Villa Mikawa

Residenza di Aloysius Diogenes

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. DioGeNe
        Like  
     
    .
    Avatar

    Group
    Fan
    Posts
    5,488
    Reputation
    +730
    Location
    Isernia (molise)

    Status
    Offline

    QUARTA PROVA: Fino ai confini di Oto



    SPOILER (click to view)
    Off topic - dopo aver dormito

    Ferite subite: ferita medio-leggera alla gamba destra, 3 lievi alla spalla sinistra, 3 lievi allo stomaco, 3 lievi alla schiena, 2 lievi al pettorale destro, 3 lievi al costato. (5.5/12)
    Chakra consumato: 89.25/98


    Quando il colpo di Yashimata si infranse contro le mie difese fu come se venissi sollevato da un grande peso. Ero mal ridotto, tumefatto dal continuo inferire del mio sadico sensei. Abbassai per un attimo la guardia essendo convinto che questa prova fosse ultimata ,ma subito dopo mi ricordai che la persona che avevo davanti non era un ninja qualsiasi ma un bastardo, per cui anche se forse non ce n’era bisogno rialzai subito le mie difese. Solo quando non avvertii più arrivare fendenti mi convinsi che affettivamente avevo superato la prova, non essendo morto. Mi tolsi quindi la benda che mi nascondeva il senso della vista. Zoppicando vistosamente , trascinai la carcassa del mio corpo in casa poco prima preceduto dallo stesso sensi. Appena entrati mi gettai sulla poltrona più vicina ,finalmente all’asciutto, per godere del riposo che da diverse ormai mi era stato negato. Eppure Yashimata ,che non aveva fatto nulla tutto il giorno tranne che impartirmi ordini, sembrava già pronto per la nuova sfida...quasi ignorando le mie condizioni mentali e fisiche. Sollevò con forza un pacco da terra e lo posò sul tavolo della cucina che inevitabilmente crollò sotto il peso dello stesso. Personalmente a malapena avvertii il rumore del legno che si sfibrava...adesso la mia mente contemplava solamente il riposo ed era giusto che pensassi più alle mie di rotture che a quelle di un misero tavolo di legno. Già aspettavo sconfortato le indicazioni della nuova prova che lo shinobi di kiri si rivolse a me mandandomi a dormire.
    Lo guardai con aria stralunata quasi non credendo in questo eccesso di bontà.

    “ Noo! Se ce la fate io vorrei continuare...”


    dissi con fare sarcastico. Godetti per pochi altri istanti della comodità della poltrona che mi sorreggeva e poi mi alzai per andare zoppicante fino al letto. Uscendo dalla stanza dove si trovava ancora il sensei in compagnia del solo tavolo rotto, con un filo di voce dissi: “Notte”.

    [...]



    La giornata si aprì squarciata da tuoni e fulmini i cui rumori venivano ovattati dal continuo tamburellare della pioggia. Eppure non furono i fenomeni a svegliarmi la mattina ma la rudezza di Yashimata. Quando riuscii ad aprire le palpebre quello non era più nella stanza e lo sentivo armeggiare al piano di sotto. Mi alzai, il corpo dolente, parzialmente rigenerato dal sonno ristoratore. Al piano di sotto stava fermo il sensei vicino al pacco che il giorno prima aveva distrutto il mio tavolo. Mi disse:

    CITAZIONE

    « Bene, quest'oggi alleneremo la tua velocità. Prendi i pesi che vi sono dentro a quel sacco, caduno pesarà all'incirca una tonnellata. Li dovrai mettere alle caviglie, onde evitare che ti siano d'intralcio per la maratona che ti appresterai a fare. Dovrai arrivare fino ai confini di Oto, quasi alla fine del continente ninja. Ci saranno vari ostacoli naturali, nulla d'impossibile per la tua forza. Hai un giorno di tempo per arrivare, se non ci riuscirai ti ucciderò. Arrivederci. »



    Al che io giustamente risposi:

    “ Buon giorno ,comunque.”


    Con fare tranquillo andai al frigorifero per fare una sacrosanta colazione, senza la quale ero certo di non riuscire a fare nemmeno due metri con quei cosi alle caviglie. Aprii il frigo con la speranza che al suo interno ci fosse contenuto qualcosa. Presi quattro uova , ne estrassi i rossi ,le mescolai con forza e buttai tutti giù di un colpo. Presi poi due banane: una la porsi a Yashimata e una la mangiai io. Non sapevo che il ninja aveva già fatto colazione e nel caso avesse rifiutato il mio dono, sicuramente questo non sarebbe andato perso.
    Solo allora, sgranchita la schiena, avrei preso e indossato il contenuto del pacco. Potei subito notare dell’eccessivo peso delle zavorre. Alle gambe certo non sarebbero stati cosa da poco.

    Compì un paio di saltelli e scatti sul posto veloci...la situazione era brutta. I miei movimenti risultavano gravi e poco fluidi. Così con una smorfia di insoddisfazione partii da quel loco, salutando Yashimata con un gesto di mano. Ci saremmo rincontrati a breve...

    La strada da compiere la conoscevo bene e sapevo quello che mi sarebbe aspettato di li a poco. Il territorio era insidioso e praticamente alternava tutte le tipologie di terreno possibili. Non sarebbe stato facile. La corsa, ancora lenta per riscaldarmi bene, era scoordinata e stancante. Consumavo tante energie. Inoltre la pioggia rendeva ancora più pesanti i passi e il terreno bagnato mi attraeva a se.

    Villa Mikawa era situata in una zona collinare, non proprio sulla cima dell’altura ma leggermente nascosta in una vallata. Il primo tratto, per mia fortuna, era si collinare ma abbastanza spoglio di insidie: solo la pendenza era mia rivale.
    Il mio fisico ben allenato mi permise di avanzare speditamente, anche se non senza difficoltà. Avevo quadruplicato il mio peso...questo sarebbe stato determinate anche per gambe forti come le mie. La mia velocità era dimezzata, se non più, rispetto al normale ma era costante. Fermarmi non sarebbe stato saggio poiché la ripresa, in salita, sarebbe risultata molto più difficoltosa. Il fiato reggeva bene e le gambe si stavano iniziando ad abituare alle zavorre. Ma la pioggia era sempre presente, cosa che non avrei potuto risolver per mio volere.
    Questa prima parte mi ricordò tanto i vecchi allenamenti. Forsennate corse per la salvezza o forzate corse per ardue salite con i pesi alle caviglie...già avevo vissuto questa esperienza. Lì ero riuscito a superare i miei limiti, c’è l’avrei fatta anche questa volta? A quei tempi però ero in compagnia. Utilizzavo i miei compagni come sprono per andare aventi, prendendoli come punto di riferimento…ora ero solo, potevo contare solo sulle mie forze...a no dimenticavo c’era anche la minaccia di morte dalla mia. Comunque andavo, dato che avevo dei tempi da rispettare;calcolai che a grandi linee l’andatura che stavo tenendo sarebbe riuscita a condurmi alla meta entro i tempi previsti...chissà perché poi il sensei mi voleva condurre in un così isolato, ma ben preciso posto; cosa c’era ad spettarmi?Adesso però dovevo tornare a concentrarmi,a dilazionare con saggezza le forza.

    Il sali e scendi delle colline di Oto fu un moto cotante in tutta questa prima parte del viaggio. Un paesaggio che sarebbe stato anche alquanto ameno, se il cattivo tempo non avesse reso lugubre l’atmosfera facendo sprofondare i miei passi nel terreno bagnato, che rispondeva con un “ ciaf, ciaf” ogni qual volta lo percuotevo con gli stessi. Dove naturalmente si sentiva il canto della natura adesso tutto era sovrastato dalla furia degli elementi che si stavano scatenando. Per di più faceva molto freddo, essendo i raggi del sole estranei a quella giornata. Eppure mi sentivo calmo...stavo trovando un’ armonia con quell’ambiente mentre il mio passo, il ritmo con cui cadeva, si fondeva con la cadenza della natura. Mi sentivo forte nello spirito, più che effettivamente nel corpo, ma siccome questo reggeva, per adesso , egregiamente, decisi di aumentare l’andature.


    La gamba destra incominciò a lamentarsi che io da poco avevo oltrepassato il limitare della foresta. Ad un moto che, quasi periodicamente, vedeva abbassarsi e alzarsi la linea del mio sguardo, adesso si imponeva , una traiettoria a zig zag irregolare, come irregolare era l’esatto crescere degli arbusti. Un difficoltà in più per il mio corpo che adesso faticava a trovare un’andatura stabile e lineare. Ciò ebbe ripercussioni anche sulla mia concentrazione. Infatti prima , essendo al strada monotona, ero riuscito ad abituarmi, ovvero ad assuefare il corpo ,ma adesso era tutta un’altra stria , e le energie che maggiormente si disperdevano erano chiaro sintomo del cambiamento. Se era possibile trovare un lato positivo, in questa mia condizione di sforzo fisico, era il fatto che ,almeno,il fattore pioggia era stato alquanto ridotto dalle fronde degli alberi che creavano come una cappa sopra la mia testa. Il passo era quindi più leggero sul terreno che dava maggior controspinta al mio incedere, ridandomi una sensazione di leggerezza che era alquanto fuori luogo, dato il peso che avevo legato alle caviglie. Ancora mi sovvenne alla mente di quando mi fu insegnato a combattere con dei pesi alle caviglie. Anche allora fu una faticaccia, ovviamente in proporzione. Rispetto ad allora adesso il mio corpo si era irrobustito notevolmente grazie alle abilità innate che avevo acquisito e grazie agli allenamenti che avevo svolto. Ciò nonostante Yashimata aveva visto bene nello scegliere la quantità di peso con la quale costringere il mio corpo, tanto che ogni passo non era portato a terra senza uno sforzo degno di tal nome. Anche le varie ferite al petto erano elementi di disturbo non indifferenti. Costantemente si affacciavano come ospiti indesiderati sulla soglia della mia coscienza e , non stanchi del supplizio che mi infliggevano, reticenti, continuavano a farmi visita. Ma io ero un ospite paziente, e gli accoglievo con stoicismo. Da quelle ferite sarebbe nata la mia nuova forza .Il dolore è buono. Se c’era una cosa che avevo imparato in questi mesi di duri allenanti era di apprezzare la compagnia del dolore. Esso ci insegna a rispettare i nostri limiti ed ad avere coscienza di essi. Se l’uomo non provasse dolore, la nostra razza si sarebbe estinta da secoli...

    Ed ecco che un nuovo chiarore si diffuse davanti ai miei occhi, che si erano assuefatti alle tenebre del bosco. Uno scenario calmo e a tratti maestoso , che mi riportava ai libri di narrativa che leggevo da piccolo. Era dinanzi a me il bacino di un lago, abbastanza esteso da protrarsi per chilometri lungo la direzione che mi era stata indicata di percorrere. Capì che quello non era un ostacolo accidentalmente post sul percorso...anzi quello era il percorso. Era quindi doveroso che io non lo oltrepassassi girandoci attorno, ma che affondassi le mie gambe in quelle acque, per testare la forza di opposizione. Col respiro pesante, mi immersi fino a tre quarti della gamba nell’acqua e incominciai a costeggiare il lago lungo il suo versante est. L’impatto dell’acqua gelida contro il mio corpo caldo mi accapponò la pelle per alcuni istanti. Ma io non mi fermai... non doveva spezzare il mio movimento in quanto riprenderlo sarebbe stato poi durissimo. Eppure che fatica procedere in quelle condizioni! Con forza imponevo il passo al mio corpo e più energie io spendevo nell’avanzare, più l’acqua , di contro, mi bloccava le membra. Le fibre toniche dei quadricipiti spingevano con forza, si tendevano con potenza per garantirmi una continuità. Il tempo si slargò a dismisura. Se infatti avevo percorso tutte le colline e la foresta con una mezza giornata di viaggio, approssimativamente cinque ore, altrettante ne servirono solo per riuscire a vedere la riva opposta del lago.

    Oramai la mia concezione di ciò che stavo facendo era totalmente cambiata .All’inizio, avevo preso queste prove come una sfida ala mia abilità, al mio orgoglio, e superbamente mi ero cimentato in ognuna di questa. Ma su questa gara di velocità ogni mia precedente idea era crollata per far spazio solo alla voglia di arrivare alla fine .Non c’era un ego né una direttiva a spingermi,e nemmeno una finalità più profonda dello stesso raggiungere la fine. Che fossi migliorato in seguito a questi massacri era certo,indiscusso, e Yashimata si stava dimostrando, per quanto in maniera macabramente particolare, un tipo che sapeva il fatto suo. Forse stavo capendo perché mio padre si era così tanto avvicinato a quella famiglia...era straordinario lavorare con persone del genere, che riuscivano ad inculcare il miglioramento in una maniera così particolare. Per un attimo mi colse il dubbio che anche mio padre fosse stato un allievo di questa famiglia.

    Comunque i miei pensieri furono interrotti da un’irregolarità nel passo. Immerso nei miei pensieri ero riuscito per un attimo a distrarmi; non mi ero accorto che finalmente tutta l’acqua era sparita da sotto il mio corpo , venendo quindi meno un oneroso impedimento. Ma non era il momento di crogiolarsi nel riposo. Mancavano ancora diversi chilometri al capolinea, e se conoscevo il mio sensei, adesso arrivava la parte più impegnativa. Notai infatti, quasi con malsano piacere, che il terreno ,forse per la pioggia che ancora batteva contro di esso e sferzava le chiome degli alberi, affondava a tratti in zone fangose, acquitrinose. Una palude quindi si distendeva , quasi a perdita d’occhio, di lì a pochi passi. In fondo, sfocata dalla lontananza, intravedevo un bagliore solitario, spettrale. In lontananza era il mio faro che così, quasi con calore, mi chiamava. Un leggero sorriso si aprì sul mio viso trasfigurato dallo sforzo, e dai colpi subiti nel giorno precedente. Con spirito rinnovato da nuova fiducia incomincia quello che pensavo essere l’ultimo ostacolo prima di, speravo, un più lungo e duraturo, riposo.

    La differenza con i vari terreni che fino ad adesso avevo affrontato si fece subito sentire. Similmente all’acqua , questo misto di fango e acquitrino si mostrava un nemico ostico da abbattere per un corpo che ,come il mio, ne aveva viste troppo in questi giorni. Il fango era come colla, come cemento sotto le suole delle scarpe, intorno alle ginocchia; e io non aveva quasi più forze. Se era possibile, la mia andatura subì un ulteriore rallentamento. Ciò mi preoccupò. Era già da diverse ore sera, che io avevo intrapreso questa ultima parte di viaggio. A dire il vero la cognizione del tempo era sparita insieme a quella serie di bisogni fisici che caratterizzano l’uomo. Adesso, sulla fame, sul freddo, si allungava con potenza solo l’ombra della stanchezza, che come imperatrice della mia mente dominava senza volere compagni.
    Era il mio ultimo sforzo, che dovevo compiere con coraggio .I muscoli si tendevano con disumana obbedienza, che parevano infiammarsi , ardere per l’impeto del movimento, mentre fendevano il limo. I pesi, che mi avevano accompagnato per tutto il viaggio, adesso erano solo un ricordo remoto nella mia mente, tanto che non mi venne nemmeno idea, per un istante, di levarli per facilitarmi il cammino. Del resto era una prova anche contro me stesso quella che stavo affrontando, una prova contro i miei imiti…e mentire se stessi è la cosa che più risulta inutile. Quindi ancora, per la quarta volta da quella mattina avanzavo. Il bagliore in lontananza adesso era diventata la luce giallognola che usciva dalle finestre di una casetta, distante non più di 500 meri. Era al capolinea. Con inerzia, il mio corpo conquistò quegli ultimi metri , dando fondo alle residue forze. Solo allora mi accorsi che la gamba , quella destra, ferita prima dell’inizio della prova, aveva costituirò solo un piccolissimo problema rispetto al percorso che avevo dovuto affrontare, tanto da essere solo un impedimento meccanico al quale mi ero assuefatto. Pochi metri mancavano alla porta e al riposo. Già avvertivo il tepore dell’interno e la morbidezza di una poltrona, anche se era solo immaginazione. Mentre ancora il mio corpo era al freddo , la mente già sapeva di aver conquistato un pò di pace. La mano, non più capace di dosare le forse, afferrò violentemente la nodosa maniglia e la spinse con irruenza. La porta si aprì cigolando ed io entrai. Luce.

     
    .
393 replies since 2/11/2007, 23:19   12289 views
  Share  
.