Danni Collaterali

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  1. Kei Hajime
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    Danni Collaterali

    Pensieri. Sorrisi.




    Quant'era passato? Una, due, tre ore? Il tempo per me era qualcosa di indefinito, così come indefinita era la stranezza di quel che io sentivo alla vista del cielo notturno sopra di me. Quelle miriadi di punti luminosi erano talmente diversi dall'accecante luce del sole che offuscò i miei sensi quando rinvenni in mezzo al nulla, poco tempo prima. Non che la notte mi emozionasse in qualche modo, ma, essendo per me tutto così nuovo ed ogni percezione sensibile assolutamente diversa da un'altra, mi venne naturale paragonare i due tipi di esperienza. Se una cosa era certa, era che la barriera attorno alla mia umanità era spessa, spessa, spessa, spessa, spessa...
    Mi bloccai su quel pensiero e quella parola non volle andar via dalla mia mente. Non riuscivo a pensare ad altro. I miei pensieri erano divenuti un nastro rotto, che ripeteva sempre e solamente la stessa sinfonia.
    Un brivido mi fece sbloccare. Un uomo stava svegliando tutti i membri del gruppo. Mi misi in piedi. Prima di alzarmi sfiorai un'ultima volta l'erba fresca ed umida sotto di me: qualcosa di completamente diverso dal ruvido tocco dei granelli di sabbia che ricordavo così bene. Il mio corpo necessitava di sentire, percepire, di mettere in funzione ogni senso, forse, proprio perché il mio cervello, invece, non riusciva a sentire nulla.


    [...]



    Non avevo rivolto la minima preoccupazione alla missione incombente. Ero molto più interessato a scoprire il mondo attorno a me. Dopo essermi destato mi ero sciacquato il volto e avevo mangiato qualcosa senza la minima attenzione. Ed ora eravamo in viaggio. Mi sforzai di ricordare quello che il tizio nella tenda ci aveva comunicato poche ore prima: dovevamo dirigerci in direzione ovest nord-ovest. Kuroi Gumo, il caposquadra, guidava il gruppo. Sarei riuscito di sicuro a vivere senza nessuna conversazione, ma, a quanto pareva, egli volle rompere il silenzio per avere una maggiore conoscenza dei membri del suo team. Non che gli dessi torto, ma condividere le mie personali informazioni con altri non faceva proprio per me. Si limitò a farci sapere di prediligere la lunga distanza. Poi fu il turno del ragazzo col nome di Masayuki. L'avevo già notato all'accampamento. Aveva salutato tutti noi appena uscito dalla tenda ed io avevo ricambiato il suo saluto fissandolo con occhi sgranati per parecchi secondi in modo del tutto inespressivo. Adesso però Masayuki stava parlando mentre camminava. Fu particolareggiato nel descriverci come fosse abile in Ninjutsu e Genjutsu atti a disorientare l'avversario piuttosto che ad un'offensiva diretta. Ascoltai attentamente e registrai. A seguire prese parola Ichiro. Penso fosse questo il suo nome. Lui invece disse di essere portato per i ninjutsu ed il combattimento ravvicinato con la sua wakizashi. Aggiunse di saper fare altre svariate cose e chiese infine che gli fosse assegnato il compito di cartografo. In effetti eravamo sprovvisti di qualsiasi tipo di mappa. Misi in memoria anche tutte queste informazioni. Arrivò infine il mio turno. Non ero capace a parlare come avevano fatto i miei compagni. Sarebbe stato contro la mia natura. Inoltre non avevo nessuna intenzione di condividere le mie capacità con degli estranei.

    Taijutsu. Corpo a corpo. E qualche illusione per… disorientare.

    Punto. Bastava. Se lo sarebbero fatto bastare. Specie se avessero guardato il mio volto. Volevo apparire simpatico in modo da evitare che mi creassero problemi. Avevo visto già altre volte distendere i muscoli facciali in un modo abbastanza caratteristico: veniva chiamato sorriso. E così feci. Sorrisi… sempre se i miei compagni avessero riconosciuto che quella smorfia raccapricciante, con una guancia mezza distesa e l'altra cadente verso il basso, fosse un "sorriso".
     
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30 replies since 19/5/2012, 01:14   571 views
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