Tempio del vento

[Vario]

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    Il Colosso guardò il drago con la coda dell’occhio, uno sguardo ben lontano dalla compassione che in un altro momento avrebbe dimostrato per quella che a tutti gli effetti era una storia colma di sventure e tradimenti.

    Attento alle parole che usi, lombrico.
    Stai parlando da parecchio tempo, ma di preciso cosa tenti di fare?
    Di illustrarmi la storia? Non sono ancora così sciocco da poter prendere le tue parole come oro colato, anche se stanno facendo calare su di me una fitta ombra densa di dubbi.
    Voglio sapere una cosa, di chi era il ruggito che vi ha riportato all’ordine?
    Pare che in qualche modo lo temiate o gli dobbiate rispetto, non sarebbe male saperne qualcosa.


    La domanda giunse con un tono più sereno rispetto alle parole iniziali, dure e sprezzanti, avrebbe atteso le sue risposte prima di avventurarsi nell’ultima parte del percorso.

    Qualcosa non mi è del tutto chiara comunque, questa storia vi ha arrecato dolori e sofferenze, eppure ne siete usciti forti, tenaci. Potrei avere una visuale differente della vita, ma per quanto mi riguarda se mi fortifica merita d’esser vissuto.
    Ma, la cosa più importante è un’altra.


    Disse mentre azzerava la distanza tra se e il piccolo rettile.

    A te le vicende sono state sicuramente raccontate, sei troppo piccolo, alla fine del percorso voglio parlare con il più anziano di voi, o in alternativa col capo del vostro clan, sono più che certo che avrà tutte le risposte di cui necessito, e cosa ancora più importante mi aiuterà a capire e capirvi.

    Che il Colosso fosse strano era stato chiaro da sempre, definirlo normale voleva dire che era uguale a qualsiasi altro essere umano nel carattere, o simile nelle emozioni, ma tutto poteva essere fuorchè quello. Il piccolo drago gli aveva raccontato parecchio sulla sua stirpe, e solo ora si rendeva conto di quanto fosse ignorante e di quanto limitato fosse il suo “campo visivo”, immaginava che la stirpe dei draghi si fermasse a quello che era il suo clan, quello che con lui aveva stipulato un patto, invece, aveva lentamente scoperto un secondo clan e pareva che ne esistessero anche altri due di cui non sapeva nulla.

    Siete creature antiche, ma nonostante abbiate la fortuna di una vita estremamente lunga temo che qualcosa di importante vi sfugga.

    Tacque qualche secondo.

    Voglio incontrare TUTTI e quattro i clan. E voglio la storia di tutti e quattro.

    Annunciò categorico, quasi come se emettesse un giudizio irrevocabile, ma agli effetti quella non era altro che una presa di posizione. Se c’era da sapere avrebbe saputo, se c’era da scoprire l’avrebbe scoperto, ma sopra ogni cosa avrebbe ricucito i clan per riportare quella specie agli apici che meritava.
    Non avrebbe accettato risposte diverse da un “si”, ed il suo viso riusciva a comunicarlo bene, poteva non avere corna, squame o denti aguzzi, ma il volto del Colosso era ben lungi dall’essere amichevole dopo quella affermazione.
    Una volta che il piccolo drago avesse dato qualche risposta o interagito in qualche modo Raizen avrebbe fatto un passo verso le tenebre.


    Paura, non sono mai stato affetto da simile malattia, anguilla travestita da drago.

    Tuttavia, le ombre, per quanto tentasse di allontanarle, si facevano sempre più vicine, avide, gli strisciavano incontro come dei tentacoli tastando il terreno come se annusassero la presenza del Colosso e ne cercassero il corpo per avvilupparlo, lente, viscide, appiccicose: volevano quell’essere. Trovarono il tacco di Raizen mentre questo procedeva per il tunnel, inizialmente il Colosso neanche si rese conto del contatto se non per una lieve resistenza che non pensò di attribuire alle ombre, eppure, da quel piccolo punto una sgradevole sensazione gli si propagò in tutto il corpo: il freddo abbraccio della paura. Mordendogli da prima il tallone salì rapida andando a stringergli il petto in quel languido abbraccio con cui la paura sa tenersi stretta le sue vittime. A quella bestia impalpabile non occorreva essere forte, gli bastava il contatto per privare di forze la propria vittima e annichilirla, imprigionandola nel suo stesso corpo. La paura era una bestia orrenda, col viso orribile di ogni singola fiera che avesse un orrenda ancora nei ricordi del proprio passato. Il Colosso si fece umano, quasi rimpicciolendosi mentre si ingobbiva sotto il peso della paura, mentre il suo passo si faceva incerto e gli occhi scrutavano il buio cercando la fonte di quel terrore ormai palpabile, in ogni angolo, in ogni pietra, in ogni anfratto: nulla di nulla.
    Giunto forse a metà del corridoio quelle ombre si erano nutrite di lui quanto bastava a farle allontanare e fargli prendere una nuova forma, allentando lievemente la presa sulla sua mente, forse per via del fatto che ora riusciva a vedere qualcosa da temere e con cui sfogarsi, non solamente una sensazione dovuta alla paura stessa. La paura era decisamente qualcosa di troppo grande per essere affrontata senza nessun capro espiatorio. Fece roteare un istante un kunai sulla mano prima di lanciarsi su quella sagoma, non era la prima volta che vedeva una sua copia prendere forma dalle ombre, ci sarebbe voluto tanto ma l’avrebbe battuta, ne era certo, come lo era le altre volte. L’errore fu credere che quell’ombra potesse in qualche modo somigliare alla tecnica con cui Jotaro gli mise contro un suo alter ego, quando si scontrò con la sagoma infatti non accadde nulla, fu come attraversare il vuoto, anche se l’ombra pareva tutt’altro che immateriale mentre gli avvolgeva il braccio lasciandosi attraversare per poi aderire alla perfezione in tutto il corpo del Colosso, per poi sparirvi, come assorbita. Spaesato il konohaniano si tastò il corpo, lievemente dubbioso sull’accaduto, ma pareva essere tutto normale, solamente quando rialzò lo sguardo si accorse di essere totalmente immerso nella nebbia, visibilità zero, da li all’infinito. Era solo, disperso, infreddolito. Un orfano del mondo.
    Il piccolo drago però non avrebbe potuto vedere null’altro se non il Colosso scontrarsi con la sua controparte per poi accasciarsi al suolo, come se averse perso la sua scintilla di vita. Avvicinandosi avrebbe potuto notare della schiuma bianca sulla bocca di quest’ultimo e gli occhi totalmente bianchi, solo dopo qualche secondo il Colosso si sarebbe ripreso con uno scossone, allontanandosi a carponi dal rettile e premendo le spalle contro il muro, totalmente rapito dal terrore.


    Nebbia nebbia nebbia nebbia
    Solo bianco solo bianco solobiancosolobianco
    Tranquillotranquilotranquillo


    Ripeteva borbottando quasi come una cantilena mentre dopo aver preso la testa tra le mani si dondolava avanti e indietro.

    Forse qui non c’è forse nonc’è forse nonc’èforsenonc’èforsenonc’è

    Continuò mentre i suoi occhi frenetici analizzavano tutta la stanza. Se il piccolo rettile avesse provato ad interagire il Colosso l’avrebbe fissato qualche secondo per poi urlargli contro.

    NON LO VUOI SAPERE! NON VUOI SAPERE COSA HO VISSUTO!

    Si sarebbe chiuso in se stesso come se volesse strizzare via quei ricordi orribili, eppure la sua mente continuava ad essere ferita, ma a guardare bene intorno, ora la nebbia era svanita, non c’era ragione per continuare a brancolare nel terrore, quasi quella paura svanì lasciando nella sua mente solo una ferita cauterizzata.

    Sono…sono pronto.

    Avrebbe detto timido.
    Patetico, avrebbe detto di se stesso in quel momento se si sarebbe potuto osservare. Riprese a camminare lentamente, accelerando il passo mano a mano che la luce dell’uscita schiariva il tunnel. Correva nuovamente, a perdifiato, conscio che quella prova era ultimata.
    Andava tutto bene, era tutto liscio, correva verso la fine, ma improvvisamente si rese conto di una cosa: non gli interessava vincere.


    Portami, adesso, dal tuo capo.
    So che puoi farlo Yajirushi.
    In alternativa convocalo per avere salva la vita.


    Avrebbe parlato di spalle al piccolo drago, che sicuramente si era lasciato alle spalle durante la corsa, salvo girarsi mentre pronunciava l’ultima frase per incontrare gli occhi del rettile con i suoi, uno sguardo gelido che probabilmente Yajirushi avrebbe compreso se aveva ereditato la linea di pensiero dei suoi consanguinei. Era lo sguardo della più incrollabile tenacia, l’unico scheletro che poteva sostenere la vera forza.

    Adesso.

    Avrebbe aggiunto nuovamente indurendo l’espressione mentre investiva il drago con una corrente di vento.
     
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