Villa Mikawa

Residenza di Aloysius Diogenes

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  1. ~Cube
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    Invito






    Mi trovavo in una situazione surreale. Non potevo definirla altrimenti.

    Eravamo in tre. Io, Kato Yotsuki, genin di Oto. Shinken Takatuski, Jonin di Oto e niente altro che Diogene Mikawa, Capoclan del Clan omonimo. Uno dei capisaldi assoluti del Villaggio del Suono.

    E ci trovavamo, noi tre, davanti alla villa del Mikawa. Rimasi in assoluto silenzio. Alle spalle di entrambi, distante alcuni passi. Avevo ricevuto un invito da parte di un pezzo grosso e il rifiuto non era lontanamente possibile e nemmeno a dire la verità lo cercavo. Sapevo, fin da quella mattina, che non avrei passato una giornata comune. Quel mostro, quegli eventi… non erano frutto del caso. Intuii fin da subito che avrei dovuto affrontare la minaccia. Espormi e farmi notare e per il momento quella mia scelta si era rivelata una buona intuizione.

    Allo stesso tempo realizzai che la necessità di trovarsi in un luogo diverso per discutere della difesa di Oto poteva benissimo suonare come un secondo fine. Una sorta di maschera, dietro alla quale si nascondevano ben altre intenzioni. Per un attimo strinsi i pugni. Fremevo dalla curiosità. La forza di quell’uomo mi incuriosiva, perché in vita mia avevo visto il peggio. Avevo visto cosa il Potere riusciva a fare, come deviava le persone. Come le distruggeva e la piegava alla malvagità… ma quel Mikawa. Sì, quel Jonin era diverso. Lui sembrava avere il pieno controllo di sé. Le sue spalle erano pesanti certo, ma possenti.

    Diavolo, non avrei perso certo quell’opportunità.

    ~.~



    Ricevemmo tutti e tre un’accoglienza che definirei insolita, innanzitutto dal modo di fare del maggiordomo. Ma nuovamente mi limitai a seguire le indicazioni e l’ospitalità offerta. Sarebbe stato decisamente poco sensato opporsi in qualunque modo a quanto offerto e così mi ritrovai da solo in un’ampia stanza da letto, di quella magione così estesa e importante. Lo stile era evidente: le pareti, l’arredo e l’aria che si respirava erano di quelle migliori… quelle decadenti, come lo era giustamente Oto. Mi avvicinai al letto, grande e ordinato, e sulle lenzuola trovai una sorta di regalo, se così potevamo chiamarlo.

    Mi avvicinai e presi in mano quei volumi, tomi se così potevamo definirli. A fatica mandai giù la saliva. Non li avevo mai sentiti, ma mi bastò sfogliarli per capire l’intensità di quel dono. E così l’associazione successiva divenne naturale. Quel Diogene Mikawa sapeva dei miei propositi. Sapeva che avrei presto tentanto di rivalermi sul mio Clan e quei libri non potevano che rappresentare un aiuto. Una mano, un supporto. Ora dovevo un favore al Mikawa, ma che avrei ripagato ben volentieri.

    Dopo essermi medicato e lavato giunse il momento dell’incontro, accompagnato da uno dei vari maggiordomi mi presentai all’interno di un ampio salone, dove al centro dello stesso osservai una scena assolutamente bizzarra.

    Una donna, un viso familiare, si trovava a mezz’aria. Era addormentata. Docile e leggera. Era Harumi. La studentessa che avevo messo alla prova poco tempo prima. Cosa ci faceva lì? Perché si trovava in quelle condizioni?

    Domande che sicuramente avrebbero presto trovato una risposta.

    Immerso in una situazione assolutamente surreale, dalla quale faticavo a capire il vero senso, seguii le indicazioni successive. Mi accodai a tavola e ascoltai tutte le parole successive del Capoclan Mikawa e quando realizzai che Harumi, per una serie di motivi, era diventata una forza portante del Villaggio mi resi conto che quel giorno ci avevo visto. Per la miseria. Avevo scrutato i suoi occhi e avevo visto la profondità che in essi si celava. Un baratro che, evidentemente, nascondeva una bestia feroce.

    Di nuovo realizzai che la mia presenza in quel posto doveva avere un altro significato. C’era qualcosa che mi sfuggiva o più semplicemente che doveva ancora essere svelato. E… francamente non vedevo l’ora.

    Harumi, in seguito all’azione di uno degli affiliati del Mikawa, ebbe modo di svegliarsi e prese a parlare descrivendo situazioni e fatti a cui, ovviamente, ero all’oscuro ma che allo stesso tempo non ne comprendevo il significato o portata. Di tutto quello potevo aggiungere ben poco se non qualcosa sul conto di Hebiko. La Serpe di Oto.

    Dopo aver osservato la neo-genin, e dopo aver compreso che ella stessa mi riconobbe lì in mezzo tra i vari Ninja, con un atto di coraggio trovai la forza per parlare: - Se mi è concessa la parola… - e attesi un secondo, per valutare o meno la possibilità -… non possiamo fidarci di Hebiko Dokujita. O meglio ai miei occhi e davanti al mio giudizio ha perso la mia fiducia come collega e come Ninja. In due occasioni si è dimostrata inaffidabile e pericolosa per l’intero gruppo. Nel primo caso eravamo in missione io e lei e la conseguenza delle sue spensierate azioni ha portato alla morte di un innocente. Nel secondo caso, contro le Asce, si è dimostrata irriverente, sconsiderata e priva del benché minimo senso della gerarchia militare, in particolare nei confronti del Jonin Takatuski. Se lei sa qualcosa non possiamo escludere che lo abbia trasmesso ad altre persone, di Oto o meno. Per il semplice motivo che non rispetta i superiori e non possiede un minimo senso di vera appartenenza. Francamente, dal mio punto di vista, il suo ruolo di Segretaria è da riconsiderarsi… - e mi fermai con quelle parole. Non sarei andato sicuramente oltre, anche perché non avrebbe avuto ulteriore senso. Il messaggio era stato mandato.

    Non sarebbe servito aggiungere altro.
     
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