[Primo Accesso] Mura di Konoha

[Free GdR] [Macro GdR]

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. Alastor
        Like  
     
    .

    User deleted


    _The Doors_
    CAPITOLO IV


    H o p e




    Mentre rivolgevo le mie parole all'Uchiha, mi rendevo conto che costui le ascoltava con impassibile calma, mentre mi osservava algido e attento. I suoi occhi di fredda onice non lasciavano spiraglio per alcuna emozione, e rendevano i suoi pensieri indecifrabili.
    Non conoscevo quel ragazzo, ma conoscevo molto bene quello sguardo che, per molto tempo, avevo esibito io stesso assai di frequente. Lo sguardo di chi svolge il proprio dovere con distacco e rigore, senza distrazioni di sorta.

    Uno sguardo che, non saprei ben spiegare per quale ragione, sempre meno, specialmente negli ultimi tempi, si era palesato sul mio volto. Forse stavo ancora maturando, forse stavo cambiando. Molto probabilmente l'aver ritrovato la persona che per quasi una decade avevo cercato disperatamente e saperla sana e salva mi aveva finalmente sgravato dell'enorme macigno fatto di angoscia, dolore e colpa, e solo allora cominciava a venir fuori la mia vera indole, la mia vera natura. Con tutti i suoi difetti e le storture generate dai miei trascorsi, certo, ma finalmente riuscivo ad essere me stesso, nel bene e nel male.
    Non dovevo più nascondermi, non dovevo più ricorrere ad un falso nome e mentire quotidianamente. Non avevo più bisogno di ostentare la profondità emotiva di un ruvido blocco di ghiaccio al solo scopo di tenere alla larga le persone, così che non avessero modo di scorgere e demolire un mondo fatto di menzogne e anonimato. Un mondo che avevo edificato, consapevolmente, con le mie stesse mani. E per quanto ne avessi tratto i dovuti benefici, seppur temporanei, tale comportamento non aveva fatto altro che rendermi più solo ed infelice di quanto già non fossi.
    Intendiamoci, non è che mi fosse costato uno sforzo sovrumano mettere un muro tra me e il mio prossimo, giacché di mio ero un ragazzo schivo, diffidente e con abilità sociali tutt'altro che sensazionali, ma il punto era che non avrei voluto farlo, ed ero andato ben oltre i confini della decenza. La prova di ciò era che, non considerando il periodo della mia assenza, in oltre un anno di residenza e di lavoro presso la Foglia non avevo instaurato nemmeno un singolo rapporto degno di questo nome, nulla che andasse oltre un formale saluto o le insulse chiacchiere superficiali tra colleghi.
    Dopo aver infranto le catene fatte di metallo, ero riuscito a sostituirle con catene molto più robuste, che non si potevano vedere o toccare, ma che serravano il mio animo con sempre maggior foga e crudeltà, spezzandolo e soffocandolo.
    Io, però, avevo la chiave per liberarmi. Solo io ce l'avevo. L'avevo sempre avuta, in realtà, ma solo adesso avevo la lucidità necessaria per afferrarla e la relativa serenità mentale per utilizzarla.
    Ero nei guai fino al collo, ma provavo uno strano senso di pace perché, qualsiasi pena o destino mi attendesse, gli sarei andato incontro senza ripensamenti, col conforto di sapere che non si tornava indietro. Era tempo di voltare pagina, di andare avanti con la mia vita, e a tale pensiero nessuna prospettiva riusciva realmente a spaventarmi.

    Avevo appena finito di fare fagotto di tutti gli oggetti e le armi che avevo con me, e mi accingevo a farmi ammanettare dal guardiano, quando la nostra interazione fu garbatamente interrotta.
    La ragazza si fece avanti con passo esitante, fino a raggiungere la nostra posizione. In realtà mi ero già accorto della sua presenza precedentemente, mentre se ne stava a quasi dieci metri di distanza da me e il guardiano, ma l'urgenza di rispondere alle domande di quest'ultimo l'avevano temporaneamente privata della mia attenzione. Con un tocco della mano fece in modo che il ragazzo si spostasse in un punto più defilato, così che solo io e lei fossimo l'uno di fronte all'altra.
    « … Jaken »
    Aveva l'aria stravolta, ma non era spaventata, anzi, per quanto confusa sembrava pervasa da una strana emotività.
    « Jaken » « Mi riconosci? »
    Cominciavo a sentirmi a disagio, ma non nel senso propriamente negativo del termine. Più che altro sentivo che stava succedendo qualcosa di molto strano, e di riflesso anche io iniziavo ad essere turbato.
    Mi chiedeva se riuscivo a riconoscerla, ma sarebbe stato arduo il contrario. Se precedentemente potevo aver nutrito dei dubbi, boicottato dalla distanza e dalla scarsa illuminazione, questi furono dissipati con forza ora che me la ritrovavo a un passo da me.
    Lei era proprio Shizuka Kobayashi.
    La sua figura era molto cambiata, era divenuta una donna in quei circa tre anni in cui ero stato lontano da Konoha. Una donna molto bella.
    Era più alta di quanto ricordassi, il suo corpo e le sue forme erano notevolmente maturati e i tratti del suo volto erano più adulti, non più affini a quelli di una bambina. Persino la sua voce, che pure in quel frangente era tutt'altro che ferma e sicura, era meno acuta e più limpida. Eppure, malgrado tutto ciò, come potevano i lunghi e lisci capelli castani trarre in inganno? Come si potevano confondere quegli occhi verdi così fulgidi ed espressivi, e le labbra rubre? Il modo di camminare, di muoversi, le espressioni del grazioso viso, nemmeno queste mentivano. Era impossibile non riconoscerla, nonostante tutto.
    Anch'io apparivo un po' diverso da come lei mi ricordava, come era normale che fosse. Ero cresciuto in statura e la mia fisicità si era ulteriormente sviluppata. I lineamenti del viso erano indubbiamente diventati quelli di un giovane uomo e anche il timbro di voce si era fatto più profondo e caldo. Si trattava comunque di cambiamenti ben meno radicali rispetto a quelli della giovane, e sicuramente nessuno che mi avesse già incontrato avrebbe avuto qualche difficoltà a riconoscermi.
    D'un tratto la kunoichi assunse un'espressione sofferente, afflitta, e a quel punto il disagio che provavo si acuì tremendamente.
    « Ti... ti ricordi chi sono, vero? »
    Le mie labbra si aprirono, presi fiato. Dovevo dire qualcosa, dovevo rassicurala sul fatto che sì, mi ricordavo di lei. Cosa andava a pensare?
    Ma in quel momento, non so perché, mi risultava parecchio difficile articolare dei pensieri compiuti, figuriamoci delle parole. Serrai nuovamente le labbra e, non riuscendo a fare di meglio, annuii lentamente ma con convinzione, riuscendo tutto sommato a fornire una risposta eloquente e netta.
    Fu allora che Shizuka protese piano verso il mio volto le sue mani, e proprio su queste i miei occhi si spostarono, osservandole mentre si avvicinavano sempre più, poco alla volta, come se all'improvviso il tempo fosse cominciato a scorrere più lentamente. Guardavo quelle mani minute quasi con apprensione, in realtà in me regnava lo smarrimento più totale. Non capivo cosa stava succedendo. Per un istante pensai che mi sarei ritratto, sottraendomi al contatto con la ragazza, ma ciò non accadde.
    Restai fermo, immobile, ricevendo il suo tocco delicato e amorevole. Le labbra si schiusero appena, le sopracciglia ebbero un impercettibile fremito e il mio sguardo fu rapidamente rivolto ad un punto non meglio precisato in basso e di lato che non coinvolgeva la figura della giovane.
    Al di là dell'imbarazzo e della confusione generale, non posso negare che provai una piacevole sensazione, che tuttavia si mutò presto in qualcosa di diverso quando la donna riprese a parlare, con un filo di voce.
    « Tu...tu sei vivo »
    A quel punto il mio sguardo tornò a posarsi sui suoi occhi, scoprendo che questi ora traboccavano lacrime.
    In effetti la possibilità che fossi stato dato per morto l'avevo sempre valutata come molto concreta. Dopotutto, se un ninja parte per una missione e non fa più ritorno, né si hanno più sue notizie per anni, è proprio quella la spiegazione più plausibile e realistica, non c'è dubbio al riguardo. Quindi se a Konoha era stato effettivamente dichiarato il mio decesso in azione non potevo certo meravigliarmi.
    Ciò che mi sconvolgeva era ben altro: perché la ragazza stava reagendo in quel modo?
    «Shizuka...» tentai debolmente.
    « Sei tornato »
    Così dicendo, la kunoichi mi gettò le braccia al collo e mi strinse, cominciando a piangere a dirotto.
    Io non mi opposi. Forse neanche volendo ci sarei riuscito, ormai ero praticamente una statua di sale.
    Lasciai che il suo caldo abbraccio si facesse sempre più stretto e avvolgente, mentre il sottoscritto se ne stava fermo, con le braccia penzoloni lungo i fianchi, inerti, dimostrando più o meno la stessa reattività di uno stoccafisso in disseccamento.
    « Sei tornato...sei tornato a Konoha, Jaken, sei tornato »
    Mi accorsi che ogni volta che ripeteva quel nome, il nome con il quale in buona fede seguitava a rivolgermisi, sentivo una morsa alle budella serrarsi.
    Senso di colpa? Costernazione? Probabile. Avrei dovuto spiegarle che non doveva più chiamarmi in quel modo, che il mio vero nome era Magato, ma non sapevo come fare, specialmente in quel momento di sfogo e prostrazione psicologica della ragazza. Decisi di rimandare, anche perché in quel momento ero letteralmente travolto da un fiume in piena fatto di pensieri.
    Cosa diavolo stava succedendo? Ero forse sotto l'influenza di un Genjutsu particolarmente convincente? Per quanto tale eventualità risultasse quantomeno remota nonché vagamente risibile, riusciva a risultarmi quasi verosimile se contrapposta alla ben più probabile ma allo stesso tempo incredibile alternativa: era tutto reale.
    Possibile? Quali avversità e problemi potevano aver colpito la giovane, quali lutti e quanta solitudine doveva aver patito perché si riducesse a riporre le proprie speranze nell'affetto e nella vicinanza di uno come me? Una relitto, praticamente un reietto della società. Uno che non l'aveva degnata di nessuna particolare premura, e che non molto tempo dopo il corso che aveva condiviso con lei era scomparso dalla sua vita senza dire una parola.
    Un'accoglienza di quel tipo da parte sua, come di chiunque altro alla Foglia in realtà, non era solo inaspettata per me, era addirittura inconcepibile, qualcosa che nemmeno viaggiando a vele spiegate con la fantasia avrei potuto considerare.
    Essere ricevuto in quel modo da Shizuka forse mi risultò così sconvolgente perché, intimamente, ero convinto di non meritarlo.
    « Ti ho... ti ho aspettato per molto tempo » « Ti ho aspettato per così tanto tempo »
    Avevo sempre visto me stesso come una sorta di fantasma all'interno di Konoha. Niente genitori, niente amici, niente di niente. Le sole persone che frequentavo erano gli altri ninja quando c'era una missione da svolgere o altre faccende di lavoro da sbrigare, e pure con loro la conoscenza non andava mai particolarmente in profondità.
    Ero certo che nessuno avrebbe fatto caso alla mia assenza al villaggio, così come ero certo che il mio ritorno non avrebbe destato alcun interesse, se non nell'Amministrazione che avrebbe preteso la mia pelle o quasi. Sicuramente nessuno aveva tentato di cercarmi, aveva atteso trepidante il mio ritorno o aveva pianto il mio presunto trapasso.
    Forte di queste convinzioni, o piuttosto malgrado le stesse, ero tornato a Konoha di mia spontanea volontà, ma adesso tutto ciò veniva messo in dubbio.
    Shizuka Kobayashi, una ragazza tornata dal passato, stava riuscendo con disarmante semplicità e tenerezza ad annientare tali sicurezze.
    Mi ero dunque sbagliato? C'era davvero qualcuno, alla Foglia, che si era ricordato di me, che aveva pensato a me, che addirittura si era preoccupato per me? Qualcuno che mi era genuinamente affezionato ed era pronto a riaccogliermi a braccia aperte? Qualcuno che contava su di me?
    Per quanto folle potesse sembrare, pareva proprio di sì. C'era almeno una persona del genere, e una soltanto era già un'enormità per me. Quella persona era lì in quel momento e mi abbracciava bagnandomi il petto con le sue lacrime.
    Nel frattempo io, forse sconvolto da quelle rivelazioni, ero sempre più teso. O emozionato? Non saprei dirlo, ma mi sforzai di non darlo a vedere. Feci profondi respiri provando a rallentare la frequenza cardiaca, cercando di essere quanto più discreto si potesse essere con una persona appiccicata addosso. Contemporaneamente affiorava la consapevolezza di aver arrecato danno e dolore alla ragazza con la mia sparizione, e per quanto potesse dispiacermi, non sapevo come fare ammenda, e ciò mi faceva sentire ancora peggio.
    Poggiai le mani sulle spalle di lei, una delle quali, avevo appena notato, recava una evidente cicatrice che pareva estendersi diagonalmente lungo il torace della kunoichi. Chissà come se l'era procurata.
    «Mi dispiace» riuscii solo a sussurrare.
    Due semplici parole ma pregne della più genuina mortificazione.
    « Finalmente sei tornato... finalmente... il Team...Non sono più sola... »
    Un sovraccarico emotivo.
    Così definirei ciò che mi accadde. Non si poteva spiegare altrimenti il fatto che, quando Shizuka si ritrasse appena per scostarmi una ciocca di capelli ribelli dal viso e mi sorrise radiosa, già una lacrima, unica e solitaria mi solcava il viso che cautamente, ora, cercava di assumere un'espressione distesa, quasi sorridente, con esiti abbastanza decenti.
    Quando la ragazza poi mi tirò verso il basso facendo aderire la sua fronte con la mia, distolsi lo sguardo da lei, che adesso era estremamente vicina, poi chiusi gli occhi.
    « Bentornato » « Bentornato a Konoha »
    «E' bello essere a casa» mormorai di rimando, e stavolta il mio sorriso, per quanto ancora acerbo, era molto più convincente.
    Non appena la ragazza si distaccò da me per rivolgersi all'Uchiha, ne approfittai per asciugare con gesto misurato e casuale la lacrima che ancora bagnava la mia guancia sinistra.
    Dopo aver ascoltato, sebbene ancora privo della completa concentrazione, il discorso della kunoichi e aver atteso la dovuta replica del guardiano, intervenni rivolgendomi alla prima con rincrescimento.
    «Shizuka, devi sapere che il mio nome, il mio nome vero, è Magato Kanzaki. Voglio che mi chiami così d'ora in poi.
    Sono desolato.
    »

    Feci un inchino abbastanza profondo. Riportandomi in posizione eretta, proseguii.
    «Sarò lieto di spiegarti, ma non credo che questo sia il momento migliore.»
    Decisamente no, non era il momento, anche perché stavo per essere condotto in Amministrazione, e poi non mi andava di parlare di fronte ad altri.
    Spostai lo sguardo su Atasuke, poi lo riportai sulla giovane, chiedendo con tono adesso molto serio.
    «Che cosa c'entrano i Kobayashi e gli Uchiha con la mia situazione? Cos'hai in mente?»
    Avevo la netta sensazione che la risposta non mi sarebbe piaciuta.
     
    .
736 replies since 21/11/2005, 02:02   20823 views
  Share  
.