Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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    Troppo cattivo



    Non appena il decimo uscì utilizzai la tecnica della creazione della forma per creare degli aghi ed altri vari strumenti che mi sarebbero serviti allo scopo. Notai inoltre un minifrigo nell’ufficio del kage, mi sarebbe tornato utile. Non mi restava che aspettare la mia vittima.

    […]



    Davvero? Era quello il soggetto sul quale avrei dovuto provare la mia determinazione? Ero impietrito, davanti a me, quella piccola creatura aveva assunto le fattezze di una sfida titanica.

    “Cosa può aver mai fatto una bambina? Come posso torturarla?”

    Mi morsi l’interno della guancia destra per il nervosismo quasi fino a sanguinare.

    “Non ho molta scelta, se non lo faccio fallirò la prova e tutto il mio lavoro sarà stato vano, se questa bambina è colpevole pagherà per i suoi peccati.”

    Strinsi in pugno le mani che avevano leggermente cominciato a tremare così da farle smettere. L’hokage uscì con la richiesta di non ferirla, se non altro non avrei creato danni permanenti, sul piano fisico almeno. Deglutii mentre la porta dell’ufficio si chiudeva, come se quel gesto avesse potuto aiutarmi ad ingoiare il groppo di colpevolezza che mi si era formato nella gola. Presi tutta la determinazione che avevo e sorrisi alla piccola.

    -Ciao, il mio nome è Sho, vorrei che tu ti accomodassi sulla sedia, non ti preoccupare, va tutto bene.-

    Dissi in tono calmo e pacato. La bambina eseguì l’ordine e si sedette.

    -Avrei bisogno che tu mettessi le mani sui braccioli della sedia per favore.-

    Le chiesi cortesemente.

    -Devo un attimo bloccarti alla sedia o il kage si arrabbierà con noi, e credimi, nessuno di noi due vuole vederlo arrabbiato.-

    Forzai una risata, volevo che fosse calma, quasi a suo agio, in quella situazione, non potendo ferirla avrei giocato sul piano psicologico, ed avevo pertanto la necessità di creare l’ambiente adatto. Dopo un po’ di riluttanza lei fece come le avevo chiesto ed ebbi modo di fissarle mani e piedi alla sedia con della corda che trovato nell’ufficio.

    -Troppo stretta? Ti fa male?-

    Le chiesi. Dopo una risposta negativa le sorrisi e mi allontanai di circa un metro da lei per poi girarmi di schiena.

    -Ti piacciono i disegni? Io li adoro-

    Dissi mentre ripiegavo un foglio a forma di aeroplanino. Una volta terminato imposi su questo il sigillo esplosivo e mi voltai nuovamente verso la bambina.

    -Bello vero?-

    Dissi sorridendo.

    -Ecco, ore ce lo hai anche tu uguale.-

    Imposi quindi il sigillo su u altro foglio e glielo infilai in tasca.

    -Vedi…-

    Cominciai a dire, lanciando l’aeroplanino fuori dalla finestra dell’ufficio, quella verso la quale la bambina era rivolta.

    -Mi hanno detto che sei stata molto cattiva…-

    Feci esplodere quindi il sigillo sull’aeroplanino ad una distanza tale che non producesse danni all’edificio, ma abbastanza vicino perché lei vedessa cosa gli era successo.

    -E a me non piacciono i cattivi.-

    Divenni serio e lo sguardo si fece di gelo, il momento della tortura era arrivato. Al momento dell’esplosione la bambina sbigottì e provò a liberarsi dalle corde inutilmente, gli occhi le si riempirono di lacrime.
    Poggiai le mani sui suoi polsi spingendo verso i braccioli, non le avrei fatto male, serviva solo ad affermare dominanza, a cominciare a distruggere il suo spirito; mi avvicinai al suo volto e dissi:

    - Se non eseguirai ciò che ti verrà detto farai purtroppo la fine di quell’aereo, qui e oggi verrai punita per ciò che hai fatto, un crimine che non mi interessa conoscere, giudicarti non è mio compito.-

    La bambina si mise a piangere ed io mi allontanai da lei.
    Lentamente mi voltai e mi recai alla scrivania sulla quale avevo riposto tutti gli oggetti di tortura. Presi il primo, era un bisturi dalla lama più lunga, adatto alla taxodermia, non potevo usarlo su di lei per via delle direttive dell’hokage, ma questo la bambina non lo sapeva.
    Mi avvicinai a lei e lo strofinai leggermente sulle sue labbra dalla parte non tagliente della lama, provò a divincolarsi, ma non glielo permisi, con l’altra mano le presi il volto e la tenni ferma, obbligandola a guardarmi negli occhi mentre continuavo a poggiare la fredda lama sulla pelle del suo volto e muoverla delicatamente.

    -No…-

    Dissi distaccandomi da lei di scatto.

    -Non è adatto a te questo, ci vuole qualcosa con più… con più classe.-

    Non avevo più rimorsi, avevo solo una curiosità scientifica verso lo spirito umano, ce l’avrei fatta a distruggerlo senza punizioni prettamente corporali?
    Fui colto da un’idea e velocemente composi i simboli che mi permisero di creare il Chidori nella mia mano sinistra.
    La stanza si riempì del frastuono della tecninca mentre la mia manna irrorava elettricità.

    -Questa è elettricità pura-

    Le dissi.

    -Quando toccherò il tuo corpo le tue ricezioni nervose, assieme ai tuoi altri tessuti, bruceranno così velocemente che l’unica cosa che sentirai sarà freddo… e non piangere, che tanto non funzione, anzi mi urta…-


    Dissolsi la tecnica e con un pezzo di stoffa le bendai gli occhi.
    Non mi dava veramente noia il pianto, avevo solo bisogno di privarla della vista per un po’.
    Dal frigo presi del ghiaccio che poggiai dietro di lei, dopodichè le tagliai alcune parti dell’abito che indossava sulla schiena in modo da esporre la pelle.
    Le urla ed i pianti non mi disturbavano, la mia concentrazione era totalmente verso il mio inganno.
    Ancora una volt
    Ancora una volta creai il chidori nella mano sinistra, in modo che la stanza si inondasse nuovamente del suo rumore caratteristico, avvicinai quindi la mia bocca al suo orecchio destro e sussurrai.

    -Eccolo che arriva….-

    Presi quindi il ghiaccio che avevo precedentemente posato e lo posi a contatto con la sua pelle della schiena. Ancora urla, ancora pianti, sempre più forti.
    Nessun danno le era stato fatto a livello fisico, ma sapevo che sul piano interiore era tutto un altro discorso.
    Dopo 10 lunghi minuti di inganni decisi di smetterla e di dedicarmi ad un altro esperimento.
    Presi un ago e lo cosparsi di un veleno con le proprietà di intorpidire.
    Analizzai bene il corpo tremante ed esausto della bambina in modo che si disegnasse davanti a me il diramarsi dei suoi nervi, la visualizzai come in un libro di anatomia e quando fui sufficientemente sicuro conficcai l’ago tra la sua clavicola e scapola destra, andando abbastanza in profondità da penetrare il nervo brachiale. Era poco più che il danno di un iniezione, non pensavo di violare la regola imposta dall’hokage. Estrassi quindi l’ago e dissi:

    - Il tuo braccio destro è adesso anestetizzato, insensibile al dolore, lo sentirai quindi intorpidito…-

    Questa era una mezza bugia, perché , per quanto effettivamente avessi fatto in modo che il suo braccio si intorpidisse, non era una vera e propria anestesia, ma ero abbastanza confidente sul fatto che la bambina non avesse le conoscenze mediche necessarie per rendersene conto.
    Presi quindi un martello e lo posi a contatto con la sua mano sinistra per farle capire cosa fosse nonostante avesse ancora la benda sugli occhi.

    -Adesso vediamo quanto ci vuole per romperti tutte le dita, ti va?-

    Con forza sbattei il martello sulla scrivania dell’hokage, il rumore fu però in gran parte coperto dall’urlo acuto della bambina.

    -Uuuuh… questo si è proprio frantumato! Beh, uno è andato, quattro ancora da fare!-

    Dissi colpendo nuovamente la scrivania col martello. Così per altre tre volte, alternate da pause, continuai con la messa in scena.
    Il patto con il kage era stato rispettato, non avevo ferito la bambina e , dopo circa 45 minuti di tortura, decisi che era l’ora di finirla.
    Posai tutto e , lasciandola legata e bendata, aprii la porta dell’ufficio cercando il capo villaggio per dirgli che avevo terminato.
     
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