Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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  1. Arashi Hime
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    A PAIR OF

    The difficulties you meet will resolve themselves as you advance. Proceed, and light will dawn, and shine with increasing clearness on your path.



    «Senti, sai cosa? Vaffanculo.»

    Disse quelle parole con un sorriso. A prima vista sarebbe apparsa tranquilla e forse, in modo preoccupante, lo era davvero.

    «Hai proprio rotto i coglioni, detto di cuore.»

    Ancora comodata con le gambe accavallate, la donna reclinò la testa di lato. I suoi lunghissimi capelli castani, scivolarono come seta lungo la schiena, fino alla spalla, ondeggiando lentamente prima di fermarsi.
    Per qualche attimo lei non disse niente, limitandosi a guardare la Volpe negli occhi, poi scrollò le spalle.
    «Questa storia del fatto che mandi avanti Konoha da solo, la tua parola è unica, batti cassa, e come te nessuno mai…ecco, diciamo che hai rotto le palle: vai a raccontare questa storiella ai tuoi piccoli e inutili genin di belle speranze, o agli studentelli con gli occhioni brillanti e la voglia di morire per una causa superiore.» Disse, e la sua voce era molto gentile. «Non a me, che non sono proprio nella posizione di essere trattata come una deficiente incapace di poter discernere ciò che si può da ciò che, invece, non si può. Ma soprattutto, a me che ho da tempo abbandonato il posto di subordinata senza la lingua.» Sorrise educatamente. «Mi dispiace, Raizen, non sono più sotto di te, ormai.» Affermò con cortesia.
    Non era una presa di posizione a cipiglio insensato, e non stava contestando la gerarchia. Stava solo rimettendo in riga un modo di esprimersi irritante e irrispettoso: Raizen Ikigami era l’Hokage, e da lui dipendeva la gestione dell’intero Villaggio, era vero. Ma quel Villaggio non era suo, e non era lui che lo faceva da solo. E del resto, se egli deteneva primati inaccessibili, anche Shizuka ne aveva altri. Ed erano unici.
    «Non è bello far pesare la propria posizione in ogni momento e in modo così gratuito.» Fece presente, solo a quel punto alzandosi dalla sedia. «Ti ho ripetuto più volte che dovresti imparare a parlare ed esprimerti, perché credimi, una di queste volte finirà male per te. E con te andremo giù tutti noi.» Osservò, socchiudendo gli occhi. «Andrò a Oto e no, non cercherò informazioni su Diogene Mikawa, ma agirò comunque secondo mio giudizio qualora si vengano a creare situazioni di un certo interesse. Senza mettere in pericolo me o Konoha, ovviamente.» Non era una richiesta quella: in passato aveva già agito secondo il suo criterio e non aveva sbagliato. Aveva rischiato di schiantarci, il che non era poco, ma ciò che aveva riportato indietro aveva implementato le possibilità del Fuoco e addirittura di tutta l’Accademia, che a Raizen piacesse o meno. «Ah, un’altra cosa…non ho mai proposto di entrare dentro Villa Mikawa, ho solo suggerito di ascoltare e osservare senza fare niente, il che è ben diverso. Cosa sono deficiente?» Ridacchiò di quella possibilità. «Non voglio morire, né tantomeno dare a Diogene un buon pretesto per farti scomodare. Avrei solo voluto rendere più sicura la rete che stai cercando di aprire, ma tant’è…» Fece spallucce, alzando i palmi delle mani verso l’alto. «A me non importa di ricordarti che non ho alcun interesse a farti sentire meno importante con quel mantellino da supereroe sulle spalle. Per me puoi essere l’Hokage o anche il Daimyo, francamente non desiderio essere un “Eroe” e no, nemmeno la gloria mi affascina. Quindi non angosciarti, non voglio toglierti lo scettro delle decisioni che ti piace tanto sventolare a destra e a manca.» Sottolineò. In caso contrario, del resto, non si sarebbe mai prestata ad essere ciò che era diventata: l’ombra del Sole. E quel Sole era proprio il Kage. «Voglio solo rispetto, quindi la prossima volta che apri bocca impara a gestire le tue parole, almeno nei miei riguardi: se sei preoccupato che mi succeda qualcosa, perché hai paura che io venga attaccata e ci rimanga sotto, dillo semplicemente, senza offendere. Se invece non te ne frega un cazzo, allora chiudi la tua boccaccia e sii così cortese da evitare di ricordare in modo insensato che qui quello che batte cassa sei solo tu, perché non ho né insistito né contestato, ho solo fatto una domanda, ho ricevuto una risposta, ho acconsentito alla stessa e il discorso poteva chiudersi senza problemi.» Disse, lapidaria. «Non sono una tua pezza da piedi, Raizen, sono una tua compagna. Fattelo piacere, oppure vai a farti fottere.» Solo a quel punto, sorrise. «...Che stupida che sono, nonostante tutto quello che sto facendo per ottenere le tue attenzioni e la tua approvazione, è evidente che se dopo sei anni non mi riconosci come un pezzo da tenere al tuo fianco e una donna di cui valutare la stima, non lo farai mai.» Osservò a quel punto, chiudendo gli occhi in un altro sorriso. «Non meriti tutti i miei sforzi, Raizen. Ma sei fortunato, perché invece Konoha li merita eccome, e fintanto che ci sarà la Foglia continuerò a migliorarmi e diventare sempre più potente. E quello che sono ora, è solo l’inizio.» Ragionò, grattandosi il mento. «Sai, se dobbiamo vantarci, allora…» Mormorò, lanciando uno sguardo sarcastico al Kage. La cosa davvero grottesca era che con ogni probabilità aveva ragione: i miglioramenti di Shizuka potevano essere davvero solo all’inizio. Il problema vero era capire in che direzione si sarebbero orientati. «Quindi non preoccuparti, farò quanto mi è stato ordinato. Non sono così idiota da non capire che non bisogna andare a bussare alla porta del nemico.» Che era proprio quello che Raizen aveva insinuato. «Detto questo, ti auguro uno splendido proseguimento. Sono certa che la tua giornata è fertile di possibilità e conquiste.» Si mise a ridere, scuotendo la testa.
    Detto questo si voltò, dirigendosi con calma verso la porta dell’Ufficio. Prima di aprirla, però, si fermò, esitando.
    «Un’altra cosa.» Mormorò, senza girarsi. «Quando starò via, vorrei che tu dessi un’occhiata a mio figlio.» Calcò la voce sul possessivo. Conosceva troppo bene Raizen Ikigami da non capire quando qualcosa tra lei e lui si andava incrinando. Era così esperta sulle loro incomprensioni, da aver sviluppato un’abilità innata nel capire il perché e il per come dei suoi comportamenti. E della loro continua danza del vicino e del lontano. «Hotaka sta entrando al quarto mese di gestazione, è un periodo delicato, e io non so quanto starò via: escludo fortemente che possa succedere qualcosa, e del resto Makuramon si occupa di monitorare tutti gli strumenti medici cui è attaccato.» Strinse le labbra: non aveva mai chiesto a Raizen di considerare quel bambino come suo figlio, e del resto aveva già più volte sottolineato che aveva usato un quarto del suo DNA solo perché, come Jinchuuriki, possedeva capacità genetiche solide che avevano impedito il rigetto del suo esperimento. Tutto ciò che era nato dopo quel momento: il suo attaccamento per il piccolo, il suo senso di responsabilità, il suo stupido istinto materno da scienziata senza moralità ed etica…era un problema solo suo, che non aveva voluto imporre a quell'uomo. E non lo avrebbe mai fatto. Ma già da tempo era stanca di ripetere le solite cose al Colosso della Foglia, e ormai aveva cominciato a dirle una volta sola: era sempre stata lei quella che si muoveva in sua direzione, adesso era giunto il momento che fosse lui a denotare di capire e comprendere, e non solo esigere. Era un po’ troppo adulta per giocare a fare la bambina. Non aveva davvero più sedici anni, purtroppo. «…Però, in caso accadesse qualcosa, chiama Atsushi Kagure del mio Team medico, è l’unico che saprebbe gestire la faccenda. Non è necessario che ti dica che nell’eventualità tutto questo accada, lui non deve uscire dal mio laboratorio fino al mio ritorno e io devo essere chiamata all’istante per tornare qui il più velocemente possibile.» Mormorò, alzando la mano sulla maniglia della porta. «Non ti sto chiedendo di farti piacere quel bambino, ti sto chiedendo di supportare me, per una volta. E per farlo devi solo portare da mangiare a quella stupida scimmia psicolabile e masochista che se ne occupa…» Sorrise di quell’appellativo, chiudendo gli occhi e abbassando la testa «…Hotaka è prezioso, per me, e se dovesse accadere lui qualcosa…» Lasciò la voce in sospeso, sentendosi improvvisamente stupida. Più di quanto non si era sentita quando, per la centomillesima volta, si era resa conto che la Volpe si curava solamente di due cose al mondo: i suoi piani e se stesso. «In ogni caso non dovrai fare niente, non allarmarti. È solo questione di darci un occhio ogni tanto. Fallo quantomeno per le grandi opportunità mediche e belliche che questo bambino rappresenterà, se non ti va di dare una mano a me.» Disse dopo un istante di silenzio, solo a quel punto girandosi e lanciando un sorrisetto al Kage. «Sono o non sono la migliore dottoressa e scienziata di tuuuutto il continente?» Cinguettò, facendogli l’occhiolino.
    A quel punto, se non ci fosse stato altro, avrebbe semplicemente aperto la porta.
    «Beh io vado, ci vediamo. Spero di tornare viva.» Ironizzò, sospirando. «In caso fosse il contrario, il kimono te lo regalo.» E puntando l’indice della mano destra ad un occhio, fece una linguaccia.

    Sarebbe partita entro un’ora e mezzo.
    Non programmava di tornare a breve, però.
     
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