Prigioni di Konoha

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  1. leopolis
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    «Dialoghi»


    Alla fine il verdetto non era stato eseguito, e invece di ricevere una spadata sul collo, ricevette solo un forte, voluminoso, ardente schiaffo. Gli fece male immediatamente, ma non fu un male fisico, e nemmeno morale. Non fu niente. Semplicemente fu qualcosa di simile a un "click": una volta che aspetti solo la morte, e mancano pochi secondi, e capisci che è la fine, che non diventerai mai ciò che avresti voluto essere, che non aiuterai il villaggio, non vedrai i giovani Akuma crescere, non riuscirai più ad allenare la nuova generazione e ti aspetterà solo l'oblio... tutto sta diventa più... chiaro. E lucido. Le emozioni precedenti, come la rabbia, l'odio e un infinito rancore, scompaiono, dissolvendosi in quella prigione. Dopo lo schiaffo riuscì di già a vedere la situazione più facilmente: aveva fallito. Aveva fallito a farsi scoprire dall'Hokage. Poi la situazione era degenerata: prima era stato colpito da quel Genjutsu, quindi aveva, ancora ad animo calmo, sfidato quel bestione alla morte (sarebbe morto sicuro, ma tant'è...), poi, quando gli fu tagliato il braccio, sentì solamente odio, rancore glaciale, risentimento, voglia di vendetta, e quando fu costretto a mangiare la sua stessa carne non ebbe che una vista completamente perduta, coperta dalle mille emozioni che era stato costretto a trascinarsi. Ma la colpa iniziale era sua. E pensare che sarebbe stato sufficiente semplicemente cambiare la voce! Se Raizen non poteva riconoscere né il chakra, né l'odore, cambiare la propria tonalità di voce avrebbe salvato la missione.
    "Diamine!" - pensò. Poi la miriade di insulti che aveva ricevuto, non avevano fatto che annebbiargli la vista ancor di più, creando un risentimento profondo, con le radici persino nell'anima. Portandolo sul baratro della more e li facendogli inventare una storia che, se vista dall'esterno, era assurda davvero. Perché mai il Mizukage avrebbe dovuto sbarazzarsi di un qualcuno che gli sarebbe stato sempre fedele?
    Immediatamente dopo lo schiaffò arrossi, più per la vergogna di aver insultato tutti i presenti li dentro, che per altro. Quando poi gli ultimi elementi di rabbia, e rancore, e tristezza, e odio, e risentimenti sparirono, si scoprì che non era arrabbiato. Che ora sì, era sereno. Che riusciva a vedere il suo fallimento in maniera più lucida, diretta. Che avrebbe tratto una lezione da tutto quello.
    «Perdonami Itai.» - sospirò sincero. - «Non volevo dirti questo. Ma quanto ho passato nelle ultime ore mi hanno offuscato la mente e l'animo. Sono stato colpito da un jutsu, mi è stato reciso un braccio, mi hanno costretto a mangiarlo, e sono svenuto in preda alla follia. Quando invece ho riaperto gli occhi, ho visto te che mi sbraitavi contro e e mi condannavi a morte. Non volevo dirti questo,» - ripeté. - «E me ne vergogno. Hai fatto molto per me, e ti stimo come leader, come Mizukage e come capo. Tutto ciò che ho detto è stato detto in preda ai continui insulti dell'Hokage, alla rabbia del momento e a tutto ciò che ho dovuto sopportare nelle ultime ora. Mettiti nei miei panni: entro nel suo ufficio, rispetto tutte le regole etiche, e lui mi accusa di aver già sentito la mia voce. Io nego, dicendo che gli Akuma hanno spesso voci molto simili. Lui mi accusa di nuovo. Io mi invento un albero genealogico fino alla quarta generazione per rispondere che nel mio stesso albero ci sono persone che hanno voci uguali. Lui inizia a usare qualche jutsu su di me. Mi sento attaccato e... beh... non era proprio la mia mossa migliore, ma lo sfido a morte. Poi lui mi taglia un braccio, io gli propongo di tagliare anche l'altro, lui mi costringe a mangiare il braccio tagliato, io la mangio di buon grado e gli sputo contro.... hahahahahahhaha Che situazione idiota!» - si mise a ridere sincero per la situazione che era venuta a crearsi. Un misto di fraintendimenti, di rabbia accesa, di risentimento, di scherzi e di quant'altro. E pensare che voleva davvero morire poco prima, tutto pieno di risentimento per quei 2.
    «Io non diventerei mai un nemico di Kiri, Itai. MAI. Quella è la mia patria, è la terra che mi ha allevato e mi ha fatto crescere come shinobi e come individualità. Provo più rispetto verso il singolo abitante di Kiri, di quanto ne immagini. E non voglio essere nemmeno un tuo nemico. Ho compreso di aver sbagliato, ma credimi: non voglio essere un tuo nemico. Non più. Ho capito quanto fosse assurda la cosa che mi sono messo a dire su di te e sul complotto contro di me, ma... nel momento di rabbia e frustrazione la trovavo... ehm... intelligente e precisa. Ora che è svanita la rabbia, vedo quanto fosse idiota la storia che ho raccontato. E vedo quanto abbia mancato di rispetto verso l'Hokage, il Mizukage, il torturatore qui dentro e verso anche me stesso.» - Disse sincero. Ora che la rabbia era andata, si sentiva diverso. Un povero idiota. Come un povero frustrato che si vergognava di quante ne aveva detto contro gli uomini li presenti. Come aveva potuto? Specialmente ad accanirsi contro il torturatore che non ci c'entrava nemmeno niente?
    «D'accordo. Accetto la proposta di migliorare la mia maschera, Itai. Ma non posso tornare al villaggio. Non ancora. Devo prendermi una pausa. Devo viaggiare e riflettere. Mi sento... morto. Come se qualcosa in me fosse morto davvero. Come se... uhm... Devo cambiare. Migliorare. Non mi sento più degno di essere un kiriano, né di essere un Akuma. » - sospirò, lasciando dunque la parola a Itai.
     
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