Ospedale della Foglia

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    RUSE

    Nature hides her secrets because of her essential loftiness, but not by means of ruse.



    Al principio, fu l’errore.

    Non uscì dal suo laboratorio per sette giorni e sette notti.

    Nessuno seppe dove si trovava.

    Fu il caos.



    In ginocchio nel suo laboratorio, con le mani sul pavimento disseminato di fogli, alcuni vecchi e altri nuovi, Shizuka Kobayashi trattenne il fiato. Il suo volto, contratto in un’espressione di rabbia furiosa, frustrazione ed eccitazione, si tese più di quanto già non fosse. La sua fronte imperlata lasciò precipitare a terra una goccia di sudore, che impattò con rumore intollerabile sul pavimento dopo aver roteato nel vuoto per qualche secondo saturo d’attesa, finendo così con il mescolarsi a macchie rubiconde e congestionate di quello che sarebbe forse parso sangue, se non fosse stato tanto sporco e polveroso.
    Non se ne curò.
    Era stanca. Esausta. La sua mente, lo sentiva, sul bilico della follia.
    Non aveva tempo per curarsi di se stessa.

    […]



    Non aveva mai davvero capito cosa stesse studiando.



    Affamata di sapere, accecata dal desiderio di diventare abbastanza potente da rendersi la Difesa Totale della Konoha che desiderava proteggere, la giovane Chunin aveva semplicemente divorato un tomo dopo l’altro nei mesi che si erano susseguiti dal giorno in cui Raizen le aveva concesso il permesso di avvicinarsi alle Arti Proibite del loro Villaggio.
    …Uno dopo l’altro, senza sosta né pietà, aveva letto libri, rotoli, raccoglitori. Aveva imparato a memoria. Ripetuto. Applicato. Sperimentato.
    E così, in meno di tre mesi, aveva imparato a rianimare organi interni in corpi senza vita. A riprodurre tessuti in vitro che erano divenuti arti. A clonare porzioni corporee di quei cadaveri ancora non troppo avvizziti che lei continuava a rubare dall’obitorio ogni qualvolta le veniva comunicata la triste notizia per la quale nessuno avrebbe potuto reclamare un povero deceduto. E che allora era lei a prendere, decidendo che sarebbe stata la scienza la sua giusta bara. L’ultimo grande sacrificio che un vero Shinobi avrebbe dovuto fare per il proprio Villaggio.

    Ben presto comprese che probabilmente si stava spingendo molto oltre quello che qualsiasi altro ninja medico della Foglia avesse mai fatto. Qualsiasi altro.

    Tranne lui.

    Non aveva idea di chi fosse. Del resto i suoi appunti, come anche le recensioni e le osservazioni che forniva, o gli esperimenti sapientemente mirati e soppesati nel corso di mesi e anni di date che risalivano a quasi cento anni prima, non recavano mai una firma. Mai.

    Eppure era un genio.

    Le sue osservazioni superavano quelle di qualsiasi tomo considerato legale, di qualsiasi insegnamento che il più illuminato dei medici poteva impartire. Le annotazioni a lato di ciascuna pagina avrebbero stuzzicato l’eccitazione intellettuale di ogni studioso. Come poteva essere altrimenti? Le sue supposizioni dipingevano un futuro superiore e incredibile in cui non esistevano malattie. Né morte.
    Dove la sofferenza era appannaggio solo di uno stadio successivo. Perfetto.
    Immacolato.

    Molte pagine però erano strappate.

    Dilaniate in raptus tali da scardinare persino le rilegature di quelli che forse, un tempo, erano stati quaderni o registri; tante pagine di quel Giardino del Sapere erano state distrutte. Per sempre.
    Attentato alla Conoscenza. Furto di Intelletto. Omicidio di Menti.
    Ecco come lo aveva chiamato, strillando di una rabbia cieca e sorda.
    …Quale stolto avrebbe mai tentato di distruggere Archivi come quelli? E perché?
    Non avevano capito, forse?!
    Era la genialità, quella.
    E mai come in quel momento si era sentita tanto affine al modo di pensare di uno storico. Finalmente qualcuno che come lei condivideva la sua curiosità, la sua fame di sapere, il suo insaziabile desiderio a migliorare sempre di più…

    Capì la ragione al suo primo esperimento in vitro.
    E quando si rese conto cosa fosse ciò che oscillava nel fluido del cilindro di conservazione del suo laboratorio, non poté fare a meno di sentire tutto il sangue del suo corpo defluire verso i piedi, drenandola di energie, vita e anche di tutto l’entusiasmo che fino ad un istante prima ne aveva ottenebrato la mente resa stolta dalla voglia di sapere.

    Aveva riempito lei i buchi delle pagine di appunti.
    Aveva riscritto lei le porzioni di osservazioni mancanti.
    Aveva sanato lei i calcoli matematici e le misurazioni chimiche cancellate di forza.
    Lei.

    Indietreggiando di un passo, a cui ne seguì un altro, e poi un altro ancora, Shizuka Kobayashi aprì lentamente la bocca nel vuoto. Ma dalle sue labbra schiuse e tremanti non uscì neanche un lamento.
    Nemmeno quando urtò un mobiletto del suo laboratorio, rovesciandolo a terra in un’orchestra di fiale in frantumi, liquidi dall’odore pungente e attrezzi medici di metallo immacolato; la Principessa della Foglia riuscì a fare altro che rimanere con gli occhi immobili sul cilindro di contenimento.
    Le sue mani oscillavano quando si alzarono a stringere con puro terrore il suo viso perfetto. Ma anche in quel momento nessun filo di voce sfuggì dalla sua bocca ricurva.
    Non aveva diritto. Non aveva diritto neanche di pentirsi.
    Non lei.

    […]



    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne marciume.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne abominio. E poi feccia.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante divenne abominio.
    L’abominio divenne carne purulenta. Marciume.
    Latrati e unghie di corvo su vetri creptati.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante divenne mostro.
    Il mostro divenne gorgoglii di dolore. Ringhi gutturali. Suoni rigurgitati.
    Piaghe purulente di grumi nodosi e osceni.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Il tessuto divenne embrione. L’embrione divenne feto.
    Il feto divenne infante. L’infante bambino.
    E poi ragazzo. E poi adulto. E poi vecchio.
    Sciolto su se stesso in un’accelerazione di vita e di morte.
    Spirale di peccato. Croce della presunzione.

    Al principio fu l’errore.
    Fu il caos.

    Pianse di ciò che aveva fatto.
    “Perdonatemi, Dei” disse la più promettente Medico di Konohagakure no Sato. “Perdonatemi, ho guardato oltre. Oltre ciò che è giusto.”

    Ed era vero. Lo aveva fatto.

    Il cimitero del Villaggio della Foglia non vantò mai tante lapidi di legno prive di nome.
    E mai tanti fiori freschi.


    Non si fermò.




     
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