Ospedale della Foglia

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  1. raqiya
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    « storm and nàrkissos »

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    Al principio era immerso negli abissi di un mondo vuoto, asettico, privo di colori o di qualsiasi altro stimolo visivo, uditivo o olfattivo. Come se si trovasse in un torpore profondo, senza un inizio o una fine.
    Sarebbe stato difficile per chiunque descrivere un simile luogo, se di un vero e proprio posto si trattava.
    Tutto ebbe inizio in maniera improvvisa e inaspettata, con una sensazione di formicolio estesa a tutto ciò, che poi avrebbe capito, essere il suo corpo. E velocemente sopraggiunse un leggero senso di compressione, come se fosse interamente avvolto da qualcosa di non ben definito. Era un'esperienza nuova e sconosciuta, come, del resto, tutte quelle che seguirono.
    Aveva sviluppato la coscienza e la chiara consapevolezza di essere sveglio, vivo.

    Sprovvisto di una qualsiasi cognizione temporale, non sarebbe mai stato in grado di quantificare il tempo che trascorse in quella condizione, prima che mutasse, che si evolvesse. Percepì come una forte vibrazione prolungata, e poi un ronzio discontinuo, quasi fastidioso. E per la prima volta sentì qualcosa di diverso dalla solita pressione a cui ormai era abituato: captò i suoni del mondo che lo circondavano.
    Ad essere onesti, essi sostanzialmente si potevano riassumere in un'unico fenomeno fonetico: una voce.
    A volte debole e quasi fugace come un mormorio, altre volte chiassosa e straripante di energia, e altre volte ancora sembrava intonare una piacevole melodia. Aveva imparato a comprendere quella voce, a prestarle ascolto e ad attenderla con ansia, fino a provare una spiacevole sensazione di solitudine, di vuoto, quando essa mancava.
    Era per lui come un richiamo, una componente fondamentale della sua quotidianità.

    Infine, in maniera inaspettata come lo erano stati i precedenti, giunse un nuovo stimolo: luci e ombre assunsero per lui un significato concreto e letteralmente visibile.
    D'istinto, e forse inconsapevolmente, alzò lentamente le palpebre e ai suoi occhi una mescolanza confusa di colori si rivelò. Da prima in maniera tenue, con una chiarezza crescente, fino quasi ad essere accecante quando una serie di luci iniziarono ad accendersi in lontananza e ad avvicinarsi, accompagnate da suoni regolari, che ormai sapeva ben riconoscere e che preannunciavano il suo arrivo.
    Per la prima volta la vide, l'origine di quella voce, la osservò con estrema attenzione.
    I suoi colori, da prima opachi, divennero nitidi così come i lineamenti del suo volto e le forme del suo corpo in movimento. Seppur fosse la prima volta che la vide, sembrava riconoscerla perfettamente, come se non avesse dubbi al riguardo della sua identità.
    La seguiva con gli occhi con leggera fatica, la sua vista dinamica era in pieno sviluppo, e passarono una manciata di secondi prima che Lei se ne accorgesse, di essere fissata.
    Rimasero lì, a guardarsi reciprocamente.
    Fu il loro primo contatto.

    Senza rendersene conto, allungò un suo braccio verso di lei, attivando per la prima volta quelli che erano i suoi muscoli e le sue inesplorate capacità motorie. Non la raggiunse, c'era troppa distanza e se anche avesse avuto arti più lunghi avrebbe trovato ad ostacolarlo un qualcosa di solido e trasparente.
    Rimase a guardarla, ancora, mentre la sua piccola ed esile mano tentava di raggiungerla, afferrando il nulla.
    In quel momento intravide qualcosa, aldilà della mano: un riflesso, il suo riflesso, e non poté far a meno di notare la somiglianza tra lui e la creatura che aveva davanti. Erano simili, così tanto da suscitargli una sensazione di appartenenza.
    Non conosceva nulla, ma aveva l'incrollabile certezza di essere, in qualche modo, un tutt'uno con quella creatura.
    Indissolubilmente legati, così come lo erano i loro sguardi in quell'intenso momento.

    Alcuni sarebbero arrivati a descrivere la sua sola presenza come un'offesa alla vita stessa, altri avrebbero potuto gridare al miracolo, ma in entrambi i casi di certo si trattava di qualcosa di incredibile, innovativo, aberrante, qualcosa che nessun altro era mai riuscito a raggiungere. Che fosse il risultato di una casualità o il frutto di un genio, questo non era dato saperlo, non ancora.
    Eppure, era lì.
    La creatura di Shizuka Kobayashi, era nata.

     
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