Sulla via del ritorno

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    Notte.
    Sul cielo terso neanche una piccola luce, la perdente sovrastata durante il giorno risplende incontrastata, libera da una maschera di luce troppo forte.
    Sotto quella candida luce, dei diafani capelli sospinti da una leggera brezza, danzano.
    Sotto quelle lunghe gambe da assassino una casa, da tempo non vi trema nessuna luce, morta, da quando quei candidi capelli assistettero all’ultimo giro di chiave nessuno profanò più quella dimora, abbandonata come il suo padrone, morto quasi quanto la sua dimora.
    Mentre quel alito di vento trasportava la voce di quel giardino, ormai sopraffatto dalle più immonde erbacce, due occhi si chiudevano placidi, due sopracciglia si rilassavano, due orecchie ascoltavano i più bassi sussurri di quel mondo.
    In quelle quattro mura solo ammuffiti ricordi, mai più rispolverati, mai esistiti.
    Un tenue sospiro si aggiunse a quello del vento.
    Due gambe raccolte sostenevano un mento stanco e indurito da troppi viaggi come il resto della faccia, troppe esperienze in una sola vita, troppi colpi di scena in un opera così breve, al terminar della brezza il sipario si chiuse e lentamente gli occhi si schiusero, le bianche ciglia si allontanarono e due iridi dorate sorsero per svelare ai registi quella chiara e luminosa notte.
    In quella sagoma ammantata di neri abiti due labbra si inclinarono leggermente per rendere il pubblico partecipe di quella placida sensazione che avvolgeva e con una fresca spugna rimuoveva ogni singolo peccato, ogni singolo ricordo non voluto.
    Fino alla fine di quella stretta via tutto era sparito, solo quella sagoma riusciva ancora a sottrarsi dalla difesa di una mente troppo esperta nel rimarginare ferite inflitte da una tortura che finisce con la morte.
    Rimase seduto con la testa fra le mani che stavano posate sulle ginocchia raccolte, la brezza riprese il suo placido cammino e nuovamente il sipario si aprì lasciando le sensazioni libere di recitare.
     
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    Crystal si era seduta sul balconcino di camera sua. Osservava il cielo, immersa nei suoi pensieri, i pappagalli sonnecchiavano sulla sua spalla. Indossava una maglia di una taglia in più della sua, la usava per dormire, e dei pantaloncini corti, neri, e teneva i capelli sciolti. Si voltò, verso destra, osservando la strada: quella sera non passava nessuno da lì. Alzò lo sguardo, e scorse una strana figura sul tetto, a pochi isolati di distanza: curiosa, si arrampicò sull'albero accanto al balconcino, scese in giardino e si avvicinò al recinto. Da lì però, non vedeva nulla. Osservò la strada, vuota:

    *Voglio vedere chi c'è là sopra! Ma non posso uscire a quest'ora, conciata così! ... Darò un'occhiata veloce.*

    Andò nella serra e prese un cappottino, coprendosi con quello. Si incamminò verso la casa dove aveva visto quella strana figura ed alzò lo sguardo: gli sembrava familiare. Il tintinnio del campanello che portava probabilmente aveva attirato l'attenzione dell'uomo: se questo si fosse affacciato, lei si sarebbe limitata a salutarlo con un cenno della mano:

    -...Raizen?-
     
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    Ancora un po’ di tempo per star da solo con se stesso, per seguire una recita mai fatta, per seguire il più bello degli spettacoli, per vedere l’unica opera da guardare ad occhi chiusi, quei brevi istanti passarono veloci.
    Una voce chiamava, era il suo nome a venir pronunciato, però chi poteva chiamarlo li?
    Lentamente un occhio si schiuse, quasi sonnacchioso.

    Così mi chiaman... ah, ciao Crystal.

    Non aveva altro da aggiungere, ma mentre schiudeva l’altro occhio pareva che aprisse in se stesso la via della gentilezza.

    Come mai in giro a quest’ora?

    Distese le gambe e si portò sul cornicione per poi sedersi sul bordo e lasciare le gambe a penzoloni.
    In quel triste palco nessun spettatore, solo qualche sfuggevole selvaggio sguardo che proveniva dagli alberi vicini.
    Nuovamente la brezza calò e Raizen dopo aver ascoltato la prima risposta parlò nuovamente.

    Bel completino.

    Un complimento più finto di una coda di paglia, e si sentiva.
    Il cielo parve accompagnare i movimenti del suo turbato animo, così come il suo interno l’ambiente che lo circondava non era stabile, e quella notte parve scurirsi un po’.
     
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    Si mostrò alla ragazza, mentre lei lo osservava:

    -Dormi spesso sui tetti?-

    Il ragazzo si appoggiò sul cornicione, mentre le chiese il motivo della sua uscita notturna. Lei sbadigliò, in effetti era un po' stanca, ma la curiosità l'aveva fatta arrivare fin lì, non poteva tornare indietro:

    -Ti ho visto da casa mia e sono venuta a salutarti.-

    Sorrise, sistemandosi il cappotto: dopo il commento di Raizen, sbuffò, per poi rispondergli:

    -Ho messo le prime cose che ho trovato, tanto è notte, non vedrà nessuno.-

    Rimase ad osservarlo dal basso: era in una posizione piuttosto scomoda, perciò chiese ancora, gentilmente:

    -Non potresti scendere da quel tetto? Così posso parlarti guardandoti in faccia.-
     
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    Non ci dormo mai, ci passo solo le notti insonni.

    Posò la mano sul ginocchio per poi poggiare su di essa il viso, chiuse gli occhi e con una faccia saccente rispose.

    No.

    Sorrise e dopo qualche istante si calò giù dal cornicione per poi avviarsi a passi lenti su una panchina, a differenza del loro primo incontro non prese per mano Crystal, gli passò davanti quasi senza guardarla, con le mani in tasca, era lievemente gelido e si vedeva.
    Si sedette e placido prese parola.

    E perché nel bel mezzo della notte sei uscita in pigiama a salutarmi?

    Intrecciò le mani dietro la nuca e distese le gambe per poi incrociarle, riprese a guardare il cielo mentre attendeva la sua risposta, dalla semplice foschia apparsa precedentemente si formo qualche nuvola che si affacciava in quel cielo ormai sporco, in quel animo non più sereno.
     
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    Lo guardò scendere, non era sicura che lui fosse molto entusiasta della sua visita. Sospirò, sedendosi sulla panchina, rimanendo ad una certa distanza da Raizen: si sentiva "di troppo".

    -Ti ho visto tutto solo e sono passata a salutarti.-

    Sistemò di nuovo la giacca, mentre guardava verso il basso, non sapeva se chiederglielo o no. Alla fine, alzò lo sguardo, insicura, si voltò verso di lui e chiese:

    -Non solo. Volevo chiederti come mai quel giorno che ti ho visto alla spiaggia tu sei fuggito via.-

    Rimase lì, ad aspettare una risposta, mormorando:

    -Te ne sei andato così all'improvviso, non ti ho nemmeno salutato.-

    Tornò a guardare verso il basso: non credeva che Raizen le rispondesse, intuiva il perchè della sua fuga, ma non volle dire nulla. Gli sorrideva, di tanto in tanto, cercando di sembrare allegra come suo solito, anche se così non era.
     
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    Sentì il suo sospiro, se lo lasciò passare addosso.
    Mentre Crystal parlava la guardò, senza voltarsi, solamente le dorate iridi seguivano i movimenti della sua bocca.

    Mh, capisco.
    Mi avresti dovuto salutare tante altre volte.


    Seguì i suoi movimenti, si sentiva evidentemente a disagio, mentre Crystal parlava Raizen decise di scendere un gradino, in realtà ancora non era sceso da quel cornicione, quando la kunoichi si voltò verso di lui trovò gli occhi ambrati di Raizen a guardarla.
    Le sopraciglia lievemente inclinate incorniciavano due occhi quasi languidi, ma non durò troppo, quasi scuotendosi l’espressione tornò quella di sempre, quella della maschera che Raizen aveva deciso di indossare quella sera.

    Non saprei, sesto senso forse.

    Poi la vide abbassare lo sguardo, come se cercasse un pertugio nella terra per nascondere e liberare il suo disagio o tristezza nascosta agli occhi di tutti.

    Ma il sesto senso è solo una scusa, dimmelo tu perché sono andato via, so che lo sai.

    Quei sorrisi che ogni tanto gli venivano rivolti erano quasi più falsi dei suoi, anzi, questa volta non poteva vantarsi, quei sorrisi erano più finti dei suoi, mascheravano l’emozione opposta, strano animale l’uomo, è triste e cerca di apparire felice.
    Della luce che illuminava i capelli di Raizen pochi minuti prima non rimase nulla, solo una piccola lame che lentamente si ritraeva tra le nuvole, sopra di lui solo un mare di nuvole in tempesta, eppure ancora nulla veniva palesato, niente tradiva quel apparente tranquillità, le fredde luci dei lampioni e il volto da assassino celavano ciò che accadeva sopra e dentro, non era notte, quella, per le piccole luci.
     
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    Lei si voltò ad osservalo, senza il sorrisetto di prima, ma con un'espressione più seria, quasi pentita. Non voleva parlare, temeva potesse fuggire ancora, come aveva fatto alla spiaggia: aprì la bocca un momento, per rispondere, ma non uscì alcun suono, non sapeva come rispondere. Si voltò dall'altra parte, per un istante, sperava che tutto si risolvesse in un istante, ma ciò era impossibile. Lo osservò per un istante, giusto il tempo di dire:

    -Non fuggire di nuovo, per favore.-

    Sistemò nuovamente la giacca, il sorriso di prima era svanito nel nulla: nonostante Raizen se ne fosse già accorto, cercò comunque di nasconderlo, per poi dire:

    -So perchè te ne sei andato, ma non avresti dovuto. Ci sono rimasta male.-

    Non aggiunse nient'altro, era piuttosto giù di morale.
     
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    Alla prima risposta, quella sbagliata, seguì uno sguardo intenerito.

    Dovrei?

    Il labbro storto interpretò alla perfezione il dubbio che albergava dentro al candido ninja, questa volta non c’erano maschere, solo un po’ di sano dubbio e un po’ di stupore.

    Dimmelo perché sono andato via, io non lo so.

    E il cielo si aprì, piccole gocce iniziarono ad avventurarsi in un mondo già da loro percorso ma ormai dimenticato, piccole solitarie gocce che poco dopo ebbero compagnia, e fu un concerto, una sinfonia di infinite dita che suonava su un verde piano fatto di foglie, iniziò a piovere fitto.
    Raizen si alzò, come aveva fatto tempo fa alla spiaggia, solo che questa volta si sfilò lo spolverino e lo mise sulle spalle di Crystal.
    Rimase senza nulla, ma quella pioggia estiva non gli dava disturbo, solo piacere, ora era uno di quegli strumenti che quelle eteree dita suonavano, un tutt’uno con quella sinfonia, avvolse Crystal nel suo mantello, era abbastanza grande da coprirla quasi del tutto.
    Le gocce erano quasi calde, piacevoli sulla canottiera di rete che Raizen aveva indosso si sedette nuovamente sulla panchina con i capelli ormai fradici, l’unica cosa che si salvava erano i pantaloni e gli stivali, quelli erano impermeabili, sorrise amabilmente a quel cielo mentre teneva gli occhi chiusi.
    Tese poi una mano verso Crystal, lentamente, con indice e medio gli riavviò qualche ciuffo che le prime gocce di pioggia avevano fatto ricadere sulla fronte, voleva guardargli gli occhi.

    Avanti, non preoccuparti della pioggia, parla.

    Inspirò a lungo quasi quella melodia lo rincuorasse.
    Stava di nuovo bene, quasi quella tiepida pioggia lavasse il suo animo.
     
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    Qualche goccia iniziò a caderle addosso, stava per piovere: Raizen si avvicinò alla ragazza, poggiandole il suo mantello sulle spalle, per proteggerla dalla pioggia. Strinse a sè il mantello, che la copriva interamente, coprendosi per bene, mentre osservava il ragazzo, che sembrava godersi la pioggia. I pappagalli rimasero sotto al mantello, non amavano particolarmente la pioggia, nè l'acqua in generale. Crystal non faceva troppo caso alla pioggia, dato che al ragazzo sembrava piacere, non rifiutò il mantello, lei non amava restare sotto l'acqua.
    Raizen si avvicinò, spostandole leggermente i capelli, sorridendole: lei ricambiò, dicendo:

    -Perchè rovinare questo momento?-

    Alzò leggermente il viso, guardandolo in faccia:

    -Inoltre credo che tu lo sappia.-
     
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    Sentiva ogni singola goccia che bagnava il suo corpo, ormai i capelli erano fradici, sarebbe stata un impresa asciugarli, eppure sentire l’acqua rinfrescarli lo faceva sentire bene, gli pareva di essere una pianta che attingeva da quel acqua la sua forza vitale, ancora sorrideva.

    È un momento da rovinare?

    Si voltò verso di lei e schiuse gli occhi mostrando sincera curiosità mista a tenero stupore che si sostituì a lieve timore.

    Se è da rovinare vuol dire che qualcosa può rovinarlo.
    Sbaglio?


    Ascoltò la nuova risposta un po’ deluso.

    Non scherzo, non voglio spingerti a dire qualcosa che non vuoi dire, semplicemente non so la risposta, qualcosa dentro me mi ha detto di andar via, però non mi ha detto il perché, anche se senza motivazioni era forte, dimmi, cosa voleva dirmi?

    Affondò la testa nelle mani, tentando di affogare l’ultimo soffio di tristezza appena spirato, dimenticando che i sogni più belli che faceva erano quelli in cui perdeva la vita, che strano e triste uomo era Raizen, e nonostante si vedesse per ciò che era continuava a stupirsi della sua solitudine.
    La pioggia ancora non cessava, ma un lattiginoso raggio di luce lunare riuscì ad oltrepassare le nuvole.
    Quel piccolo candido volatile illuminato dalla luna, per quanto si sforzasse, non aveva abbastanza piume per levarsi alto nella valle dei sogni.
     
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    La ragazza lo osservò, per qualche strana ragione non riusciva a sorridergli, sembrava che tutto stesse crollando, temeva che una parola di troppo potesse rovinare tutto. Sospirò, guarndandolo negli occhi:

    -Prima voglio sapere una cosa.-

    Si sistemò il mantello di Raizen, coprendosi per bene, anche se qualche goccia sfuggente le bagnava i capelli, facendo cadere la frangia sugli occhi. I pappagalli fischiettavano ogni volta che venivano colpiti da una goccia, infastiditi; la ragazza prese fiato, non era molto convinta di ciò che stava per dire:

    -Scusa se te lo chiedo... Ma tu cosa vedi in me?-

    Cercava di capire cosa avesse spinto il ragazzo a fuggire, probabilmente aveva visto come Jin si era attaccato a lei, ma non aveva il coraggio di parlargliene, temeva di farlo fuggire ancora.
     
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    Chiuse gli occhi e sorrise come non faceva da tanto, da tanto non lasciava intravedere quella sottile linea bianca tra le labbra.
    Un nuovo respiro, questa volta per portare un po’ di luce dentro se stesso, per aiutarsi a cercare la risposta, ciò che venne illuminato era un mondo incenerito, monche mani scheletriche che si tendevano in un vuoto e grigio cielo, solcato da solitari fantasmi di nuvole, mosse qualche passo in quel arido terreno, fine e secco come la cenere, ma ben più povero di vita, ogni passo un nuovo fantasma.
    Tese la sua mano per stringerne un’altra, le si ruppe tra le dita, morente e fragile.
    Si vedeva, lui era quello: cenere.
    Lasciò la piccola pianta seguito da una scia di sottile polvere, e da quel ramo spezzato un piccolo germoglio, piccolo e morto, non riusciva, per quanto intraprendente, a fare di se un forte ramo.
    Un altro sospiro, umido si schiuse quel cielo e prese a piovere, anche li pioveva, possibile che quella notte il cielo piangesse per lui?.
    Si rannicchiò, stringendo le sue stesse ginocchia, le strinse sempre di più, ancora più forte, tornò bambino, tornò neonato, tornò feto, ridivenne bambino, ridivenne neonato, ridivenne Raizen; chi l’aveva accompagnato durante la sua vita? Chi l’aveva cresciuto? Il mondo, se stesso, le sue esperienze, le dure bastonate ai reni che solo la vita sapeva infliggere, colpevole di un peccato che mai avrebbe voluto commettere, eppur colpevole.
    Lui era quel mondo, ma chi l’aveva ridotto così? Se nessuno mai gli aveva camminato affianco colpevole di quel arido e triste mondo era solo lui.
    Un altro sospiro e la triste figura si alzò imponente, corse, e ad ogni passo quel arida terra diede vita ad un piccolo ciuffo d’erba, sfiorò i tristi volti silvani e curò le loro piaghe di tristezza dando vita ai loro occhi con nuovi riflessi di tenere foglie.

    Cosa vedo in te?
    Vedo...


    Schiuse gli occhi e si morse lievemente il labbro inferiore.
    Alzò l’indice e il medio per scansare nuovamente il ciuffo di capelli che stava nel volto di Crystal per poi farli scorrere delicati nel volto della ragazza.

    Vedo...la pennellata di un ottimo artista.


    E ripassò il contorno del viso della konoichi.

    Vedo...la scintilla della vita

    E le sfiorò gli occhi

    Vedo...la delicatezza di verdi colline

    E le sfiorò il naso

    Vedo...il vento che mi accarezza durante l’estate

    E gli scostò i capelli

    Vedo....un pezzetto di infinito.
    Vedo...te.


    Ritrasse la mano, quasi timida, ancora nessun sole, ancora pioggia, ancora un sorriso.
     
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    La ragazza arrossì mentre Raizen le parlava, sentire quelle parole la facevano star bene, ma allo stesso tempo le provocavano una stretta al cuore: non poteva ignorare Jin. Era confusa, mille pensieri le impedivano di concentrarsi. Cioò che vide il ragazzo era Crystal che lo osservava, con un'espressione quasi preoccupata, mentre stringeva a sè il mantello, come se potesse consolarla in qualche modo.

    -...Sei gentile...-

    Non seppe dire altro, le parole si soffocavano in gola, non riusciva ad esprimersi. Poggiò i piedi sulla panchina, rannicchiandosi su sè stessa, come se volesse nascondersi: infatti, cercava di nascondere il volto, per paura che Raizen potesse vederla triste, com'era in quell'istante. Sospirava, chiudendo gli occhi, sperando che quei pensieri confusi sparissero in un istante, e con essi sparisse pure la pioggia, ma quando aprì gli occhi non cambiò nulla. Stranamente, non voleva che Raizen se ne andasse, nonostante fosse lui che la mandava in confusione. Non voleva farlo fuggire ancora, sapeva che se gli avesse di lei e Jin, il ragazzo sarebbe scappato, probabilmente facendola star male, anche se non fisicamente.
     
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    Nessuna risposta giunse, o quantomeno non quella aspettata.
    Si mise in piedi, affilò lo sguardo, era come se la terra sotto di lui vibrasse e il piccolo quadrato che lo reggeva si staccasse portandolo in alto, più in alto... dove stavano gli dei... a giudicare.
    La guardò dall'alto in basso.

    Tocca a te parlare.

    Nessun sole, gocce violente.
     
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