Villa Mikawa

Residenza di Aloysius Diogenes

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  1. Skylineeez
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    Le giornate difficili sono sempre lunghe. Indicare quando questa avesse avuto inizio per me sarebbe stato molto difficile. Ricordo di aver visto i miei genitori venirmi incontro, ma non saprei dire quante ore prima fosse successo. A quello era seguito l'essere legato, il viaggio verso Oto, poi l'attesa davanti alle mure, ed infine le vicende recenti. Sicuramente erano molte ore che non chiudevo occhio, che non mangiavo e che la mia mente viveva emozioni contrastanti. Le ultime in maniera imprevedibile.
    Il tutto però non sembrava voler avere fine. Anzi, sembrava che quella giornata avesse ancora troppe prove per le mie poche risorse rimanenti.
    Guardai tutto il sangue che avevo versato formare una strana bolla di sangue. Avevo creduto di aver fatto danni infiniti nei confronti di tutti quei benni lussuosi, ed invece sembrava essersi tutto sistemato, il sangue sembrava sparito da ogni dove, ed ora era totalmente concentrato in quella sfera. Sfera che sembrava essere sotto il controllo del gigante.
    Lo seguì. Anche in questo caso non avrei saputo stabilire che strada avessi fatto, ero troppo stanco per stare attento ai luoghi che stavo varcando. Seguivo quella figura davanti a me in maniera stoica, era quello che mi rimaneva da fare al momento. Attingendo le ultime forze nel portare i piedi l'uno davanti all'altro. Dopo qualche tempo per me misurabile solo in eternità, arrivai a sedermi su di una strana ed inquietante poltrona, attorniata da diversi strumenti di tortura. Li guardai per un attimo con grave sconforto. Non era la paura di essere torturato a preoccuparmi, era l'idea di essere torturato oggi, dopo tutti gli avvenimenti recenti a creare grande disagio. Il mio sguardo si soffermò su quei dannati strumenti per poco, realizzai in fretta che per oggi non era quello il mio destino. Se avessi dovuto morire oggi, sarei morto dopo aver varcato la porta. Mi trovavo in quella stanza per un altro motivo, che non tardò a rivelarsi.


    Rovina del villaggio...

    Di tutte le parole dette dal gigante davanti a me solo quelle mi rimasero impresse. Tutto il discorso sulle sofferenze, la fedeltà, l'essere una spia mi passò in un certo senso liscio come l'acqua. La mia intera esistenza per il momento era stata vana, priva di alcuna utilità. Anzi, in ogni dove mi ero recato avevo avuto problemi di sorta, un'esistenza torbida e costosa per l'intera società. Ma da oggi avevo la possibilità di ribaltare le cose. Non solo qualcuno mi stava dando fiducia, ma il compito a cui avrei contribuito era maestoso. Avrei potuto aiutare qualcuno a distruggere o perlomeno compromettere la salute di Suna. Vero, si trattava del mio villaggio originario, dove ero nato e vissuto. Ma pensando a quell'esistenza, che dopo le infinite coltellate a mia madre sembrava così distante non ricordavo momenti validi. Non c'era nulla di rilevante in quell'intero periodo, di tutti questi collegamenti che legano il mio nome al villaggio della sabbia non v'è niente che possa davvero contare qualcosa.
    Possono forse tutte le notti fredde passate a dormire sotto una panchina convincere un giovane a rimanere fedele ? Può l'odio degli abitanti, che al posto di porgere una mano o panino ad un bambino smarrito lo hanno sempre rincorso con il forcone in mano permettere a questo di crescere sano ?
    Come può un paese che lascia un suo concittadino essere torturato da un bastardo Kiriano pensare che questi cresca con spirito patriottico ?
    Non può.
    Ryoshi Okura era merda per il villaggio in questo momento. Valeva poco meno di un credito non saldato, nemmeno lo spreco di carta d'una missiva al Mizukage per chiederne notizie od il rientro immediato. Nulla.
    Suna faceva parte del villaggio della sabbia, e sabbia sarebbe dovuta tornare prima di poter in un certo senso risorgere, figlia di un destino diverso. Piu tetro, ma meno infame.

    Vidi il gigante pormi la mano. Era ben evidente anche ai miei occhi stanchi che non si trattava di una mera stretta di mano, ciò che stavo per firmare era un patto di sangue. Avrebbe segnato la mia intera esistenza. Avrei vissuto e dedicato la mia vita ad un obbiettivo che probabilmente non avrei mai nemmeno capito appieno. Chissà qual genere di torto avrei dovuto recare alle persone che conoscevo, ed al prossimo in generale.
    Allo stesso tempo era altrettanto chiaro come non solo non avessi scelta, ma come desiderassi finalmente vivere questa nuova vita. La crescita, come detto, era iniziata, e stava progredendo ben più veloce di quella dei pomodori.

    Seduto su quella sedia delle torture allungai il mio braccio, il movimento risultò lento ed impacciato, ma ciò che importava veramente era solo il risultato. Guadando ben dritto negli occhi la figura davanti a me toccai la mano dell'altro, stringendola e sigillando il patto. Il dolore non tardò, come previsto. Una sorta di catena di chakra si strinse attorno alla nostra presa, probabilmente era un mero rituale per suggellare il patto, che avrebbe avuto vigore eternamente.
    Strinsi i denti e chiusi gli occhi. Il dolore era forte, l'ennesima prova di quella giornata. Io però volevo resistere dignitosamente, non stringendomi alla sedia, non lasciando che le lacrime rigassero il viso, non emettendo alcun suono. Per gestire tutto questo servivano grandi motivazioni, ed ad una prima occhiata si poteva pensare ch'io non ne avessi. Effettivamente anche l'idea di abbandonarsi al dolore, e lasciare che la morte prendesse il sopravvento aveva il suo fascino. Ma l'avevo già scartata quando mi ero ritrovato con la morsa di mio padre stretta al collo, e l'avevo cacciata mandando al creatore mio padre stesso. Dopo tutto il sangue versato non potevo mollare adesso. Inoltre avevo finalmente una meta, l'idea di avere un'obbiettivo da compiere a dare linfa alla mia esistenza. Dovevo distruggere Suna, o perlomeno portarla alla distruzione. Quel villaggio bastardo avrebbe conosciuto una nuova era. Non sapevo come, non sapevo quando, ma sapevo o potevo sperare che sarebbe accaduto. E se fosse accaduto, avrei voluto essere fondamentale nella riuscita. Rimasi nella stessa posizione per non so quale unità di tempo, nuovamente non ero riuscito a tenerne conto, troppo occupato a non lasciar prevalere il dolore sulle mie forze.
    Non fu facile, ma anche questa volta riuscì a resistere, anche questa prova era stata superata.
    Come prima, non dissi niente. Terminato il dolore e superata la prova riaprì semplicemente gli occhi, guardando fisso il gigante. Avrei voluto emanare sicurezza e fiducia, ma date le precarie condizioni potevo emanare solamente molta stanchezza. Ciò che l'altra persona avrebbe capito, o perlomeno speravo che avrebbe inteso, e ch'io ero pronto. Per cosa, a me non interessava.
     
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392 replies since 2/11/2007, 23:19   12226 views
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