Palazzo Yakushi

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  1. -Hidan
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    Viste di "Cortesia"

    III


    Entrati ad Oto in punta di piede, come solo chi aveva preso a codate un cancello di un Villaggio ninja poteva fare, ci ritrovammo ben presto in una mezza specie di carosello, divertente e sfarzoso, anche con la sola presenza di Sanjuro, che sfilava per le vie della città del Suono.
    Il nostro piccolo gruppetto di ninja era diventato, infatti, con tutte le varie aggregazioni, molto numeroso, fino a quando non fummo così tanti, e rumorosi, da far immobilizzare al nostro passaggio la normale - per quanto "normale" potesse essere la vita a Oto, tra uno stupro e un omicidio - vita del Villaggio; le finestre delle case si chiudevano al nostro passaggio, mentre i pochi coraggiosi curiosi si tenevano comunque a debita distanza.
    Uno strano alone di timore regnava sovrano per quelle vie, anche se riuscivo a comprendere il perché. D'altronde, alla testa dell'allegra comitiva c'era Sanjuro. Con in testa un gabbiano moribondo.
    E Sanjuro non faceva paura neanche ad un rospo, a meno che questo non avesse appetito. In quel caso cambiava tutto.

    La prima problematica si presentò quando, ad un incrocio, il povero Sanjuro, che non metteva piede ad Oto da molto tempo, forse per colpa del ghiaccio di Genosha e dei suoi effetti sul suo cervelletto, sbagliò strada.
    Itai, girandosi verso me e Meika, ci intimò di non farlo perdere.
    Probabilmente per il recupero del povero spadaccino bendato il misticismo era fondamentale.
    Ok, capo. Risposi, mostrando il pollice in su, dirigendomi verso Sanjuro che, baldanzoso e spensierato com'era, non si era accorto dell'impercettibile errore di calcolo.
    Mi sbrigai a raggiungerlo, allungando leggermente il passo. Quando raggiungi il mistico della palude, non volli disturbarlo non umani turbamenti come solo le voci potevano essere.
    A giudicare dalla sciamanica camminata, stava sicuramente mettendo in atto uno dei suoi rituali, e distrarlo avrebbe potuto rendere il tutto veramente pericoloso. Quindi, una volta affiancato, l'avrei preso con entrambe le mani per le due spalle e, come un uomo fa con un bambino, gli feci fare un giro di 180°, indirizzandolo verso la giusta direzione. Ora va meglio. Esclamai, rivolto a Meika, soddisfatto del risultato raggiunto.

    A quel punto, con il rituale ancora in atto, e con la giusta direzione presa, decisi di aiutare Sanjuro con il suo rituale e facendo uso di tutte le mie energie e capacità psico-fisiche, cercai di imitare la sua mistica camminatahqdefault. Provaci anche te! Non è così difficile come sembra!
    Questo sarebbe stato il risultato dell'azione del capo delle squadre speciali di Kiri. A meno di due o tre minuti di distanza, avremmo raggiunto il corpo principale della spedizione, baldanzosi e spirituali come solo Sanjuro sapeva far diventare.

    Missione compiuta. Dissi ad Itai, una volta raggiunto dinanzi alle mura del mastodontico palazzo del clan Yakushi, al cui ingresso faceva guardia un'enorme donnona clava munita, ma dalla voce estremamente delicata.
    Una volta passata la fase delle presentazioni, delle riviste scandalistiche di ninja, dei pesci gatto morti e degli orifizi di Sanjuro, ci apprestammo ad entrare nella villa.
    Dopo una brevissima camminata, venimmo fatti accomodare in un piccolo dojo caratteristico, ma quello che c'era al suo interno era ancor più caratteristico.
    La notizia del finto funerale di Itai aveva fatto già il giro del mondo a quanto pare.
    Cercai di trattenere lo sghignazzo.
    Cercai, appunto.
    Scoppiata la risata dovetti usare entrambe le mani per riportarmi al controllo. Guardai Itai che, dopo aver ripreso Yogan, probabilmente si sarebbe girato verso di me. Coff coff... Ehm, si... Pessimo... Pessimo gusto proprio... Cercai di riparare l'irreparabile.
    Non che un braccio mozzato fosse riparabile, almeno non facilmente.
    Il bizzarro amministratore di Oto infatti, un tipetto con dei simpatici occhialini tondi, alla domanda su dove fosse Keiji Kagome, rispose eloquentemente tirando fuori da una cassettiera di legno un bel braccio staccato dal corpo di chissà chi. O di Keiji.
    Ohhh... Che male che deve fare... Esclamai, toccandomi da solo il braccio. La fortuna di essere un Hozuki, pensai... Non doversi preoccupare di arti e teste mozzate.
    A quel punto, tra arti mozzati e kage infuriati, pensai che sarebbe stato meglio non parlare. Così, tanto per evitare guerre con la mia riconosciuta diplomazia e capacità diplomatiche.
    Non avevo comunque nulla da temere.
    Sanjuro era con noi.
     
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