Villa MikawaResidenza di Aloysius Diogenes

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    I Segreti del Mikawa


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    Il piano congegnato da Harumi e Matatabi aveva funzionato. Khorne, il dio del sangue, era caduto nella loro trappola. Troppo fiducioso di sé, aveva sottovalutato tanto il demone quanto la sua fragile portatrice. A causa di quella leggerezza si ritrovava in quel momento schiacciato sotto la zampa fiammeggiante del bakeneko, all'interno del mondo interiore della ragazza. Apparentemente avevano loro la mano vincente per quel giro. Ma la partita non era ancora finita.

    Questo è scorretto! Tu, VOI! Mi avete teso una FOTTUTA TRAPPOLA!

    Alle stesso tempo, però, la kunoichi e il Nibi non avevano considerato che la divinità decaduta avesse un piano di riserva. Anche se l'avessero previsto, comunque, non era in loro potere far nulla per evitarlo, poiché l'entità aliena era in grado di agire anche nel mondo esterno tramite il corpo di Diogene, più vicino ad un burattino di cui il nemico tirava i fili che al terrificante capovillaggio del Suono e capoclan dei Mikawa. La figura di Harumi, al contrario, era ormai completamente sommersa nella prigione di sangue vermiglia che, lentamente quanto inesorabilmente, stava ponendo fine alla sua vita in modo orribile, soffocandola mentre era ancora cosciente.

    La volta avvolta dal buio sopra la cella del nekomata vibrò ancora, mentre pezzi che la costituivano crollavano al suolo sollevando esplosioni d'acqua, simile all'interno di una cattedrale colpita da un terremoto incessante, che la smantellava un poco alla volta in un crescendo inevitabile. Mancava poco al colpo di grazia, e tanto Matatabi quanto il Gatto ne erano consapevoli. Quel corpo stava morendo. All'improvviso un lampo di chakra vermiglio come il sangue attraversò il cielo, se tale termine si poteva usare per quel luogo senza tempo. Fu il Nibi il primo ad accorgersi che qualcosa non andava. Abbassò lo sguardo sull'essere indicibile, stringendo la morsa delle dita artigliate sul suo simulacro e assottigliando ulteriormente le pupille feline.

    Che cosa hai fatto, dannato?!

    Il messaggio mortifero, veicolato da un'illusione dalla potenza ineguagliabile, aveva raggiunto direttamente la mente della giovane kunoichi, instillandole un pensiero non suo, ma incredibilmente affascinante. Lo spirito della jinchuuriki però stava in quel momento vagando all'interno dell'anima del Colosso e se ne sarebbe resa conto solo alcuni istanti più tardi, giusto in tempo per il gran finale. Un'idea folle, a lei completamente aliena, ma forgiata in modo tanto realistico da farla sembrare sua. Uccidere Aloysius Diogenes Mikawa.

    Harumi ce l'aveva fatta, aveva soddisfatto le aspettative del Due Code portando a termine il compito che si era prefissata. Sapeva, o meglio voleva credere, che da qualche parte nel profondo la coscienza del capoclan fosse ancora viva, pronta a lottare per riprendere il controllo del suo corpo e della sua vita. Ed aveva ragione. Nonostante sentisse le forze venire meno, non si era persa d'animo e infine l'aveva trovato. Annaspando alla ricerca di aria, aveva versato il suo sangue come tributo per risvegliarlo ed ora lo fissava negli occhi con un tenero sorriso che le richiedeva tutte le sue residue forze mantenere.

    Harumi...sei riuscita a trovarmi.

    Lei avrebbe annuito piano, incapace di parlare. Aveva fatto la sua parte, ora stava all'uomo riprendersi ed affrontare la divinità caduta. Perché, anche avendone il potere, non spettava a lei salvarlo. Gli avrebbe dato una mano, ma solo lui poteva salvare se stesso. Fu a quel punto, mentre i due si fissavano, l'uno inchiodato alla croce, l'altra che la croce la portava dentro, che Harumi sarebbe caduta ai piedi della motta di sabbia dopo aver portato una mano alla fronte. Una fitta allucinante alla tempia la travolse, come un chiodo piantato direttamente nel cervello. Provata, al limite dell'umana resistenza, la giovane ritenne che fosse il modo in cui il fisico comunicasse alla sua psiche che fosse giunta la sua ora.

    Invece dopo poco quel dolore acuto iniziò a scemare, lasciandola stranamente lucida e in forze. Che il Mikawa avesse riguadagnato il controllo sulla pozza di sangue in cui era sprofondata, tirandola fuori? Non appena il nome dell'uomo le ebbe attraversato la mente, Harumi alzò gli occhi verso la figura inchiodata. Il kokage avrebbe realizzato subito che qualcosa, dentro di lei, era cambiato. L'espressione sul suo volto era tirata, non più stanca, ma felice, bensì spaventata ed aggressiva, come un animale messo all'angolo. Lo temeva, chiaramente, ma c'era dell'altro. Il suo sguardo, solitamente limpido e di un'innocenza quasi fastidiosa, era rovente, affamato. Bramava la sua morte. Doveva uccidere Diogene Mikawa.

    La kunoichi abbassò lo sguardo, confusa. Aveva fatto tutta quella strada fino a lì, soffrendo nel corpo e nella mente, per...ammazzarlo? Sì, sembrava che fosse proprio quello il motivo. Perché non lo aveva ancora fatto allora? L'obiettivo era più che a portata di mano, con il Mikawa imprigionato, debole e impotente, e lei dotata di un'energia ritrovata. Eppure, non riusciva a ricordare come era giunta a tale decisione. Lo odiava? No, più ci pensava e meno gli sembrava che c'entrasse qualcosa un risentimento personale. Nonostante ciò, la ragazza si rimise in piedi ed iniziò ad avanzare nuovamente verso la croce dalla quale era ruzzolata giù poc'anzi. In fin dei conti non era importante, doveva semplicemente fare ciò che era giusto, senza pensarci troppo.

    Lentamente, si arrampicò lungo la china, raggiungendo l'altezza del Colosso appeso. Sorrise, ma per l'ironia: conciato così non incuteva nessun timore, assomigliava piuttosto ad uno spaventapasseri stropicciato. Matatabi avrebbe riso nel vederlo così. Giusto, il demone codato! Magari era suo quel desiderio bruciante, che l'ammantava con un fascino irresistibile. La ragazza inclinò un poco il capo, incerta, e tamburello sulla mandibola con un dito. No, anzi, sarebbe andato su tutte le furie per la condizione in cui era ridotto. Si sarebbe sentito tradito dal suo rivale prediletto per essersi piegato a qualcun altro che non era lui. Diogene era il destinatario finale della sua vendetta, il nekomata avrebbe odiato a morte la giovane per avergliela sottratta, prendendo per lei la gloria.

    Quindi perché era lì? Come erano arrivati a quel punto? Sapeva cosa doveva fare, ma la infastidiva all'inverosimile non capire, o riuscire a ricordare, una cosa tanto banale. Era un ninja, di Oto per giunta, ma non era un'assassina a sangue freddo. Non uccideva la gente per divertimento, o perché le veniva semplicemente chiesto. Non provava sentimenti malevoli, oscuri, da ormai lungo tempo, da quando gli aveva relegati nelle profondità più recondite della sua anima al punto di dimenticarli, con una tale intensità da far emergere una personalità alternativa, nata dalla fusione tra la sua parte peggiore e il potere del Due Code. Eppure, era lì davanti alla sua vittima con la stessa tranquillità di un macellaio di fronte ad un agnello.

    Stava per diventare carnefice di un uomo che tutto si poteva definire tranne che buono, sul cui capo pendevano colpe incalcolabili, troppo numerose anche solo per ricordarle. Se c'era qualcuno, nel continente, a meritare la morte, quello era lui. La giovane alzò la mano, le dita unite a formare una lama, le unghie insolitamente affilate. La portò con una lentezza esasperante sopra la testa, sotto lo sguardo incredulo dello shinobi. Era quella la fine di Diogene, capoclan dei Mikawa, capovillaggio del Suono, il Colosso. Nel momento in cui l'uomo chiuse gli occhi, calò il colpo.

    La prima cosa che avrebbe percepito sarebbe stato il calore, tiepido, del sangue. Poi, spalancate le palpebre, l'avrebbe visto. Il prezioso fluido vitale lo ricopriva da capo a piedi, per poi colare lungo l'asta di legno fino a dissetare la sabbia nera su cui sorgeva la croce. Eppure, non sentiva alcun dolore. Dove l'aveva colpito la ragazza? Perché respirava ancora? La risposta alle sue domande sarebbe stata evidente, non appena avesse abbassato lo sguardo. Harumi giaceva riversa al suolo, il volto rivolto verso di lui, la mano affilata piantata nelle carni al di sotto del costato. Respirava appena, ma sorrideva, e questa volta era un sorriso sincero, come quando poco prima l'aveva risvegliato dal suo sonno.

    Pochi istanti prima. Il braccio era appena partito, diretto alla gola del sovrano caduto, quando Harumi aveva avuto un'illuminazione. Khorne, la divinità del sangue, era lui che stava combattendo fino a poc'anzi insieme a Matatabi e al Gatto. Era lui il vero nemico che doveva affrontare. L'avevano sfidato, puntando su un'azzardo sconsiderato per trarlo in trappola. E l'essere oscuro aveva rilanciato, ribaltando il tavolo. Non c'era più possibilità di vittoria, se non andando all-in. Mettendo l'unica cosa che le era rimasta di valore sul piatto. La sua stessa vita. In cambio di quella di Diogene Mikawa. Un cambio più che vantaggioso, a onor del vero.

    Il liquido vermiglio si spandeva intorno al corpo della giovane come l'olio da una bottiglia rotta. L'emorragia interna stava riempiendo anche i polmoni, e nonostante continuasse a tossire sangue per liberarli non le arrivava abbastanza ossigeno al cervello. Presto sarebbe svenuta. Era quasi contenta, non sentiva più niente se non il morbido abbraccio della sabbia rovente. Si sarebbe lasciata lentamente avvolgere da quell'oscurità, questa volta tanto rassicurante. Si chiese se qualcuno avrebbe pianto per lei. Il Mikawa no di certo, e neppure Eiatsu, anche se forse si sarebbe rattristato. Matatabi invece si sarebbe infuriato come non mai. Povero Matatabi, lasciato di nuovo solo. Il suo pensiero andò al demone codato, chiedendogli perdono per aver infranto anzitempo la loro promessa.

    Infine, quando ormai sentiva la vita abbandonare il suo corpo e la vista si faceva sfuocata, riuscì ad incrociare lo sguardo con l'uomo cui aveva salvato la vita, donando al suo posto la propria. Cercando di trattenere i conati, gli rivolse uno sguardo incredibilmente sereno. La sua ora era giunta, ma non c'era traccia di tristezza sul suo volto, ne di rabbia. L'unica cosa che l'uomo vi avrebbe scorto era una sconfinata fiducia nei suoi confronti. Gli stava affidando quel futuro che lei non avrebbe potuto vivere. Qualcosa di dimenticato, sottovalutato, eppure fondamentale. Era quello il vero dono che Harumi stava facendo a Diogene.

    N...non...potevo...lasciarla morire...le pa...re?
    Non...me...lo avrebbero mai...per...donato...


    [Nota]Potenza Rilascio 30 + 60 (6 Leggere di danno)

    6 Leggere Autoinflitte +20 Leggere da Genjustsu = danno di 26 Leggere alla Vitalità

    Non avendo subito 30 Leggere o più di danno dovrebbe essere ancora viva, sebbene morente perché superata la Vitalità totale.

     
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