[Primo Accesso] Mura di Konoha

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    COINCIDENCE

    The world is so unpredictable. Things happen suddenly, unexpectedly.




    «Scusate, Ojou-sama, come avete detto...?»
    Ritsuko Aoki era ferma di fronte alla famosa “Pasticceria Usagi” di Konohagakure no Sato, e fissava allibita di fronte a sé. Il kimono puntinato blu notte che indossava, accollato e ben stirato, era sovrastato da un modesto Hanten di stoffa pesante che le copriva la punta delle dita strette attorno ad un sacchettino di carta azzurro recante l'emblema di un coniglio nero in corsa.
    «Si, Ritsuko... ultimamente lo sto trattando davvero male...» Borbottò Shizuka Kobayashi, la Principessa del Paese del Fuoco, grattandosi la testa con rammarico. Dava le spalle alla compagna, probabilmente per non sostenerne lo sguardo. «Siamo amici da una vita, continuare a bisticciare per queste piccole cose non ha senso. E in ogni caso ormai abbiamo venti e ventuno anni, siamo un po' troppo grandi per far queste ripicche, non pensi...?» Chiese, titubante.
    Quel giorno indossava uno splendido kimono argenteo dipinto a mano con una decorazione di un ruscello rosso vermiglio, in cui foglie di acero dondolavano tra i flutti nel loro tipico colorito autunnale ocra, reso in quel contesto da un ricamo fitto di puro filo d'oro. L'obi rigido, di un color crema dorato, era fermato dietro la schiena in un bel fiocco elegante ricco di pendagli d'argento che richiamavano il colore degli alti geta laccati.
    Sistemandosi lo scialle sfrangiato di seta chiaro sulle spalle, l'Erede dell'Airone sospirò, alzando poi lo sguardo al cielo, perplessa: sua madre era stata chiara in merito, doveva fare subito pace. E stavolta nemmeno lei poteva darle torto...forse il suo avergli tirato da sotto i piedi un tappeto facendolo inciampare con la testa nel piatto della zuppa di miso, l'ultima volta che lui l'aveva invitata a casa sua per “appianare le divergenze tra loro” era stato molto immaturo da parte sua. Che aveva fatto, poi, poverino? Aveva solo preso una lettera dalla nipote della sua vicina di casa.
    Già. Quella maledetta vicina assassina psicopatica Uchiha che la voleva morta da tipo cinque anni e che sembrava fosse persino andata a pregare al Tempio Shintoista perché lei si rompesse il femore il giorno delle danze autunnali della Foglia.
    «M-m-m-ma Ojou-sama!» Gemette con voce strozzata la Kumori, muovendosi nervosamente sul posto. Aveva la bocca secca come polvere mentre parlava. «E'... è solo Atasuke Uchiha! Non state a pensarci troppo!!» Pronunciare quel nome le costò uno sforzo non indifferente.
    […] Quell'infima creatura... erano anni che si metteva sulla strada della sua preziosa Signorina...
    Ah, ma stavolta non lo avrebbe perdonato. No di certo. Lo avrebbe ucciso, piuttosto. Lo avrebbe ucciso davvero, a costo di essere incarcerata.
    Come osava far balzare in mente alla sua Signora che era lei la colpevole di trattare uno straccione come uno straccione?! Ah, gli Dei lo perdonassero...era così stupido. E scialbo. E cosa diavolo era quella giacchetta a fiori che ultimamente indossava?! Faceva bene la sua Padrona a deriderlo, gli avrebbe solo insegnato il suo posto nel mondo, che solo per la di lei pietà non era un porcile!
    Maledetto Uchiha, sudicio anim–...
    «In ogni caso, Ritsuko, ritengo che portare lui dei dolcetti per una delle sue pause non sia un gesto così scandaloso...» Borbottò Shizuka, lanciando un'occhiata alla sua Kumori mentre si incamminava verso le Mura di Konoha. Sapeva che lo avrebbe trovato lì.
    Strinse a sé il sacchetto infiocchettato della Pasticceria Usagi e annuì: aveva preso i mochi alle castagne e alla crema. Lo conosceva bene, sapeva che erano i suoi preferiti. Era sicura che lo avrebbe fatto felice... e così avrebbero fatto pace, già...
    Socchiudendo gli occhi e abbassando il viso sul suo regalo, la Principessa sorrise, felice di quel pensiero. Era ormai una settimana e mezzo che non si parlavano, e adesso era troppo anche per lei.
    «G-gli uomini sono lupi, mia Signora! Chissà cosa potrebbe pensare quell'infame!» Strillò con voce da gallina strozzata Ritsuko Aoki quando vide il sorriso allegro della sua interlocutrice. Un brivido le corse lungo la schiena. «E c-cosa direbbe Raizen Ikigami-sama se vi vedesse fare queste moine?!» Aggiunse, stoccando impietosa.
    «Oh.» Esclamò per tutta risposta Shizuka, fermandosi perplessa un istante mentre la Kumori ghignava trionfante: sapeva sempre cosa dire per indurre in lei il giusto pensiero. Era pur sempre la sua fedele attendente. «Beh senza dubbio Raizen mi deriderebbe molto. Ma cosa c'entra, ora?» Domandò la ragazza, riprendendo a camminare. «Non è un affare di stato, sto solo portando dei biscotti, cosa pensi che possa succedere?»

    «Cosa diavolo sta succedendo?»



    La voce che si sollevò dal niente, gelida come ghiaccio di Genosha, era quella di una donna.
    E non una qualsiasi donna, di questo molti dei presenti al Gate Principale di Konohagakure no Sato, se ne sarebbero subito accorti, con un brivido lungo la schiena.
    Improvvisamente, l'aria parve farsi molto più pesante.
    «S-s-shizuka...» Si strozzò Maruo Arumari, uno dei guardiani del banco d'entrata e uscita del Primo Cancello, sentendo tutto il sangue defluire ai piedi quando vide la Principessa del Fuoco sostare immobile al centro della strada principale del villaggio. In un gesto secco e incoscio si girò di scatto, tanto veloce da sentir il collo scricchiolare, guardò con orrore ciò su cui la nuova arrivata teneva gli occhi, gelida e impietosa, e poi deglutì.
    Di punto in bianco si accorse di star sudando.
    «Maruo!» Cinguettò per tutta risposta l'altra, portandosi una mano al volto e reclinando leggermente la testa di lato, sorridendo nel far scivolare le sue splendidi iridi verdi dal gran spettacolo del suo arrivo ala figura dell'uomo che l'aveva chiamata. «Cosa sta succedendo, qui?» Domandò, iniziando ad avvicinarsi al banco dei registri. Per un attimo il poveretto ebbe come la netta sensazione di essere in procinto di un infarto.
    «Oh, abbiamo una perquisizione in corso, pare che... sai come vanno queste cose, Shizuka... il lavoro di un guardiano è duro...» Mentre pronunciava quelle parole il suo collega, seduto proprio di fianco a lui su una sediolina mezza sgangherata, sospirò sonoramente. Era un ragazzo con il volto bendato e gli occhi color dell'ambra, che dopo un attimo di rassegnata esitazione si alzò con molta flemma, chiuse il registro a cui era addetto, che si mise subito sotto il braccio, si inchinò rispettosamente ad Atasuke, l'Hokage e gli altri presenti, girò i tacchi e se ne andò.
    La spiegazione di quel comportamento, che in molti avrebbero forse definito maleducato, si sarebbe spiegata circa un secondo dopo, quando la Principessa dei Kobayashi fu di fronte alla scrivania dietro la quale egli era seduto fino ad un attimo prima.
    Bella come una bambola di porcellana, con quel suo volto ovale dalla carnagione color pesca incorniciata dai lunghissimi e lisci capelli castani, Shizuka appariva, molto più del solito, splendida. E spaventosa.
    Ma soprattutto, per qualche motivo, terribilmente calma.
    «Hara maa... dunque è così che conducete le perquisizioni qui ai Gate di Konoha?» Domandò dolcemente la Principessa, prendendo tra indice e pollice il registro del suo interlocutore, che sollevò con stizza di fronte ai suoi occhi, guardandolo un poco. Poi sospirò e posò una mano sulla scrivania di fronte a sé. Che un secondo dopo esplose in mille pezzi di fronte alla faccia cadaverica dell'ormai suo unico Guardiano del banco d'ingressi. «Ops, scusa... ho difficoltà a controllare il mio chakra ultimamente. Sai, il lavoro di noi medici è duro, ecco direi che mette a dura prova i nervi. Di continuo. Non puoi immaginare.»
    «Shizuka, pietà, io non c'entro niente stavolta. Te lo posso garantire.» Gemette con voce stridula Maruo. Conosceva abbastanza bene quella ragazza da sapere che non avrebbe esitato a prenderlo per il collo e lanciarlo oltre il Gate per il semplice fatto che non poteva permettersi un comportamento simile verso i veri oggetti della sua ira per una questione di apparenza. E ci sarebbe riuscita. Stava diventando pericolosamente forte, in quell'ultimo periodo. In effetti, anche troppo.
    «Ritsuko.» La giovane ignorò quel commento, preferendo alzare una mano con flemma per schioccare poi le dita. In un attimo la Kumori era già un passo dietro di lei. «Ricompra al corpo dei Guardiani questa scrivania. Anzi, ricompra loro tutte le scrivanie dei loro uffici. E anche gli uffici.» Ordinò, scostandosi una ciocca di capelli dal lungo collo chiaro e infilandosi poi sotto un braccio, in modo meccanicamente freddo, il registro che ancora teneva in mano.
    «Kashikomarimashita.» Rispose subito la Kumori, trattenendo a stento un sorriso nel vedere la polvere di legno che ancora si alzava in piccole volute dal punto della distruzione. Sorriso che non poté però più celare quando la sua Signora si voltò lentamente verso la scena principale di quel lauto banchetto giornaliero.

    «Atasuke.»

    Un sorriso dolce.

    «Raizen.»

    Un altro sorriso.

    «Come sempre così devoti al vostro dovere, vedo.»

    Shizuka Kobayashi si muoveva sempre con grazia, ma senza dubbio, in quel momento, non poté che ostentare un'eleganza rara. Quasi sovrannaturale.
    In effetti, mentre si avvicinava ai due compagni, sembrava più una Mononoke dei boschi, quelle creature delle leggende bellissime e pericolose. Ma era solo un'impressione, quella, perché nemmeno per un istante la ragazza smise di sorridere con gentilezza, tradendo nient'altro che quel sentimento. Chi non la conosceva avrebbe effettivamente potuto pensare di lei solo che fosse la più bella, leggiadra e ben educata fanciulla che avesse mai visto nella vita.
    «Ero qui nei paraggi per puro caso e ho pensato di andare a fare una passeggiata nel boschetto oltre le mura.» Spiegò la Chunin sorridendo ai due shinobi, muovendo gli occhi dall'uno all'altro. «Che sorpresa incontrarci qui, oggi, non è vero?» Chiese, poi cinguettò in una risata adorabile. Miele colante. «E' davvero una bella...» E stringendo il sacchetto di dolci della Pasticceria al petto con violenza tale da accartocciare il pacchettino regalo, la Principessa di Konoha strinse gli occhi. «...coincidenza.» E così dicendo, si girò con lentezza verso la donna semi-nuda da cui né l'uno né l'altro dei suoi compagni schiodava gli occhi.
    Per un lunghissimo istante ci fu il silenzio.
    Immobile al suo posto, Shizuka Kobayashi non disse assolutamente niente, né fece nulla. Un evento più unico che raro, visto il suo carattere. Poi però, improvvisamente, si mosse.
    E si mosse verso la donna mezza nuda.

    [...] Era la fine.
    L'avrebbe spezzata a metà.
    Sicuramente l'avrebbe rispedita con un pugno nel punto del creato in cui era stata rigurgitata, quella sgualdrina.
    Era la fine per Konoha.
    Guerra.
    Infamia.
    Era tutto drammaticamente...

    «Gli uomini non capiscono sovente le esigenze del mondo femminile, Okaku-sama.» Disse la Principessa del Fuoco, togliendosi dalle spalle il suo bel foulard di seta che avvolse con dolcezza attorno al corpo scoperto della straniera. Quel tessuto, leggero e splendido come un artefatto unico, profumava di fiori di loto e magnolie appena colte, come fosse davvero il velo di una Dea dei Boschi. «La via dello Shinobi inasprisce gli animi e rende gli uomini ancor più acerbi di ciò che la natura ha voluto.» Continuò la ragazza, guardando con dolcezza prima la giovane priva di vesti e poi l'altra a cui ella si accompagnava. Sorrise ad entrambe, poi, inaspettatamente, si inchinò. «Sono certa che qualora la vostra persona debba ancora essere perquisita, i miei compagni avranno piacere di farlo presso un luogo più idoneo.» E così dicendo si riportò in eretta postura, trattenendo con due affusolate dita chiare i suoi lunghi capelli, lasciati sciolti sulle spalle. «Benvenute a Konohagakure no Sato, Okaku-sama. E buona permanenza.» E così dicendo, con grazia sopraffina, la ragazza si girò, riprendendo a camminare sui suoi passi.
    Passò accanto a Raizen e Atasuke, ma non si fermò, limitandosi solo a dire a bassa voce qualcosa che sembrava una calda raccomandazione a portare la donna al riparo, poi, austera e gelida come neve, fece per andarsene.
    Nelle mani teneva ancora il sacchetto di dolcetti, ormai accartocciato irrimediabilmente, e nell'altro il registro delle entrate, che stava progressivamente piegando sotto l'inflessione delle dita.

    Erano salvi, pareva.
    A quanto sembrava Shizuka era davvero diventata una donna matura.
     
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