Palazzo Yakushi

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  1. The Retribution
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    There is no Higher Place

    Le chiacchiere annoiano
    il tempo non è solo denaro
    è anche simbolo di arguzia.


    Prima ancora di mettermi ad analizzare tutta quella mole di discorsi assai troppo contorti per risultare veritieri alle mie sinapsi, mi venne spontaneo aggiungere qualcosa. - Siete cosciente del fatto che questa città zoppica a stento, che la gente muore di fame e che la criminalità dilaga.. in gran parte per colpa di pensieri del cazzo come questo, vero? - Mi portai una mano al mento come a riflettere, falsamente, su quella proposta e su quali fossero i pro ed i contro di accettare quello che mi veniva spacciato come aiuto disinteressato e filantropico. Certo, avrei avuto una casa, forse anche degli amici, ma a quale prezzo? Al prezzo della mia libertà, in ogni modo possibile, se mi fossi fatta mettere sotto da Ogen non avrei potuto recidere quel contratto tanto facilmente, non mi sarebbe stato permesso, ed io non avevo alcuna intenzione di firmare di nuovo la mia incarcerazione vita natural durante ad opera di quella vecchia. Ne di nessun altro. Era già stato doloroso doversi arruolare, ma quello era venuto per inevitabilità e lasciava comunque un ampio margine di manovra, non ch'è la libertà di sparire qualora le cose si fossero fatte troppo stupide anche per una disgraziata come me. Ma avere una famiglia con quei presupposti era come legarsi le mani e buttarsi in una vasca profonda mille miglia. Si, magari poteva darti una parvenza di aiuto, supportare i primi passi di una persona in un mondo del tutto nuovo, ma poteva anche essere, a lungo termine, una soluzione che permettesse ad un bruco di trasformarsi in una farfalla? Ogen era una disgraziata. Sola, isolata dal mondo, vecchia e stupida, rimasta aggrappata come una cariatide ad ideologie tanto vecchie quanto vecchia era la terra su cui poggiare il suo sterile corpo. L'unico motivo per cui era riuscita a sopravvivere tanto, con tutta probabilità, era stata la totale illegalità con cui si era espressa negli anni precedenti. Non che fosse colpa sua, Oto era quello che in gergo si chiamerebbe Ghetto, un luogo abietto dove solo chi è privo di scrupoli riesce ad emergere, ma non è l'unico modo per restare a galla. C'erano altre modalità per farlo ed io ne cercavo una che non mi bloccasse mani e piedi nel momento in cui, invece, avrei potuto spiccare il volo.

    - Se io entro a far parte di questa famiglia, voglio poterne uscire quando voglio. Perché se così non fosse, non sarebbe una famiglia ma un carcere a vita e non ho alcuna intenzione di lasciarmi di nuovo tarpare le Ali. Questi discorsi sull'illegittimità sono molto belli, ma all'anagrafe di Kusa risulterò comunque chiamarmi Yakushi, che vi piaccia o meno ma, soprattutto, che MI piaccia o meno. - Pausa. - Questo però non mi pone alcun obbligo nei confronti di questo clan, non me ne ha mai posto alcuno. Ed io mi muovo già in una realtà che comprende più persone.. semplicemente una vecchia di duecento anni dentro un castello isolato dal mondo non rientra tra le persone con cui voglio avere qualcosa a che fare. Non sarà adesso, non sarà tra un anno, ma alla fine sono sicura di spuntarla io la disputa su chi di noi due, un giorno, riuscirà a volare. Volete sapere il perché? Perché il bruco, quando diventa farfalla, è solo. - Distolsi un attimo lo sguardo dall'anziana. Non mi andava di mettermi a discutere di semantica con una che, a ben dire, poteva battermi sull'esperienza per qualsiasi cosa che non fosse il coraggio e la determinazione. - Apprezzo l'offerta ma devo declinare volentieri l'ingresso in questa famiglia. Io non vi conosco, non so nemmeno chi siete, sono arrivata da poco e ho intenzione di crescere con le mie gambe e mettere radici lontano dal marciume di Oto.. e quando sarò forte abbastanza tornerò qui e farò qualcosa per questa città, qualcosa che a lei non interessa fare. Io non sarò sola, avrò tante persone al mio fianco, un giorno, e lei non sarà tra queste. - Liquidai rapidamente la questione, i miei sogni erano ancora, appunto, sogni e non meritavano di essere sprecati con quella cariatide. C'erano orecchie ben più tranquille e cordiali a cui poterli riferire.

    - Detto questo sono stanca. Lei ha già abbastanza lacchè come Febh e quell'altro fuori dalla porta per perdere tempo con me ed io non ho alcuna intenzione di diventare come loro. - Alzai preventivamente la mano destra con il palmo volto ad indicare la donna, come quasi a fermare quello che stava per dire. - Le parole che sento sono vuote, non le ascolterò ulteriormente, non la veda come un'offesa, ma come il primo segno che, anche alla sua età, non si è mai bravi davvero a far nulla. - Lei mi aveva perso. E mi aveva perso perché, nell'egocentrismo del clan non c'era spazio per un'idealista indipendente con uno scopo più grande di quei quattro stronzi che prendevano sakè con la mafia o chicchessia. - Con permesso, adesso devo andare a conoscere il mio caposquadra alle mura. - Mi inchinai profondamente a Ogen preparandomi a fare dietro front. Indipendentemente dalle chiacchiere, dalle domande o dalle parole, mi voltai per tornare sui miei passi ignorando bellamente tutto il resto. Lei forse era immortale, io No.
     
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