Vecchio Palazzo dell'Amministrazione

[Amministrativo]

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    Post I ~ Maschere



    Mentre percorreva il Palazzo dell'Amministrazione, con i suoi lunghi corridoi e le sue scalinate interminabili, Shin non rivolse la parola ad anima viva, né alcuno delle persone che incontrò nel percorso lo degnò di attenzione. Tutti sembravano affaccendati con questioni decisamente più urgenti che badare ad un genin. L'unica eccezione furono due chunin, che chiacchieravano tra di loro probabilmente in attesa, e che si zittirono al suo passaggio. Al Kinryu, una volta che fu passato oltre dando loro le spalle, parve di sentire un commento biascicato a labbra strette che suonava molto come un c'era anche lui quella sera, ma poteva benissimo essere frutto della sua mente segnata. In ogni caso non rallentò il suo passo fiacco, né reagì in alcun modo. Avrebbero avuto ragione, in fin dei conti: lui c'era. Quel pensiero non l'aveva mai realmente abbandonato da quando si era risvegliato in ospedale, ma ora tornava a martellargli in testa crudele. C'era, ma non era riuscito a fare nulla. Una marea nera, vischiosa come il catrame, pareva lambirgli le caviglie, ancorandolo a quell'attimo in cui l'aveva realizzato, in cui quel sentimento si era impossessato di lui. Inutile, era stato inutile. L'acqua torbida della sua coscienza risaliva piano lungo le gambe, sfiorandogli ora le ginocchia. Debole, era debole, troppo debole per proteggere le persone a cui teneva. Arrancando, procedette sempre più piano verso il luogo dell'incontro. Poco prima di svoltare l'ultimo angolo, si appoggiò di peso con il braccio alla parete, quasi avesse avuto un mancamento. Invece era un cocktail di angoscia e terrore. Con che coraggio poteva guardare in faccia i propri compagni, dopo tutto quello che avevano perso quella notte. Vite insostituibili, ma anche simboli in cui credere e, forse, financo la fiducia nel futuro. Respirando profondamente, chiuse gli occhi, aspettando che la stretta alla bocca dello stomaco si ritraesse almeno un poco.

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    Ascoltò con un nodo in gola le parole di Kairi. Anche lui doveva tanto a Sho, forse più di chiunque altro dei presenti quella maledetta notte. Eppure all'arrivo del fratello non era riuscito che a chinare il capo in un insulso saluto, finendo per non rialzarlo più dal pavimento fino a quando non aveva udito la voce dell'Uchiha. Tuttavia, continuò ad evitare che i suoi occhi incrociassero quelli di chiunque, limitandosi ad osservare la loro figura indistinta all'altezza del busto. L'offensiva di Cantha non aveva spezzato solo Konoha: anche molti dei suoi shinobi ne erano usciti a pezzi, in molti modi diversi. I medici l'avevano dimesso dicendogli che era guarito, ma questo valeva solo per le ferite del corpo. Quello dello spirito ci avrebbero messo molto di più a rimarginarsi, e probabilmente sarebbero rimaste delle cicatrici ben visibili. Nel frattempo tutti i convenuti erano giunti, e le porte dello studio si aprirono. Tra gli ultimi ad entrare, Shin posto vicino alla parete, prestando orecchio alle parole del suo kage, il quale esordì senza preamboli, gesto molto gradito dal ninja che non era in condizione di svolgere una conversazione formale. Il giovane della Foglia alzò un poco gli occhi per osservare i manufatti, che nonostante l'oscurità in cui si sentiva avvolto avevano almeno in parte risvegliato la sua curiosità. Eppure, all'affermazione del capo Villaggio sugli shinobi valorosi incurvò le labbra in un involontario spettro di sorriso, triste e carico di sarcasmo. I più valorosi eh? Forse era l'unico a percepire dell'atroce ironia in quella frase. Ognuno stava metabolizzando quello che era avvenuto a modo suo, il genin non metteva in dubbio che ogni persona, in quella stanza, nascondesse almeno una goccia di sofferenza per i fatti di quella notte maledetta. Eppure, tra di loro, l'unico per cui poteva parlare era se stesso. L'unico di cui doveva rendere conto, davanti alle vittime, era lui e lui solo. E di certo non era il più valoroso tra gli shinobi di Konoha. Non era il più forte, anzi era lontanissimo da quel traguardo. Però aveva risposto alla chiamato, quel giorno come allora. Quella, alla prova dei fatti, non era una premiazione: era una conta. Una conta su chi il Villaggio poteva contare, su chi Raizen poteva contare. O per lo meno questo fu il pensiero del Kinryu nell'udire lo scambio di battute tra il colosso e Yato. Il Senju non si trattenne, quasi come se la disavventura l'avesse caricato, o magari vedeva davanti a sé un leader piegato, e reagiva di conseguenza seguendo i suoi principi. In ogni caso, Shin alzò lo sguardo sul Senju, per la prima volta da quando si trovavano lì dentro. Uno sguardo freddo, ma muto. Non di rimprovero, neppure perforante. Semplicemente, privo di emozione, come una lettera senza testo. Un messaggio difficile da interpretare per lo stesso mittente. Nel suo campo periferico si mosse in quel momento la figura di Kairi, che stava esaminando più da vicino le maschere. Distratto, il ragazzo perse l'occasione di dare corpo e voce al suo pensiero ancora fluttuante e mancante di forma. Si avvicinò piuttosto alla kunoichi, guardando per la prima volta veramente quegli oggetti tra il maledetto e il sacro. D'istinto, quasi richiamata da una forza superiore, la sua attenzione si soffermò su quella che richiamava il volto di una volpe. Sorridendo debolmente, senza motivo, sfiorò con la mano la goccia che portava sotto gli strati di vestiti proprio sopra al cuore.
     
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