Villa MikawaResidenza di Aloysius Diogenes

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    I Segreti del Mikawa


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    Quali che fossero i tormenti degli uomini, il mondo andava avanti lo stesso. Le stagioni passavano, alternandosi secondo ritmi ancestrali. L'inverno aveva ceduto il passo alla primavera, e la vita era sorta germogliata nuovamente dalla terra scura. La primavera si era tramutata in estate, con il frinire delle cicale ad accompagnare l'ondeggiare delle spighe mature. L'estate era sfumata nell'autunno, indistinto come le sue nebbie sorte che ricoprivano risaie e corsi d'acqua. Ed infine, l'autunno aveva nuovamente lasciato corso all'inverno, giunto prepotente insieme ai freddi venti del nord. Un anno era passato da quando Diogene Mikawa era stato nominato Kokage. Il pianeta intero aveva fatto un giro su se stesso da quando il Colosso del Suono se n'era andato, il giorno stesso della sua elezione. Eppure, qualcuno era rimasto immobile ad attendere il suo ritorno, sperando con ogni alba e ad ogni tramonto di vedere la sua sagoma imponente affacciarsi all'orizzonte, lungo il viale che conduce a Villa Mikawa.

    La vita continuava tranquilla in quel di Oto, giusto un filo più incasinata per alcuni dei suoi abitanti. Mancando il capoclan, era Eiatsu a farne le veci, distribuendo incarichi straordinari per il bene della Villa, anche se questo accadeva sempre più di rado. Per la maggior parte, ognuno attendeva ai propri compiti secondo un meccanismo ormai ben rodato. Harumi invece si divideva tra il suo nuovo lavoro da segretaria, dove cercava di sopperire con l'entusiasmo e con il duro lavoro all'inesperienza, e la custodia della spada di Diogene sulle rovine di quello che fu il Palazzo del Kokage, un tempo appartenuto al mitico fondatore del Suono, Orochimaru, e di recente distrutto dall'altrettanto straordinario, anche se per ragioni diverse, consigliere Febh Yakushi. Come un monito, o una promessa, Mumei svettava imperterrita dove il Mikawa l'aveva piantata prima di scomparire, e non passava giorno senza che la jinchuuriki vi si recasse a verificare che la sorveglianza da lei preposta non battesse la fiacca facesse il suo lavoro. Di tanto in tanto, ripuliva con cura la katana dalla lama frastagliata. Un gesto simile ad una preghiera, per un felice ritorno a casa del suo proprietario.

    Nel bene e nel male, i giorni passavano sempre uguali. O almeno, così pensava la ragazza. Aveva appena consegnato l'elegante tazza vittoriana vuota ad Anteras, apparso silenzioso come suo solito al suo fianco, ringraziandolo con un sorriso, e si era alzata quando Harumi abbassò lo sguardo. Davanti a lei che la fissava stava Yachiru. Di nuovo, la kunoichi sorrise, ma questa volta con un'inafferrabile mestizia. La piccola era stata la persona a soffrire più di tutti la scomparsa di Diogene, che per lei era una sorta di figura paterna. Harumi immaginava di poter capire i suoi sentimenti. Anche lei era stata abbandonata, da una madre morta per darla alla luce e da un padre che non aveva mai conosciuto. Era cresciuta isolandosi dagli altri, convinta che la vita non le avrebbe riservato null'altro che sofferenza. E poi, senza merito alcuno se non l'essere viva, aveva infine trovato il suo posto, lì a Villa Mikawa. Con una tenerezza spontanea, allungò la mano per accarezzare il capo della bambina.

    Vieni con me, voglio farti vedere una cosa.

    Sorpresa, rimase immobile, con le dita che sfioravano appena i morbidi capelli rosa. Yachiru si era rinchiusa in se stessa, parlando sempre meno anche con lei e Matsumoto, che giorno dopo giorno non riusciva più a nascondere la propria preoccupazione per la piccola. Harumi non sapeva che cosa fosse cambiato, ma in cuor suo era felice di sentire di nuovo la sua voce.

    Certo, andiamo pure.

    Avrebbe fatto tardi in ufficio, probabilmente, ma non le interessava. Tanto era abituata alle sfuriate della consigliera che assisteva, Hebiko, famosa per il pessimo carattere ben oltre i confini del Villaggio.

    Harumi porse la mano a Yachiru, che la strinse tenuemente. Il suo passo però era deciso, e la condusse fino all'ala occidentale dell'enorme Villa. Raramente la ragazza, che ormai soggiornava lì da molto tempo, vi si era recata, visto che per la maggior parte si trattava di stanze chiuse. Interi corridoi poi erano perennemente immersi nel buio, e neppure Eiatsu, che senza dubbio conosceva molti dei segreti della casa, aveva mai saziato la sua curiosità in merito, limitandosi ad osservarla con i suoi occhi freddi. Eppure, la bambina dai capelli rosa procedé senza timore o dubbio alcuno, fermandosi infine davanti ad una parete adornata da un'elaborata tappezzeria.

    Harumi rimase in silenzio, osservando con ammirazione l'arazzo. Finemente decorato, i colori avevano sofferto del passare del tempo, perdendo la loro originale vivacità. Ciò nonostante rimaneva un'opera sublime, tale da suscitare ammirazione nella giovane, mista però ad una sottile angoscia. I fili intrecciati a distanza di anni trasmettevano ancora la volontà del suo artefice di testimoniare una guerra perduta tra le pagine della storia, violenta e terribile.

    Lo vedo...manca anche a te. Per questo credo di potermi fidare.
    Cosa sai tu di Aloysius? Sai perchè è sempre lontano da casa?

    La voce minuta della bambina la fece riprendere dalla trance in cui era caduta. Distogliendo lo sguardo dalla tela dopo un ultimo lunghissimo secondo, Harumi si abbassò, in modo da poter parlare con Yachiru alla stessa altezza.

    Hai ragione, mi manca... Però ogni volta che succede qualcosa, mi accorgo che di lui, in realtà, non so niente.

    Il suo passato, i suoi sogni, i suoi ideali, ciò che gli piaceva e ciò che lo faceva arrabbiare. Diogene parlava pochissimo di sé e si confidava ancora meno. Quel poco che la jinchuuriki aveva imparato, l'aveva imparato standogli vicino ed osservandolo con ammirazione, o magari desiderio. Di essere accettata, di poter rimanere al suo fianco forse. Non se l'era mai chiesto.

    Però, se qualcosa ho capito, è che non fa mai nulla senza una buona ragione. Sono sicuro che anche questa volta se ne sia andato perché non poteva farne a meno...

    Parole per consolare la piccola Yachiru, o forse se stessa. Una sola cosa era certa: a tutti loro mancava Diogenes Aloysius Mikawa.

     
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