"Those who go beneath the surface do so at their peril"

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    C'era grande agitazione quella mattina, nel quartiere Hyuga. Il capofamiglia di uno dei tre nuclei di maggior rilievo all'interno del clan, il nobile Soken Hyuga, aveva indetto una festa per tutta la casata principale ed il clan. I preparativi andavano avanti da quasi due mesi, ormai, e ogni membro di rilevo di clan attendeva questa occasione sin dal primo giorno. Il giovane chunin della clan dalla tanto vociferata intoccabilità era il motivo dei festeggiamenti a venire. O, meglio, lo erano le sue gesta. Pochi mesi prima quel ragazzo, nelle cui vene scorreva il sangue più puro del clan, aveva risvegliato un antico patto sopito da molti decenni. Ma, quel che più contava, dando prova di raro talento e di completa abnegazione alla stirpe, dicevano le indiscrezioni, quello ragazzo era riuscito ad evitare l'annientamento di molte, preziose vite del clan, un compito che diversi shinobi d'élite avevano purtroppo fallito prima che questi facesse ritorno. Una nuova leggenda aveva visto il suo principio in seno al clan. Vergil Hyuga era un eroe.

    La cerimonia ufficiale era prevista per le undici del mattino. In quel momento erano le sei, ed iniziava appena ad albeggiare. Come la maggior parte dei consanguinei, Vergil era già sveglio. Ma i festeggiamenti centravano ben poco. Da quando aveva sconfitto Shotaro e Suiho aveva fatto la sua promessa, nonostante fossero passate diverse settimana, il chunin raramente riusciva a dormire più di qualche ora per notte. E quando vi riusciva, era sempre un sonno agitato e senza sogni. La sua mente era prigioniera di un pensiero, un chiodo fisso che gli toglieva il riposo e non lasciava spazio per altri pensieri. Anche le due impegnative missioni a Kurohai, dove aveva conosciuto Drake, e poi in cerca di Shinodari, al di fuori del continente ninja, non erano riuscite a distrarlo, seppure gli avessero insegnato molto. Ora era più forte. Il suo intero essere era solido e compatto, e tale cambiamento era sotto gli occhi di ogni Hyuga in grado di risvegliare l'abilità innata di clan. Un altro motivo per cui lo acclamavano, soprattutto se in relazione alla sua giovane età.

    Ma nella sua mente non c'era spazio per tutto questo.
    Nonostante il suo nuovo potere, una terribile consapevolezza lo gettava in preda allo sconforto, alla tristezza ed alla preoccupazione. Non poteva vincere contro Suiho. Diavolo, non avrebbe nemmeno potuto sentirlo arrivargli alle spalle per tagliarli la gola se quello solo avesse voluto. Anche adesso, con le sue capacità, Vergil sapeva di non aver ancora raggiunto il padre. Né a proposito del potere grezzo, e certamente non a proposito dell'esperienza. Le sue capacità latenti rimanevano notevoli, senza dubbio, e con il tempo era fiducioso di poter raggiungere vette più alte di quelle del genitore. E questo, in gran parte, lo doveva a sua madre ed alla amorevole cura che si era preso di lui ogni giorno, sin dalla nascita. Ma proprio lì stava il problema. Serviva tempo. E lui non ne aveva.
    Un eroe condannato a far morire la sua gente.

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    [...]

    Vergil era in piedi sull'entrata dell'enorme stanza centrale sontuosamente decorata. La sua chioma corvina era acconciata all'indietro, in modo da far risaltare il suo viso e i suoi occhi perlacei. Indossava un sontuoso abito da cerimonia, confezionato dal rinomato maestro Tsujishirō Kuroemon III, ed il suo splendore era senza rivali. La sala era gremita di Hyuga di alto rango, che osservavano con occhi attenti il futuro della casata ergersi davanti a loro. Nell'altro capo della sala stava Soken Hyuga, similmente vestito e con la lunga chioma argentea sciolta dietro il capo. Nei suoi occhi, un estremo orgoglio per il figlio che aveva amato e cresciuto dal giorno della sua nascita. Al suo fianco stava una donna estremamente longilinea ed elegante, dagli ammalianti occhi perlacei e con lunghi capelli corvini. In un contesto che non fosse stato di rigida etichetta nobiliare, molti volti maschili non avrebbero esitato a poggiare gli occhi sull'incantevole figura sorridente a fianco del possente jonin della casata principale. Quella donna, amata e rispettata da tutti per il suo sorriso in grado di portare conforto nella vita di ognuno, era la consorte di Soken Hyuga e madre di Vergil Hyuga. Quella donna era Tomoko Hyuga, figlia della saggezza.

    Soken Hyuga levò leggermente il mento e Vergil iniziò a camminare in mezzo al salone, gli occhi di tutti puntati su di lui.
    Molti sarebbero stati nervosi in una situazione simile, ma la naturalezza con cui il giovane chunin poteva comportarsi era il coronamento di una vita spesa ad apprendere l'etichetta e le complicate vie della nobiltà. Camminò deciso sino al soppalco su cui i genitori, insieme a cinque anziani del clan, lo attendevano. Una volta terminato il percorso guardò il padre negli occhi, piegando poi in avanti il capo per manifestare a tutti il suo rispetto e la propria sottomissione a qualcuno di superiore.

    " Figlio mio. "

    Iniziò Soken Hyuga, la voce ricolma di orgoglio ed affetto.

    " Mai sei venuto meno ai tuoi doveri, come ninja e come persona, e come nulla ti è stato fatto mancare, nulla hai mancato di restituire alla gloriosa stirpe cui appartieni. "

    L'attenzione della sala era monopolizzata dalle parole del jonin, che all'interno del clan godeva di immenso rispetto per via della sua mente acuta e penetrante e, non meno, per via della sua invidiabile forza.

    " Quando il clan era in difficoltà, tu lo hai soccorso. Quando era debole, sei stato la sua forza. E quando c'è stato da lottare contro la morte, lo hai salvato dall'annientamento. "

    Vergil non osava distogliere gli occhi dal volto del padre e della madre, che lo guardavano felici come raramente li aveva visti. La rabbia che provava in quel momento era indicibile. Verso sè stesso, per la sua debolezza. Verso Suiho, per ciò che aveva fatto. E verso il tempo, che era tiranno e gli stava rovinando quello che sarebbe dovuto essere uno dei momenti più gloriosi della sua intera esistenza.

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    " Oggi, figlio mio, gli Hyuga ti rendono onore. "

    Ogni parola gli pesava come un macigno sulla coscienza. " Vi sbagliate, padre! ", voleva gridare. " Non sono un eroe. Ho fallito! " Ma le parole non gli uscivano. Il coraggio di rovinare quella felicità gli mancava. E così ingoiò ogni cosa, esibendo il migliore dei suoi sorrisi. Appena accennato, estremamente affascinante ed al contempo educato. Il padre lo guardò ancora per qualche attimo con occhi colmi di orgoglio. La madre faceva lo stesso, ma due fresche gocce di commozione riposavano ai lati dei suoi occhi candidi. Il potente jonin si girò poi di lato, ed uno degli anziani gli porse un contenitore lungo e stretto. Quando glielo mise davanti agli occhi, il cuore di Vergil perse un colpo. " No. Questo no. Vi prego, padre. Vi prego! ", urlò furiosamente dentro di sè.

    Sorridendo, Soken Hyuga aprì il raffinato contenitore avvolto in stoffa scarlatta, rivelando ai presenti una katana scintillante di fattura mai vista. Vergil conosceva quella spada. Apparteneva alla sua famiglia da generazioni intere, da quando un suo antenato la guadagnò per incredibili meriti verso il clan. Ma nessuno l'aveva mai usata. A dirla tutta, era un bene della famiglia, del clan stesso, non di un singolo individuo. Come potevano volerla dare a lui? Con mani ferme Soken Hyuga sollevò l'arma sui palmi, offrendola al figlio. " QUALCUNO MI AIUTI! VOGLIO IL POTERE PER SALVARE LA MIA FAMIGLIA! ". La sofferenza interiore che aveva coltivato in quei mesi era sul punto di esplodere. L'attaccamento alla vita fu per lui spezzato. Per la seconda volta nella sua vita, utilizzò il linguaggio proibito che aveva studiato di nascosto persino da suo padre.
    " I shall pay any price, so, please. "

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    " Il consiglio degli anziani ha preso la decisione all'unanimità. La mitica Shunka Shutō ti appartiene adesso. "

    Fu con timore quasi reverenziale che Vergil posò la destra sull'impugnatura che aveva conosciuto un solo tocco fino a quel momento, il tocco di un uomo sicuramente più meritevole del ragazzino che nonostante tutto lo Hyuga sapeva di essere ancora. La sollevò con grazia, attivò il Byakugan in un attimo e al suo massimo splendore bellico si voltò verso l'intero clan che lo osservava.

    " VIVI ED ONORA IL TUO NOME, VERGIL HYUGA, IL FIORE LAMPO! "

    Ruggì il padre. L'intera sala emise un boato di approvazione, applaudendo all'erede della Linea Pura.
    Vergil puntò la lama verso l'alto, portandola davanti al volto, marziale. A fatica trattenne le lacrime che minacciavano di sgorgargli dagli occhi perlacei. Concentrò invece le potenti emozioni che lo attraversavano nella sua aura, in modo che tutti gli Hyuga, ora a Byakugan attivo, potessero vedere lo splendore e la grandezza del suo potere. Il suo spirito era forte e fiero, ma il suo cuore era spezzato. Spezzato dal dolore, dalla sofferenza, dal destino che vedeva per la sua gente.
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    Fu in quel momento di fusione estrema tra disperazione ed energia vitale che accadde.
    La sua coscienza venne sfiorata da qualcosa. Qualcosa di profondo, ineffabile e potente. Vergil non aveva mai provato nulla di simile.
    Persino la presenza del Re Corrotto, il cui pensiero normalmente lo faceva sudare, impallidiva al solo confronto. Un abisso di tenebre e potere senza fondo e senza anima.

    E fu così che, quasi con leggerezza, Vergil Hyuga si lasciò cadere nell'abisso.

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    Notte fonda. La cerimonia era terminata da un pezzo. Una giornata memorabile sotto ogni aspetto. I cuori dei membri di spicco del clan erano colmi di orgoglio e speranze per il futuro ed i genitori dello Hyuga non avrebbero potuto essere più fieri del loro figlio prodigio. Eppure, rintanato nella sua ala privata della tenuta, Vergil non riusciva a dormire. Nè provava a farlo, a dirla tutta. Stringeva tra le mani la Shunka Shutō, una lama gloriosa che non riteneva giusto appartenergli ma che in un modo o nell'altro comunque era sua. E rifletteva. Ciò che aveva provato in quell'istante di estrema disperazione e glorificazione, di energia e di morte, di fuggevolezza e di eternità, non poteva dimenticarlo. Si era servito del linguaggio proibito. Un idioma morto da tempo, sopravvissuto in rari testi maledetti su cui gli era capitato di mettere le mani. Aveva sempre avuto un talento per apprendere le lingue, e l'idea di un linguaggio morto, semiperduto e maledetto lo aveva subito attirato. Gli ci erano voluti meno di due mesi per acquisirne completa padronanza, almeno in linea teorica. Un idioma affascinante, maneggevole, e rapido nel comunicare i concetti. Adatto a menti acute e penetranti piuttosto che a poeti e letterati.

    Non lo aveva mai parlato, però, nonostante tutto. Sia perché gli mancava di conoscere qualcuno che condividesse quella particolare conoscenza, sia perché gli era sempre stato insegnato di rispettare e non sottovalutare le indicazioni di coloro che erano venuti prima di lui. Una lezione preziosa, che aveva imparato a fare propria nel tempo. I giovani, aveva scoperto sulla sua pelle, sono spesso prigionieri di granitiche certezze, spesso infondate, che li portano a compiere gravi errori di valutazione, alcune volte fatali - specie in una professione come quella dello shinobi. Eppure. Eppure. In quel momenti di epifania, bello e terribile come una tempesta di fulmini, aveva pronunciato imperdonabili parole. E qualcosa aveva riposto. Avrebbe potuto negarlo a sé stesso, ma da tempo Vergil sapeva di poter mentire a quasi tutti, ma a sé stesso proprio no. E nell'oscurità della sua stanza, seduto sulle raffinate coperte del Paese del The, lo Hyuga cercava di comprendere con che cosa avesse in effetti stabilito un contatto quella mattina.
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    Stranamente, comunque, non era spaventato. La natura di ciò che aveva avvertito non era quantificabile secondo parametri umani di moralità o allineamento. No. Era qualcosa di diverso. Qualcosa di ancestrale, antico come la terra stessa e potente come l'oceano. Non poteva aspettare. La forza che aveva avvertito faceva sembrare qualsiasi altra avesse mai scorto con i suoi occhi qualcosa di ridicolo. Un potere primigenio. Un potere divino. In pochi minuti era al di fuori della tenuta e dalla mura della Foglia, sfrecciando tra i boschi del Paese del Fuoco. Doveva sapere. Doveva capire. Doveva avere quel potere.

    [...]

    Era seduto su un'alta collina, il volto verso la luna piena in cielo.
    Mancava dalla Foglia da quasi tre ore ormai. E dal momento che aveva messo piede fuori da quelle mura ora lontane, ogni singolo istante lo aveva passato nel tentare di ricordare, cogliere, respirare la sensazione che aveva provato durante quell'epifania. Non gli fu difficile riuscire non appena accettò di abbandonarsi alle terribili e devastanti emozioni che provava, rifiutando qualsiasi forma di controllo.
    Di nuovo, senza alcun preavviso, quella coscienza aliena ed infernale si ripresentò, sfiorandolo con tenebrose mani senza forma.
    Ma questa volta l'essere parlò.

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    Quella voce. Quella voce lo fece quasi impazzire, straniandolo da sé stesso e divorando ogni cosa . Ogni suo senso cessò di esistere e funzionare e la realtà scomparve, inghiottita dalla presenza. Si trovava in un'oscurità senza spazio e senza tempo, l'unico mondo possibile per un essere simile. Tentò di parlare, ma non aveva le corde vocali. Non aveva un corpo. Era un nulla di pensiero. E dunque pensò.

    " Vergil Hyuga, the Senka, is the name I answer to, oh You Who Dwell In Darkness Without Time. "

    L'essere quasi ignorò la risposta alla domanda da sé stessa posta, e le tenebre sembrarono contrarsi e fremere di piacere. Il linguaggio proibito era l'unico con cui potesse esprimersi in quella situazione, aveva immediatamente intuito lo Hyuga. Ciò che gli rimaneva oscuro era l'interesse di un simile essere per qualcosa di insignificante, fragile e soggetto ai capricci del tempo come sé stesso.
    Sembrò trascorrere un'eternità. Un'eternità condensata in pochi istanti, per Vergil, istanti che però durarono all'infinito. Un concetto che la sua mente si rifiutava di analizzare e comprendere e che eppure avvertiva come innegabilmente vero e necessario.
    Qualunque cosa fosse, quell'essere lo aveva nel pugno della sua mano.
    Aveva fatto una scelta. Si era gettato nell'abisso.
    E ne avrebbe pagato le conseguenze.
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    Avvolto in quelle tenebre senza tempo, Vergil non poteva far altro che tentare di mantere integra la sua identità, che ogni secondo rischiava di perdersi nel contatto con quell'essere oltre l'umana comprensione. Ancora non riusciva a credere a quanto gli stava accadendo. E tutto grazie ad una sciocca lingua morta che aveva appreso per una mera curiosità passeggera. Ma in quell'oscurità, simili pensieri ed interrogativi duravano poco. Tutto scivolava nell'oblio dell'insignificanza al cospetto di quell'entità così senza limiti, forma ed anima.
    In fondo al suo cuore, Vergil sapeva. Quello che aveva davanti era un dio. Un essere superiore dalle origini sconosciute, che per qualche motivo aveva risposto alla sua chiamata. Non riteneva possibile che il merito dell'accaduto fosse solo da attribuirsi solamente al suo utilizzo del linguaggio proibito. No. Doveva esserci un altro motivo. La domanda. Era quella domanda il chiodo fisso che in quell'oscurità gli consentiva di mantenersi integro e saldo, seppur torturandolo considerevolmente lasciandolo ancora più conscio della sua piccolezza estrema.

    Si sentiva osservato. In quello spazio senza riferimenti di sorta, avvertiva gli occhi famelici dell'essere su di sé, che guardavano e con onniscenza ed insensibilità estrema violavano la sua identità in ogni parte. Un esperienza indescrivibile, pensava, lottando per aggrapparsi ad ogni parte di sé. Ma in tutto questo, nella sua piccolezza, ignoranza e coscienza della propria debolezza, il ragazzo dagli occhi perlacei non aveva paura. No. Vergil Hyuga era eccitato. Il suo cuore bramava quel potere profondo come l'abisso in cui, sapeva, aveva solo iniziato a sporgersi. Era sempre stato così, lo sapeva. A volte se l'era pure chiesto. Se i suoi genitori non lo avessero cresciuto nella maniera in cui era stato cresciuto, dandogli dei valori, la disciplina, il rispetto, e soprattutto uno sconfinato amore, come sarebbe cresciuto?
    Nelle pieghe della sua anima si annidava l'oscurità.

    Due volte era stato posseduto, in passato. Prima il Re Corrotto, che si era annidato nel suo cuore di tenebra, privandolo della libertà e facendogli compiere atti innominabili costringendolo ad assistere impotente. Poi era stata la volta di Hanketsu, il demone, uno spirito di Grifone che aveva pervertito le arti degli Yamanaka, ingannandolo e privandolo ancora una volta della libertà. Entrambe le volte lo Hyuga aveva trovato la forza di lottare, respingere e sconfiggere le creature, ma anche quando sconfitto il male lascia sempre una cicatrice. E lo Hyuga non era uno stupido. Si era posto domande. Non una, ma ben due volte il male aveva individuato in lui il simulacro perfetto. Da una parte, quindi, aveva il suo spirito di luce, protetto dall'amore, dal talento e dalla fermezza di carattere. Dall'altra, un cuore di tenebra. Più piccolo di un pugno, ma che bramava un potere superiore al mondo intero. E ora, ora, aveva fatto il passo più lungo della gamba. Questa volta era stato lui ad evocare un'entità esterna. E che entità. Le altre due parevano buffe imitazioni al confronto. Spinto dalla necessità, ma anche dal suo stesso cuore, aveva sacrificato molto per arrivare in quel luogo. Aveva rinunciato alla separazione tra le due metà del suo essere, che ora era un tutt'uno con qulle tenebre di immortalità ed eterno potere.

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    Di nuovo quella voce. Un suono che pareva venire da dentro di lui, anche se in quei momenti di eternità non aveva alcun corpo. Ciò che diceva era vero, dannatamente vero. Vergil lo avvertiva come parte di sé. Un sacrificio era stato fatto. Un sacrificio dal quale non sarebbe tornato indietro. Lo aveva evocato. Non sapeva cosa fosse o che natura avesse, ma comunque lo aveva evocato. E quel fatto non sarebbe cambiato per l'eternità. Ciò che era stato sacrificato non sarebbe mai stato restituito. Il giovane Hyuga si era gettato di sua sponte nell'abisso. La creatura era diverita, Vergil poteva dirlo chiaramente. Era solo una sensazione, ma in quell'ambiente anche la più minima percezione, consumata da quell'essere, veniva elevata a livelli tali da mutare la propria natura. Dopo che l'entità aveva parlato per la seconda volta, però, l'atmosfera era diversa. Quasi di attesa. Anche se non aveva corpo, Vergil riusciva a vedere con chiarezza. Era uno Hyuga in ogni fibra del suo essere e quella consapevolezza, che lo aveva salvato molte volte, non lo avrebbe mai abbandonato.

    Iniziò a cadere. Lentamente, quasi senza alcun movimento, le tenebre lo trascinarono in profondità. Una caduta senza fine, nella quale ogni cosa cessò di avere senso. Un abisso che nulla aveva di umano. Ogni istante di quel supplizio lo rendeva più certo. E mentre cadeva, mentre dimenticava, mentre si disperava, sapeva sempre di più che quella divinità aveva scelto lui. Rivide ogni momento della sua esistenza. L'addestramento all'ombra dei ciliegi con il padre, il primo risveglio del Byakugan con Masaru, il combattimento alla morte in quel campo di taglialegna nella foresta. E ancora, l'incontro con il suo kohai, il risveglio del contratto millenario dei grifoni, l'incontro con il Re, le visioni di vite precedenti del suo clan. Ogni cosa gli passava davanti alle iridi perlacee. E più vedeva, più capiva. Capiva che in un modo o nell'altro tutta la sua esistenza non era stata che una preparazione per quel momento.

    Avrebbe fatto ciò che andava fatto, ma non solo, ormai, per salvare i propri famigliari dall'annientamento. Non solo per il clan. No. Quello era il suo destino. Tutte le sue qualità, il suo potere, i suoi talenti. Ogni cosa era un agnello sacrificale per ottenere quel supremo stadio di esistenza. Di tutto questo, mentre cadeva nell'oscurità senza fine, Vergil Hyuga era certo. Quanto si sbagliava. Per sua fortuna, non potè mai saperlo. L'oscurità raggiunse il suo picco, e l'essere si manifestò di nuovo. Ciò che proponeva era terribile. Inumano. Inaccettabile. Eppure, il suo tono era suadente come nessun altro. E il candore della sua proposta, come se non si rendesse conto delle conseguenze su un cuore, come se non fosse umano.

    kuroshitsuji_52599
     
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    Non avrebbe saputo dire da quanto tempo quella caduta, quel gorgo di oscurità schiacciante senza fine stesse durando. Forse pochi secondi. Forse anni. Ma una cosa la sapeva. Ne era certo. La avvertiva vibrare nelle potenti fibre notturne di quella realtà senza nome. L'essere era in attesa. Tutto quanto avvenuto fino a quel momento, e molto di più, sarebbe stato deciso dalle prossime parole. Ma Vergil Hyuga si era gettato nell'abisso di sua volontà. Forse, persino, lo aveva inconsciamente deciso nel momento stesso in cui aveva percepito l'essenza della creatura. Vergil la aveva evocata, e questo fatto non sarebbe cambiato per l'eternità. Ciò che era stato sacrificato non sarebbe stato restituito. L'essere era reale. E lo aveva in pugno. La prossima scelta del giovane Hyuga era la sottile membrana che ancora lo separava dalla caduta nell'abisso.
    E Vergil era pronto ad infrangerla.

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    Navigando in quelle tenebre, pronto a dare la sua risposta, ripensò un'ultima volta ai genitore. Soken e Tomoko. Al clan. All'orgoglio ed alla speranza negli occhi della sua gente quando aveva estratto davanti a loro la Shunka Shuto. Avrebbero perso un eroe. Ma avrebbero continuato a vivere, perpetrando la gloriosa stirpe degli Hyuga.
    Se avesse avuto un corpo, in quella realtà, il giovane chunin avrebbe fatto un passo avanti.
    Le tenebre senza fine parevano pulsare per la trepidazione.
    Vergil era pronto a cadere.

    " I hereby state this cursed will of mine, oh You Who Dwell In Darkness Without Time. "

    In quel momento, pensando quelle ultime parole preliminari, Vergil seppe che era fatta. Non si sarebbe tirato indietro. Non c'era esitazione in lui. Giusta o sbagliata che fosse, avrebbe compiuto la sua scelta nel pieno delle sue intenzioni.
    E dunque proseguì.

    " Grant me my request and I shall pay any price you will see fit to ask. "

    Non c'era traccia di esitazione nel suo avanzare nelle tenebre.

    " It does not matter the sacrifice. It does not matter the pain. "

    Tutto tacque.

    kuroshitsuji_1493737

    Persino quell'oscurità risuonò ovattata e come in preda ad una intensa digestione. La creatura stava godendo dell'occasione presentataglisi alla porta. E pregustava ciò che era a venire. In tutte le possibili implicazioni e coimplicazioni di quell'avvenimento così raro e per certi versi unico, Vergil, anche se non lo sapeva, avrebbe potuto considerarsi fortunato. Perché l'essere era di parola. Oh, sì. Era di parola. Gli avrebbe dato la chiave per il potere che cercava. Avrebbe assecondato il suo cuore disperato e bramoso. Perchè da tempo aveva imparato, osservando i piccoli e laboriosi umani, che il loro cuore quasi mai sapeva discernere il meglio per sé. E nulla, sapeva l'essere di tenebre senza tempo, avrebbe spinto quel ragazzo verso il baratro quanto dargli ciò che così disperatamente chiedeva.
    Le tenebre si immobilizzarono, e Vergil smise di cadere. Pareva di essere all'interno di un oceano oscuro, senza colori né direzioni, senza speranze né paure. Un mondo per certi versi nemmeno spiacevole.

    Ma in quella quietezza risiedeva la maschera dell'inganno. Il divertimento della creatura. La caduta di un'anima di luce e di tenebra. La creatura avrebbe concesso allo Hyuga quanto più desiderava, nessun dubbio a quel proposito. Ma glielo avrebbe concesso con il sapore più aspro immaginabile ad accompagnarlo. Glielo avrebbe fatto detestare. Avrebbe reso quella bellezza degna di disgrazia coronata della disperazione che meritava. E gli avrebbe impedito di dimenticare.

    kuroshitsuji_1493737_Copia

    Quella notte, il demone guadagnò un'altra pedina per il suo gioco senza fine.
    Quella notte, un'anima mortale fu strappata dal suo corso.
    Quella notte, il male stesso sorrise.

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    L'essere parlò di nuovo. Nessun umano avrebbe mai potuto abituarsi a quella voce, ed il fatto che pronunciasse parole così orrendamente veritiere non faceva che aumentare il turbamento che permeava ogni goccia dell'essere di Vergil. Il giovane Hyuga sapeva, o almeno così pensava. Pensava di sapere a cosa stesse andando incontro. A cosa stesse rinunciando. Ed era fermo nella sua decisione. Nobile, estremo. Titanico. Eppure, ad ogni nota di quella sinfonia maledetta, non poteva impedire al proprio corpo di tenebra di fremere in quella dimensione d'ombra. In quel dominio dell'entità con cui era entrato in contatto quella sera che gli Hyuga avrebbero maledetto e benedetto per molti anni a venire, se solo avessero saputo.

    " Go ahead. "

    Si limitò a dire. O, meglio, a pensare. Nessun onorifico. Nessuna forma rispettosa. Ora che aveva l'abisso davanti a sé, simili piccolezze parevano degne di scarsa attenzione. In quella realtà d'ombra, dove non aveva corpo, provò a respirare a pieni polmoni. Non vi riuscì. Evocò allora i ricordi di sé stesso ancora fanciullo, mentre giocava nel laghetto della tenuta con i genitori. I ciliegi erano in fiore ed il loro profumo roseo avvolgeva ogni cosa. La risata argentina della madre lo riempiva di gioia, ricordava, e azzuffarsi con il padre nell'acqua non era da meno. Chiuse gli occhi, lasciandosi momentaneamente andare a quel paradiso ormai perduto. Non era saggio mostrare tutto ciò alla creatura. Non era appropriato. Eppure Vergil continuò. Avrebbe perso anche il ricordo di quella felicità, e desiderava assaporarla sino all'ultimo momento.

    Fu bruscamente richiamato da quel caldo rifugio da un fitta lungo la sua spina dorsale immaginaria. Tutti i suoi nervi formicolavano in quell'oceano d'ombra. Riacquistò un corpo. E la creatura apparve davanti a lui. Un avatar di tenebre. Un essere che non avrebbe mai voluto vedere, pensare, sentire o immaginare. E che tuttavia aveva davanti, con un braccio teso verso di lui. Vergil sapeva cosa voleva che facesse. Ripensò ancora un momento al motivo per cui si era spinto sino a quel punto dell'oceano in tempesta. All'amore che provava per i genitori e per il clan. All'odio per il nemico che li minacciava. Fece l'ultimo passo avanti, ed il palmo della creatura gli si appoggiò sul viso. Entrare in contatto fisico con quell'entità era qualcosa di dissenante, ma Vergil si concentrò sull'odio bruciante che covava e strinse i denti. Finché la creatura parlò di nuovo.



    Il sorriso di scherno della creatura fu l'ultima cosa che vide. Lampi neri fuoriuscirono dalla mano che l'essere appoggiava sul suo occhio destro. Il contratto venne forgiato e inciso sulle sue carni, mentre il suo spirito veniva fatto a pezzi.
    Vergil Hyuga urlò. Urlò come mai aveva fatto prima.
    Tutto divenne nulla, e nulla divenne tutto.

    ~

    Ad un osservatore esterno, il corpo di Vergil Hyuga sarebbe apparso immobile come nel momento in cui si era seduto su quella collina così lontana dalla Foglia. Il giovane shinobi, in effetti, non aveva mosso un singolo muscolo. Ad occhi chiusi, seduto sul terreno, rimirava la luna con iridi che non potevano vedere in quel momento. Sembrava essere passato solo qualche minuto da quando si era seduto, ma il corpo di quel giovane emanava una sensazione di eternità. L'unica differenza sensibile, se vi fossero stati spettatori, era il tempo atmosferico: un vento oscuro aveva iniziato a tirare, più forte ogni minuto che trascorreva. Un vento rabbioso. Un vento crudele. E letteralmente scuro.

    Gli uccelli sugli alberi circostanti si levarono all'unisono, fuggendo in maniera scompigliata. Sulla terra, diversi animali della foresta si comportarono allo stesso modo, fuggendo da quella figura immacolata perché il loro istinto così diceva di fare. Il vento iniziò a vorticare attorno alla collina, sradicando alberi e sollevando massi. E ad ogni secondo la sua forza aumentava, ed il rumore si faceva più intenso, in grado di divorarne qualsiasi altro.

     
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    Le raffiche continuarono ad imperversare, dando vita ad un piccolo tornado di vento nero. Vorticando sempre più velocemente, questo si strinse attorno al corpo del giovane Hyuga, facendolo scomparire dalla visuale di qualsiasi creatura tanto folle da essere rimasta ad osservare.



    Non ci volle molto.
    Il vento nero, contrario ad ogni principio naturale, cancellò il tempo atmosferico circostante, la collina, e persino la terra che al di sotto di essa riposava. Uno spettacolo sovrannaturale. E ogni fibra di quel potere così demoniaco e sbagliato ruotava ora attorno ad una figura nascosta. Una figura immobile. L'ululato di quel vento era qualcosa di terribile, di dissennante. Eppure la figura lì rimaneva, immobile nel centro di quell'inferno di raffiche oscure.

    Poi, da una altezza cui l'uomo non è dato accesso, un fulmine cadde. Un fulmine del colore delle tenebre. Cadde con sicurezza e precisione, colpendo senza fallo il centro di quelle raffiche nere e rilucendo di maligna luce violastro-purpurea. Durò un istante. Il lampo scomparve, portando con sé ogni traccia di quel vento oscuro. In cambio, lasciò dietro di sé una leggera coltre di polvere e detriti, sollevati dall'esplosione dovuta all'enorme calore ed all'impatto. Quella leggera nube che nascondeva la zona d'impatto, ora, era l'unico punto dell'intera zona che risaltava in qualche modo dal suolo. La collina era scomparsa, erosa dalla forza del vento oscuro. Gli alberi, gli animali, la terra stessa. Tutto era stato corroso e distrutto da quell'influsso malefico che in quella notte maledetta si era intromesso nella trama della natura stessa.

    Ci fu come un movimento all'interno della coltre, e immediatamente tutta la polvere ed i detriti si dispersero, consumati da una qualche energia. Al centro di una zona circolare, dove la terra era nera e fumante, si ergeva una figura. Era un ragazzo. Aveva lunghi capelli ramati, un sigillo nero incandescente ad incorniciare l'occhio destro, ed indossava i rimasugli di una tunica stracciata. Il fisico, longilineo e scolpito, era circondato da un'aura inquietante. L'aria stessa, attorno a quella figura, pareva distorta in qualche modo. Ai suoi piedi, il luccichio di una lama ravvivava quella zona desolata per molti chilometri.
    Una divinità era scesa in terra.

     
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    La storia prosegue con il Vuoto di Luna negli Occhi.

     
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