Ospedale della Foglia

[Gestionale]

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  1. Arashi Hime
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    PENDOLUM

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    «Eccellente un cazzo.»



    Shizuka Kobayashi era sempre stata una ragazza graziosa, e crescendo era diventata una donna attraente.
    Ma dalla lingua biforcuta.
    Come ci si poteva aspettare da una Principessa che sedeva su un trono da centinaia di migliaia di Ryo e più nello specifico dal braccio destro dell’Hokage del suo Villaggio, raramente tratteneva per sé le sue opinioni. Soprattutto se queste serbavavano la maturità di verità troppo grandi per essere semplicemente taciute. Inarcando un sopracciglio la Chunin non esitò infatti a denotare il suo disappunto nel far schioccare la lingua. Le sue carnose labbra rubiconde si piegarono in una smorfia mentre lei alzava una mano per accarezzare il vuoto, gesticolando.
    «Questo va molto oltre quanto chiunque dovrebbe sapere, Raizen. Io non dovrei nemmeno essere qui, te ne rendi conto?» Chiese, guardando il suo interlocutore con un sorriso. «Abbiamo in mano i piani del Signore del Sangue di Otogakure. La matassa di equilibri che potrebbero rovesciare l’Alleanza o addirittura il Continente è nostra, ora. Capirai che questo va oltre un semplice “Eccellente”.» Fece presente. Calcolare percentuali e possibilità, manipolare la realtà, pianificare per ottenere il massimo profitto, erano le sue doti primarie. Ma in quel caso non era necessario impegnarsi tanto per capire che la situazione era piuttosto compromessa. Quella della loro sicurezza, e di Konoha stessa, lo era di certo, almeno. «Mi servirà del tempo per ripulire tutto, stavolta.» Concluse infine, prima che il Kage le ordinasse ciò che aveva già immaginato di dover fare.

    […]



    La mente di Shorinku Yamanaka fu duttile al suo volere come burro nelle mani calde di un bambino.
    Quando la Primario lo fece accomodare in uno degli ambulatori del primo piano dell’Ospedale per attuare su di lui quanto era logico fare per proteggerlo, il Jonin non sembrava temere l’operato a cui stava per abbandonarsi. Ma non si fidava. E Shizuka lo capì con un semplice sguardo.
    «Verrò a trovarti.» Disse la piccola kunoichi, sorridendo rammaricata. Nessun manipolatore poteva fidarsi di un altro, lo comprendeva, ma come sempre quel genere di circostanza la ferì, appianando un muro del suo cuore sempre più protetto. Quante volte si era presentata alla stessa persona? Quante volte aveva dovuto ricominciare da capo sperando in un esito diverso? Le solite domande. Le solite espressioni. Una, due, mille volte. Era l’arte dell’ombra quella, rara persino in un mondo di ninja, e benché supponesse di potersi dunque definire “privilegiata” per potervisi destreggiare, sopportarne il peso era sempre piuttosto complicato. «Spero che quando ci incontreremo di nuovo per la prima volta accetterai di diventare il mio maestro. Ci sono molte cose che sono certa di poter imparare da te, Shorinku-san.» Aggiunse dopo quell’attimo di silenzio, riaprendo lentamente gli occhi e apponendo poi le mani alle tempie del biondo, sorridendo.
    Una decina di minuti dopo usciva dalla camera visite e attirava a sé con un movimento allegro della mano una giovane ragazza dai voluminosi capelli corvini e i grandi occhioni bianchi, la quale si inchinò con rispetto appena le fu di fronte.
    «Semplice stanchezza, come potevamo immaginare da un membro della squadra Sigillatori.» Si limitò a dire, e la Hyuuga annuì. «Sta riposando, ora. Vorrei che rimanesse in osservazione almeno un altro paio di ore, comunque. Quando si sveglia, perciò, sii così gentile da portarlo nel mio ufficio, ci sono delle pratiche che deve in ogni caso compilare prima di andarsene. E’ possibile che ricorderà poco o nulla di cos’è successo, gli svenimenti fanno schifo, lo sai Junko.» Bofonchiò, mettendosi a braccia conserte, e l’altra si mise a ridere, scuotendo la testa. I ritmi in ospedale erano tali che entrambe erano cadute in quella trappola diverse volte, dopotutto. «Lo affido a te. Il suo nome è Shorinku Yamanaka-sama.» E così dicendo si voltò, sbadigliando sonoramente.
    «Avete finito il vostro turno per oggi, Sensei?» Chiese all’improvviso la timida bianca, prendendo al volo la cartella clinica che la Primario le lanciò in braccio.
    «Ovviamente no. Ho idea di aver finito la fortuna, in compenso!» Borbottò per tutta risposta Shizuka, e l’altra scoppiò di nuovo a ridere, scuotendo la testa e imboccando la direzione opposta.

    Purtroppo però non mentiva: a quanto pareva aveva proprio esaurito tutta la fortuna che poteva avere a disposizione, ormai.

    «L’Alleanza rischia di finire in guerra.»
    Quando si richiuse la porta del laboratorio alle spalle la Principessa dei Kobayashi appariva elegante e marmorea come una statua destinata a non incrinarsi mai. Per un attimo infatti, con quel suo sguardo fermo e imperturbabile e i movimenti posati del suo corpo sinuoso, sembrava esser capace di sopportare il peso di centinaia di decisioni e pericoli senza rimanerne schiacciata. «Quelli che abbiamo visto non sono preparativi, Raizen. Sono semi. E possono tutti potenzialmente mettere radici in modo autonomo.» Le possibilità erano ancora abbastanza primitive da non potersi nemmeno definire tali, ma esistevano. E per lei era già abbastanza.
    Chiudendo gli occhi, la donna esitò un attimo sulla maniglia arrugginita di quel luogo dimenticato dagli Dei che lei aveva riscoperto e reso suo, com’era solita fare con tutto ciò che voleva. Perché non c’era niente che non potesse creare, plasmare e dunque ottenere, la Principessa dell’Airone.
    Lei che era Erede della Volontà del Fuoco, e dello stesso ardeva come nessun altro. Lei che si consumava eternamente nella creazione senza fine.
    «Non possiamo permetterci una guerra. Suna verrebbe spazzata via. Il Fuoco si è ripreso da troppo poco tempo, siamo molti, ma non ancora potenti come in passato. E Kiri ha equilibri che sembrano riassestarsi solo ora, non resisterebbe nemmeno una settimana.» Non sapeva se era lei a vedere tutto in modo così pessimistico o se, agli effetti, la situazione fosse davvero così compromessa.
    …Chi aveva deciso che l’Alleanza era la più forte?
    Da quando gli Shinobi del mondo conosciuto, di quella parte considerata “buona” e “giusta” almeno, avevano deciso di essere superiori a qualsiasi organizzazione, complotto o aspirazione “cattiva”?

    Precisamente, da quando si era fossilizzato tutto?

    «Ho già fatto iniziato a fare quello che dici, con chi credi di parlare?» Si limitò a dire la ragazza quando Raizen iniziò a snocciolarle ordini su ordini, e solo a quel punto iniziò ad avanzare verso di lui. Sotto un braccio teneva un raccoglitore di carta senza intestazione, che non esitò a mettere lui in mano. «Ho imparato a falsificare documenti da prima di diventare Genin, grazie a te.» Lo ammonì severamente. In effetti quei due ne avevano combinate di tutti i colori da quando erano molto meno di quello che erano ormai. «Le mie cartelle non hanno mai avuto una pecca. Ma avrò bisogno di tempo per occuparmi di lui.» Mormorò guardando Eiatsu. Chiuse gli occhi, contratta. «Credo che sia giusto occuparci di questa faccenda in modo cauto. Ma nel mio cauto, non nel tuo E così dicendo porse all’Hokage il registro su cui aveva scarabocchiato per tutto il tempo dell’interrogatorio. «Posso pianificare quello che ti – ci– serve…in meno di due giorni.» Fece presente, ragionando rapidamente. «Ma avrò bisogno di aiuto. E sì, toglierò i miei ricordi. E anche i tuoi, se per questo. Quando sarà il momento, ovviamente.» Sorrise, non sembrava un granché intenzionata a trattare. «Non perderò niente di questa esperienza. Questo registro mi basta. Non c’è scritto niente se non appunti e correzioni, ma credi davvero che anche sotto amnesia non mi emozionerei come una bambina auspicando a queste possibilità?» Scoppiò a ridere, quell'idea era abbastanza ridicola da stimolare ironia in chiunque. «Rilassati, grande Hokage. Concludo io.» Come sempre.

    Shizuka Kobayashi non era la shinobi più potente in circolazione. Anzi.
    Piena di carenze. Un tumulto caotico in continua evoluzione. Un vulcano di potenzialità e idee senza forma né sostanza che continuava a crescere, mutare e ingrandirsi senza sosta.
    Avrebbe potuto diventare tutto e niente. In modo quasi offensivo, avrebbe potuto creare e distruggere. Era ancora un’infante in un mondo di Giganti.
    Ma non si era mai tirata indietro.
    Mai.

    «Perdonami, Eiatsu.» Sussurrò Shizuka, abbassandosi sul corpo dell’Otese, che cinse in una sorta di abbraccio mentre portava le sue labbra dipinte di rosso sull’orecchio di lui. Chiuse gli occhi. «Nessun ninja merita ciò che hai subito tu. Ti prego di capire, però: tu agisci con uno scopo e proteggi ciò che reputi essenziale. E anche io.» Accarezzò piano la fronte al suo paziente, con gentilezza, mentre continuava a controllare le sue costanti sui monitor medici che avrebbero poi valutato un trauma cranico, ma senza apprezzabili emorragie letali, quanto piuttosto qualche piccolo ematoma da impatto che probabilmente avrebbe lasciato alcune cicatrizzazioni, ciò che serviva a loro, dunque.
    Era tutto sotto controllo. Ogni variabile era valutata. Avrebbe seguito le indicazioni con scrupolo e accuratezza, senza esagerare, senza sbagliare. Era una perfezionista, una valutatrice, raramente eccedeva laddove non poteva.
    Per chi viveva sul filo del rasoio, del resto, l’equilibrio era importante. E lei ne aveva un controllo perfetto.
    Stringendo la mano a pugno, la kunoichi sorrise, alzando poi il braccio verso l’alto. E la sua dolcezza, adesso, illuminata dalle lampade sconquassate del suo laboratorio molto segreto e molto poco piacevole, avrebbe potuto dare i brividi.
    «Grazie del lavoro svolto.»

    …E abbassò di scatto il braccio sulla nuca.

     
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