Ospedale della Foglia

[Gestionale]

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  1. Arashi Hime
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    HERE WE GO...AGAIN

    A smart man makes a mistake, learns from it, and never makes that mistake again.




    “Abbiamo un problema”
    Risposta: «Come sempre.»

    Quando Raizen Ikigami fosse entrato nel laboratorio sarebbe con ogni probabilità rimasto un attimo in silenzio. Di fronte ai suoi occhi, infatti, Shizuka Kobayashi stava schiacciando della roba color ocra in un pestello di marmo. Accanto a lei Makuramon, la scimmia da laboratorio, era attaccata a quattro tipi diversi di flebo, solo l’ultima delle quali dello stesso colore dell’impiastricciamento che la sua padrona stava combinando. L'animale aveva in testa una specie di caschetto pieno di elettrodi colorati che di tanto in tanto si illuminavano, il che avveniva di solito in concomitanza con il brontolino del suo stomaco o con uno sbadiglio.
    «Come ti senti?» Chiese, del tutto incurante, la Primario. La scimmia fece un paio di gesti, commentò con minuzia di dettagli, infine annuì. «Quindi ancora no…mh, non riesco a capire. Eppure le droghe e i veleni mi riescono così bene.» Si grattò la testa con aria assente prima di rimettersi a pestare il miscuglio. «A quanti giorni siamo?» Domandò a quel punto. Sembrava incurante della presenza dell’allibito Raizen, come del resto la scimmia, che con tutta la calma del mondo si girò a guardare un calendario appeso alla parete in cui erano spuntati quattro giorni. «…Solo quattro giorni digiuno? Beh ma se non sei ancora svenuto è merito dei miei tonici, stupida bestia masochista e psicolabile.» Protestò la donna, tirandogli un calcio. La scimmia piagnucolò con poca convinzione. «Allora dillo che ti fanno effetto…benedetti gli Dei, farò meglio a clonare qualche essere umano per i miei esperimenti.» Affermò con tutta la normalità del mondo. Sembrava stesse parlando di pizzi e fichi. «Tieni, mangia questo.» Riprese a dire, piantando in gola all’animale una cucchiaiata di quella sbobba impestata. La scimmia, dopo un attimo di silenzio, sembrò sul punto di vomitare a terra. «Non osare, c’è un’ora di lavoro: questo tonico dovrebbe darti un sacco di forze, chiarezza intellettiva e anche prestazioni sessuali maggiori. Ma quest’ultimo dettaglio non voglio saperlo.» Puntualizzò gentilmente, mentre la bestia si metteva le mani alla gola. «Ho usato ginseng, rabarbaro, un tocco di menta piperita e radici dure del Paese dei Demoni.» Rimase un secondo in silenzio fissando il babbuino giapponese che gemeva, deglutendo a fatica. «Immagino che il sapore vada migliorato.» Osservò, grattandosi il mento. Solo a quel punto, come se si fosse appena ricordata, si sarebbe girata verso Raizen, e avvicinandosi a rapidi saltelli, avrebbe messo una mano sulla spalla del Gigante (preventivamente mettendosi in punta di piedi). «Raizen, è in nome della scienza.» Avrebbe annunciato seriamente…detto questo, senza esitazione, avrebbe tentato di infilare un cucchiaio di (pseudo)tonico in bocca all’Hokage.

    Il sapore sarebbe stato quello di pecorino stagionato.
    Pecorino con i vermi.

    […]


    Non fu un problema per lei trovare una stanza privata ospedaliera, e nemmeno trasportarvi dentro Eiatsu Nai. Falsificare la documentazione dell’uomo, avvalorandola con gli esami effettivamente svolti su di lui fu un gioco da ragazzi dettato da quel tipo di esperienza che si acquisisce nel tempo (e lei falsificava documentazione ufficiale da quando aveva sedici anni). Per finire, anche il monitoraggio utile ad un naturale e sereno risveglio fu semplice da mettere in pratica.
    Le premure della Primario si sarebbero rivolte in special modo a lasciare al corpo dell’Otese il tempo di metabolizzare autonomamente i medicinali, ritrovando così da solo il proprio equilibrio: in questo modo il fisico non avrebbe tenuto alcuna traccia umanamente rilevabile di nessuna delle medicine somministrate o dei traumi subiti, suggerendo in questo modo una normale guarigione a fronte di una cartella clinica basata, come pattuito con Raizen, su un’aggressione.
    Chakra, vitalità, energie: tutti i parametri erano nella norma, anzi, se possibile migliori di prima. Shizuka Kobayashi si sarebbe infatti premunita ogni giorno, nella settimana di degenza che le era stata richiesta, per curare personalmente lo Shinobi al servizio del Signore del Sangue, tanto che quando ebbe finito con lui, non solo si sarebbe detto l’uomo con la salute migliore di tutto il continente, ma per qualche ragione persino la pelle ne sarebbe uscita tonificata e soffice. Le unghie curate. I capelli pettinati.
    “Devo smetterla di trattarlo come una bambola” pensò tra sé e sé la kunoichi, mentre massaggiava i muscoli delle gambe dell’uomo con dovizia e attenzione. “Oh Pochi…mio amato Pochi…perché sei tu Pochi?” gemette mentalmente la Primario, premendo i punti nevralgici del corpo dell’uomo. L’idea era quella di stimolare il flusso sanguigno, linfatico e chakrico, rimettendo in sesto gli arti altrimenti spossati dalla degenza. "Rinnega i Mikawa, rifiuta il tuo nome...eccetera eccetera" tagliò corto, ponendo una mano sopra la gamba e facendo pressione con indice e medio dell'altra mano sotto il polpaccio. “…come farò senza di te nel mio laboratorio…”

    Era addolorata.
    Ma questo non la fermò dal (far finta di) toccare il culo al paziente.
    E anche dal chiamare Raizen qualche ora prima che questi si svegliasse.

    «Valuta che sta benissimo, ma all’inizio non ricorderà niente: sarà spaesato, la botta in testa non è stata delle migliori e tutto quello che ne è seguito anche meno.» Avrebbe detto quando l’Hokage fosse arrivato. «Ho fatto del mio meglio, ma non escludere nessuna reazione.» Offrì la cartella clinica dell’Otese in mano alla Volpe. «Mi trovo qui fuori se ti servo.» Disse gentilmente. «E queste sono per te.» Aggiunse, infilando in mano al Colosso delle caramelle.

    Caramelle fatte in casa. Molli. Color vomito di gatto malato.

    C’era da dire di lei, che non si arrendeva mai.

     
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