Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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  1. Arashi Hime
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    MEETING

    How we treat the earth basically effects our social welfare and our national security.



    «BLEARGH»

    Raizen Ikigami era un uomo dalle lungimiranti aspettative, questo si diceva a Konohagakure no Sato.
    …Eppure, per quanto forte egli fosse e pieno di doti (da qualche parte) risultasse, c’era una sola cosa che riusciva a lasciarlo sempre e puntualmente spiazzato. Quel qualcosa, o meglio, quel qualcuno, era Shizuka Kobayashi.

    Più o meno fu così anche quella volta.

    «INDOVINA CHI E’.»

    Appesa a testa in giù con il chakra da una delle finestre aperte dell’ufficio dell’Hokage, la Principessa del Fuoco sostava con le braccia penzoloni e i capelli di fronte al viso. Di tanto in tanto si dava una piccola spinta per poi ondeggiare allegramente come un frutto gelatinoso, cosa che più che farla vergognare come una ladra di Suna sembrava invero divertirla, come dimostrava sghignazzando in modo mal celato da sotto il sipario capelloso.

    Silenzio.

    «Se indovini, entro. Sennò ti lancio una pigna nell’ufficio.»

    Insistette la voce della ragazza, prima che una mano venisse sollevata. Teneva tra le dita una pigna di dimensioni cospicue e per giunta piena di pinoli.
    […] Rimaneva il mistero di come e dove avesse trovato quell’oggetto.

    Per sua fortuna non c’era nessuno nell’ufficio ad eccezione di quel pover’uomo di Raizen: sembrava che la Chunin avesse quantomeno avuto la premura di aspettare che il Kage fosse rimasto solo prima di esibirsi in quel teatrino davvero poco appropriato per due persone nelle loro posizioni. Un guizzo di responsabilità, si sarebbe detto. In verità Shizuka non apprezzava rivelare quel lato di sé un po' infantile e spensierato a tutti, anzi, onestamente a nessuno.
    Era una faccenda privata, insomma.
    ...La cosa dell'intimità, non quella della pigna (forse).

    «Vabbé, dai che scherzo.» Avrebbe brontolato a conti fatti la ragazza, e allungando le gambe avrebbe posato le mani sulla balaustra della finestra. Dandosi una leggera spinta, sarebbe poi entrata con una capriola dentro l’ufficio. «Non te la lancio. Però te la nascondo, e se non la trovi i pinoli marciscono. Vedi tu.» Minacciò seriamente, passandosi con fare mafioso il pollice della mano sul naso. Per tutta risposta si lasciò sul viso una strisciata nera, causa della pigna stessa, ma lei parve non accorgersene. «Allora, sono qui a dirti un paio di cose.» Disse a quel punto, accerchiando la scrivania e sedendosi su una delle sedie libere per gli ospiti. «Ah, sono un Clone.» Puntualizzò, come se fosse rilevante. «Quella vera si trova in questo momento con Febh Yakushi presso l’Ospedale di Villaggio. Sembra che io debba andare ad Oto.» Annunciò, ma stavolta il sorrisetto ironico di qualche attimo prima, semplicemente non si palesò. «Ogen Yakushi, la Capoclan degli Immortali, mi ha richiesta per confezionare un corredo nuovo di suoi kimono: la richiesta è per l’Erede dei Kobayashi perciò non posso rifiutarmi di andare al Suono…» Alzò le mani, con i palmi rivolti verso l’alto, al soffitto. «…nonostante questo non sia proprio il momento migliore.» Commentò, accavallando le gambe e intrecciando le mani in grembo. I suoi profondi occhi verdi andarono alla ricerca di quelli scarlatti del Kage. «Quindi, Raizen, parliamo di affari.» Intavolò, e subito prese a parlare.

    Espose il discorso che aveva fatto all’Amministratore di Oto, e anche le sue preoccupazioni, sottolineando le tempistiche e gli effetti che avrebbero potuto conseguire alle “cause”. Non che ci fosse niente di certo nelle sue preoccupazioni, ovviamente: una persona di un certo livello intellettivo non avrebbe mai osato nulla quando sapeva di avere già il culo a terra; ma era pur vero che Diogene Mikawa non aveva più ragione di diffidare l'ira dell'accademia e c’era una sola cosa da temere più di un uomo sciocco, ossia un uomo che non aveva niente da perdere.
    Le premesse non erano dunque delle migliori, lo scenario che la Principessa stimò infatti all’Hokage della Foglia era una serie ben costruita di supposizioni e presunzioni più o meno (in)desiderate, prima tra tutte quella che Ogen Yakushi mantenesse fede all’Ospitalità, cosa che, fu abbastanza evidente, avrebbe potuto essere presto dimenticata in favore del “bene” di Oto.
    Febh, però, era diverso.
    «Non credo che tradirebbe un accordo.» Osservò la Chunin, alzando gli occhi al soffitto in modo pensoso. «Insomma, è un tipo strano.» Esitò. «Strano forte, intendo.» Tacque. «Però mi sembra…mmh.» Si portò la mano al mento, passandosi poi indice e pollice attorno alla bocca. Per disgrazia quella era la mano sporca di fuliggine, ragion per cui la ragazza si disegnò un bel pizzetto. Neanche quella volta parve accorgersene. «Penso che sia un po’ difficile da spiegare e in verità credo che dipenda molto dai legami che instaura, però ecco, tutto sommato credo che non correrei alcun pericolo andando nel Paese delle Risaie con lui.» Sorrise. «Mi interessa: un po’ perché è il tuo maestro, un po’ perché ho come l’impressione che potrei imparare davvero tanto da lui… quindi sono venuta qui per dirti che intendo andare e che voglio dare fiducia a quel tipo. Ammetto che mi piace.» Disse con sincerità, sciogliendosi in quella sua tipica espressione da sciocca bambina -ormai spesso dimenticata- capace di credere a tutti senza riserve. Detto questo aggrottò però un attimo la fronte, fissando Raizen negli occhi. «Ci hai fatto caso che indossa occhiali senza lenti?» Chiese a quel punto, a voce bassa e vagamente cospiratoria. «No dico…non pensi che sia una persona un poco particolare?» Detto da una che aveva una barbetta di fuliggine sul viso e il naso maculato come una bambina di dieci anni, era tutto un programma. C'era inoltre da domandarsi come potesse essere possibile che Shizuka Kobayashi riuscisse ad attrarre attorno a sé la gente più stramba del Continente.
    ...Quale che fosse la faccenda, la ragazza sembrò lieta di essere riuscita ad esporre tutto quel discorso, come testimoniò stiracchiandosi sulla sedia. Quando ebbe finito si alzò, e posando le mani sulla scrivania, si sarebbe distesa sulla stessa, così da arrivare più vicino alla Volpe. Solo a quel punto sorrise, posando il mento sui palmi aperti delle sue mani.
    «Indagherò.» Disse a quel punto, nel silenzio che si sarebbe venuto a creare. «Indagherò sui piani del Signore del Sangue: credo che ad Oto io possa ottenere molto più di quello che già abbiamo. Dissipare i dubbi che ci portiamo dietro è fondamentale per permettere all'Alleanza di appianare le divergenze che altrimenti impedirebbero di fermare l'avanzata che già conosciamo...» Sollevò le gambe, prendendo a dondolarle. Sorrideva allegramente, come se non fosse minimamente preoccupata. «Questa occasione è troppo ghiotta, Raizen, e lo sai anche tu.» Proprio in quell'istante, però, nel sorriso gentile che illuminava il volto della Principessa del Fuoco ci fu un lampo di qualcosa che rassomigliava troppo alla paura: l’ultima volta che aveva fatto quel discorso era quasi morta tra le mani di uno dei peggiori Nukenin del continente. Allora si era salvata per un pelo, e per quante notizie avesse riportato, aiutando in effetti l’Alleanza a tutelarsi maggiormente, aveva vissuto nella paura per qualche tempo. Un tempo durante il quale Raizen l’aveva confinata dentro le mura di Konoha, con il divieto assoluto di uscire dal Villaggio. Per proteggerla, aveva detto lui. Per punirla della sua inettitudine e della sua debolezza, aveva sempre pensato lei.
    Inspirò a fondo, chiudendo poi gli occhi: era cambiata da allora? Era diventata più forte? Si poteva davvero permettere quella richiesta?
    Era certa che la risposta fosse ancora “no”, ma era anche convinta che se non avesse rischiato per proteggere ciò che amava, non sarebbe mai migliorata quanto e come sperava. Se avesse dovuto aspettare il giorno in cui si sarebbe sentita davvero "pronta", non avrebbe mai fatto niente.

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    «C’è una dislocazione del mio Clan, ad Oto, se dovesse andare male troverei rifugio lì.» Bella cazzata: un edificio da ricchi mercanti non l’avrebbe protetta, e lo sapeva bene. «Ti porto qualche souvenir, che ne pensi?» Chiese a quel punto, riaprendo gli occhi e mostrando i denti nel sorridere allegramente. Non voleva che le venisse rifiutata quella possibilità, ma non voleva neppure far preoccupare Raizen: aveva deciso di diventare la più potente Kunoichi del Continente, e ci sarebbe riuscita. Voleva poter dimostrare lui che non doveva temere perché lei poteva molto più di quello che si pensava. «Beh insomma, dammi qualche dritta...e poi dammi anche un bacino di buon viaggio. Su, forza, per augurarmi buona fortuna ♥» Cinguettò come un’amorevole mogliettina, chiudendo gli occhi e protendendo il viso.

    Senonché qualcosa accadde. E lei, improvvisamente, si irrigidì.

    «Ah.»


    Disse solo, prima di riaprire gli occhi e inchiodarli immediatamente in quelli di Raizen.
    In un solo secondo le iridi verde smeraldo sprofondarono in una tonalità molto più scura, mentre l’espressione amorevole di poco prima svanì in favore di una smorfia che forse, in un modo molto parallelo e molto distante da quello , avrebbe potuto chiamarsi “sorriso”.
    «Ah.» Ripeté la kunoichi, facendo leva sulle braccia per mettersi in ginocchio sulla scrivania del Kage. «Quindi stanno così le cose.» Commentò. Per un istante fissò il legno sul quale si trovava, come se questo conservasse nelle sue venature chissà quali incredibili risposte. Esitò, sentendosi improvvisamente molto, molto, molto stupida... «E io che ancora penso a modi per stupirti...» Mormorò la donna, portandosi una mano alla fronte nel reclinare leggermente la testa di lato e sorridere grottescamente. «...e tutte queste stronzate di conquistare la tua fiducia e la tua stima...» La sua voce stava andando progressivamente abbassandosi. «...studio come una schiava giorno e notte, lavoro come una disperata, faccio le cose peggiori dei quattro Villaggi per proteggerti, e detengo primati unici in tutto il dannato Continente...» Non era arrabbiata. Era furiosa. E lo si sarebbe capito non dal tic nervoso sopra il suo occhio sinistro, quanto piuttosto dal colore delle sue iridi, ormai praticamente nere. «Eppure...» Fu un sibilo. «...ancora, vengo dopo una sciacquetta vestita da gatta.»

    A quel punto, non importava quanto Raizen Ikigami avrebbe potuto muoversi rapidamente.
    Non si sarebbe mosso più veloce di tutti i fogli della sua scrivania, che di punto in bianco schizzarono da ogni lato, come allontanati dall'aura di chakra fuori controllo che avvolgeva la Primario dell'Ospedale, la quale, premendo i palmi delle mani sulle ginocchia e stringendo le labbra a fessura, sembrò trattenersi dal non urlare.

    Fu un tentativo vano.

    «Era bella la Corte di Kusa, Ikigami?!» Ringhiò, alzandosi in piedi sulla scrivania del Kage. Inconsciamente avrebbe alzato una gamba, caricando un pestone. «Senti, per quella cosa lì, lascia stare: me la sbrigo da sola.» E il calcio avrebbe fatto per impattare sulla scrivania. Non ci voleva un genio per capire che della stessa sarebbe rimasto molto poco. «RAIZEN.» Strillò la Principessa, fuori di sé dalla rabbia: non importava quanto si impegnasse per renderlo un Hokage a modino, galateo, abiti ed etichetta tutto compreso. Rimaneva e sarebbe sempre rimasto un Randagio. «DEFICIENTE!»

    Tanto per dire, insomma.
     
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