[Primo Accesso] Mura di Konoha

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  1. Alastor
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    _The Doors_
    CAPITOLO III


    S h a c k l e s W i l l S e t M e F r e e




    La domanda sullo stato di salute delle persone da me nominate non trovò replica. E la cosa non mi stupì affatto, a dire il vero, visto che il guardiano aveva ben altri pensieri per la testa in quel momento.
    Nonostante la distanza che ci divideva, infatti, ero comunque vagamente riuscito a notare come, via via che la mente dell'uomo assorbiva le mie parole, la sua postura rilassata fosse andata irrigidendosi progressivamente. Ed ero piuttosto convinto, sebbene, ancora, la lontananza non mi aiutasse, che anche l'espressione del suo viso, proterva e beffarda fino a quel momento, fosse diventata di pura incredulità e sbigottimento.
    Fu in quel momento che il giovane guardiano tornò a fare capolino sull'alta struttura, reggendo quasi miracolosamente un enorme volume il cui peso doveva essere ragguardevole, a giudicare dalla difficoltà che sembrava avere anche solo nel camminare senza crollare a terra. Il collega, probabilmente ancora assorto nelle sue riflessioni, ci mise un po' più del dovuto a rendersi conto del suo arrivo, nonostante il passo del ragazzino fosse tutt'altro che felpato, gravato com'era. Senza proferir parola, si appropriò con gesto poco cerimonioso del grosso registro e lo consultò per alcuni secondi, poi lo vidi immobilizzarsi.
    Sicuramente l'aveva trovato. Aveva trovato il nominativo che gli avevo indicato. Non aveva senso pensare altrimenti, dopotutto i sorveglianti della porta di Konoha erano sempre molto scrupolosi nell'annotare quali ninja entravano e quali uscivano, il tutto corredato con le rispettive date. La cosa era ovviamente positiva per me, poiché di fatto dimostrava, anche in maniera piuttosto inconfutabile, che almeno quel frammento del mio resoconto era veritiero. Sarebbe stato il massimo, in realtà, se solo non avessi apertamente ammesso che il nome scritto su quel documento ufficiale non era realmente il mio. E questo era un dettaglio non da poco, e non mi illusi neanche per un istante che me l'avrebbero fatta passare liscia per quella faccenda.
    Il biondo guardiano si rivolse al suo aiutante con parole che purtroppo non riuscii a udire. Erano state proferite con un tono troppo basso. Fatto sta che il ragazzino, dopo averle udite, corse via, sparendo per la seconda volta dalla mia vista.
    Restai lì fermo, con lo sguardo volto a quello che fino a pochi istanti prima era stato il mio interlocutore, in attesa che mi ponesse ulteriori domande o mi informasse di ciò che stava per accadermi, tuttavia l'uomo, pur continuando a sorvegliarmi con occhio vigile e vagamente malevolo, non aprì bocca. Non disse nulla, e non sembrava intenzionato a farlo a breve.
    Probabilmente non intendeva prendere ulteriori iniziative in prima persona e si limitava ad attendere che l'altra guardia eseguisse le sue direttive. Direttive che ovviamente mi erano ignote. Potevo solo fare congetture, in maniera anche abbastanza inconcludente, ma tutto sommato la possibilità più verosimile ritenevo che fosse l'andare a chiamare qualcuno che deteneva maggiore autorità, il quale, con mia buona pace, avrebbe deciso cosa farne di me.

    La giornata era stata lunga e faticosa, e si profilava tutt'altro che prossima ad una pacifica conclusione per il sottoscritto. Non sapevo quanto mi avrebbero fatto attendere lì, davanti a quel maestoso portale, per cui mi presi la libertà di sedermi a terra, a gambe incrociate. Anche in tale postura il mantello riusciva a coprirmi dalle spalle in giù. Restai così, fermo e silente, come un monaco in meditazione, ma in realtà il mio animo era turbato.
    Ero certo di aver fatto la cosa più giusta, tornando a Konoha e raccontando la verità sul mio conto, di questo ero fermamente convinto. Non mi sarei mai pentito di ciò, qualsiasi sorte mi attendesse, tuttavia era innegabile che provassi una certa inquietudine al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere di lì a poco. Non sottovalutavo la gravità delle mie azioni, e sicuramente nemmeno chi amministrava il villaggio l'avrebbe fatto.
    Negarmi l'accesso alla Foglia, e anzi bandirmi per sempre dal suo territorio appariva un'eventualità tutt'altro che fantasiosa, come anche l'essere incarcerato. Essere giustiziato, sinceramente, mi sembrava un tantino eccessivo e la ritenevo un'ipotesi alquanto remota, sebbene tale impressione non fosse realmente supportata da conoscenza o esperienza concrete.
    Nonostante la vita ritirata e vagabonda che avevo condotto negli ultimi anni, ero comunque riuscito, seppur in maniera non soddisfacente, a tenermi informato sulla situazione sociopolitica nelle terre ninja. Ero dunque al corrente del periodo problematico che Konoha aveva attraversato e che stava tuttora vivendo, pur ignorandone le cause scatenanti e i dettagli in generale. La cosa certa è che la congiuntura era tutt'altro che favorevole, ed è proprio in quei momenti che chi governa, sotto il peso della paura e delle aspettative, tende a farsi più cauto e inflessibile, talvolta anche intrattabile. E se il mio tempismo nel fare ritorno era stato pessimo come temevo, dubitavo che avrei trovato alcuna clemenza da parte delle alte sfere.
    Ma non potevo farci niente, e stare a crucciarsi era uno stupido modo per ingannare il tempo. Qualsiasi cosa fosse successa, l'avrei affrontata con serenità e risolutezza, senza abbattermi.

    D'improvviso, sentii un assai lieve peso gravarmi sulla spalla destra, e girando piano la testa mi accorsi che un piccolo pettirosso vi si era appollaiato sopra. Quando i nostri sguardi si incontrarono lui cinguettò e io, per tutta risposta, smagliai un tenero sorriso, qualcosa che nessun essere umano, meno uno, da quasi dieci anni a quella parte aveva probabilmente mai visto stampato sul mio viso. Tirai fuori la mano sinistra da sotto al mantello e gliela offrii. Era vuota purtroppo per il piccolo volatile, che magari sperava in qualcosa da mangiare, ma ormai avevo finito anche la scorta di cibo per me stesso, che era stata accuratamente calibrata sulla durata del viaggio. Dopo una breve esitazione, l'esserino entrò nel mio palmo, continuando a guardarmi curioso, piegando impercettibilmente il collo su di un lato. Cinguettò ancora due volte al mio indirizzo, poi si girò e volò via, battendo rapido le minute ali e librandosi in alto davanti a me.
    Fu seguendolo con lo sguardo che mi accorsi che una nuova figura si stagliava sulla sommità delle mura, che solo pochi istanti dopo sarebbe stata raggiunta dalla nota sentinella.

    Una figura femminile. Non ebbi il tempo di mettere a fuoco, che subito la sua voce mi trafisse come una lama rovente.
    « JAKEN! »
    Quel residuo di sorriso che l'uccellino era riuscito a regalarmi svanì del tutto, mentre mi rimettevo all'impiedi con sconsiderato impeto, tanto che il mio fisico acciaccato ne risentì lievemente all'altezza del fianco destro. Finalmente in posizione eretta, restai lì impalato con il capo levato al cielo, le labbra leggermente aperte, la fronte increspata e le palpebre che sbattevano ripetutamente e disperatamente, tentando di aiutare gli occhi a confutare ciò che, follemente, aveva partorito la mente. Ma c'era poco da confutare.
    D'accordo che ero stanco, d'accordo che ormai la luce cominciava a scarseggiare, e potevo senz'altro riconoscere che la distanza e la pessima prospettiva di visuale, dal basso verso l'alto, fossero una bella scocciatura, va bene tutto. Però, accidenti, gli occhi mi funzionavano ancora e l'udito non mi faceva difetto.
    Quella voce mi era nota, per quanto suonasse piuttosto diversa da come la ricordassi. Quella sagoma, che indubbiamente apparteneva a una giovane donna formosa ma slanciata, dovetti fare un certo sforzo di immaginazione per riuscire ad associarla alla persona che avevo in mente, e ancora non ero del tutto convinto. E in tutto ciò, ero ancora a bocca aperta.
    Alzai il braccio destro con lentezza quasi esasperante, distendendolo poi sopra la mia testa con la mano aperta, in segno di saluto. Mi schiarii la gola, ma tutto quello che mi riuscì di dire, con tono incredulo, fu:
    «Shi...Shizuka?»
    E probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a sentirlo, poiché ciò che venne fuori fu poco più di un sussurro.
    La giovane si voltò verso il guardiano mentre mi indicava, dicendogli qualcosa che non potei udire, poi tornò ad affacciarsi in mia direzione. Parve sul punto di saltare di sotto, probabilmente per venirmi incontro, ma fu bloccata dall'uomo, che subito le rivolse parole aspre e cariche di sadica soddisfazione.
    « Il tuo maestro è appena stato accusato di tradimento ai danni di Konoha, principessina, muovi un passo verso di lui e avrò finalmente un motivo legale per sviscerarti come una bestia. Nessuno, nemmeno il tuo fidanzatino Uchiha riuscirebbe a salvarti stavolta, quindi attenta a quello che fai... non vorrai affliggere la tua famiglia con un altro tradimento dopo quello di tuo fratello Kuroro, vero? »
    Stavolta il biondo non si era dato pena di tenere basso il tono di voce, così riuscii a sentire chiaramente tutto quanto disse. E fu veramente straordinario quante cose quelle poche frasi riuscirono a rivelarmi, e tutte di una certa gravità.
    In primo luogo, esse manifestavano senza riserva un profondo odio da parte dell'uomo nei confronti della ragazza, la cui causa e origine tuttavia non potevano che essermi sconosciute, ma quello che realmente mi lasciò di stucco fu il venire a conoscenza di due cose.
    La prima, che comunque non era certo imprevedibile, era che già venivo accusato di tradimento. E non vedevo chi altri avesse potuto formulare tale incriminazione se non il guardiano stesso, dato che la notizia del mio ritorno presumibilmente non era stata ancora divulgata. A meno che egli non disponesse di una trasmittente o altro mezzo per tenersi in contatto diretto con l'amministrazione di villaggio, o comunque con chi prendeva quel genere di decisioni, ma in tal caso, se mi era già stata affibbiata la funesta imputazione, cosa aspettava a prendere provvedimenti?
    Tali valutazioni, tuttavia, riuscirono addirittura a passare in secondo piano quando arrivò la seconda batosta: Kuroro Kobayashi aveva tradito. Mi riusciva davvero difficile credere a una cosa del genere, eppure le parole che avevo udito non lasciavano spazio a dubbi su un ipotetico tono ironico. Eppure era davvero strano, di quella persona avevo un ricordo piuttosto positivo.
    Magari aveva una mentalità fin troppo rigida e quadrata, però sembrava un ragazzo onesto e che soprattutto metteva sempre l'onore al primo posto, nonostante il tipo di carriera che aveva scelto. Mi chiedevo se non ci fosse sotto dell'altro. Quale torto poteva aver subito, quale ambizione poteva aver perseguito, per arrivare ad una rottura con la Foglia? Ancora una volta non ebbi tempo di indugiare in tali pensieri, poiché in cima alla barriera la situazione stava rapidamente degenerando.
    Shizuka fronteggiava colui che ancora le serrava il polso, poi accorciò ulteriormente la distanza con movimento repentino. Non avevo la più pallida idea di cosa gli stesse dicendo, però dopo quanto avevo sentito, e con l'atmosfera carica di disprezzo e risentimento che riuscivo ad avvertire persino io ad una tale distanza, avevo la chiara impressione che da un momento all'altro i due sarebbero scivolati dalla violenza verbale a quella fisica.
    Non sapevo che cosa ci fosse tra i due, il motivo di tutto quell'astio, ma di certo non mi andava a genio che cominciassero ad ammazzarsi davanti a me, e soprattutto non tolleravo l'idea che, per quanto la corrente condizione dei due non fosse stata da me causata, lo fosse invece l'occasione, la situazione in cui adesso si ritrovavano. Poi non riuscivo a capacitarmi di come un guardiano delle mura, che dovrebbe essere una delle figure più responsabili del villaggio che ha giurato di proteggere, scadesse in stupide diatribe e faide personali mentre svolgeva il suo mestiere, con una potenziale minaccia come io ero ritenuto alle porte di Konoha, per giunta.
    Volevo porre fine a quella idiozia. Volevo urlare a pieni polmoni per attirare, almeno provvisoriamente, l'attenzione dei due e distoglierli dai loro bellicosi intenti. Volevo dire all'uomo che, alla luce delle evidenze raccolte tramite documento cartaceo e tramite testimonianza diretta, poteva anche procedere a fare di me quello che doveva e a condurmi dove dovevo essere condotto. Volevo dirgli che Shizuka, che ormai mi aveva identificato, poteva essere congedata, perché non desideravo coinvolgerla oltre nei miei problemi. Questo volevo, e questo intendevo fare.
    «EEH–»
    L'urlo fu emesso solo per metà e mi si strozzò in gola, quando mi resi conto che un nuovo arrivato era giunto e si avvicinava a rapidi passi verso i due litiganti. La visibilità ormai era compromessa, ma sicuramente non si trattava del giovane guardiano tuttofare.
    Fatto sta che questo individuo, quando raggiunse il luogo dell'annunciato misfatto riuscì a sedare le ostilità, prendendo poi a parlare prima con l'uomo, poi con la donna, poi ancora con l'uomo.
    Ancora una volta, non mi era dato sapere cosa si stessero dicendo, ma avevo la sensazione più che fondata che, per buona parte, si stesse parlando di me.

    L'attesa non fu troppo lunga e, quando i tre finirono di confabulare, il nuovo arrivato si allontanò per poi ricomparire dall'enorme portone che si schiuse per consentirgli il passaggio.
    Mentre camminava in mia direzione, potei finalmente distinguerne meglio le fattezze. Era più basso di me ma dovevamo essere grosso modo coetanei, aveva corti capelli neri e occhi dello stesso colore. Vestiva sobriamente e mi guardava con occhi freddi e attenti.
    Quando mi raggiunse, subito mi rivolse la parola.
    «Allora... Signor Magato Kanzaki... O devo chiamarti Jaken Zangyaku? Io sono Atasuke Uchiha, guardiano di Konoha... Racconta anche a me che cosa ci fai qui, il perchè di due nomi distinti e tutto ciò che sai dirmi su queste accuse che ti vengono mosse...»
    Dunque si trattava di un altro guardiano di Konoha, che forse era stato chiamato come rinforzo o che casualmente si era trovato a passare di lì, non saprei.
    Comunque, senza alcun indugio, chinai leggermente il capo in segno di rispetto quando il ragazzo si presentò e prontamente replicai. Il mio tono era serio e pacato, gli occhi puntati su di lui.
    «Malgrado le circostanze, è un piacere conoscerti Atasuke Uchiha. Puoi chiamarmi Magato.
    Le accuse ai miei danni che ti sono state riferite sono principalmente legate proprio al nome da me adottato sin dal mio arrivo a Konoha, poco più di quattro anni fa, che ho appena dichiarato essere fittizio.
    Ciò che ho tradito è la fiducia che il Villaggio e i suoi abitanti mi avevano accordato, mentendo sulla mia identità.
    Non è mia intenzione giustificarmi, ma sappi che non l'ho fatto per nuocere a qualcuno, e tantomeno alla Foglia. Avevo bisogno di rendermi irrintracciabile per degli individui che mi davano la caccia, ma anche tale precauzione si è rivelata inefficace nel lungo periodo. Così, ho ritenuto opportuno sparire dalla circolazione per qualche tempo, per sicurezza mia e anche del Villaggio.
    Pure di questo dovrò rendere conto, e lo farò.
    »

    Respirai profondamente, e i miei occhi ora erano più decisi che mai, così come la mia voce.
    «Intendo affrontare le conseguenze di ogni mia azione, quali che siano, ma non chiedermi di andare via. Non voglio, non più.»
    Quando Atasuke tirò fuori delle manette e mi fece cenno di porgergli i polsi, non mi stupii, date le circostanze, anche se ovviamente non gioivo all'idea di essere trattato come un criminale. Ciò nonostante non recriminai, al contrario.
    «Un momento.»
    Mi slacciai il mantello all'altezza del collo per poi sfilarmelo di dosso e stenderlo a terra a mo' di tovaglia da picnic, poggiandoci un piede sopra perché il vento non lo facesse volare via. Rimossi le sacche che contenevano armi ed equipaggiamento vario e gliele poggiai sopra, legai il tessuto creando una sorta di fagotto, dopodiché rimossi la wakizashi che portavo dietro la schiena legata all'altezza della vita e ne infilai l'estremità dotata di tsuba dentro l'involto, così che potesse essere usata, volendo, come sorta di bastone per trasportarlo appoggiato a una spalla.
    In pratica mi ero appena disarmato nonostante non mi fosse stato richiesto, almeno non ancora. Dopotutto, ritenevo che non avesse molto senso ammanettare una persona se poi poteva tranquillamente avere accesso a delle armi, per quanto adoperarle con le mani legate non fosse facile.
    Ogni gesto di quella operazione era stato fluido e palese, così che l'uomo che mi stava davanti non potesse in alcun modo pensare che quelle armi intendessi piuttosto usarle. Un'eventuale perquisizione della mia persona non avrebbe fatto emergere altri oggetti pericolosi.
    Senza più il mantello indosso, il mio vestiario era finalmente in evidenza, nella sua semplicità. Una giacca uwagi leggera, con le maniche arrotolate sopra i gomiti, color verde militare. Sotto di essa, una fasciatura bianca nei pressi della spalla sinistra si intravedeva appena, e probabilmente non era l'unica. Un ampio pantalone nero di cotone, che arrivava appena sotto al ginocchio e lì si stringeva, i piedi nudi.
    Mentre i miei ondulati capelli corvini, lunghi all'incirca fino alle scapole, continuavano ad essere frustati dal vento, porsi quanto di cui mi ero privato ad Atasuke, oppure, se non l'avesse preso in consegna, l'avrei lasciato lì a terra. Dopodiché, mentre le mie labbra, piuttosto carnose e vivide sulla carnagione chiara, si piegarono appena in un breve sorriso, mentre i miei occhi grigi, contesi tra l'ardesia spento, il cenere e l'argento, lo scrutavano, quasi in maniera rassicurante.
    Fu in quel momento che, con inusitata dignità, protesi le braccia in avanti, a pugni chiusi, per lasciare che mi ammanettasse.
     
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