il doppio. Anzi, il triplo!

    Il tono era quasi implorante.
    Saprete chi è mio pad--
    In realtà se ne fregavano di soldi e di padri, o presunti tali. Mentre stava parlando e senza troppi complimenti gli arrivò la prima coltellata, alle spalle, poco sotto la scapola destra.
    URGH!
    Il dolore fu tremendo, sia quando la lama entrò che quando uscì dalle carni del ragazzo, il quale, ovviamente, non aveva memoria di esser stato mai infilzato in passato, anzi.
    In un attimo anche gli altri assalitori lo raggiunsero e il rosso, in cuor suo, capì di essere spacciato.
    A quanto pare non avrebbe mai visto quei ventuno anni ormai così vicini.
    Stranamente non strillò, non implorò, né pianse. Non tentò di scappare o altro, sapeva che gli sarebbe stato impossibile. Istintivamente si raccolse portando le braccia a copertura di busto e testa, poi attese. Attese che tutto finisse, pregando per una morte il più rapida possibile.
    Ma ciò che accadde invece fu qualcosa di assolutamente inspiegabile.

    Il cervello del giovane andò completamente a nero. Ogni pensiero, idea o concezione della realtà svanito, mentre qualcos'altro prendeva il sopravvento.
    Era solo un corpo in mezzo a uno spazio finito. C'era solo la sua pelle, la sua forma, i suoi occhi, che si schiusero sull'ambiente circostante come fosse la prima volta e individuarono, tra i cori infami e nel trionfo di luci stroboscopiche, quelli che minacciavano la sua stessa esistenza.
    La mente poteva ignorarlo, al momento, ma Munisai si era trovato in situazioni del genere più e più volte. Si era allenato per affrontarle e uscirne trionfatore.
    I suoi muscoli, da soli, sapevano cosa fare. Vi era un unico imperativo.

    Sopravvivere.




    TU-TUM



    Gli occhi videro. E il corpo reagì.
    Una lama tentò di affondare nel pettorale destro del rosso, ma questi portò subito il braccio destro davanti a sé, il palmo rivolto in alto, facendo scivolare a contatto gli avambracci suo e dell'attaccante, accompagnando il movimento offensivo fuori traiettoria. [SD1]Rif e Res: 200
    Quasi in contemporanea un altro affondo arrivò altrove, stavolta diretto alla spalla sinistra. Ancora una volta il braccio, quello mancino stavolta, andò ad intercettare il colpo, bloccando quello avversario con il taglio esterno dell'avambraccio. [SD2]Rif e Res: 200
    La situazione era comunque disperata e l'otese era sovrastato numericamente. Da uno dei molti punti ciechi, dietro di lui, arrivò una pugnalata nella parte più esterna del trapezio, poco prima della spalla sinistra, ma a parte stringere i denti non ci fece troppo caso, nemmeno si voltò perché un ben più pericoloso attacco stava arrivando frontalmente. Due individui distinti cercarono di portare un affondo in contemporanea, entrambi mirando al viso. Senza esitazione Munisai si piegò sulle ginocchia, accovacciandosi e mandando a vuoto le due lame. [SD3]Impasto: Bassissimo
    Rif: 225

    Contestualmente al movimento discendente, fece scattare le braccia verso il basso, liberandosi in modo rapido e pulito dell'ingombrante soprabito piumato.
    Mentre si rimetteva all'impiedi, una nuova pugnalata calava sulla sua testa, o sul petto, a seconda di quanto velocemente le sue gambe si sarebbero raddrizzate. Ma non sarebbe stato necessario scoprirlo, poiché per quando ebbe guadagnato nuovamente tutta la sua statura, gli avambracci disposti a croce sopra la testa avevano intercettato il polso del sicario. [SD4]Rif e Res: 200
    Uno dei suoi complici non si fece scappare l'occasione offerta da quella guardia così alta e rapido andò a trafiggere il fianco sinistro dell'obiettivo.
    Non faceva male quanto avrebbe dovuto, probabilmente il rosso era ancora preda di quella sorta di trance. Riuscì persino ad intravedere con la coda dell'occhio un altro attacco diretto alla sua schiena, voltandosi di scatto e parando braccio contro braccio giusto in tempo. [SD5]Impasto: Bassissimo
    Rif: 225

    Peccato che rivolgere l'attenzione altrove spianò la strada alla coltellata successiva, che andò a segno penetrando nel bicipite destro.
    Noncurante dell'ennesima ferita sofferta, Munisai scattò verso il nemico più distante da lui e quindi dall'epicentro dell'aggressione. Quando fu a distanza da mischia, gli sferrò un rapido pugno verticale con la destra cercando di percuotere trachea e laringe. [SA1]Impasto: 1/2 Basso
    Vel: 250

    Un attacco non potente ma portato in una zona particolarmente sensibile che, se andato a buon fine, si sarebbe fatto sentire parecchio. Il bersaglio avrebbe persino potuto perdere la presa sulla propria arma, e se così fosse stato il rosso l'avrebbe prontamente raccolta, ma a prescindere da ciò, dopo l'attacco, egli si sarebbe voltato fronteggiando nuovamente i suoi aguzzini, che a quel punto, e almeno per il momento, non gli sarebbero più stati intorno ma solo davanti.

    Il rush di adrenalina non si fermò ma calò sensibilmente.
    Il fiato corto, i danni accumulati che finalmente si facevano sentire. La testa che riacquisiva lucidità e, con essa, il più profondo turbamento.
    Nessuno degli astanti, infatti, avrebbe avuto un'espressione più shoccata e sbalordita di lui dipinta sul volto.
    Che...che cazzo è successo?!
    I cori inneggianti alla sua morte erano a quel punto divenuti un mero rumore di sottofondo.
    Si guardò le mani con occhi sgranati.
    Cosa diavolo era appena successo?

    Il giovane aveva sentito parlare di reazione fight or flight e di come, sotto pressione e con l'adrenalina a mille, il fisico riuscisse a compiere prodezze normalmente impensabili. Ma quello che si era appena consumato era ben diverso, una specie di miracolo.
    Malgrado il fisico possente, del quale si era senza dubbio preso cura ma solo per vanità e per fare colpo sulle donne, il ragazzo non avrebbe mai saputo come usarlo per badare a se stesso. Lui era vissuto nella bambagia, c'era sempre stato qualcuno a vegliare su di lui. Figuriamoci se si era mai trovato coinvolto anche in una semplice rissa, impensabile. Ma soprattutto, che attrattiva poteva avere imparare a combattere per qualcuno circondato costantemente da guardie del colpo e sgherri assortiti, tutti profumatamente pagati non solo per proteggerlo ma anche per pestare chiunque non gli andasse a genio?
    Munisai, grande e grosso com'era, sarebbe stato praticamente indifeso in una qualsivoglia situazione di pericolo.
    Quindi, come si spiegava quanto era avvenuto?
    Un gesto disperato non poteva giustificarlo neanche lontanamente. Le sue azioni erano state troppo mirate, sicure, tecnicamente solide e strategicamente sensate. Quella roba non si poteva improvvisare, ci sarebbero voluti anni di esperienza marziale e di allenamenti.
    Ma il rosso non ricordava nulla del genere.
    Perché non riusciva a ricordarlo?
    Più ci pensava e più la cosa non quadrava per niente. Non poteva essersi dimenticato di una cosa così importante, che diamine!
    Era come se qualcosa...qualcuno...
    Si portò una mano alla testa mentre un intenso dolore lo assaliva, trapanandogli il cranio. Fortunatamente durò solo pochi istanti.

    [Nota]Munisai sblocca 5 conoscenze (2 T.Base e 3 T.Avanzate)
    - Tecnica della Trasformazione
    - Rilascio
    - Percezione Falsata
    - Tecnica delle Corde
    - Note del Dolore: Do! Re!


    Cosa diavolo sta succedendo? Cosa...chi..?
    Il respiro irregolare.
    Chi sono io? esalò infine, in un sussurro appena udibile.





    Chakra: 19/20
    Vitalità: 6/10
    En. Vitale: 26/30- Leggera alla schiena
    - Leggera alla schiena
    - Leggera al fianco sx
    - Leggera al bicipite dx
    Statistiche Primarie
    Forza: 200
    Velocità: 200
    Resistenza: 200
    Riflessi: 200
    Statistiche Secondarie
    Concentrazione: 200
    Agilità: 200
    Intuito: 200
    Precisione: 200
    Slot Difesa
    1: Parata
    2: Parata
    3: Schivata
    4: Parata
    5: Parata
    Slot Azione
    1: Pugno
    2 e 3: Convertiti in SD
    Slot Tecnica
    1: ///
    2: ///
    Equipaggiamento
    Nessun oggetto

    Note
    Credits a Hidan per la citazione XD


  6. .
    Le avanzate ti mancano, forse qualcosa è andato storto mentre creavi la scheda. Ne hai 3 a disposizione da Studente/Sospetto.

    Benvenuto.
  7. .

    Salto in Alto


    L'Era Glaciale • Capitolo II

    Lo Yakushi sembrò non gradire il tono confidenziale di Munisai.
    Il rosso non era un tipo che amava particolarmente l'eccessiva formalità nel rivolgersi al suo prossimo, compresi suoi eventuali superiori. Non è che fosse estraneo all'etichetta e alle buone maniere, sapeva bene come ci si comportava in società e sapeva anche che molte persone, piuttosto che ambire alla concretezza della sostanza, erano morbosamente attaccate alle liturgie di una forma essenzialmente vuota. Come se il concedere rispetto si manifestasse sotto forma di un inchino o di un appellativo altisonante, come se il rispetto stesso spettasse in automatico a chi ricopriva una certa posizione nella società.
    Il ragazzo non la vedeva così, ai suoi occhi solo le azioni facevano acquisire o perdere rispetto, null'altro. In fondo siamo fatti tutti di carne e sangue, e lui adottava un approccio il più paritario possibile ogni volta che poteva. Grosso modo, quando aveva a che fare con qualcuno per la prima volta, andava molto a intuito. Cercava di capire come gli convenisse muoversi, o comunque che tipo di persona avesse di fronte.
    Ed il problema, in quella circostanza, era proprio il suo limite nel comprendere il superiore.
    Mentre, ad esempio, un Kato era facile da inquadrare e sapeva che egli avrebbe prediletto una certa formalità e deferenza nei suoi confronti, la stessa immediatezza di lettura era impossibile con un personaggio come Febh. Non gli era parso uno che badasse troppo ai convenevoli, anzi sembrava lui stesso uno dai modi molto spicci, bruschi, spesso anche gratuitamente offensivi. Per questo gli era venuto spontaneo dargli del tu malgrado la differenza di grado, ma forse aveva trascurato la sua vanità o comunque la volontà di tenere i propri sottoposti sotto schiaffo.

    A dirla tutta, il giovane non sapeva neanche se prendere il disappunto dell'altro troppo sul serio.
    La possibilità che, in realtà, stesse facendo solo scena e in realtà non gliene fregasse un tubo di come ci si rivolgeva a lui era tutt'altro che trascurabile, tuttavia Munisai decise che non era saggio mettere alla prova una semplice ipotesi con un soggetto così imprevedibile, quindi lo assecondò.
    Perdoni la sfacciataggine di poc'anzi, starò più attento in futuro disse, chinando brevemente il capo, mentre la bocca si piegava in maniera indecifrabile.
    Il tono non era esattamente contrito, diciamocelo, ma era sicuramente educato.

    Quando arrivò il Chunin della Foglia, lo Yakushi rivelò un nuovo aspetto di sé: il razzismo.
    Oddio, a onor del vero l'uomo perculava e maltrattava tutti democraticamente, non c'era scampo per nessuno, eppure, dopo aver ingiuriato il kiriano per la sua provenienza, dimostrò una chiara avversione per il nuovo arrivato, che chiaramente non aveva mai incontrato, per il solo fatto che fosse di Konoha.
    Il rosso non ci badò troppo.
    Si limitò a voltarsi verso il nuovo elemento del team, facendogli un mezzo sorriso.
    Io sono Munisai, Genin di Oto si presentò, lapidario.
    Il Jonin si era rifiutato di ripetersi e mettere al corrente anche Shin delle poche informazioni sulla missione, quindi in teoria sarebbe spettato al secondo per rango, ovvero allo Yotsuki, l'onere di fare un rapido briefing al ritardatario.
    Solo se ciò non si fosse verificato, Munisai, senza troppo entusiasmo, sarebbe intervenuto per mettere al corrente il compagno.
    Per farla breve, questa è principalmente una missione di protezione.
    Ci imbarcheremo su una nave mercantile e dovremo difenderne il carico e l'equipaggio da dei pirati che molto probabilmente tenteranno di abbordarla e saccheggiarla.
    E presumo che dovremo anche fare il culo ai suddetti pirati, così da porre fine definitivamente alle loro scorribande.


    Mentre il veliero si avvicinava alla banchina, il rosso subì in religioso silenzio le lamentele dello Yakushi riguardo l'incompetenza dei presenti, e nello stesso silenzio ma con il massimo interesse e attenzione ascoltò la spiegazione riguardante quegli specifici utilizzi del chakra.
    Si parlava di capacità e azioni quasi sovrannaturali rese possibili da un controllo raffinato e preciso dell'energia che albergava in ogni essere vivente, ma che solo i ninja erano in grado di sfruttarle al massimo del suo potenziale.
    Munisai aveva ovviamente letto di quel genere di applicazioni del chakra su dei rotoli nella biblioteca del Suono, magari ne era stato anche testimone una volta o due, tuttavia tentare di metterle in pratica senza una guida si era purtroppo rivelato infruttuoso. Malgrado quei concetti suonassero così dannatamente semplici, non si trattava di qualcosa che si potesse apprendere senza allenamenti mirati, ed il fatto che persino alcuni Chunin, quindi shinobi di una certa esperienza, avessero ancora delle lacune in quel campo ne era la riprova.
    Il ragazzo non poté che gioire, dunque, quando capì che il viaggio in mare sarebbe stato l'occasione per cominciare a lavorare su quelle sue mancanze che reputava odiose e inaccettabili. Proprio così, gioì e fu grato a Febh perché lo avrebbe aiutato a compiere un nuovo, importante passo in avanti sul suo cammino.
    Il povero fesso non sapeva cosa lo aspettava.

    [ ... ]


    Appena imbarcato sull'Era Glaciale non ebbe neanche il tempo di dare uno sguardo in giro e scambiare due parole con la ciurma che Febh affibbiò a lui e ai suoi compagni di sventure dei pesi da dover indossare. In men che non si dica si ritrovarono in quattro a spazzare e lucidare il ponte di coperta, che ovviamente era fatto di ghiaccio come la quasi totalità del veliero.
    Una cosa inutile come poche.
    Cosa poteva esserci mai da spazzare? E soprattutto, a cosa serviva lucidare il ghiaccio?
    Interrogativi che sarebbero rimasti perlopiù inevasi, almeno per il momento.

    Lavorando insieme il gruppetto riuscì a svolgere il compito senza troppi problemi, nonostante i pesi rendessero i movimenti più lenti e macchinosi, e portassero a stancarsi più velocemente. Il fatto era che, anche dopo finito, gli fu ordinato di ricominciare da capo, ancora e ancora, in un loop che durò delle ore.
    Munisai riuscì bene a nascondere la frustrazione che provava, e non tanto dovuta al dover sfacchinare in quel modo, quanto piuttosto al non vedere un senso in ciò che gli era stato detto di fare. Ma restò al suo posto e fece la sua parte senza fiatare, usando quel tempo almeno per pensare a come rendere più vivibile la sua permanenza su quella nave.
    Come già accennato, il rosso era abituato a climi estremamente rigidi, tuttavia nessuno gli aveva comunicato che avrebbe dovuto trascorrere due o tre giorni in un freezer galleggiante, altrimenti si sarebbe meglio equipaggiato per i freddo. Aveva un cappotto pesante, stivali robusti e calzini imbottiti, ma per il resto il suo abbigliamento non era niente di chissà che.
    Il piano era semplice e lineare: cercare di non morirci assiderato su quella bagnarola.

    Ecco, la prima cosa erano le calzature. Aveva subito notato come i membri dell'equipaggio avessero tutti degli stivali che sembravano permettere loro di spostarsi sul ghiaccio senza alcuna difficoltà.
    Ora, non era ben chiaro se ciò fosse dovuto a come erano progettati, tipo con dei tacchetti di metallo per migliorare la presa sulla superficie, oppure ci fosse dietro qualche trattamento con il chakra, fatto sta che averne un paio avrebbe facilitato di molto la vita al ragazzo, dato che non era capace di aderire a quel pavimento tutt'altro che sicuro. Certo, c'erano delle pedane di legno su cui poteva camminare tranquillamente, ma queste non ricoprivano ogni parte della nave, e avere la massima libertà d'azione sarebbe stato auspicabile, specialmente se ci fosse stato da combattere.
    Fu così che alla prima pausa concessa da Febh, probabilmente quella serale, Munisai avrebbe avvicinato un ragazzo piuttosto giovane, che si sarebbe rivelato essere il mozzo, chiedendogli se poteva procurargli un paio di quegli stivali. Non era proprio facile che ce ne fosse un paio in più e della misura adatta, tuttavia valeva la pena di fare un tentativo. In fin dei conti, come non avrebbe mancato di fargli capire, sarebbe stato solo nel loro interesse che ogni membro della loro scorta fosse nelle migliori condizioni per poter agire al momento del bisogno.

    Oltre a questo, era fondamentale tenersi caldi in ogni modo.
    Ogni forma di riscaldamento era bandito sul veliero, per ovvi motivi, quindi non restava che coprirsi bene e tenersi attivi. Beh, a quell'ultimo aspetto pensava Febh. Fin troppo.
    Mangiare pasti nutrienti e caldi. Zuppe, minestre. Il cuoco di bordo sicuramente sapeva cosa fare al riguardo.
    Magari farsi un bicchierino o due col primo ufficiale, che si sa, una bevanda alcolica di qualità riesce a scaldare sia il corpo che lo spirito.

    Ma il problema più grosso era forse il dormire.
    Finché si era svegli, in movimento, il freddo lo si poteva sopportare. Uno ci faceva l'abitudine a un certo punto.
    Ma appisolarsi a temperature sotto lo zero? Senza una fonte di calore decente?
    Quando il giovane ebbe l'opportunità di visitare i dormitori scoprì che anche i giacigli erano scolpiti nel ghiaccio. C'erano anche delle coperte, certo, ma restavano comunque più bare che letti. Quel dannato Shinretsu aveva chiaramente qualche rotella fuori posto.
    Fu così che, sempre nella sua ora di libertà, Munisai si sarebbe procurato una cima o comunque del cordame, che su una nave non era mai difficile da reperire e in abbondanza, e in quattro e quattr'otto si sarebbe fatto un'amaca di fortuna, intrecciando e annodando abile e veloce le funi a propria disposizione. In caso di necessità avrebbe anche potuto sfruttare della corda che aveva con sé, ma probabilmente non ce ne sarebbe stato bisogno.
    Al momento di andare a riposare, l'avrebbe messa in sospensione, ben lontana dal pavimento gelato, ci avrebbe buttato sopra le coperte e ci si sarebbe avvolto dentro come un bruco nel suo bozzolo. Questo avrebbe dovuto garantire la minore dispersione di calore possibile e permettergli di dormire decentemente, almeno fino alla impietosa sveglia dello Yakushi.

    Tutto ciò sarebbe avvenuto, ma più avanti.
    Adesso riportiamo indietro l'orologio e torniamo ai nostri quattro disgraziati alle prese con le più inutili pulizie della storia.


    Erano ormai quattro ore che andava avanti quella solfa e tutti erano parecchio stanchi, Munisai forse più di altri. Finalmente il Jonin giudicò che poteva bastare così, liberò tutti dai pesi e li divise.
    L'addestramento poteva avere inizio. Forse.

    Munisai fu accompagnato verso la parte posteriore della nave, di fronte al castello di poppa. C'era un cerchio disegnato sul pavimento, il ragazzo vi entrò.
    Non dico di stare a piedi nudi sul ghiaccio ma puoi tenere le calze, sono generoso, lo so. Comunque con il freddo sarà difficile concentrarsi, ma quello che ti serve è impastare chakra nei piedi, una piccola quantità ma con cadenza costante, continuamente. Sentirai come se fossi attaccato al ghiaccio, e non per le ustioni, ma aumentando la frequenza d'impasto e leggermente la quantità ti sentirai come respinto. Quello che devi fare è riuscire a coordinare la lieve spinta con il tuo salto per guadagnare un paio di metri. Questo senza sfracellarti sul muro, se riesci.
    Esalando uno sbuffo di vapore acqueo, Munisai non fece altro che rivolgere lo sguardo al superiore facendo un cenno secco con la testa in segno d'intesa, dopodiché, sia che Febh fosse restato a osservarlo sia che fosse andato via, il ragazzo si sarebbe messo all'opera senza pensare ad altro.
    La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata rimuovere la cotta di maglia. Non tanto per il peso, irrisorio, quanto piuttosto perché vestire una camicia di metallo a quelle temperature non era il massimo in termini di efficienza termica. Poi, si tolse stivali e calzini. Accettare la concessione dello Yakushi di tenere questi ultimi, infatti, sarebbe stato abbastanza controproducente. Una volta che si fossero bagnati a contatto col ghiaccio, tenerci i piedi dentro sarebbe stato molto peggio che stare scalzo. Dunque se non poteva indossare gli stivali, sarebbe stato direttamente a piedi nudi.
    Guardò in alto verso il cassero. In realtà saltando e alzando le braccia ci si sarebbe potuto aggrappare e issare sopra, la sua statura di sicuro lo aiutava. Ma il punto non era quello, l'obiettivo era atterrarci con i piedi sopra e quella era un'altezza ben al di là delle sue possibilità.
    Senza pensare troppo, fece subito un tentativo. Saltò più in alto che poteva e, come previsto, alzando le braccia riuscì ad aggrapparsi, ma la superficie era scivolosa e subito le mani persero la presa facendolo cadere rovinosamente a terra. Di schiena. E il ponte di ghiaccio era impietoso, rigido come il marmo.
    Si rimise in piedi imprecando a mezza voce, cercando a quel punto di seguire le indicazioni ricevute.
    Tentò di concentrare una piccola quantità di chakra sotto la pianta dei piedi, mentre a intervalli regolari provava a staccare i piedi da terra per vedere se stesse funzionando. Basarsi sulla sensibilità era praticamente impossibile, le estremità inferiori l'avevano in gran parte persa.
    Nel corso di quell'allenamento il rosso fu costretto a delle pause frequenti per dare tregua ai propri piedi, premendone le palme contro le cosce e stringendone le dita tra le mani per rinfondervi calore, mentre stava disteso sulla schiena. Una accortezza che, con un po' di fortuna, avrebbe evitato l'insorgere di lesioni da congelamento.
    Ma l'esercizio doveva andare avanti nonostante le avversità.
    Poggiando le mani sulle gambe e restando immobile, chiuse gli occhi visualizzando nella mente l'immagine dei propri piedi che emettevano in continuazione una sostanza viscosa, che si espandeva poco a poco sulla superficie su cui poggiavano e penetrava nelle sue profondità.
    Un flusso costante dalla frequenza stabile, appena accennato, ma perpetuo. Era come se il suo corpo respirasse senza l'ausilio dei polmoni, come se dalle sue estremità uscisse un alito costante d'energia diretta verso il basso che gli impediva di sprofondare in quel sarcofago di ghiaccio.
    Dopo svariati tentativi sentì che qualcosa stava cambiando, forse iniziava a funzionare. I piedi cominciarono a staccarsi a fatica da terra, ma il controllo era tutt'altro che preciso. A volte gli capitò accidentalmente di espellere troppo chakra, il che ebbe come curioso risultato il farlo sdrucciolare sul ghiaccio come un pattinatore ubriaco.
    Tuttavia era sul controllo della repulsione che doveva concentrarsi, e su quel benedetto salto.
    I suoi muscoli erano sia indolenziti per la fatica del precedente lavoro che scossi dal freddo, e lo scorrere del tempo non migliorava certo le sue condizioni psicofisiche, ed in particolar modo lo stato dei suoi piedi.
    Quindi non si affinò troppo sulla adesione al terreno. Semplicemente, non appena si accorse che il chakra fluiva più o meno correttamente, cercò di aumentare la frequenza e diminuire l'intervallo di emissione, aumentando leggermente la quantità di chakra impiegato e tentando di espellerlo in un colpo solo dopo averlo accumulato. In effetti era l'azione opposta alla precedente.

    I primi tentativi, senza ancora rischiare il balzo, si tradussero nelle cadute più rovinose. Quella spinta improvvisa e priva di controllo rendeva lo stare in equilibrio sulla già precaria superficie una mera utopia. Qualche livido non glielo avrebbe tolto nessuno per la fine di quella storia.
    Quando il chakra era troppo poco non succedeva niente, o si limitava ad aderire, quando era eccessivo invece riceveva una spinta esagerata e irregolare che lo sbalzava bruscamente facendolo finire a terra, ma ci si divertiva davvero quando perdeva il controllo sulla direzione del flusso. Se esso non era perfettamente perpendicolare al piano d'appoggio, infatti, il poveretto finiva sparato in avanti, o indietro, o chissà dove, con risultati disastrosi.

    Svariate botte e innumerevoli tentativi fallimentari più tardi, sembrò finalmente cominciare a venirne a capo.
    L'effetto di spinta era più contenuto, più controllabile. Più focalizzato, soprattutto. Capì che la chiave era la costanza nel dosare l'impasto e il tempismo nel rilascio dell'energia. Non era tanto una questione di sprigionare potenza in maniera esplosiva, quanto piuttosto di imbrigliarla, liberarla sapientemente dopo averla accumulata in un punto preciso. Ora non restava che associare la spinta con il salto.
    Non fu proprio una passeggiata di salute, e quel fottutissimo pavimento di ghiaccio rendeva tutto molto più difficile, sia in termini di stabilità nello spiccare il balzo, sia al momento dell'atterraggio, che due volte su tre si traduceva nell'ennesima caduta. Questo portò Munisai a sperimentare ancora con l'adesione nel tentativo di limitare i danni, ma i risultati furono solo sporadicamente positivi, e comunque era qualcosa di assolutamente secondario.
    Fece appello a tutta la sua tenacia e a ogni grammo di concentrazione che gli era rimasto, tutto rivolto a completare quell'esercizio. Aveva il fiato corto, era stremato, pieno di sudori freddi, ma cos'altro poteva fare se non insistere? E al diavolo le cadute, tanto era già tutto ammaccato.
    Lui continuò a provare, e un salto dopo l'altro cominciò a guadagnare centimetri.
    Certo, andò anche a spalmarsi sul muro alcune volte, e in particolare una facciata sarebbe stata memorabile se solo qualcuno fosse stato presente ad apprezzare il lato comico delle fatiche del rosso, ma lui continuava e imperterrito conquistava altezza. Fino a quando la sua capacità di coordinare un controllo ineccepibile del chakra e il comando impartito ai muscoli non fu perfetta.

    Piegando le gambe e abbassando il baricentro, sentì il chakra formicolargli sotto ai piedi per qualche istante prima che, nel momento in cui questi stavano per staccarsi dall'algido ponte, una spinta decisa arrivò dal basso incrementando la prestazione del gesto atletico.
    Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva cominciato l'addestramento, aveva completamente perso la cognizione del tempo, ma finalmente riuscì nell'impresa, atterrando sul castello di poppa. Oddio, appena mise piede sulla nuova stazione scivolò cadendo rumorosamente di schiena, ma il giovane nemmeno parve accorgersene. In un batter d'occhio fu in piedi e si mise a correre giù per le scale che lo avrebbero ricondotto al punto di partenza, un ghigno esaltato dipinto sul volto.
    Doveva accertarsi che non fosse stato un colpo di fortuna.

    Non lo era stato. Riprovò l'azione alcune volte ancora, e ogni tentativo si trasformò in un successo.
    HAHAHAHAHAHAHAHA!
    La risata del ragazzone, piena di soddisfazione e in parte di sollievo, probabilmente si sarebbe sentita per mezza nave.



    Non metto consumi, danni, cazzi e mazzi perché non saprei bene come gestire la cosa, i tempi che se ne vanno e il resto. A seconda delle tue indicazioni, aggiungerò alla tabella riassuntiva dal prossimo turno se è il caso.

  8. .

    c h a p t e r
    b l a c k

    Munisai giunse al cospetto del suo personale Demone del Sangue, su quello che sarebbe stato per il ragazzo o l'altare della consacrazione o un altare sacrificale. Sostenne lo sguardo e il sorriso angoscianti di quella creatura dal potere smisurato senza tradire alcun timore, manifestandogli unicamente l'umiltà e il rispetto che la circostanza imponeva.
    Si starà chiedendo chi io sia, Sandaime esordì il giovane, con voce chiara e ferma.
    Era forse l'unico individuo, tra i presenti, che Diogene non conoscesse o del quale non avesse, per forza di cose, alcuna informazione. Una breve introduzione era dunque necessaria, specialmente quando si presentava di fronte e a fianco agli otesi rivendicando per sé uno dei tesori più preziosi del Suono.
    Mi chiamo Munisai Kanashige e mi sono appena trasferito qui a Oto.
    E' mio desiderio diventare un abile shinobi servendo questo Villaggio, e un potere del genere
    continuò, indugiando con lo sguardo sull'intera, quasi mostruosa figura del Kage, mi aiuterebbe di sicuro a realizzarlo.
    Strinse appena i pugni.
    So bene di rischiare grosso, ma non intendo farmi da parte ed essere un mero spettatore.
    Questa è la strada che ho scelto, in fondo. Non fuggirò davanti al primo ostacolo.
    Procediamo pure.

    In fin dei conti il Colosso aveva offerto a tutti i presenti la possibilità di fronteggiare l'arduo cimento, senza eccezioni, dunque il rosso non riteneva di doverlo convincere.
    Quando il clone di sangue diede il suo benestare, il giovane allargò il colletto della maglietta sformandolo abbastanza da scoprire maggiormente petto e dorso. Diede poi le spalle all'altro, indicandogli un punto sulla spina dorsale, all'incirca un palmo sotto l'ultima vertebra cervicale, giusto tra le scapole. Diogene non si fece pregare troppo e subito affondò gli artigli nelle carni del ragazzo, provocandogli un dolore acuto ma circoscritto. Vacillò appena, stringendo i denti e le labbra per non fare un fiato. Poi sentì le grinfie cremisi penetrare più a fondo, sfiorando una vertebra o due pur non danneggiandole. La sensazione fu comunque tremenda e alquanto strana, come se qualcuno gli avesse spinto un cilindro di ferro incandescente nella schiena.
    Il rosso serrò le palpebre e non riuscì a trattenere un lamento, mentre si piegava in due dal dolore. Quando tornò in posizione eretta e riaprì gli occhi, si ritrovò davanti una piazza completamente deserta.

    Tutti gli otesi e i vari duplicati, Diogene, Febh, tutti quanti si erano volatilizzati. Persino le gigantesche lucertole e le colonne di chakra erano andati. Restavano solo il piazzale imbrattato dal sangue del Mikawa e il Palazzo della Serpe. Munisai si guardò intorno febbrilmente, cercando di capire che fine avessero fatto tutti. Regnava un silenzio assoluto, sovrannaturale.
    Che cazzo sta succedendo?! esclamò, o meglio tentò di farlo, ma non uscì il minimo suono dalla sua bocca.
    Sgranò gli occhi per la sorpresa, stringendosi la gola con una mano. Scrutò in ogni direzione in maniera convulsa, e quando l'edificio tornò nel suo campo visivo scoprì di non essere più solo.
    Una decina di metri di fronte a lui si stagliava una figura incappucciata ricoperta da capo a piedi da un'ampia cappa candida come la neve. Sembrava un maledettissimo spettro.
    Fece un passo in avanti, lentissimo ma il cui suono riecheggiò nell'intera piazza, l'unico che si fosse udito dopo la sparizione di massa. Il giovane istintivamente indietreggiò.
    E tu chi cazzo sei? Dove sono finiti tutti?
    Per la seconda volta, il suo tentativo di proferir parola fu inutile. Munisai ora era realmente spaventato. Cosa diavolo stava succedendo? Chi era quel tizio? Era forse caduto in una tremenda arte illusoria che...
    No. Era il Sigillo. Doveva essere per forza il Sigillo, la prova di cui aveva parlato il Kokage.
    Ma cosa fare? Come comportarsi?
    Il rosso si sentiva, per qualche ragione che al momento non riusciva a comprendere o spiegarsi, completamente impotente di fronte alla figura immacolata, la quale avanzò di un altro passo, ancora più assordante. Da sotto al mantello fece capolino un braccio ossuto, latteo tanto quanto l'abito. Delle dita affusolate e dalle unghie acuminate avvicinò con lentezza esasperante l'indice al cappuccio, come a far segno di tacere.
    In un istante la mente del rosso fu invasa da migliaia di immagini di morte, come una serie interminabile di agghiaccianti diapositive che gli fecero vivere, nei panni della vittima, le più disparate e crudeli esperienze di tortura e uccisione.

    Durò solo un secondo, ma lui le percepì come ore.
    AAAAAAAAAAAARGHHHH!!!
    Un grido straziante che non fu mai proferito, non poté esserlo.
    Gli occhi sgranati, le lacrime gli rigarono il viso mentre l'intero corpo era scosso dai tremiti. Le gambe cedettero e prima di rendersene conto era a terra a dare di stomaco.
    E intanto la bianca sagoma continuava ad avanzare.
    Passo. Dopo passo.
    No. Così no. Così era impossibile.
    Perdendo il sangue freddo che normalmente riusciva a mantenere anche nelle situazioni più critiche, annaspò nel suo stesso vomito cercando di rimettersi in piedi. Quando ci riuscì, girò le spalle e scappò.
    Stava per morire, ne era certo. Al diavolo la prova, al diavolo Oto, al diavolo tutto. Non voleva crepare.

    Sfortunatamente, la sua fuga si concluse dopo una singola falcata.
    La figura in bianco, infatti, si era materializzata nuovamente davanti a lui, ma ad appena due metri di distanza. Ebbe appena il tempo di realizzarlo che questa, allungandosi ed assottigliandosi in maniera innaturale, saltò nella bocca della sua preda fino a scomparire del tutto. Quell'essere si era fatto volutamente divorare, andandosi ad annidare nell'animo di Munisai, il quale ora si sentiva soffocare.
    Portò entrambe le mani alla gola, incapace di respirare. Divenne cianotico, gli occhi si iniettarono di sangue. Stava per morire di una morte orrenda.
    Si sentì solo cadere mentre perdeva conoscenza, precipitando nelle tenebre.
    Quando rinvenne era immerso in un liquido scuro simile al catrame, non altrettanto viscoso ma abbastanza denso e nero da impedire completamente la visibilità. Agitò gli arti con tutta la forza che aveva cercando di nuotarci dentro. Andava praticamente alla cieca ma aveva comunque una vaga idea di quale fosse il sopra e il sotto, quindi si diresse là dove sperava di trovare la superficie. Era di nuovo a corto di ossigeno e stava per annegare, quando una flebile luce bianca penetrò il flutti.
    Ancora qualche metro e riuscì a cacciare fuori la testa, tirando un profondo respiro. Per qualche strano fenomeno, il pelo dell'acqua parve solidificarsi e il giovane riuscì ad issarcisi sopra come fosse una lastra di ghiaccio. Il muscoli e i polmoni gli bruciavano per lo sforzo, ma ne era uscito indenne e stranamente senza avere addosso tracce di quella robaccia.
    Già, ma dove si trovava?
    Si guardò intorno ma, a parte quello sconfinato mare oscuro non vi era nulla se non un orizzonte bianco, vuoto di qualsiasi cosa.

    D'un tratto, dei vagiti.
    Nella direzione dalla quale provenivano vide due figure sfocate inginocchiarsi accanto a un neonato che piangeva. Entrambe cinsero le loro mani attorno all'esile collo del bebè.
    No...
    Intanto Munisai aveva recuperato l'uso della voce, almeno quello.

    Giusto il tempo di prenderne atto, che qualcun altro arrivò sulla scena, spazzando via gli aspiranti infanticidi, che si dissolsero in una nube di fumo grigio.
    Si trattava di una donna vestita in abiti cerimoniali da miko, una sacerdotessa del tempio. Aveva lunghi capelli neri lisci e lucenti come la seta, ma non aveva un volto. Dove dovevano esserci occhi, naso, bocca, non c'era nulla. Un essere a dir poco inquietante, che sembrava uscito da chissà quale racconto popolare.
    Questo raccolse il lattante stringendolo tra le proprie braccia affettuosamente. Ma sembrò quasi che avesse toccato una sostanza tossica, perché la pelle della donna immediatamente si riempì di piaghe e andò in necrosi.
    Vomitò sangue, poi venne lentamente inglobata dalla distesa d'ossidiana.
    Cos'è questo?

    Prima che il giovane potesse avvicinarsi, il neonato, rimasto lì da solo, crebbe, diventando in pochi secondi un bambino vestito di poco più che stracci e palesemente negletto. Questi cominciò a correre più veloce che poteva.
    Munisai gli tenne dietro a una certa distanza, fino a quando il piccolo non si fermò una cinquantina di metri davanti a lui, ai piedi di un albero sbucato dal nulla.
    Al rosso gli si gelò il sangue.
    Avrebbe detto che si trattava di una quercia, ma era completamente priva di foglie e la corteccia era bianca come l'avorio. Ai suoi rami completamente spogli erano legate delle corde dalle quali penzolavano alcune dozzine di bambini e bambine di età diverse, ma tutti decisamente piccoli. Alcuni dei corpi erano sfigurati, altri mutilati, ma erano tutti, chiaramente, appesi lì da un pezzo.
    Il bambino, di fronte a quell'immagine, crollò sulle ginocchia tremando in maniera incontrollabile come in preda alle convulsioni, lanciando un grido lancinante tra i singhiozzi.
    Che...che posto è questo?
    Il ragazzo cominciò a respirare affannosamente, guardandosi intorno in cerca di un appiglio, di una via di fuga.
    In cerca di una risposta.
    DOVE CAZZO MI HAI PORTATO?!! sbraitò, chiaramente rivolto alla figura in bianco. O forse al Kokage?


    Munisai non aveva mai conosciuto i propri genitori, era stato abbandonato ancora in fasce ai piedi di un tempio, dove fu trovato da una miko che decise di crescerlo come suo.
    Purtroppo la giovane contrasse un male sconosciuto e morì non molto tempo dopo. Al che il piccolo, che qualcuno addirittura biasimò per la disgrazia, fu affidato ad un orfanotrofio dalle pratiche assolutamente esecrabili.
    I ragazzini erano sottoposti a ogni genere di maltrattamento e sevizie, ed erano anche sfruttati. Da giovanissimi, infatti, venivano impiegati come forza lavoro ad infimo costo da "affittare" a individui senza scrupoli, ognuno in base alle inclinazioni che dimostrava.
    Il rosso, ad esempio, da subito aveva dimostrato ingegno e buona manualità, oltre alla sorprendente capacità di assemblare oggetti anche di utilità partendo da rottami e cianfrusaglie. Pertanto si era trovato spesso a dover affiancare orologiai, artigiani, e meccanici di vario tipo.
    Ma c'era di peggio.
    I bambini più graziosi, femmine ma anche maschi, venivano avviati alla prostituzione prima ancora che la loro età raggiungesse le due cifre.
    I bambini che non mostravano talenti evidenti, invece, venivano costretti a mendicare. Spesso questi ultimi venivano mutilati deliberatamente affinché suscitassero maggior compassione nei passanti.
    Munisai aveva visto molti ragazzini come lui morire durante la sua permanenza in quel luogo maledetto, incapaci di sostenere un simile inferno.
    Inutile dire che questo vissuto l'aveva profondamente segnato.


    Le scene alle quali aveva appena assistito erano una sorta di macabra reinterpretazione di alcuni eventi traumatici della sua vita, alcuni dei quali troppo remoti perché ne avesse memoria.

    Benvenuto nella mia dimora.

    Il ragazzo sobbalzò nel sentire quella voce grave e spettrale che scoprì appartenere all'uomo in bianco, che ora si stagliava alle sue spalle a debita distanza.
    Tirami fuori da qui esalò Munisai respirando a fatica, serrando i pugni.

    Mi dispiace, ma questa sarà la tua tomba.

    Ti ho detto DI FARMI USCIRE DA QUI!
    Il rosso sbroccò, scagliandosi rabbioso contro il suo aguzzino.

    HAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHA!

    Una risata gutturale riempì ogni angolo di quel limbo.
    Alla creatura bastò alzare una mano. Un braccio del giovane sparì. Senza dolore, senza sangue. Come se qualche divinità avesse usato una gomma da cancellare su di lui, che a stento se ne accorse.
    Poi via l'altro braccio, infine le gambe, una alla volta. Si schiantò rovinosamente di faccia sulla superficie nera, un tronco umano.

    Non potrai mai sconfiggermi così.
    La tua ira è futile, vecchio amico.


    Chi...coff... Chi cazzo ti conosce?

    Oh, ma ti sbagli di grosso.

    L'essere afferrò per il collo ciò che restava dell'altro, sollevandolo da terra.
    Un flebile tentativo di dimenarsi non servì a nulla.

    Noi ci conosciamo da tutta una vita.
    Siamo cresciuti insieme. Ti ho sempre accompagnato lungo il tuo cammino.
    Il Sigillo mi ha solo dato forma e consistenza, e abbastanza forza per sopraffarti.
    Ho IO il Controllo adesso.


    E così dicendo lo scagliò lontano con una forza inaudita, facendo urtare a terra il corpo martoriato diverse volte, come un sassolino fatto rimbalzare su uno stagno.
    Il ragazzo sputò sangue per i vari impatti ma, miracolosamente, si ritrovò di nuovo con gli arti integri al loro posto.


    Si mise in piedi con qualche difficoltà, ma non ripartì alla carica. Restò fermo, cercando di tenere a bada la frustrazione e di recuperare la lucidità di pensiero di cui avrebbe avuto bisogno per uscire da quella situazione.

    Ciò che ti ho mostrato prima non era nulla di che, mi stavo solo riscaldando.
    Il tuo passato ti ha dato cicatrici che probabilmente non guariranno mai, ma sei riuscito ad andare avanti in qualche modo.
    Le tue paure non risiedono in ciò che è stato.
    Le tue paure risiedono in ciò che sarà, non è così?


    Munisai non rispose, non fece nulla.

    La tua morte è imminente, ma se vuoi provare a fermarmi dovrai affrontarmi sul mio terreno.

    Sotto i piedi della figura ammantata spuntò una roccia che crebbe e salì, più e più in alto, fino a diventare una vera e propria rupe, difficile dire quanto alta, ma ben oltre il centinaio di metri.

    Raggiungimi qui, sulla vetta di tutte le cose.
    Lascia che il tuo destino ti sia rivelato.



    Il rosso non aveva molta scelta.
    Era intrappolato in una dimensione sulla quale sembrava non avere il minimo controllo. Era alla totale mercé di quella entità trascendente, ma sapeva che l'unica speranza era affrontarla e sconfiggerla.
    Ma come raggiungere quella sommità?
    Lo spettro non aveva dimenticato un dettaglio così importante.
    Dall'abisso emerse qualcos'altro, un'enorme scala a pioli lunga quanto la rupe, già in posizione verticale pronta ad essere usata. Ma non era una scala comune.
    Sia i due staggi che i numerosi gradini erano composti da parti anatomiche umane. Braccia e gambe senza pelle, ogni genere di organo interno, e poi teste di ogni misura e sesso che penzolavano qua e là, occhi che lo fissavano, il tutto tenuto insieme da capelli, tendini e intestini.
    Se la vista era raccapricciante, l'odore era nauseabondo.
    Ma che razza di mente malata poteva partorire una cosa del genere?
    Munisai indietreggiò coprendosi la bocca, pensando che avrebbe rimesso ancora una volta ma ciò non accadde. Era come se la scala lo attirasse a sé, non gli faceva così schifo come aveva immaginato. Doveva comunque raggiungere quella vetta, e quello era l'unico modo.

    Fece per avvicinarsi, quando sentì qualcosa tirargli i pantaloni.
    Si girò.
    Era il bambino di prima, esile e dai vestiti lisi e rattoppati, e degli occhialoni da lavoro sulla fronte. I capelli rosso acceso erano spettinati e gli occhi verde acido colmi di lacrime, mentre un braccio stringeva forte a sé un pupazzo di metallo, un giocattolo che si era costruito lui stesso usando delle vecchie ferraglie trovate in una discarica.
    Nel luogo dove era cresciuto i bambini non avevano balocchi.
    Ti prego, non andare... gemette.
    Munisai lo fissò come imbambolato.
    Diede per la prima volta segni di cedimento. Si mise le mani in faccia.
    Non ne poteva più. Basta. Basta.
    Guardò verso la rupe con odio.
    QUESTO E' UN ALTRO DEI TUOI TRUCCHI DEL CAZZO?
    TI FACCIO VEDERE IO! MI HAI SENTITO?!
    sbraitò.
    Fece per muoversi, ma il piccoletto si aggrappò di nuovo.
    No, ti prego! ripeté tra i singhiozzi.
    Non lo fare! Resta con me!
    Tirò su col naso.
    Non lasciarmi da solo.
    Munisai lo spintonò facendolo cadere col sedere a terra.
    Non mi seccare! E' l'unico modo.
    E senza degnarlo più di uno sguardo, lo lasciò lì a piangere mentre lui cominciava la sua scalata.


    A ogni piolo che calpestava sentiva il suono di ossa che si rompevano e tessuti che si laceravano. Non i suoi, quelli della scala stessa. E urla strazianti si levavano.
    Sembrava quasi che ogni gradino rappresentasse una vita spezzata. Inizialmente il rosso trovò tutto ciò alquanto inquietante, ma più si avvicinava al vertice e meno restava turbato.
    A metà percorso si scatenò una tempesta, con raffiche di vento che gli tagliavano la pelle e una pioggia di sangue a inzupparlo. La scala oscillava pericolosamente, ma lui arrivato a quel punto nemmeno ci faceva caso. Nulla riusciva più a distrarlo o a scuoterlo.
    Lui continuava a salire, e salire, e salire. Fino alla vetta, quando finalmente mise piede sulla roccia e dove trovò la creatura immacolata ad aspettarlo.

    Questa prese ad applaudire lentamente ma sonoramente, tirando fuori due braccia candide e mostruose da sotto al mantello.

    Eccellente. Dimmi, come ti senti adesso?

    Vuoto.

    Per Munisai fu come svegliarsi da una trance, d'improvviso riusciva di nuovo a percepire con chiarezza il mondo che lo circondava. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca nel guardare le proprie braccia, scoprendo con orrore che erano identiche a quelle dell'essere, cadaveriche e dalle unghie aguzze.
    Se le sue braccia erano così...allora anche il resto?

    HAHAHAHAHAHAHA! Mi sembri confuso.

    Che...che diavolo mi hai fatto? farfugliò il rosso.

    Io? Niente. Ciò che sei...
    No, ciò che siamo è frutto delle tue decisioni.


    Lo additò mentre da sotto al cappuccio si intravedeva per la prima volta qualcosa, un ghigno abominevole.

    Io sono il tuo futuro. Io sono il tuo destino.

    E così dicendo, si abbassò il cappuccio rivelando le sue fattezze.
    Capelli e cute bianche come il latte, una voragine al posto dell'occhio destro e delle zanne che conferivano un sorriso uscito direttamente da un incubo. L'unico occhio brillava di una luce sinistra, dietro alla quale si celava un'iride verde acido e una pupilla verticale.
    Era quasi irriconoscibile, ma quello era sicuramente Munisai.
    Qualche anno più vecchio, dal fisico scheletrico, ma era lui.

    Orrore misto a terrore si palesarono sul viso del rosso, il quale indietreggiò ma dietro di sé non aveva altro che un burrone ormai, anche la scala era sparita.
    Non aveva via di scampo.
    No! Non può essere...

    Sei stato poco lungimirante, vecchio mio.

    Quel momento se lo stava godendo tutto, come se lo avesse atteso per anni.

    A cosa pensavi conducesse la ricerca del Potere Assoluto? Mh?
    Se sapessi che cose che abbiamo fatto con queste mani per arrivare fino a qui.
    Quanti patti col diavolo.
    Quante persone trucidate. Tradite. Ingannate.


    Un'espressione estatica gli si dipinse sul volto mostruoso.

    Che c'è? Non è come te lo aspettavi?

    Non doveva andare così. scosse il capo il giovane, in totale negazione.
    Non è possibile, SONO SOLO STRONZATE!

    Tu credi?
    Guardati, sei un essere patetico. Un debole.
    La verità è che nessuno ti ha mai amato, nessuno ti ha mai considerato.
    Sei solo una nullità, un errore.


    Adesso avanzava, lento e minaccioso.

    Hai cercato di sopperire alla mancanza d'affetto accumulando potere e benessere, come se il buco che hai nel petto potesse essere riempito con qualcosa di così dozzinale.

    Basta, stai lontano. STA' LONTANO! urlò disperato il rosso, che si trovava in un angolo senza potersi muovere.
    L'altro lo ignorò.

    E tutto in nome della Vera Libertà, no?
    Quel concetto schifosamente puerile che hai sempre posto come tuo obiettivo ultimo, quello stato che credevi di poter raggiungere quando fossi diventato potente oltre ogni limite.
    Quale ironia.
    Più cercavi Potere per raggiungere la Libertà, e più ti ritrovavi a dover accettare vincoli, compromessi.
    A doverti legare a doppio filo a entità che sotto sotto disprezzavi.
    Fin quando un bel giorno ti sei svegliato in catene, e hai realizzato che il tuo bel percorso ti aveva condotto solo alla prigionia.


    Dalle profondità del mare oscuro emersero diverse catene lunghe decine di metri, che schizzarono a folle velocità verso il rosso, avvolgendolo dal collo in giù.
    Ogni tentativo di resistenza fu inutile.
    Lasciami andare! LIBERAMI, PEZZO DI MERDA!
    LIBERAMI!!
    LIBERAMI!!!
    il ragazzo si dimenava e gridava come un ossesso. Senza rendersene conto le lacrime bagnarono le sue guance, mentre la luce nell'unico occhio rimasto si spegneva.
    Quella era la cosa peggiore che potesse capitargli. Peggiore della morte.
    E quel maledetto lo sapeva bene.

    Liberami, ti supplico.

    Oh, abbiamo cambiato tono eh?
    Quanto sei ridicolo HAHAHAHAHAHAHAHAHA!
    Spero tu capisca qual è la tua posizione, adesso.
    Sai, avevo intenzione di ucciderti, ma penso di aver cambiato idea, non sarebbe abbastanza divertente.
    Da questo momento, prendo io il controllo.
    Questo corpo mi appartiene.
    Tu, invece, marcirai in catene nelle profondità più recondite del tuo stesso subconscio, inerme e in preda ai tuoi rimpianti. Per il resto dei tuoi miserabili giorni.


    No, ti prego! TI PREGO!

    Il mostro fece ciao con la manina prima che le catene trascinassero con violenza il loro prigioniero nell'oblio dell'oceano nero dal quale erano arrivate.




    Sprofondò sempre più, ma il ragazzo non avrebbe trovato sollievo nella morte, non stavolta. Provò infinite volte a liberarsi, invano.
    Le parole del suo spettro gli rimbombavano ancora in testa. Aveva ragione? Era tutto vero?
    In parte lo era, non riusciva a togliersi quel pensiero dalla testa.
    Era stato davvero così cieco da scegliere un percorso che conduceva ad un qualcosa di così aberrante?
    Pianse in silenzio.
    No, non poteva accettarlo. Non doveva andare così. Lui voleva solo essere in grado di contrastare chiunque cercasse di renderlo di nuovo schiavo. Per quello aveva cominciato a cercare il Potere, perché il mondo è dei forti e tutti gli altri vengono calpestati. E lui non voleva essere calpestato, schiacciato, come era successo in passato.
    No, mai più. Voleva essere libero, il Potere gli serviva solo per spazzare via chiunque tentasse di fargli di nuovo del male.
    Voleva proteggere se stesso. E voleva proteggere coloro che aveva a cuore, fornire a tutti loro una realtà sicura e serena dove poter esistere.
    Dove poter tentare di essere felici.

    Un momento.

    Fu come se qualcuno avesse alimentato una fiammella che stava per estinguersi.
    I suoi amici dell'orfanotrofio! I suoi fratelli e le sue sorelle.
    Loro gli avevano voluto bene, e lui ne aveva voluto a loro. Ancora gliene voleva. E molti di loro erano da qualche parte nel mondo.

    Voleva rivederli.

    L'essere immacolato, la proiezione delle sue paure, non era stato del tutto sincero con lui.
    Munisai aveva conosciuto l'affetto. Pertanto, la sua esistenza non poteva essere un errore. Non poteva essere priva di significato. Quel mostro voleva solo ingannarlo, portarlo alla disperazione, ma nessuno può conoscere il futuro.

    Il destino non esiste.

    La strada non era prefissata, ma tutta da tracciare, e Munisai non avrebbe dimenticato quel terrificante avvertimento ogni qual volta si fosse trovato davanti ad una scelta. Se avesse mantenuto i piedi per terra e avesse rammentato di non concentrarsi solo su se stesso e sulla sua personale ambizione, se avesse considerato anche chi gli stava intorno e le conseguenze del suo operato, non avrebbe sporcato il suo cammino. Non più di quanto fosse necessario, comunque.
    Il Potere non doveva essere il fine, ma il mezzo per concedere a se stesso e a coloro ai quali teneva la serenità che gli era mancata tutta la vita.
    La Libertà, seppur non assoluta, sarebbe stata, a quel punto, vivere con soddisfazione e orgoglio la propria vita senza dover soffrire per mano di qualcuno che tentava ignobilmente di distruggerla.

    Sì. Così stavano le cose.
    E così le cose sarebbero andate. Ne era certo.




    Munisai e quel groviglio di catene schizzarono verso l'alto emergendo dalle tenebre.
    Il ragazzo vide che la creatura bianca stava per ghermire il bambino, e sapeva anche il perché, finalmente ci era arrivato.
    Così come l'essere era la personificazione delle sue paure, così il piccolo se stesso era la personificazione di ciò che di buono e umano era rimasto in lui. O forse della sua innocenza, o della sua speranza, non ne era sicuro, ma quel che è certo è che non avrebbe permesso che gli succedesse niente.

    Le catene attorno al giovane cambiarono colore, passando dal nero al rosso e infine ad un bianco luminoso, diventando incandescenti. Poi esplosero in mille pezzi scagliati in ogni direzione, tranne dove si trovavano gli altri due.
    La figura del rosso si rivelò nuovamente, mostrando che era tornata alla normalità.
    Camminò verso il piccoletto, parandosi poi tra lui e il nemico. Intanto i frammenti roventi davano fuoco al mare e a tutto lo scenario.
    Il mostro si accigliò, confuso.

    Questo è...impossibile!

    Le catene si riassemblarono pezzo per pezzo accanto a Munisai, stavolta del colore del comune metallo.
    Forse la Vera Libertà davvero non esiste come dici, o forse sì.
    Tutti hanno dei legami, tutti hanno delle catene da sorreggere.
    Ma se questo è inevitabile, io forgerò le mie catene con le stesse mie mani, ne conoscerò ogni segreto, e non avrò problemi a liberarmi da esse quando diverranno un fardello troppo grande.

    Distese un braccio davanti a lui e quei serpenti d'acciaio si avvinghiarono e stritolarono la Paura.

    Sei uno stolto se pensi di potermi uccidere! IO SONO--

    Non poté finire la frase perché anche la testa fu avvolta, intrappolandolo come in un bozzolo impenetrabile.
    So esattamente cosa sei.
    E so di non poterti eliminare, perché sei una parte di me e dobbiamo coesistere.
    Per ora mi servi, ma quando non sarà più così ti annienterò senza lasciare di te nemmeno il ricordo.
    Non ti lascerò mai il controllo. Perché non ho più paura di te.

    E così dicendo, il sarcofago di metallo fu inghiottito dal mare nero.


    Tutto stava bruciando, nel mentre.
    Munisai tirò un respiro profondo, poi si voltò verso il piccolo Munisai, accovacciandosi.
    Ti chiedo scusa per prima, sono stato un vero idiota disse con tono sinceramente dispiaciuto. Poi gli sorrise tendendogli la mano.
    L'altro non disse nulla, gli corse solo incontro gettandogli le braccia al collo.
    Fu sollevato e preso in braccio, poi i due si allontanarono.
    E ora vediamo di uscire da questo postaccio.
    Stai tranquillo, non permetterò più a nessuno di farti del male.







  9. .

    L'ultimo Arrivato


    La Più Grande delle Minacce • Capitolo I

    Munisai ebbe appena il tempo di farfugliare un'imprecazione nel destarsi a causa della sirena, che la terra tremò facendo oscillare il letto e la stanza intera. Balzò in piedi uscendo sul balcone, cercando ci scoprire la causa del tumulto. La sua villetta, presa in affitto proprio quel dì, si trovava in periferia, dunque non godeva di una visuale ottimale del centro città, se non in lontananza. Ma il giovane riuscì ugualmente a capire che laggiù stava succedendo qualcosa di grave. Per le strade si stava già consumando un fuggi fuggi generale, dove la maggior parte degli abitanti, apparentemente civili, si allontanavano dal punto dell'ipotetico cataclisma, mentre alcuni, sicuramente dei ninja a giudicare dall'abbigliamento e dalle movenze, si fiondavano nella direzione opposta, probabilmente richiamati dall'allarme e dal casino generale. Sbuffando, tornò in camera da letto e mise qualcosa addosso, agguantò quel poco d'equipaggiamento su cui era riuscito a mettere le mani e si gettò in strada.
    Se non altro non rischierò di annoiarmi qui sorrise tra sé beffardo.

    Non sapeva bene dove andare, a dirla tutta. Ogni cosa era nuova per lui, e il fatto che il sole fosse ormai scomparso oltre l'orizzonte non lo aiutava certo ad orientarsi nel groviglio di strade, stradine e vicoli. Inizialmente fu sufficiente procedere in direzione opposta rispetto alla moltitudine di persone che sembrava nel bel mezzo di un'evacuazione in piena regola, ma più il ragazzo si faceva d'appresso e più le vie si facevano deserte, mettendolo in difficoltà. Il suo vagare alla cieca fu però prontamente interrotto da una seconda scossa e da un boato. Il giovane si fermò un attimo a centro strada, al riparo da possibili crolli e calcinacci vari.
    Era ormai più che evidente che non si trovasse di fronte ad un mero fenomeno sismico. Gli strani rimbombi che si potevano udire, il terrore del popolo e l'intervento degli shinobi lasciavano intendere che qualcosa di molto più pericoloso fosse all'opera. Ne ebbe la certezza quando, in lontananza, vide delle luci risplendere nel cielo. Quattro cilindri di luce, ad occhio e croce lunghi più di dieci metri. Ora sapeva senza ombra di dubbio qual era la giusta direzione, ma a quel punto la domanda sorgeva spontanea: era prudente avvicinarsi?
    I ninja erano stati convocati, ormai era chiaro che l'allarme a quello servisse. Ma lui non era un ninja del Suono. Non ufficialmente, non ancora. E a seconda dei casi, avrebbe potuto rimetterci le penne, lui che non aveva nessun addestramento formale e nessuna speranza contro quei mostri capaci di incanalare e brandire il chakra come la più devastante delle armi. Poteva trattarsi di un attentato terroristico o dell'attacco di una forza nemica. Sicuramente lo sembrava. Poteva realmente sperare di combinare qualcosa? E, possibilmente, portare a casa la pellaccia?
    Rifletté Munisai, con la freddezza e il pragmatismo che lo contraddistinguevano. Sicuramente non sarebbe stato da solo, ci sarebbero stati senza dubbio elementi di spicco della gerarchia militare di Oto. Non poteva essere altrimenti in un momento di crisi come quello. E lui stava per fare il suo debutto in quel mondo. Poteva mai farsi sfuggire l'occasione di osservarlo e testarne la consistenza così da vicino, in una situazione di reale pericolo? Fianco a fianco con i migliori guerrieri del Villaggio?
    Neanche per sogno. Non si sarebbe fatto scappare l'occasione di farsi conoscere e riconoscere da quelli che, in breve tempo ne era convinto, avrebbe potuto chiamare suoi pari. Inaugurare il suo servizio non con qualche insulsa missione di quarta categoria ma in una situazione seria come quella sembrava, beh...avrebbe dato tutto un altro prestigio alla sua incursione nel mondo ninja. Non poteva perdere l'opportunità di mettersi in gioco e mostrare le proprie doti. Non quando riteneva di poterla fare franca.
    Allungò il passo, deciso nel suo incedere e tenendo sempre i sensi all'erta. Arrivò infine nei pressi della piazza sulla quale affacciava un edificio dall'aria importante e antica, che si rivelò anche essere l'epicentro di tutta la vicenda. Le colonne di chakra erano sospese al di sopra di esso, minacciose. In lontananza si poteva scorgere un nutrito gruppetto di persone. D'un tratto, il terreno si deformò partorendo due enormi rettili, le bestie più grosse che Munisai avesse fottutamente visto. Ruggirono feroci, spruzzando scintille e lapilli incandescenti sull'intera piazza e sugli attoniti astanti. Il ragazzo era ancora distante ed evitò la malefica pioggia, ma non di molto.


    Osservò le creature con preoccupazione e reverenza, il suo viso come pietrificato in una espressione seria, corrucciata. Una goccia di sudore freddo gli scese dalla fronte. Era ancora in tempo per tornare indietro, nessuno aveva ancora notato il suo arrivo, o comunque avevano ben altro a cui pensare per prestargli attenzione.
    Strinse entrambi i pugni ed un ghigno di pura esaltazione gli si dipinse sul volto. Aveva fatto tutta quella strada per scappare con la coda fra le gambe alla prima mostruosità che gli si parava davanti? Quello era il mondo dei ninja, la normalità era un optional, e lui lo sapeva bene. Era lì apposta per imparare a dominare e a distruggere qualsiasi ostacolo avesse incontrato sul suo cammino. Diavolo, probabilmente sarebbe diventato un mostro lui stesso per riuscirci. E gli stava bene.
    Stava avvenendo tutto tremendamente alla svelta, non si aspettava di essere messo subito alla prova in quel modo. Ma non aveva importanza. La ritirata non era un'opzione a quel punto.
    Percorse dunque la piazza ostentando sicurezza. Chi avesse distolto per un attimo l'attenzione dalla figura incappucciata, chiara autrice di quell'attacco, per porlo sull'ultimo giunto avrebbe visto un ragazzo appena sopra i vent'anni, ben piazzato, dalla ribelle chioma rosso acceso e dagli occhi di un peculiare verde acido. Indossava abiti semplici, stivali e pantaloni scuri, comodi e una maglia a mezze maniche bianca. Null'altro, a parte il modesto equipaggiamento assicurato perlopiù alla vita e gli inseparabili occhiali da lavoro a fasciargli la fronte. Si dispose in mezzo al mucchio di gente, ben sicuro di non esporsi in prima linea.

    Arrivò giusto in tempo per ascoltare l'interessante racconto dello sconosciuto che celava deliberatamente la propria identità. Un racconto sugli albori del Suono, su Orochimaru e l'apparente tracollo di quest'ultimo, fino ad arrivare alla situazione odierna del Villaggio. Quasi tutto ciò che disse era di dominio pubblico, scritto nero su bianco nei libri di storia. Tranne che per alcuni passaggi chiave, come ad esempio il fatto che il Sannin non fosse mai realmente morto, ma bensì sostituito da un suo clone sotto le mentite spoglie del Nidaime. E che quello stesso Nidaime fosse morto ormai da tempo all'insaputa di tutti, ucciso in gran segreto da due Jonin di Oto.
    L'uomo incappucciato non fece mistero delle sue intenzioni. Voleva radere al suolo quel palazzo, simbolo del potere del Serpente, e cancellare così qualsiasi traccia o ricordo del suo operato. E voleva rendere i ninja del Suono partecipi di questa distruzione che avrebbe, a suo dire, portato ad un nuovo inizio, e per questo chiese a tutti non solo un parere su quanto avevano appena appreso, ma anche di fare una netta scelta di schieramento: sposare la sua causa o tentare di fermarlo.

    Alcuni pronunciarono la loro idea, altri esposero cosa rappresentasse il Villaggio per loro, qualcuno pose delle domande all'assalitore. Uno dei presenti addirittura rivendicò diritti su quel luogo e un presunto legame diretto con il suo antico proprietario.
    Munisai era rimasto in silenzio a braccia conserte tutto il tempo, ascoltando attentamente le parole di tutti, non potendo fare a meno di riscontrare la stranezza della situazione. Una figura minacciosa che evidentemente aveva la forza di portare a compimento i suoi propositi ma sembrava voler portare prima gli shinobi di Oto dalla sua parte. Shinobi che, di contro, si dimostravano o disinteressati o arrendevoli nei confronti di ciò che, di lì a poco, sarebbe potuto verificarsi. Di certo nessuno dei presenti, malgrado la superiorità numerica, pareva incline a voler fermare lo sconosciuto con la forza. Sembrava quasi fosse una loro vecchia conoscenza, ma questo forse si sarebbe scoperto più avanti.
    Fatto sta che anche il rosso trovò occasione di esprimersi, in quella arena dove a tutti veniva richiesto di esporsi.
    Non ritengo che questa sia una buona idea esordì, attirando su di sé gli sguardi di tutti. Pur mantenendo una posizione leggermente arretrata riusciva comunque a guardare e ad essere visto da tutti grazie alla sua statura considerevole.
    Oh, immagino che io debba presentarmicontinuò con tono tranquillo, rivolgendosi non tanto all'uomo del mistero quanto a tutti gli altri.
    Mi chiamo Munisai Kanashige, aspirante shinobi del Suono. Mi sono appena trasferito qui, ma mi auguro vorrete ugualmente ascoltare la mia opinione.

    Ebbene sì, dire che Munisai fosse nuovo era un eufemismo. Era letteralmente appena arrivato. Dopo aver superato i rigidi controlli alle mura, aveva passato ore in Amministrazione a rispondere ad interminabili domande, a compilare moduli e a sbrigare buona parte della burocrazia che, infine, gli aveva garantito la cittadinanza e residenza otese. Aveva poi fatto domanda di arruolamento nelle forze ninja, e ottenuto qualche articolo di equipaggiamento. Successivamente aveva cercato e trovato un'abitazione dove stabilirsi. Una giornata lunga, ma lontana dall'essere finita per il giovane.
    Cercare di costruire un futuro migliore per il Villaggio non implica, a mio dire, dover ripudiare il suo passato cancellandone ogni traccia, come se ce ne vergognassimo.
    Per molti Orochimaru era un mostro macchiatosi di indicibilii atrocità, ma in fondo era un semplice fautore della filosofia otese che vige tutt'oggi, seppur portata alle estreme conseguenze. L'ha detto lei stesso, no? "Oto è luogo in cui la forza può dare vita ai desideri".
    Egli era l'incarnazione di questo principio.
    Aveva forza da vendere, e un desiderio tra i più ambiziosi. E fino al suo ultimo respiro ha continuato a perseguirlo, con ogni fibra del suo essere, contro tutto e tutti.
    Con ogni mezzo a sua disposizione.
    E per questo, a dispetto di tutto, avrà sempre il mio rispetto.
    Sono fiero di intraprendere la mia carriera ninja in un Villaggio fondato da una figura del genere, piuttosto che da qualche ipocrita pallemosce.
    Questa è Oto, dopotutto.
    -
    Fece una pausa, valutando le sue prossime parole.

    Si rendeva conte che quanto aveva detto fosse estremamente impopolare, persino in quel luogo, ma decise che in quel momento una voce fuori dal coro fosse necessaria per cercare di rimettere le cose in prospettiva. E se quella voce coincideva con il proprio pensiero, beh, era del tutto casuale.
    Detto questo, se ciò che ci hai raccontato è vero riguardo al piano che il Nidaime stava per mettere in atto, andava fermato, su questo non ci piove.
    Non posso che schierarmi dalla parte dei due Jonin che hanno affrontato e sventato questa minaccia, e tolto di mezzo chi ci voleva tutti morti, portandone il fardello.
    Ma tentare di cancellare il passato è un errore, poiché ognuno può dimenticare dove è diretto se non ricorda da dove è venuto.

    Quel palazzo alle sue spalle
    lo indicò con un cenno del capo, è ormai un guscio vuoto.
    Privo del suo padrone non costituisce più alcuna minaccia, ma possiede quantomeno un valore storico inestimabile.
    Ovviamente va perlustrato e perquisito palmo a palmo. Di tutto ciò che la Vecchia Serpe ha lasciato al suo interno, salviamo ciò che può esserci utile e distruggiamo il resto, ma lasciamolo intatto.
    In memoria del passato, e da monito per il futuro. E che nessuno possa insinuare che gli Otesi non riescano a sopportare il ricordo delle loro radici arrivando a compiere azioni così eclatanti
    osservò i lucertoloni e le colonne di luce incombere sopra di loro.

    Munisai poteva essere anche l'ultimo arrivato, ma se pensavano che avesse puntato il dito sulla mappa e scelto un posto a caso dove stabilirsi si sbagliavano di grosso. Aveva fatto le sue indagini, le sue ricerche, approfondite ricerche, prima di fare quel passo. E per quanto vivere una realtà fosse cosa ben diversa, le sue parole erano sicuramente frutto di un pensiero informato e ponderato.
    Sperava solo di non aver fatto il passo più lungo della gamba.

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