Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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  1. Alastor
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    _The Doors_
    EXTRA ~ CAPITOLO VII


    H e a v i e r S h a c k l e s L i g h t e r H e a r t




    Non sapevo se esisteva qualcosa come i miracoli.
    Nutrivo seri dubbi in proposito, francamente, almeno se si considera l'accezione del termine strettamente teologica. Non credevo che gli Dei fossero particolarmente inclini a scomodarsi per intervenire in maniera grandiosa e provvidenziale nelle piccole faccende degli altrettanto piccoli esseri umani. I veri miracoli, se davvero esistevano, erano quelli che riusciamo a realizzare con le nostre stesse mani, al costo del sudore della fronte, del sangue, di folle determinazione e irriducibile perseveranza.
    Io avevo mancato nei confronti di Konoha.
    Avevo mentito riguardo la mia persona e la mia identità presso il villaggio, ero sparito dalla circolazione lasciando che tutti mi credessero verosimilmente morto in missione. Mi ero spinto a tanto per ragioni che non esiterei a definire vitali, e sicuramente arrecare danno alla Foglia, anche solo in maniera marginale o collaterale, non era una di queste. Tuttavia non vi erano scuse da accampare, e da principio non avevo cercato di schermirmi dietro giustificazioni più o meno valide e che potevano o, più probabilmente, non interessare a chi avrebbe valutato le mie azioni e decretato il mio futuro.
    Da tempo la mia vita aveva preso una certa direzione, il susseguirsi di una serie di vicissitudini mi aveva spinto a scelte difficili, sia da concepire che da praticare, e ad agire solo come lo spettro dell'uomo che avevo sempre saputo di poter essere. Tuttavia, dopo tanto penare, quando la tenacia e la speranza mai abbandonate erano state ricompensate, quando avevo infine trovato ciò che così lungamente avevo cercato, avevo finalmente preso coscienza di un'importante verità.
    Non sono gli eventi passati a decidere chi siamo e dove andiamo, bensì solo noi stessi.
    Non sapevo se sarei stato capace di riparare ai miei errori e a ricominciare a camminare su un sentiero che, per la prima volta, sarebbe stato davvero scelto per un mio intimo desiderio, riuscendo quindi a percorrerlo con serenità, sincerità e convinzione nuove, senza precedenti. Non lo sapevo.
    Quello che stavo facendo in quel momento era bloccare l'impetuoso scorrere della mia esistenza che sarebbe sfociato, mi era facile prevederlo, in un futuro di miserabile infelicità ben peggiore di quello presente, e invertire quello stesso flusso facendogli intraprendere il percorso che ritenevo essere più giusto per me. Più o meno come pretendere che un fiume smettesse di seguire la sua naturale corsa, determinata dalla morfologia del territorio che lo accoglieva, e, di punto in bianco, imboccasse una deviazione strana e decisamente inverosimile.
    Era questo il miracolo che mi ero messo in testa di fare a ogni costo, persino a quello della libertà o della vita.
    Per questo ero tornato a Konoha, e per questo mi ero consegnato mansueto alle autorità. Un nuovo punto d'origine per il mio avvenire doveva necessariamente germogliare dalla verità, per quanto poco piacevole o gradita. Non volevo più tirarmi indietro, sarei andato incontro a qualsiasi cosa pur di aggiustare le cose, persino al pubblico disprezzo, alla prigionia, o peggio.
    Sarei tornato nel villaggio che già una volta mia aveva accolto con l'intento di farne la mia casa e avrei scontato senza protestare qualsiasi castigo mi fosse stato inflitto. Dopodiché non sapevo cosa mi avrebbe riservato la vita, ammesso che in conclusione di quella vicenda riuscissi a conservarla, ma ne avrei ripreso finalmente possesso, ogni mia azione e decisione sarebbe stata dettata solo dalla mia volontà, e forse, col tempo, sarei riuscito addirittura a trovare delle persone che potessero far parte di tutto ciò.
    Questo era il mio piano, forse talmente semplice e banale da non poter neanche essere definito tale, ma in un contesto ideale avrebbe funzionato senza problemi, ritenevo. Peccato che non fosse quello il caso.
    Gli individui preposti al giudizio della mia persona si erano rivelati tutt'altro che seri e irreprensibili, anzi peggio, avevano loro per primi infranto le leggi e le procedure delle quali dovevano essere massimi garanti e rappresentanti. Questa era un'eventualità che, in maniera abbastanza insolita devo dire, non avevo preso in considerazione, e questa mia leggerezza sarebbe potuta costarmi molto cara.
    A volte, per quanto potesse essere duro ammetterlo, il coraggio e la determinazione da soli non bastavano ad abbattere certi tipi di ostacoli, persino se avevi ogni buona ragione dalla tua parte. Forse il miracolo non mi era riuscito del tutto, e date le circostanze imprevedibilmente avverse forse me la sarei vista parecchio brutta, se non fosse stato per qualcuno che si era dato da fare forse persino più di me per tirarmi fuori da quel guaio. Non ci avevo mai fatto molto affidamento, ma evidentemente se era più di una persona a lavorare nella stessa direzione al fine di raggiungere il medesimo obiettivo, con intelligenza e risolutezza, allora le probabilità di avere successo aumentavano concretamente.
    Da solo non ero stato in grado. Però in due, a quanto pareva, quel benedetto miracolo era ancora possibile realizzarlo.
    Non sapevo perché, non sapevo esattamente come, ma era grazie a Shizuka che la mia esecuzione, quasi certa se fossi rimasto nelle mani di quegli scellerati Amministratori, era di colpo diventata un'opzione remota nel momento in cui la giurisdizione del mio caso era passata alla Polizia, che a giudicare dalle parole del suo autorevole esponente, pareva intenzionata a portare a termine il proprio ufficio con ben altra assennatezza ed equilibrio.

    Fu quando l'uomo interruppe il suo parlare che il guardiano che fin lì mi aveva scortato prese ancora una volta la parola, sostanzialmente scusandosi con buona parte dei presenti, anche se per le più diverse ragioni.
    Si rivolse dapprima al suo consanguineo, affermando di essere ignaro della mancata comunicazione relativa alla mia presa in custodia presso la squadra di Polizia, ma chiedendo ugualmente venia per tale mancanza e per la sua leggerezza.
    Sembrava realmente dispiaciuto, però mi sfuggiva un dettaglio. A prescindere da tutto, non avrebbe dovuto comunque condurmi dalle forze dell'ordine Uchiha prima ancora che dai membri del Consiglio? Se così avesse agito, non ci saremmo risparmiati tutti un sacco di problemi?
    «Kobayashi-dono... mi ritengo per certi versi anche responsabile delle azioni di vostra figlia... ella avrebbe dovuto semplicemente presenziare e testimoniare in merito a quest'uomo dato che lo conosceva, ed invece per la mia imperizia si è messa in pericolo e forse ha anche messo in pericolo il vostro clan o i vostri rapporti con l'amministrazione... Vi prego quindi di accettare le mie più sentite scuse...»
    Per quanto le sue intenzioni fossero lodevoli, probabilmente era un po' azzardato prendersi la responsabilità del comportamento di Shizuka nei confronti dei burocrati.
    Non fatico ad ammettere che lo sconcerto e la disapprovazione che avevo provato di riflesso alle avventate parole della ragazza non erano stati inferiori a quelli di lui, tuttavia parlavamo di una persona adulta e perfettamente in grado di decidere come agire in piena autonomia. Per di più, era fin troppo palese, una donna tremendamente testarda e indipendente. Anche se fossimo stati al corrente dei suoi intenti, impedirle di fare ciò che voleva sarebbe stato assai arduo per entrambi. Fermo restando che non mi piaceva affatto che avesse messo a rischio come minimo la sua libertà solo per aiutare me.
    Se c'era uno responsabile per il pericolo che lei aveva corso, tutti sapevamo chi era, e di certo non rispondeva al nome di Atasuke Uchiha.

    Dopo che il guardiano si fu rivolto per un'ultima volta agli Amministratori, questi mi afferrò per un braccio e prese ad avanzare verso quello che finalmente scoprii chiamarsi Isamu Uchiha, per consegnarmi a lui come le sue parole avevano annunciato.
    Io seguii i suoi passi senza alcun problema, senza esitazioni, evitandogli il disturbo di dovermi trascinare in giro.
    Dopo quanto avevo sperimentato in quella stanza e soprattutto con la prospettiva nella mente di quanto ancora sarebbe potuto accadere se quella mezza dozzina di uomini non avesse fatto capolino in maniera provvidenziale, ero più che lieto di essere affidato a qualcuno che pareva intenzionato a svolgere il proprio dovere nel migliore dei modi.

    A quel punto, pareva che non ci fossero ulteriori motivazioni per prolungare la nostra permanenza in quel luogo, ed infatti le robuste porte rubiconde, ancora spalancate alle nostre spalle dopo l'insperata intrusione, parevano pronte a concederci un pacifico e sicuro congedo.
    Ma Fumio Inuzuka pareva non essere dello stesso avviso.
    Dopo essere stato platealmente zittito e redarguito dall'alto esponente della Polizia, il suo sbigottimento si era presto tramutato in una rabbia che sembrava montare al passare di ogni secondo. Fu forse la consapevolezza di essere stato umiliato dalle parole evidentemente inoppugnabili dell'Uchiha, e i suoi metodi esposti come fuorilegge. Fu forse la consapevolezza che un prigioniero, che nella sua mente già era pronto ad essere falciato dalla sua impietosa mannaia, gli era stato soffiato da sotto al naso, o forse la presa di coscienza che il rischioso piano perpetrato dalla kunoichi aveva dato i frutti sperati e che lui solo adesso riusciva a comprenderne la natura e le ramificazioni, facendolo probabilmente sentire come un povero idiota.
    Magari fu per tutte queste ragioni messe insieme che il burocrate, apparentemente dimentico di trovarsi in presenza di un importante rappresentante della Legge e di uno degli uomini più potenti del Villaggio, per non dire del Continente, e trascurando il fatto di essere stato sconfitto su tutta la linea, diede libero sfogo ad una furia incontrollabile. Sbraitò di come sarebbe stato suo personale piacere e premura infliggere non solo a me e a Shizuka, ma persino ad Atasuke, che tutto sommato non aveva fatto nulla per incorrere nell'ira dell'Amministratore, anzi, una punizione esemplare, di una tale ferocia e aberrante crudeltà che anche un genocida non ne sarebbe stato degno. Sembrava che l'ira l'avesse fatto uscire completamente di senno.
    Lo osservai con estrema cura, gli occhi attenti. Di fronte a me l'immagine della più alta personalità istituzionale della Foglia, colui che avrebbe dovuto essere un esempio e un vanto per tutti i suoi abitanti, dare uno spettacolo talmente squallido che neanche il peggiore degli ossessi avrebbe potuto eguagliare. Una bestia ferita, che non poteva più nuocere a nessuno, ma che continuava ad agitarsi ruggendo e mostrando minacciosa i denti e le unghie. Anzi no, una bestia sarebbe caduta con maggiore grazia.
    Nonostante il disprezzo che gli serbavo nel mio cuore, l'Inuzuka mi fece quasi pena. Quasi.

    Poi l'atmosfera cambiò bruscamente.
    « Il modo in cui educo mia figlia e gestisco gli affari interni del mio Clan sono decisioni che spettano esclusivamente a me »
    « Non vi azzardate mai più ad insinuare che io non sia in grado di provvedere agli errori degli esponenti della mia famiglia, Inuzuka-san »

    Nonostante tali parole non lasciassero dubbi su chi fosse il loro autore, per alcuni istanti la sopresa fu tanto marcata da costringermi a voltarmi per sincerarmene.
    Il gioviale Capoclan non era più gioviale, bensì glaciale, duro, terrificante. L'aura di positività che lo aveva avvolto fino a quel momento era solo un ricordo remoto, ormai scalzata da una esalazione venefica e opprimente che difficilmente si riusciva a sostenere.
    « Chi non sa mantenere l'armonia del proprio animo non è degno di fregiarsi del titolo di Amministratore di Konoha... prego gli Dei perché possano avere pietà del mio amatissimo Villaggio »
    Persino il timbro di voce pareva mutato, e a stento riconducibile ad un essere umano.
    Pur sapendo che la tremenda ira del Kobayashi non era a me indirizzata, per puro istinto mossi lentamente un passo indietro. Volsi poi lo sguardo a Shizuka, constatando con un certo stupore ed una punta di preoccupazione che ella fissava immobile il genitore con espressione stravolta e atterrita, bianca come un lenzuolo. Pareva che fosse rimasta sconvolta da una simile reazione da parte del padre, o forse persino lei raramente l'aveva visto in quelle condizioni.
    Riportai l'attenzione sugli uomini che si stavano confrontando, e notai subito che Fumio stava accusando il colpo non meno di noialtri. La sua folle e rabbiosa foga, infatti, si infiacchì subito fino ad estinguersi del tutto, lasciando dietro di sé un attonito ascoltatore, che ora muto e inerme non si arrischiava neanche lontanamente a replicare.
    « State lontano da mia figlia e da questi altri due giovani... avete ormai errato, Inuzuka-san, la prossima volta sono sicuro che sarete più accorto nel prendere le vostre decisioni »
    « Chi brama il potere come voi, Inuzuka-san, può andare incontro a due destini: La vittoria o il fallimento... mi sembra ovvio quale dei due è stato scelto per voi »

    Così dicendo, senza degnare di ulteriore attenzione nessuno dei tre funzionari e neanche il resto dei presenti, Toshiro imboccò la porta uscendo dalla stanza, seguito immediatamente dal taciturno uomo la cui identità mi era ancora ignota, sebbene mi appariva abbastanza chiaro che si trattasse di un attendente del capoclan.
    Ecco la regione per cui le persone non vanno mai giudicate in maniera superficiale. Chi l'avrebbe mai detto che quella persona dall'aria così tranquilla e scanzonata fosse capace di esternare una tale collera, di rendersi artefice di una simile manifestazione di assoluta autorità? Le sue parole, inoltre, non potevano che essere condivise. Trovavo davvero preoccupante che una persona dall'indole crudele e dalla mente instabile come l'Inuzuka, senza neanche menzionare i suoi due colleghi che mi parevano tuttavia quasi altrettanto riprovevoli, si ritrovasse a capo del villaggio. Essendo poco fiducioso nel ravvedimento di costoro, non potevo che auspicare che al più presto fossero nominati individui di maggior levatura morale e più consoni all'incarico.
    Ad ogni modo, almeno per il momento, queste erano considerazione che non mi riguardavano più direttamente, dato che, grazie al Cielo, il mio destino non dipendeva più dal loro capriccio.
    Dopo che Isamu ebbe concordato gli ultimi dettagli burocratici con i tre funzionari, egli tornò lesto da noi. Poggiando una mano sulla spalla di una ancora scossa Shizuka, incoraggiò i suoi passi sospingendola verso l'uscita. Entrambi furono seguiti da me, scortato dai tre agenti di Polizia e dal guardiano.
    La porta si chiuse pesantemente alle nostre spalle, poi, percorrendo corridoi e superando rampe di scale nel più religioso dei silenzi, ci ritrovammo infine all'esterno del fabbricato.

    Il mio animo era conteso. Sentivo un senso di sollievo per aver evitato, io e gli altri, un infausto destino, nonostante ovviamente il mio caso fosse tutt'altro che chiuso. Molta della tensione che avevo accumulato negli ultimi minuti stava a poco a poco scemando.
    D'altro canto, non riuscivo a capacitarmi di come una situazione che avrebbe dovuto essere così lineare e semplice da gestire si fosse trasformata in un tale pandemonio. Prima di arrivare a Konoha avevo immaginato quel momento, il momento in cui venivo condotto al cospetto dei miei giudici. Nelle mie fantasie c'era un accompagnatore, due al massimo, e a prescindere dall'esito dell'incontro, sia che fosse risultato nella mia riabilitazione, incarcerazione o esecuzione, c'era sempre una costante. Io solo subivo le conseguenze dei miei atti.
    E allora, perché lì presenti vi erano, tolto me, ben nove individui? Certo, quasi tutti loro nemmeno sarebbero accorsi se non fosse stato per Shizuka.
    Già, Shizuka.
    Come diamine le era saltato in mente di rischiare il collo per me?

    Uno scatto fulmineo del braccio e la mano di Isamu andò a schiaffeggiare una ancora cerea guancia della giovane, che colta alla sprovvista quasi cadde a terra.
    I miei occhi si aprirono larghi e le labbra si separarono a malapena. Le catene tintinnarono debolmente. Feci scivolare subito il mio sguardo sul massimo rappresentante dei Kobayashi, aspettandomi una qualche reazione, che tuttavia non ebbe luogo. Egli osservava la scena in disparte, senza tradire alcuna emozione degna di nota. Riportai gli occhi sugli altri due.
    Mi ero accorto che l'esponente della Polizia aveva una certa confidenza con la ragazza, probabilmente si conoscevano bene o forse era in stretti rapporti con la famiglia di lei. Un gesto come il suo, per quanto odioso, poteva essere se non condivisibile quantomeno comprensibile.
    E lo fu ancor più quando egli, a modo suo, diede voce alla preoccupazione che aveva procurato probabilmente non solo a lui ma in generale alle persone che le volevano bene, alcune delle quali lì presenti, nel compiere un atto sconsiderato che avrebbe potuto avere ripercussioni sulla sua acerba persona anche più gravi di quanto potesse aver previsto.
    « S-scusami... scusami zio... »
    « ...Io volevo solo... »

    Zio? Dunque quell'uomo era addirittura un parente stretto. Ed era un Uchiha.
    Sì, in effetti il legame di Shizuka con quel clan era un dubbio che non ero mai riuscito a chiarire. Ricordavo ancora di come ai tempi della missione che per la prima volta fece incrociare le nostre strade, suo fratello, Kuroro, indossasse un keikogi dotato della famosa effige del ventaglio bianco e rosso. All'epoca avevo pensato che i due ragazzi avessero sangue Uchiha per eredità materna, dato che non ne avevano acquisito anche il cognome, tuttavia si era trattato di una congettura mai verificata.
    Quando la ragazza mi guardò smarrita, come se cercasse nei miei occhi le parole che le facevano difetto, io aprii maggiormente le labbra inspirando aria nei polmoni, poi le sigillai nuovamente. Non dissi nulla, mi limitai a ricambiare con uno sguardo deciso, ma incoraggiante.
    Il congiunto non aveva torto, io sarei stato altrettanto turbato al posto suo. E pur non essendo al suo posto, ero rimasto comunque molto contrariato dalla pericolosa iniziativa della donna. L'ultima cosa al mondo che avrei mai voluto era che lei andasse incontro alla propria rovina. Specialmente a causa mia.
    Eppure, io avevo ben compreso quale era stato il suo intento. Non ne conoscevo la ragione, non sapevo che cosa avessi fatto per poterlo meritare, ma io capivo cosa aveva fatto.
    Cosa aveva voluto fare.
    E la parola "riconoscenza" poteva solo cominciare a spiegare come mi sentissi al riguardo.
    « AIUTARE GLI ALTRI NON E' UN PRETESTO PER FARE DEL MALE A SE STESSI, STUPIDA RAGAZZINA »
    L'Uchiha, che aveva precedentemente levato le braccia in aria in preda alla cocente rabbia, le calò nuovamente sulla nipote, la quale non poté fare altro che piegarsi su se stessa portando le braccia alla testa per difesa.
    D'accordo. Quel tizio stava esagerando adesso, però. Non era mia intenzione intromettermi, in fin dei conti si trattava di affari di famiglia, in un certo senso, e per di più l'uomo era un pezzo grosso della Polizia e data la mia delicata posizione giudiziaria non sarebbe stato furbo da parte mia inimicarmelo.
    Però sentivo una forte sensazione di disagio, quasi un malessere fisico, come se qualcosa mi avesse afferrato le viscere strattonandomi in avanti, imponendomi di intervenire. E stavo anche per farlo, sennonché quelle che pensavo fossero percosse non si rivelarono tali.
    L'uomo semplicemente, e con una delicatezza insospettabile, prese il viso della nipote tra le mani e appoggiò la propria fronte a quella di lei.
    Molti parvero sconcertati da quel gesto di apparente dolcezza, Shizuka sopra tutti gli altri, ma io non ci vidi nulla di strano, anche se probabilmente solo perché non conoscevo quella persona. Per quanto severo e inflessibile, si trattava pur sempre dello zio. Doveva comunque volerle bene, no? E tutta quella rabbia in un certo qual modo era una testimonianza di ciò.
    L'idillico momento fu però malamente guastato da una capocciata che l'uomo somministrò alla parente che ebbe l'esito di mandare questa in ginocchio lagnandosi mentre si reggeva la fronte dolorante, nonché di lasciarmi letteralmente a bocca aperta.
    L'Uchiha era ben lungi dal porre fine alla sua rampogna. Annunciò alla giovane che avrebbe pensato personalmente a punirla per quello che aveva fatto e che avrebbe addirittura aperto un'inchiesta su di lei, in merito alla sua condotta ambigua e non conforme alla procedura della quale così palesemente era a conoscenza.
    Stessa cosa avrebbe fatto con Atasuke, probabilmente reo ai suoi occhi di non aver espletato la propria funzione con la dovuta attenzione e accuratezza. Ma come rese presto evidente, quella doveva essere solo la ragione di minor importanza per cui l'esponente della Polizia dimostrava un certo astio nei suoi confronti.
    « P-perciò stai lontano da Shizuka! Questa ragazzina dovrà scontare inaudite punizioni per ciò che ha fatto! State separati fino a data da destinarsi! »
    « Se le rivolgerai la parola senza chiedermi il permesso ed esserti inchinato di fronte all'uscio della porta della mia abitazione, la pagherai molto cara! Non è la prima volta che ti vedo al suo fianco! »

    Mentre il viso dell'uomo avvampava suo malgrado, mi accorsi che Toshiro, nonostante un lodevole quanto vano sforzo per trattenersi, se la rideva di gusto, probabilmente a causa dell'improvviso e probabilmente insolito cambio di registro del parente. Quella reazione quasi mi indusse al sorriso, però stavo pensando ad un'altra cosa in quel momento, mentre le mie mani si sovrapponevano, il pollice della sinistra che grattava il dorso della destra, lo sguardo assorto.
    Allora quei due stavano insieme? Sinceramente non avevo avuto quella impressione, però proprio non si poteva dire. A pensarci bene, ricordai che Takumi aveva menzionato un certo "fidanzatino Uchiha", e anche l'Amministratrice Yoko aveva fatto un'allusione neanche troppo sottile in tal senso. Ora le parole di Isamu.
    Quindi poteva essere che mi fossi sbagliato. In fondo lo stesso Atasuke, malgrado un atteggiamento serioso e ligio, addirittura rigido forse, aveva dato chiari segnali di tenerci a lei, anche quando la situazione era parecchio brutta con i membri del Concilio. Però, non so, c'era qualcosa che non mi tornava. Osservando Shizuka non sembrava particolarmente infastidita o imbarazzata dalle parole dello zio, o almeno questo dava a vedere.
    Strano.
    Sì ma poi perché stavo lì a domandarmi cose del genere? Mica erano fatti miei?
    Quella che seguì fu una sorta di smentita da parte della donna, che probabilmente voleva riportare il parente alla quiete di un animo ormai palesemente agitato da gelosia e senso di protezione nei confronti della giovane congiunta, o almeno questa era la spiegazione che attribuivo a tale comportamento. Il tutto ancora scandito dalla crescente ilarità del padre di lei, al quale riusciva sempre più difficile contenersi.
    Ciò che non potevo aspettarmi era che neppure io sarei stato risparmiato da quel furore che, per quanto quasi toccante data la sua origine e natura, avrei evitato con grande gioia.
    E invece niente.
    « … E TU! »
    L'Uchiha si voltò di scatto verso di me, il dito puntato sulla mia faccia.
    «Eh?» feci cauto, prima di riuscire a trattenermi, un po' colto di sorpresa dall'improvvisa attenzione che mi veniva rivolta.
    Sostenni il suo sguardo adirato senza troppe difficoltà, osservandolo con misurata curiosità.
    « Non ho idea da dove tu sia sbucato, ma ho ben visto come ti sei comportato al cospetto degli Amministratori e non avrei problemi ad attribuire un sentimento ai tuoi sguardi... nonostante tutto non provare neanche a pensare che lei possa... »
    « ...suvvia, ha solo diciannove anni... »

    Ma aveva ben visto cosa? Di che stava parlando con precisione?
    Abbassai lo sguardo in un punto non meglio precisato, in quel caso occupato dai piedi di Ritsuko.
    Esitai un attimo, poi con un certo sforzo lo posai nuovamente sull'uomo. Aprii la bocca come per rispondergli, ma la richiusi subito dopo.
    No, molto meglio tacere. Qualsiasi cosa avessi detto avrebbe potuto essere facilmente travisata o liberamente interpretata da una mente che in quel momento era tutt'altro che lucida e obiettiva.
    E poi non avrei risposto comunque ad illazioni del genere. Così poi, davanti a tutti quegli sconosciuti.
    Cioè no, non c'entrava che erano sconosciuti. E' solo che non c'era niente da dire, ecco.
    Poi intervenne la kunoichi.
    « Quasi venti, veramente »
    Le rivolsi uno sguardo conteso tra il severo e l'incredulo.
    Perché si metteva ad assecondare i vaneggiamenti dello zio? Proprio quando c'ero io di mezzo, poi?

    Comunque, a dispetto di tutta quella parentesi più o meno tragicomica, pareva proprio che l'alto esponente della Polizia non avesse dimenticato di svolgere il proprio lavoro.
    Egli ordinò ai suoi colleghi di togliermi le manette, ma il mio sollievo fu assai effimero, poiché subito mi resi conto che sarebbero state sostituite dai tekase, strumenti di costrizione più robusti e gravosi. Osservai i miei polsi mentre venivano serrati da una nuova e più crudele morsa. Quegli affari pesavano sul serio.
    Ovviamente non opposi nessuna resistenza, in fin dei conti doveva essere la normale procedura.
    D'un tratto una mano mi si poggiò sulla spalla.
    Mi voltai a guardarla un po' interdetto, apparteneva a Isamu. Spostai dunque lo sguardo nei suoi occhi d'ebano, quando egli riprese a parlarmi.
    « Shizuka appartiene ad una dinastia potente e rinomata, mi dispiace che tu abbia nutrito per tanti anni la speranza di poterla rendere tua sposa, ma come puoi ben immaginare una donna del suo calibro merita un alto esponente del nostro apprezzato villaggio... »
    Mi guardai bene dal replicare, ma nemmeno sapevo bene cosa fare. Ero fermo, immobile, come imbalsamato, ma al tempo stesso sentivo una grande urgenza di indietreggiare, allontanarmi da quell'uomo e dalle sue assurde parole.
    Forse sarebbe stato saggio annuire per rassicurarlo, o distogliere lo sguardo, o fare un inchino. Rispondergli qualcosa. Ma non feci nulla di tutto ciò, restai lì impalato a fissarlo serio con le labbra leggermente schiuse.
    Aggrottai giusto la fronte quando un paio di minute mani sbucarono ai lati del collo dell'uomo per poi premersi con forza sulla sua bocca, tappandogliela in maniera efficace, forse addirittura letale a giudicare dal colorito che stava assumendo il suo volto.
    Shizuka sembrava determinata a porre fine al vaniloquio del parente con ogni mezzo, anche uno poco fine come quello. Ora erano entrambi rossi in viso, anche se, supponevo, per ragioni diverse.
    Quando intervenne il capoclan dei Kobayashi, questi sembrava essersi finalmente ricomposto e tornato al suo precedente placido splendore.

    Dopo uno scambio di battute fra i tre familiari ai limiti del plausibile, sembrava alla fine giunto il momento dei congedi.
    Un paio degli agenti di Polizia mi si avvicinarono a seguito di un eloquente cenno della mano del loro superiore, si posero ciascuno su un mio lato e afferrandomi per le rispettiva braccia mi sollevarono quasi di peso, più o meno come avrebbero fatto per sorreggere uno storpio.
    «Posso farcela da solo» sussurrai a uno dei due, vagamente seccato.
    Almeno la concessione di recarmi nel mio luogo di detenzione con le mie stesse gambe potevano anche farmela.
    Bellamente ignorato, fu lo zio di Shizuka a rivolgermisi, comunicandomi che avrei trascorso la notte in una cella di isolamento, ma che a partire dal giorno seguente sarebbero partite tutte le procedure che avrebbero portato, se tutto fosse risultato in regola, ad accordarmi la libertà vigilata.
    Mi limitai ad annuire alle sue parole, che ascoltai con molta attenzione. Andava bene così, una nottata in prigione non era qualcosa che potesse spaventarmi visto i possibili esiti assai peggiori paventati.
    Tuttavia, ancora una volta vi fu un'intervento da parte di Shizuka.
    « Per stanotte lascialo a me, Oji-sama »
    « Permetti a quest'uomo di rimanere ospite della magione Kobayashi, per questa notte... la cella di detenzione non... »

    Non potei fare a meno di aggrottare le sopracciglia e spalancare gli occhi nel guardarla, mentre le labbra si schiudevano lentamente. La mia testa sembrava muoversi al rallentatore, ma cercai di scuoterla, mentre la mano sinistra, portandosi dietro anche l'altra a causa delle catene, si alzava quanto bastava per mostrarle il palmo, come a suggerirle di fermarsi.
    «Non occo-» iniziai, ma Isamu mi interruppe immediatamente, puntualizzando che non avrebbe mai potuto consentire una cosa del genere, poiché senza la sorveglianza della Polizia sarei potuto fuggire sottraendomi alle mie responsabilità.
    Mi sarebbe piaciuto puntualizzare, a mia volta, che non avrebbe avuto alcun senso scappare dopo che ero tornato a Konoha spontaneamente a mio rischio e pericolo, soprattutto ora che le cose parevano sulla buona strada per una pacifica e relativamente indolore risoluzione.
    Tuttavia fu ancora la ragazza a replicare che, anche a casa sua, sarei stato comunque tenuto d'occhio.

    « Io sono la figlia di Heiko Uchiha, la capoclan reietta »
    Parole dette con gran semplicità.
    Io praticamente non feci una piega. Non conoscevo quel nome e la donna a esso associato, ma ormai avevo già scoperto, dalla conversazione tra la giovane e suo zio, che la madre di lei era un'Uchiha, e per la precisione sorella di Isamu Uchiha. La definizione di capoclan reietto non mi era molto familiare, ma comunque la cosa non mi colpì in particolar modo.
    Quello che mi lasciò interdetto fu la reazione che ebbero praticamente tutti gli altri presenti nell'udire quella frase.
    Pareva quasi che la donna avesse rivelato una verità nefanda che avrebbe dovuto piuttosto portare con sé nella tomba. Forse non ci ero andato troppo lontano. Non sapevo però se tutti fossero rimasti così sconcertati perché era un argomento tabù, del quale non si doveva parlare e basta, oppure perché ne ero stato messo al corrente io, che forse ero l'unico tra gli astanti a non saperne nulla.
    Ad ogni modo ascoltai con interesse le parole di Shizuka, e di come la sua dimora fosse abitata oltre che da sua madre, che a quel che sembrava era stata uno dei ninja più potenti della sua generazione, almeno da altri due shinobi che, seppur anziani, erano quasi altrettanto temibili. Probabilmente si trattava dei nonni materni di Shizuka.
    La ragazza stava dunque cercando di convincere l'ufficiale di Polizia a consegnarmi nelle sue mani poiché, quand'anche avessi tentato di fuggire o di nuocere a qualcuno, vi sarebbero stati fior fiori di shinobi pronti ad abbattermi ancor prima di poter avvicinarmi a realizzare i miei riprovevoli propositi.
    Inoltre c'erano i famigerati Aoki, le cui capacità nello scovare informazioni e nell'arte dello spionaggio erano, nella loro enigmaticità, effettivamente sbalorditive, come avevo avuto modo di constatare dalla velocità con cui avevano raccolto dati per riempire un intero fascicolo sul mio conto in un arco di tempo ridicolo.
    « Nonostante tutto Magato non fuggirà perché -e ci posso giocare la mia libertà nelle Terre del Fuoco- è più che intenzionato a scontare la pena che voi, Oji-sama, sceglierete sapientemente per lui... »
    Strinsi i pugni, serrai la mascella. I miei occhi fissi su di lei, le palpebre sembravano aver smesso di lavorare.
    Niente, non riuscivo a capacitarmene. Dove la prendeva tutta quella sicurezza nel prossimo? Quella sicurezza in me.
    Perché quella donna metteva a repentaglio la propria vita, la propria reputazione e il rapporto con i suoi cari senza avere nessuna concreta certezza tra le mani? Io non riuscivo a comprenderlo.
    Però era qualcosa che desideravo scoprire. Al più presto.

    La ragazza parve infine riuscire a convincere lo zio, il quale acconsentì a lasciarmi nelle mani del cognato e della nipote.
    Dopo che i membri del Corpo di Polizia e il guardiano si furono congedati per tornare alle rispettive case o ai rispettivi incarichi, noialtri cinque cominciammo ad incamminarci verso la magione Kobayashi.
    Shizuka cominciò a camminarmi accanto, cercando la mia mano più vicina, che poi afferrò in maniera decisa con la sua. Una manina piccola, morbida. Calda soprattutto, il calore che trasmetteva al tatto fu la prima cosa di cui mi accorsi e che quasi mi fece sobbalzare.
    La mia mano era ancora aperta, praticamente inerte.
    Osservai per un breve istante quelle due mani così diverse eppure così vicine. Poi, evitando accuratamente gli occhi smeraldini che avrei potuto incrociare, guardai la strada davanti a me, quasi con aria smarrita.
    Alcuni metri più avanti, improvvisamente, sentii la mia mano, lentamente, chiudersi.
     
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