Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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  1. Alastor
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    _The Doors_
    EXTRA ~ CAPITOLO VI


    G a m b l e r s




    Sapevo che non sarebbe stato facile. Ne ero ben conscio, non ero uno sprovveduto. Non mi ero mai azzardato a sperare che me la sarei cavata con una strigliata e uno schiaffo sulle mani, ero consapevole che le colpe di cui mi ero macchiato erano concrete, avevano un certo peso e che, di conseguenza, sarebbero state punite adeguatamente. Non mi aspettavo sconti o trattamenti di favore, né li pretendevo.
    Facendo ritorno alla Foglia e consegnandomi spontaneamente all' autorità avevo implicitamente accettato di ricevere il castigo che mi avrebbe inflitto chi di competenza, qualunque esso fosse, nutrendo però la viva speranza che, a dispetto di tutto, i reati a me ascritti non venissero valutati con tanta severità da esigere la mia vita per scontarli.
    Eppure, avrei affrontato qualsiasi fato. L'unica cosa che osavo chiedere era di essere ascoltato, di essere trattato dignitosamente, ma soprattutto di essere giudicato con criterio e imparzialità. Perché aspettarsi qualcosa di diverso, in fondo? Konoha non era un luogo perfetto, non esisteva qualcosa del genere al mondo, ma tra tutti i villaggi ninja maggiori era forse quello che godeva della miglior reputazione, probabilmente grazie al connubio tra professionalità, serietà e contemporaneamente umanità che caratterizzava buona parte degli shinobi che la popolavano. Gente laboriosa, irreprensibile e guidata da un senso della giustizia a volte persino molesto. Luoghi comuni, per lo più, non dissimili da quelli che inducono ad associare una certa località a una pietanza caratteristica o una inflessione linguistica peculiare, ma una base di verità c'era sicuramente.
    Questa, almeno, era la situazione tre anni prima, quando lasciai il villaggio, ma più passavano i minuti e più mi rendevo conto che molte cose erano cambiate. E non mi riferisco solo agli edifici che avevo avuto il dispiacere di ritrovare orrendamente sfigurati e devastati sulla strada verso l'Amministrazione, ma anche ad alcuni compaesani i quali, anche se presi in modestissimo campione, avevano manifestato modi di agire e di ragionare a dir poco discutibili, e non potevo fare a meno di interrogarmi sull'opportunità che simili individui ricoprissero ruoli di tale delicatezza e importanza. Il guardiano Takumi era stato solo un misero antipasto rispetto a ciò che mi aspettava in quella stanza.

    Le parole che proferii non parvero abbastanza efficaci e non riuscirono a distogliere l'attenzione degli Amministratori dall'intervento di Shizuka, ma almeno non peggiorarono la situazione e forse riuscirono addirittura a dissipare, anche se probabilmente solo in via momentanea, la tensione e le espressioni iraconde che si erano dipinte sui loro volti in reazione alle audaci parole della ragazza.
    Quest'ultima, dal canto suo, non aveva avuto alcuna reazione. Dal momento della sua imprudente esternazione, continuava a esibire uno sguardo fiero e indomito, fisso sulla figura che per prima si era palesata ai nostri occhi quando avevamo messo piede nella sala principale. E fu proprio questi, l'Inuzuka, a curvare le labbra in un ghigno soddisfatto quando mi concesse la replica.
    «Ben detto... Non solo ci facciamo belli costituendoci ad un'orario indegno, ma anzi, ci portiamo dietro anche una ragazzina presuntuosa per farle sparare in aria minacce inutili facendo la buona azione di rimettersi al nostro giudizio... Ben giocata TRADITORE, ma non ti basterà per uscirne tranquillo, stanne certo!»

    Non mi scomposi minimamente. Restai fermo a osservarlo con sguardo neutro, come se stessi soppesando le sue parole. In realtà c'era poco da soppesare.
    Costui, nella sua mente, aveva già emesso la sentenza che mi riguardava. Colpevole di Tradimento.
    Gli era bastato squadrarmi dalla testa ai piedi, tutto sommato. Aspetto trasandato, indumenti lisi, piedi scalzi. Manette ai polsi. Presentatogli come persona che aveva mentito al villaggio sulla propria identità. Questo faceva di me un traditore, secondo lui.
    Era così semplice decidere del fato di un uomo? Decretarne la vita o la morte? Non riuscivo a capacitarmi di come si potesse essere così superficiali, così approssimativi. Così ottusi. Ero pur sempre un abitante di Konoha, e per giunta mi ero consegnato pacificamente alle sentinelle della Foglia.
    Non ero stato catturato. Anzi da quanto avevo capito nemmeno si immaginavano che io esistessi ancora sulla faccia della terra. Io ero lì, a un passo dalla rovina, in virtù di una mia libera scelta. Ma tutto questo sembrava non contare nulla.
    Stupidamente, ingenuamente, a quel punto mi ritrovai a pensare, avevo riposto fiducia in qualcosa con la quale non avevo direttamente familiarità, e specialmente non in tempi recenti, vista la mia assenza: la giustizia di Konoha.
    Nessuna di quelle tre persone che ricoprivano la posizione di maggior responsabilità e potere, data l'ormai perpetua latitanza dell'Hokage, si era anche solo degnata di chiedermi chi fossi, dove fossi stato o cosa avessi fatto. Da quando ero giunto al loro cospetto a malapena mi avevano rivolto la parola, a stento mi avevano concesso un briciolo di attenzione. Parevano, o almeno questo era il caso di Fumio, più avviliti per il fatto di aver dovuto rimandare la cena o comunque di essere stati importunati a quell'ora della sera, che tra l'altro non era neanche particolarmente tarda. E quand'anche fossi giunto a loro a notte fonda, cosa avrei preteso da loro se non che svolgessero il loro lavoro, un lavoro difficile e che non prevedeva orari rigidamente stabiliti?
    Cominciavo a dubitare che costoro possedessero i giusti requisiti e soprattutto la volontà di assolvere ai propri doveri degnamente. Prendere atto di tutto ciò mi fece intuire che il mio destino era realmente appeso a un filo, poiché più che al buon senso dei miei giudici potevo solo appellarmi alla buona sorte, una prospettiva a dir poco terrificante. Tuttavia non persi la mia compostezza, sicuramente c'erano delle carte che potevo ancora giocare, c'era una via d'uscita. Ci doveva essere. Per forza.

    Intanto c'era qualcosa che volevo mettere in chiaro. Mi rivolsi quindi all'uomo dalle guance segnate di rosso col tono educato di chi stava mettendo qualcuno al corrente di un semplice fatto, nei miei occhi neanche l'ombra del timore reverenziale.
    «Vorrei precisare che Shizuka Kobayashi-sama è stata convocata per volontà di Takumi-san, il guardiano che per primo mi ha ricevuto alle Mura, affinché confermasse la mia identità.
    Atasuke-san l'ha condotta qui insieme a me per la medesima ragione, ma se ritenete futile la sua presenza suppongo che possa essere congedata, assieme a Ritsuko-san.
    In fin dei conti, questa vicenda non le vede coinvolte personalmente.
    »

    Un tentativo inutile, lo sapevo bene, ma provare non mi costava niente. In quel momento ciò che mi premeva di più era assicurarmi che Shizuka non finisse nei guai, quindi sarebbe stato davvero l'ideale se la giovane, in compagnia della fedele ancella, avesse potuto mettere quanta più distanza poteva tra lei e quella stanza, tra lei e i membri del Consiglio. Tra lei e me. Nulla di positivo poteva capitarle fin quando restava lì, al mio fianco, tentando ostinatamente di intercedere in mio favore o peggio di farmi scudo con la sua persona e con il suo nome.
    Ma ormai non avevo speranze di metterla al sicuro, di mandarla via, non dopo le parole che incredibilmente e lasciando tutti senza fiato aveva osato pronunciare. Il trio di burocrati non avrebbe lasciato correre, questo era fin troppo evidente.

    Ancor più chiaro fu, in caso ci fosse stato bisogno di ulteriori conferme, quando udii l'intervento dell'Akimichi.
    Mi resi conto, d'un tratto, che il corpulento uomo poteva essere tranquillamente il più insidioso e temibile tra i suoi colleghi, i quali quantomeno parevano palesare senza riserbo la loro natura e i loro propositi. La rabbiosa ostilità di Fumio e il perverso sadismo di Yoko erano talmente evidenti da sembrare ostentati. Al contrario, i modi affabili e ossequiosi di Tsuneo, solo apparentemente rassicuranti, si rivelavano sempre più ai miei occhi come la melliflua facciata che nascondeva un'essenza spregevole e velenosa.
    Dietro a quelli che potevano sembrare consigli rivolti a Shizuka, elargiti quasi con tono preoccupato e coinvolto, c'era un chiaro avvertimento, per non dire una minaccia.
    "Non interferire in questa faccenda, oppure i Kobayashi ne pagheranno le conseguenze".
    Il messaggio autentico, puro, sembrava proprio questo. Lanciai un'occhiata discreta all'indirizzo della giovane per scoprire la sua reazione a quel nuovo intervento, ma ancora una volta non ve ne fu alcuna. Evidentemente ci voleva ben altro per intimidirla, malgrado, riflettei, le minacce dell'Akimichi non fossero affatto impossibili da realizzare e fosse quindi auspicabile, da quel momento in poi, muoversi con molta cautela.

    E fu probabilmente proprio per gettare acqua sul fuoco che il guardiano Atasuke si prodigò nel dire la sua.
    «Vorrei ricorare a lo signori ed alla qui presente Shizuka che siamo qui per discutere del destino di quest'uomo in una questione che riguarda lui medesimo ed il villaggio e non i clan di cui possiamo fare parte...»
    «Shizuka... Comprendo bene che tu sia legata a quest'uomo e che quindi tu voglia proteggerlo con tutte le tue forze, tuttavia questo è ben al di fuori della tua e della mia portata... Sai anche tu che difficilmente il clan kobayashi, per quanto potente, possa in un qualche modo bloccare l'economia del villaggio... senza contare delle conseguenze che questo avrebbe con il resto del continente»

    A tali parole seguì un lungo silenzio.
    Non aveva tutti i torti. Minacciare il Concilio di Konoha in maniera così diretta e sfacciata era stata un'idea tutt'altro che salutare per la ragazza, e per quanto sia io che l'Uchiha potessimo sforzarci di mitigare la gravità di quanto avvenuto, era chiaro che non sarebbe mai stato abbastanza.
    Quelle persone non avrebbero ignorato un tale atto di insubordinazione.
    La cosa che mi dava un po' di conforto era che almeno avevo un alleato nel giovane guardiano. Non un alleato che appoggiasse la mia causa personale, cosa del tutto normale considerando che egli non solo era colui che aveva eseguito il mio arresto, ma era anche una persona che avevo appena incontrato e oltretutto un diretto subalterno degli Amministratori lì presenti. Ma un alleato che chiaramente aveva a cuore la sicurezza della giovane, e che dunque avrebbe potuto assisterla molto meglio di quanto avrei potuto fare io nelle condizioni in cui mi trovavo, in caso la situazione si fosse messa male per lei.


    D'un tratto l'Inuzuka parlò, il suo viso deformato da una frenesia e una collera che ricordavano in maniera piuttosto preoccupante quelle di una bestia idrofoba.
    L'uomo obiettò allo scetticismo dell'Uchiha, il quale riteneva poco plausibile che il clan Kobayashi fosse effettivamente in grado di mandare in crisi l'economia continentale con le proprie sole forze, rivelando che non solo sarebbe stato possibile, ma che in verità non sarebbe stata neanche la prima volta.
    A quanto sembrava, molti anni addietro, la nonna di Shizuka aveva prima minacciato e poi messo in atto la stessa estrema misura di fronte al diniego dell'Amministrazione del tempo di consentire l'ingresso nel villaggio del futuro sposo di lei, un uomo proveniente dal Paese del Tè, Terra all'epoca politicamente avversa alla Foglia. In poche ore il caos più totale si riversò nel continente, il commercio subì gravi danni portando l'intero sistema economico sull'orlo del fallimento, se non si fosse posto rimedio a una simile sciagura rapidamente.
    Fu così che le alte sfere di Konoha furono costrette a piegarsi alla volontà del nobile casato. Riuscirono però ad assicurarsi che una cosa del genere non accadesse più, stipulando dei trattati dove i Kobayashi, in cambio dell'assoluta indipendenza nelle questioni legate alla loro stirpe, si impegnavano a non usare mai più il loro potere come arma di ricatto contro il villaggio.
    Tutto ciò significava che Shizuka, la quale era chiaramente già al corrente della storia riguardante la sua ava, aveva consapevolmente violato i patti presi in passato dalla sua famiglia, la quale, proprio come avevo sospettato con timore e come Tsuneo aveva successivamente suggerito, avrebbe potuto a quel punto subire gravi ritorsioni per il comportamento della sua erede.
    Ero sempre io la causa di tutto ciò? Certo, era chiaro.
    Non sapevo perché la giovane si fosse spinta a tanto pur di aiutarmi. L'unica cosa che sapevo era che non sopportavo l'idea che lei e i suoi cari potessero andarci di mezzo per colpa mia. Volevo fare qualcosa, qualcosa per portare il confronto finalmente sui giusti binari, dove sarei stato io e solo io l'oggetto delle spiacevoli attenzioni dei membri del Concilio, permettendo alla ragazza di non farsi carico di problemi e responsabilità che non le spettavano. Ma ormai la situazione era sfuggita ad un controllo del quale comunque ero stato privo fin dall'inizio, ed era obiettivamente diventata troppo grande perché riuscissi a maneggiarla senza rischiare di incrinarla ulteriormente.
    Non sapevo come comportarmi.

    Era mentre cercavo di riflettere sul da farsi che Fumio si mosse appena, poi sparì dalla mia vista.
    Prima di rendermi conto che si trattava di un'aggressione, le braccia si erano già alzate, cercando istintivamente la copertura del torace e della testa, tuttavia queste subito deviarono lateralmente e simultaneamente la mia testa si voltò di scatto verso Shizuka.
    I miei occhi sconvolti, impauriti. Era lei il bersaglio.
    Il mio patetico tentativo di protendere le braccia incatenate davanti a lei nel tentativo di intercettare l'attacco fu ampiamente anticipato. In realtà, quando avevo posato il mio sguardo su di lei, già era tutto finito. Io ero troppo lento e lui troppo veloce, semplicemente. Grazie al Cielo si era trattato solo di una finta, in quanto il colpo di mano simile a un'artigliata si era bloccato a un paio di millimetri dal viso di Shizuka.
    Di colpo sentii il sangue rifluire nel corpo. Espirai lentamente mentre le braccia, che comunque non erano neanche arrivate vicino alla loro intesa destinazione, furono ritratte e caddero pesantemente con un sonoro tintinnio. Chiusi le palpebre per un lungo istante mentre tornavo a inspirare dalle narici.
    A stento mi ero accorto del tentativo di Ritsuko di frapporsi tra la sua signora e l'assalitore, facilmente vanificato dall'interferenza dell'obeso Amministratore, ma quello che mi aveva colpito di più era stata la totale mancanza di reattività della Kobayashi. Non aveva mosso un muscolo, nemmeno ci aveva provato a difendersi da quell'uomo che palesemente provava astio nei suoi confronti.
    Possibile che sapesse sin dall'inizio che si trattava di una mera azione intimidatoria e che non le sarebbe stato fatto alcun male? Sembrava proprio di sì. O conosceva molto bene quell'uomo e i suoi metodi, oppure la consapevolezza di appartenere ad un clan potente e prestigioso come il suo le conferiva una certa tranquillità.
    « Tu sai perfettamente che non puoi fare niente per salvare il tuo sporco compagno dalla pena di morte che spetta ai traditori... »
    Riaprii gli occhi all'udire di quelle parole, solo per vedere Fumio accarezzare una rosea guancia della giovane, un gesto che di affettuoso non aveva assolutamente nulla.
    Sì, d'accordo, si parlava della mia imminente condanna a morte, forse dovevo concentrarmi su quello. Ma restai sbalordito dal comportamento dell'uomo. Le sopracciglia si aggrottarono leggermente mentre le labbra si schiusero in un'espressione velatamente incredula. Cos'era tutta quella confidenza?
    « ...perché tu non sei la Capoclan dei Kobayashi... »
    Mentre il suo viso si avvicinava a quello della ragazza, la mia bocca tornava a serrarsi rigida, la fronte si distendeva. Le palpebre si allargarono dando spazio a uno sguardo immobile, piatto, quasi assente.
    « ...Cosa stai progettando di fare, Shizuka? »
    Sentii le mani, costrette alla vicinanza dalle manette, serrarsi. Come se il comando non fosse partito dal mio cervello ma da chissà quale forza sovrannaturale.
    Calma. Calma. Shizuka non stava facendo una piega, andava tutto bene. Stava solo cercando di provocarla. Era tutto sotto controllo.
    Però doveva essere proprio vero. Shizuka aveva qualcosa in mente. Arrivati a quel punto non avevo la più pallida idea di come avremmo fatto ad uscirne, e nel mio caso specialmente il futuro appariva tutt'altro che florido, data la dichiarata intenzione del capo del Consiglio di esigere la mia pelle.
    Eppure Shizuka, da quando eravamo arrivati, non si era minimamente scomposta, come se confidasse in un qualche miracoloso intervento che risolvesse ogni cosa. A pensarci bene, anche la sua imperiosa dichiarazione non poteva essere stata fatta con tanta leggerezza, e soprattutto era difficile credere che, a fronte delle minacce e dei possibili provvedimenti che avrebbero potuto prendere gli Amministratori nei suoi confronti, ella continuasse a non mostrare sentimenti diversi dalla più serena risolutezza.
    Era vero che la conoscevo appena, era vero che non la vedevo da anni, ma quella ragazza era tutt'altro che stupida. Di questo ero convinto. Quindi doveva esserci qualcosa sotto.

    Mi venisse un colpo se riuscivo a capacitarmi di come avessero potuto mettere Konoha nelle mani di simili individui.
    Vidi la povera Ritsuko dimenarsi disperatamente per accorrere in soccorso dell'amica, cercando invano di liberarsi dalla presa dell'enorme Akimichi, il quale con una semplice frase e senza rinunciare al viscido sorriso la indusse immediatamente a desistere dal suo intento. Yoko, comodamente adagiata sul suo scanno, si godeva l'intera scena con espressione a dir poco estatica.
    « ...Non sei tanto stupida da venire qui e renderti complice di un traditore, rubando di nascosto l'haori di tuo padre, impadronendoti del sigillo della tua famiglia che ti piace ostentare in questa tua manina sudata, e minacciando pubblicamente tutto l'organo amministrativo di Konoha... »
    Fumio intanto diventava sempre più inquietante e disgustoso.
    Nella mia mente, mi vedevo a far scivolare la catena che serrava le mie mani oltre il capo dell'Inuzuka per poi serrarsi attorno al suo collo, mentre dietro di lui stringevo e strattonavo fino a farmi sanguinare i polsi per i bracciali d'acciaio, fino a udire lo spezzarsi del suo collo.
    Scacciai rapidamente tale pensiero dalla testa, quasi meravigliandomi di me stesso. Non era da me innervosirmi in quel modo, che diavolo mi prendeva? Ero sempre stato abbastanza fiero di come riuscivo ad affrontare situazioni anche critiche senza perdere la calma e la lucidità, e per quanto anche in quel preciso momento solo una piccola frazione di quanto stavo provando fosse visibile dall'esterno, dentro di me stavo lottando. Lottavo per non fare stupidaggini.
    Buffo come, in certe situazioni, non fare nulla fosse la cosa più difficile di tutte. Dovevo mantenere i nervi saldi, soprattutto perché era appena affiorato un pensiero tanto semplice che pareva ovvio.
    L'Inuzuka stava senz'altro cercando di far cedere Shizuka, questo ormai era palese, ma il suo comportamento poteva benissimo avere una funzione accessoria che riguardava me. Gli Amministratori sapevano che io e la ragazza ci conoscevamo, per cui, che stesse l'uomo cercando, oltre che di scoprire gli intenti di lei, anche di scatenare in me una reazione nel vedere la mia compagna trattata in quel modo? Magari una reazione violenta?
    Sapevo bene che se avessi detto una parola sbagliata o avessi toccato anche solo con un mignolo uno qualsiasi dei tre funzionari, avrei offerto loro la scusa perfetta per prendere davvero la mia testa. Un sospetto traditore che "aggredisce" un membro del Concilio di Villaggio. Quale accusa più schiacciante per affossarmi definitivamente?
    Forse vedevo piani contorti dove non c'erano, ma era indubbio che se avessi sgarrato in quel momento, avrei pagato col sangue.
    Inoltre se avessi fatto idiozie simili avrei completamente vanificato gli sforzi di Shizuka, che stava già rischiando abbastanza per me senza che intervenissi per rovinare tutto.
    Ormai potevo solo aspettare, stare tranquillo, e fidarmi di lei. Sì.
    Io volevo fidarmi di lei.
    « Shizuka, ciò che temo di te, prima ancora di questo tuo visetto su cui potrei fare troppe cose che è meglio non citare di fronte ai tuoi due affezionati cavalieri... »
    Quando sentii quelle parole e vidi Shizuka vacillare per la prima volta, anche se solo per un istante, mi mossi.
    Ero inutile. Mi sentivo completamente e irrimediabilmente inutile. Ma almeno una cosa, una minuscola cosa potevo farla.
    Eravamo vicini, quindi mi bastarono due brevi passi per azzerare la distanza tra noi. Mi fermai proprio accanto a lei, appena più arretrato, il mio braccio contro il suo, si toccavano. Il mio sguardo sull'Amministratore, distaccato.
    Se l'uomo l'avesse incrociato, avrebbe potuto intravedere fermezza quasi austera e una determinazione paragonabile a quella di colei che così abilmente lo stava sfidando. Le catene tintinnarono in modo quasi sinistro.
    Non pensai neanche per un secondo di poterlo indurre a fermarsi, e tantomeno di impensierirlo. Lui avrebbe potuto colpirmi o uccidermi senza dover dare troppe spiegazioni, in fin dei conti io non avevo un cognome importante da temere. Ma volevo ricordargli che io c'ero, che non era solo con Shizuka in quella stanza, e che non poteva fare il suo porco comodo ancora a lungo.
    Ma cosa molto più importante, volevo che Shizuka sentisse la mia presenza, il mio sostegno, addirittura fisicamente, anche se solo tramite il contatto di un braccio.
    Malgrado la mia impotenza, io c'ero. Ero lì con lei, era il minimo che potessi fare visto il rischio che stava correndo per me.
    Non sarei andato da nessuna parte.

    Fumio ciarlò ancora per un po', ma quando si rese conto che la donna non avrebbe ceduto, montò su tutte le furie e si trovò costretto a ordinare la convocazione del capoclan Kobayashi. Fu in quel momento che la grossa porta alle nostre spalle si spalancò all'improvviso, cogliendomi di sorpresa.
    Senza muovermi da dov'ero, girai il collo e vidi una mezza dozzina di uomini avanzare. In testa a tutti uno che aveva un aspetto stranamente familiare.
    « Non è necessario che venga chiamato nessuno... io sono già qui »
    « Buonasera miei Signori, sono in ritardo? »

    Occhi di smeraldo, capelli castani, bei lineamenti. Guardai Shizuka, poi di nuovo l'uomo. La somiglianza era lampante.
    Quindi era lui il famoso Toshiro Kobayashi, il capoclan dell'omonimo casato. Sembrava un uomo alla mano e non troppo attaccato all'etichetta, tutto sommato, cosa non certo scontata per un individuo di tale estrazione. Inoltre sembrava emanare un'aura di positività, come se nulla potesse scalfirlo o affliggerlo.

    Non potei fare a meno di notare come Fumio e colleghi gli diedero un benvenuto che sconfinava quasi nel servilismo.
    I vari "maledetto Clan" e "maledetti mercanti" che avevo udito due minuti prima erano magicamente svaniti nel nulla, assieme all'arroganza di colui che aveva pronunciato tali parole. Patetico.
    L'uomo rispose con disinvoltura al saluto offertogli, poi avanzò verso di noi, per l'esattezza posizionandosi accanto alla figlia, sul lato opposto rispetto al mio.
    Decisi che non era il caso di porgergli i miei saluti per il momento, a costo di apparire maleducato. Mi sembrava fuori luogo. Mi sarei limitato a chinare il capo se avesse guardato in mia direzione.
    Quando l'uomo cercò di sfilare il verde haori dalle spalle della sua erede, incontrò inizialmente un po' di resistenza. Il mio braccio, contro quello di lei, ostacolava l'operazione.
    «Ah...» feci, lievemente imbarazzato, mentre mi affrettavo a spostare l'arto.

    Quando il capoclan finalmente ebbe indossato il pregiato indumento, fece un'osservazione sul fardello che rappresentava quel soprabito, e mi stupì quanto tale pensiero fosse simile a quello che avevo io stesso partorito quando, per la prima volta, avevo visto lo smeraldino manto indosso alla discendente.
    L'uomo poi bisbigliò qualcosa al suo orecchio e le scompiglio i capelli affettuosamente, tanto che lei, per la prima volta da quando avevamo messo piede in quell'edificio, sorrise.
    Distolsi lo sguardo dai due familiari. Abbassai la testa, guardandomi distrattamente le mani. Sorrisi lievemente, a mia volta, sollevato.
    Era salva. Almeno Shizuka era salva, questo pensai.

    Si fece poi avanti un altro uomo, che di lì a poco scoprii essere membro della Polizia di Konoha.
    Questo individuo, dall'aspetto che ispirava rispetto e timore, e un modo di parlare che alternava il gelo dell'imperturbabilità alla collera più incandescente, illustrò quello che, con ogni evidenza, rappresentava la mia salvezza. Per farla breve c'era stato un vizio nella procedura.
    Dopo essere stato arrestato, anziché essere condotto direttamente in Amministrazione, sarei dovuto passare per l'organo di Polizia gestito dal clan Uchiha, il quale, con il supporto investigativo dell'unità ANBU, avrebbe dovuto effettuare le indagini e gli accertamenti del caso. Compito che, a quanto sentivo, in buona parte era già stato portato a termine grazie al clan Aoki.
    Come avessero fatto a reperire informazioni bastevoli sul mio conto in così poco tempo era un mistero, ma da quanto era emerso non vi erano gli estremi per applicare su di me la pena capitale. La faccenda non si chiudeva lì, ovviamente, ma quantomeno sembrava che stessi per essere sottratto dalle grinfie di quei tre squilibrati.

    Inutile dire che la faccia di Fumio Inuzuka, quando l'Uchiha ebbe terminato il suo parlare, fu qualcosa di impagabile.


    "Il gioco dei Kobayashi e degli Uchiha"
     
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386 replies since 27/9/2005, 14:45   9486 views
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