La Principessa e il Traditore

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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    La Principessa e il Traditore
    Preghiera sulla tomba dei genitori

    I


    Colonna sonora /X)


    La strada per il cimitero la ricordavo ancora. Un posto lugubre, pieno di alberi lugubri e di gente lugubre. Un posto dal quale ero uscito, cinque anni prima, solo e senza nessuno per non mettervi mai più piede. Così, mentre seguivo Drake di tetto in tetto, abbastanza sovrappensiero, sentii nel petto una sensazione disgustosa che ben presto mi prese lo stomaco, attanagliandolo in una morsa gelida che mi fece venire la nausea.
    Era per caso senso di colpa?
    Probabile.
    Cinque anni sono troppi, anche per un traditore. Avevo sempre dato per scontato che Konoha avrebbe sempre respinto una richiesta del genere. Avrei potuto ingegnarmi. Avrei potuto infiltrarmi senza essere notato e dirigermi lì, in quel cimitero, a ricordare mia madre e mio padre. Ai morti non interessava sotto quali spoglie andavi a fare loro visita.
    Ai morti non interessava nulla. I morti erano morti e i cimiteri esistevano solo per i vivi.
    Non era senso di colpa.
    I miei genitori non era più concessa la sofferenza. Erano in pace ormai. La mia mancanza riguardava solo ed esclusivamente me. La mia coscienza. La mia necessità di avere un conforto che mi era stato negato. Avrei voluto parare con mia madre, raccontarle molte cose.
    Non potevo farlo.
    Avrei voluto lavorare nuovamente con mio padre, chiedergli cosa fare.
    Non potevo farlo.
    Loro erano stati portati via per sempre da me, da Maku, da Hanako. Le tombe erano i posti dove i vivi ricordavano i morti e dove, per questo, potevano ancora immaginare – per qualche minuto – di parlare con loro e trovare un conforto per sofferenze che i vivi non riuscivano a placare.
    Solo i Kami sapevano di quanto avessi bisogno io di quel conforto. Ayame era malata, ero praticamente solo con le bambine da un po’ e mi sembrava che tutta Kiri mi odiasse. Avevo bisogno di ricordare le voci dei miei genitori. Di ricordare a me stesso le loro lezioni e quindi trovare le risposte che cercavo.
    Lì, davanti alle loro tombe di pietra.
    Arrivammo nel cimitero passando per la porta centrale. Mi ero fatto più taciturno e ogni ombra di sorriso era del tutto sparita. La mattina avanzava rapida e ben presto qualcuno sarebbe venuto a far visita ai suoi cari. Avrei preferito non essere visto da altre persone di Konoha.
    Ricordo ancora dove sono mormorai a Drake quasi distrattamente. Era vero.
    Dopo cinque anni quei vicoli erano per me straordinariamente familiari. Stradine strette, per lo più tortuose, contornate da bare di uomini e donne, ninja e non che sembravano fissare il mio ritorno nella patria nativa quasi con disapprovazione.
    Avevo tradito, che ci facevo lì?
    Ignorai quel macabro pensiero partorito dalla mia mente e mentre la sensazione di nausea e dolore si faceva più intensa, voltai in una stradina laterale che saliva subito con una decina di scalini fino in cima a una piccola collinetta dove c’erano sei o sette bare. Lì, al centro di quel piccolo rilievo, riposavano Hanako Uchiha e Akarashi Nara.
    Mi fermai sull’ultimo gradito e mi voltai appena verso Drake.
    Rimani quì, per favore, voglio restare un attimo da solo ed era comprensibile come richiesta. Così camminai per quella decina di metri che mi separavano dalla grande lapide di pietra comune che cinque anni prima scelsi come tomba. C’erano dei fiori freschi, i miei fratelli dovevano essere passati di recente.
    La fissai, senza riuscire a pensare a nulla.
    La fissai, senza riuscire a dire nulla.
    La fissai, senza riuscire a muovere un misero muscolo.
    Piegai le ginocchia appena e allungai le dita quanto bastava per posare i polpastrelli sul marmo liscio. Cercai di ricordare il tocco di mia madre, ma mi accorsi di non riuscire nemmeno a ricordare bene il suo viso.
    Mi si serrarono i denti e la gola e gli occhi iniziarono a bruciare.
    Non piansi.
    Ricordai.

    Ricordai molte cose. Ricordai la mia infanzia, passata ridendo e giocando con mio fratello. Ricordai i giorni tristi della scomparsa del mio gemello. Ricordai il ritorno alla vita e alla felicità, quando mia madre riuscì a farmi ridere ancora e mio padre iniziò a crescermi più come un uomo. Ricordai il giorno in cui chiesi per la prima volta di essere un ninja e la durezza con cui mio padre me lo negò. Lo odiai all’epoca, ma adesso lo capisco. Non ero del tutto certo di potermi dire felice se Jukyu e Nana avessero deciso di intraprendere la mia carriera. Ricordai le sgridate. Ricordai le risate. Ricordai gli allenamenti e la loro reazione quando, ormai maggiorenne scelsi la vita del ninja.
    Ricordai la loro morte.
    Quel fumo soffocante che portò via la loro vita.
    Ricordai la scoperta della loro vera identità e quindi della mia.
    Nara e Uchiha. Il sangue di due clan, i poteri di nessuno.
    Scusatemi non parlai.
    Pregai silenziosamente, sperando solo che potessero ascoltarmi. Non riuscivo a parlare a una tomba.
    Era stupido, insensato e doloroso.
    Sono passati cinque anni abbassai il capo verso la terra sotto la quale riposavano le loro ossa Cinque anni e il vostro figlio degenere non ha nemmeno avuto la forza di venire a lasciare un fiore sulla vostra tomba. Io, che vi ho seppelliti.
    Quanto vorrei che foste vivi, vorrei dirvi tante cose, vorrei raccontarvi tante cose mi strofinai gli occhi, non volevo piangere Sono un Jinchuuriki, sai papà? Tu che hai sempre voluto tenermi lontano dalla sofferenza di questo mondo… alla fine, tuo figlio ha fatto di testa sua, ed è diventato il ninja che più soffre la gola era dolorosa, la nausea era svanita ma quella sensazione che non riuscivo a capire permaneva, tremenda e spossante E sai mamma, mi sono sposato. Vorrei che tu potessi conoscere Ayame, ti sarebbe piaciuta tanto. E ho due figlie, ho avuto la stessa vostra fortuna di averne due in un colpo solo… sono bellissime, impazziresti per loro cercai nella tasca dei miei pantaloni qualcosa ed estrassi una foto, che posai ai piedi della lapide. La foto ritraeva me e Ayame, insieme, e sulle nostre ginocchia con lo sguardo spaesato tipico dei bambini piccoli, le nostre figlie.
    Ho bisogno di voi ammisi tra me e me, posando nuovamente le dita sulla lapide di marmo grigio Non so cosa fare. La mia vita… la mia vita sta diventando un casino tremendo. Rischio di perdere Ayame e di dover crescere Jukyu e Nana da solo e a Kiri… Cosa ho fatto?
    Cosa ho fatto?
    La domanda che tutti coloro che commettevano un crimine e poi si rendevano conto dell’enormità dello stesso si pongono.
    Cosa avevo fatto cinque anni fa? Perché ho lasciato un villaggio per andare in uno nuovo, dove tutti diffidano di me perché ho lasciato il primo e perché pericoloso, in quanto Jinchuuriki?
    Perché avevo commesso quell’errore?

    Errore…

    Ho sbagliato, mamma?
    Cosa mi avrebbe detto? Avevo realmente distrutto le mie possibilità di essere felice lasciando Konoha? Cosa avrebbe detto la donna… la donna che per amore aveva lasciato il suo clan, si era privata dei suoi poteri come kunochi, che per proteggere i suoi figli dalla sua stessa famiglia si era separata da loro e che era figlia di un nukenin?
    Mi avrebbe dato dell’idiota. Mi avrebbe detto di guardare più nelle mura di casa mia che fuori. Mi avrebbe ricordato che se la gente mi odiava, dovevo far cambiare loro idea. E dentro casa, però, c’era ancora Ayame. Avevo ancora le mie bambine. Avevo sempre qualcosa per cui lottare. Per cui non arrendermi, essere forte, sorridere alla vita.
    E poi c’erano i miei amici.
    Drake, compagno di mille battaglie per lo più letali, che mi aveva permesso di rivedere quella tomba.
    Takuma, il nuovo Jinchuuriki che più che mai aveva bisogno di una mano.
    Shinodari, Ryutsuki, che erano un’altra parte della mia famiglia.
    Miyori, la loro nipote, che non avevano mai conosciuto.
    E altri, altra gente con la quale andavo più o meno d’accordo ma con la quale avevo stretto rapporti. Che mi avevano aiutato quando avevo bisogno. I miei fratelli, la gente di Kurohai.
    Importa qualcosa se qualche vecchia bisbetica mi odia per ciò che sono, mamma? pensai, mentre una lacrima cadeva dall’occhio destro Importa qualcosa se ho più motivi per essere felice? allungai il capo, fino a posare la fronte contro il freddo marmo della lapide, cercando di trattenere le lacrime che premevano con la forza di uno tsunami dietro i miei occhi per uscire.
    Non potrò tornare molto presto, mamma, papa. Forse non potrò tornare più, non lo so. Se dovesse succedere qualcosa ad Ayame… concedetemi la vostra forza, perché ne avrò bisogno
    Itai Nara non aveva mai pregato.
    Ma in quel momento, Itai Nara ne aveva più bisogno che mai.

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    Mi rialzai. Non riuscii a guardare Drake in faccia, fissavo ostinatamente le tombe che da quella piccola altura potevo vedere. Non mi ero accorto che altre lacrime avevano rigato il mio viso ma che, in buona sostanza, mi sentivo meglio.
    La sensazione che avevo provato fino a poco prima era sparita. Capii solo allora che da quando avevo messo piede dentro Konoha ciò che avevo sentito era paura.
    Pure e semplice paura di non essere abbastanza per Jukyu e Nana, per me stesso e per tutti quelli che, alla fine, facevano affidamento su di me.
    Ero più legato ad Ayame di quanto la gente credesse. Mi aveva conosciuto in un momento duro e grazie a lei ero riuscito a vivere di nuovo. Avevo trascorso gli anni più belli della mia vita con lei. L’avevo sposata. Era la madre delle mie figlie.
    Non sapevo cosa avrei fatto senza di lei. Una cosa però era certa.
    Non mi sarei arreso. Come non mi ero arreso mai.
    Come non si erano mai arresi i miei genitori.

    Mi asciugai le lacrime e finalmente tornai a vederci decentemente. Tra le molte file di tombe, tra le ultime, ce n’erano alcune simili tra loro, disposte vicine. Le uniche che una ragazza, in lontananza, stava osservando. La potevo solo osservare di spalle dalla mia posizione, senza capire chi fosse.
    Drake chiamai allora il mio amico, stendendo una brutta sensazione addosso Chi è lei?
    Non mi aspettavo la sapesse. Ma c’era una cosa che Drake non capiva.
    Quella ragazza ricordava me, davanti alle tombe delle vittime dall’attentato alla piazza centrale di Kiri. A fissarle, senza riuscire a comprendere davvero il motivo per cui una tale tragedia fosse accaduta, con una sola sensazione a farla da padrona sulla tristezza e sulla rabbia.
    Un indomabile, immenso e doloroso senso di colpa.
     
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    Rimase in disparte, lasciando, ovviamente, lo spazio al suo amico di Kiri per parlare o portare onore ai suoi cari: si fidava, quindi rimase di spalle, cercando di non spiare ciò che veniva fatto davanti alla tomba; Preferì per passare il tempo farsi un giretto tra le tombe, dando un'occhiata a chi c'era e chi non c'era: lìnon vi erano i suoi genitori, ma molti dei suoi compagniche aveva lasciato in battaglia, molti delle reclute delle mura morte durante il lavoro, molti ninja che aveva allenato e che in missione aveva perso la vita.
    La passeggiata lo portò a ricordare quando aveva messo insieme il team di Konoha, composto anche dalla sua allieva Shay Hyuga, e del momento in cui finì d'esistere per la morte di uno dei membri, forse quello che aveva avuto un incontro sbagliato lungo il suo cammino: forse non erano stati i serpenti di Orochimaru, forsi invece si, ma lui non l'avrebbe mai scoperto.
    Continuò lungo una delle rocce commemorative più importanti in quel luogo.
    Si trovava lungo l'infinita fila di lapidi bianche posizionate a terra, una costruzione di roccia nera e con sopra numerosi nomi di ninja valorosi: loro eran pura ispirazione per il ragazzo, ninja che aveva dato tutto per Konoha, ninja che avevano meritato con la loro morte di vivere nelle memorie di tutti avendo un posto in quel luogo; Sperava di non finirci molto presto, anzi, di non finirci affatto e di continuare la sua vita dentro la Foglia per gli anni a venire.
    Si ricordo nel frattempo che avrebbe dovuto indire pure la riunione dentro Konoha: ora come ora il villaggio era paragonabile a una fortezza senza senso, qualcosa che aveva le fondamenta ma non ancora le mura; Avrebbe dovuto recuperare più soldi possibile e più gente possibile, per costruire e potenziare la sua casa, almeno finchè aveva il potere di amministratore: era sicuro che i piani alti si sarebbero accorti della presenza, prima o poi, di Itai a Konoha, quindi doveva agire subito sfruttando la sua carica, sperando che non gli venisse tolta per quella gitarella. Per come l'amico aveva bisogno di questo viaggio per commemorare i suoi genitori, avrebbe abbandonato il suo posto di amministratore subito se il consiglio l'avesse valutato troppo pericoloso: Konoha stava diventando una gabbia di matti, cinici e senza cuore.
    Se fosse diventato Kage, avrebbe cambiato tutto ciò, questa era una promessa.
    Comunque, dopo un pò la voce del suo amico rieccheggiò dentro alla zona, richiamando l'attenzione di Ryouji: un'altra persone era dentro quel luogo e come il Kiriano, sembrava immersa nel portare omaggio a qualche caro defunto. Non ne ho la più pallida idea...comunque non è difficile vedere visitatori in questo luogo. Disse, girandosi verso la ragazza e osservando la scena: non voleva importunarla, non sarebbe stato giusto.


     
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    what we have done for others and the world remains and is immortal.

    Shizuka Kobayashi's guilt




    divisore





    « Ojou-sama...? »

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    Una giovane donna dai capelli a caschetto rossi, vestita di un Hakama scuro color del fumo, si abbassò lentamente sul terreno arido di una distesa picchiettata di lapidi di marmo e roccia -lì dove il colore del cielo si proiettava opaco sulla vastità del nulla, divorando quei pochi bagliori di luce che un luogo del genere era in grado di rispecchiare- e dopo aver esitato per un breve istante, allungò delicatamente una mano verso una figura posta a poca distanza da lei...
    … la quale, accartocciata su stessa, sembrava star andando in pezzi come uno specchio gettato nel vuoto di una caduta senza rimedio.
    Dall'altra parte, nessuna risposta.
    « Ojou-sama è da ancor prima dell'alba che siamo qui... » Mormorò la giovane donna dagli occhi cerulei, i quali, consci dello spettacolo di cui erano testimoni, non poterono far altro che abbassarsi, colmi dello strazio tipico di chi osserva la persona amata andare in mille pezzi senza possibilità di esser ricreata « ...suggerisco di andare a casa, mangiare qualcosa e fare un bagno caldo per riposarci » Propose, ma ancora una volta nessuna risposta « Mia signora...? » Tentò nuovamente a chiamare un'addolorata Ritsuko Aoki, la cui affusolata mano infine si adagiò su una piccola spalla ricurva, andando così a scuotere l'involucro senza vita di una minuta figura avvolta in uno splendido kimono di pura seta nera, il cui sobrio obi d'argento pareva esser l'unico punto di luce di una scena colma dell'oscurità del lutto « ...Mia signora, temo che inizierà a piovere a breve, ripeto che dovremmo andar--- … »
    « No »
    Una voce flebile, femminile, delicata ma decisa.
    « Ma, Ojou-sam-- »

    « Loro si bagnano »


    Silenzio.

    « Loro si bagnano, se piove »

    Silenzio.

    « I bambini » Puntualizzò la voce, gentilmente, come se non fosse ben conscia di ciò che stava dicendo « I bambini si bagnano, se piove »

    Silenzio.
    Profondi occhi blu che si abbassano, per poi chiudersi tremanti.
    Una mano che si ritira, stringendosi nello stritolare il vento.
    Un bocca che si apre. Si chiude. Si riapre nel silenzio, si richiude nell'impotenza.

    « Ojou-sama... » Sussurrò infine, debolmente, Ritsuko Aoki, dopo diversi tentativi falliti, riducendo poi le labbra ad una fessura impercettibile, quasi tentasse così di impedire alla sua stessa voce di scappare fuori, rivelando ciò che, forse, non era necessario ribadire ancora, per l'ennesima volta...
    « …Loro sono morti »

    E furono solamente tre parole. Gravose. Pesanti...
    … ma che, sole, bastarono a ridare il movimento a quella figura finora rimasta immobile, la quale, alzando improvvisamente il volto verso il cielo -portando così alla fioca luce di quella pessima giornata un volto da bambola tradizionale dai profondi occhi verdi e dalle rubiconde labbra di ciliegia- parve quasi stupita di quella sentenza. Di quel gong di verità che sembrò arrivare alla sua mente addirittura per errore.
    Alzando dunque le sopracciglia verso l'alto così da assumere la più sincera espressione di stupore mai veduta al graziato Villaggio della Foglia, Shizuka Kobayashi -la più famosa Principessa delle Terre del Fuoco- reclinò leggermente la testa verso destra, lasciando così che i suoi lunghissimi e setosi capelli castani, lasciati liberi di danzare nel vento, le scivolassero sul viso, oscurandolo per un attimo.
    « Oh! » Esclamò però lei, stupita e noncurante « E' così, dunque » Disse, semplicemente... mentre accanto a lei la sua fedele compagna di una vita -la sua migliore amica dai tempi in cui entrambe, coetanee bambine, non sapevano nemmeno come indossare i geta smaltati da danzatrice- si portava entrambe le mani al volto, cercando così di trattenere le lacrime « Sono davvero morti, allora? » Domandò comunque educatamente la Principessa, senza distogliere lo sguardo da chissà cosa, lassù in un cielo plumbeo privo di speranza.
    Lo domandò... per la millesima volta.
    « Si, mia signora... » Sussurrò con voce rotta Ritsuko Aoki, passandosi le dita tremanti sul viso nel tentativo di impedire alla propria disperazione di palesarsi su quel volto che venne offerto alla propria interlocutrice il più sereno e stabile possibile « Sono morti » Ripeté, cupamente.
    « E' colpa mia » Intervenne rapidamente la bella Principessina, come se non aspettasse altro di dire quelle parole, e lo fece in modo talmente soave che non pareva star ponendo una domanda... ma emanare una sentenza. Una sentenza di morte.
    « No » Rispose però la distrutta domestica, ignorando quante volte avesse ripetuto quell'unica parola nell'arco della settimana precedente, e così dicendo scosse la testa, cercando a quel punto di prendere nelle proprie una delle mani di quella fragile ragazza dallo sguardo smarrito, la quale, mai prima d'allora, era sembrata così adulta... lei con quel suo kimono da cerimonia nuovo il cui odore ancora tradiva l'alta sartoria che l'aveva confezionato di gran carriera secondo le indicazioni sbrigative di una silente Heiko Uchiha, la quale, dieci giorni prima, non aveva potuto far altro che constatare che di Kimono da funerale, sua figlia non ne possedeva neanche uno... niente di cui stupirsi, del resto la tristemente celebre Shizuka Kobayashi di lutti non ne aveva mai subiti.
    Nessuna delle persone da lei conosciute era mai morta.
    Nessuna delle persone che attorno a lei vivevano e sorridevano, era mai defunta.
    Nessuno.
    « Non è colpa Vostra, mia signora... nessuno avrebbe potuto anche solo immagin--- »

    « L'ho fatta esplodere io quella bomba, Ritsuko »


    Nessuno era mai morto... per colpa sua.
    Nessuno.

    « IO non sono stata in grado di disinnescarla, presa com'ero dall'incapacità di controllarmi, di ragionare razionalmente nell'unico stramaledetto momento in cui avrei dovuto farlo »

    Una voce che riprende improvvisamente il controllo dei propri sentimenti, proprio come un fulmine nell'oscurità che preannuncia il tifone.
    Una mano che si ritrae, tremante.
    Un volto perfetto che si contrae in un'espressione colma di rabbia. Odio. Astio.

    Orrore.

    « Che un Uchiha pazzo e traditore abbia deciso di tornare nel proprio villaggio d'origine per farlo saltare in aria, può anche andare oltre le mie responsabilità... » Sibilò la kunoichi, alzandosi a quel punto di scatto da terra, quasi inciampando sui bassi e severi geta argentati da lei indossati mentre, di fronte a lei, smarrita da quel comportamento mai fino ad allora tenuto, Ritsuko Aoki si alzava assieme alla propria padrona, cui rivolse uno sguardo impaurito « … Ma che io, scelta da chissà quale divertente gioco del fato per fermare l'accaduto non vi sia riuscita perché “non ero capace di pensare lucidamente” ...come fa a non essere colpa mia!? » Insistette, e stavolta la voce si fece alta, si fece iraconda... si fece disperata « SMETTETELA DI DIRE CHE NON E' COLPA MIA » Urlò Shizuka Kobayashi con tutto il fiato che aveva in corpo, prima di girarsi di scatto alla sua sinistra, allungando così un braccio ad indicare una lunga distesa ordinata di austere lapidi bianche, colme di fiori e grotteschi balocchi inumiditi dalla pioggia dei giorni passati « DITELO A LORO CHE NON E' COLPA MIA » Strillò, portandosi poi le mani alla testa come a voler trattenersi dal crollare in pezzi in quello stesso istante « DITELO ALLE LORO MADRI, DITELO AI LORO PADRI, AI LORO FRATELLI... DITE LORO CHE NON E' COLPA MIA! » E la voce, si incrinò « DITE LORO CHE L'UNICA PERSONA CHE POTEVA SALVARE I LORO FIGLI HA FALLITO PERCHE' ERA TROPPO PRESA A GIOCARE A FARE LA PAZZA ASSIEME AD UN ALTRO PAZZO... E VEDIAMO COSA DIRANNO » E a quel punto, la ragazza si voltò disperata attorno a sé, prima a destra e poi a sinistra, ruotando su stessa quasi impazzita, come fosse in qualche modo alla spasmodica ricerca di una via di fuga, di una scappatoia che la conducesse alla fine di quell'incubo dal quale non si era mai svegliata...
    ...ma tutto ciò che trovò di fronte a sé, inerte ai suoi piedi, fu il grosso bouquet di rose bianche che aveva comprato quella stessa mattina dal grande fioraio di Konoha, il quale glielo aveva porto tenendo gli occhi bassi, proprio come faceva ogni straziante giorno quando lei, puntualmente all'alba, si presentava di fronte al vecchio bancone di legno consunto dell'oberato locale, ordinando sempre la stessa cosa: Sessanta rose bianche, tutte ben confezionate in carta d'avorio, unite insieme da un nastro di seta viola.
    Di bouquet, in quel luogo, ce n'erano ormai dieci.

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    « Ojou-sama... »
    La voce di Ritsuko Aoki sarebbe apparsa un susseguirsi sconnesso di singhiozzi mal celati e mal emessi, e se solo la Principessa di Konoha si fosse degnata di alzare gli occhi sulla figura della sua preziosa confidente, avrebbe potuto vedere il volto di lei dilaniato dal più disperato dei dolori... quello dettato dalla consapevolezza della propria impotenza. Della propria inutilità.
    Nonostante tutto, però, l'erede maledetta non guidò il proprio sguardo in quello dell'amica, preferendo piuttosto rimanere immobile nel punto che si era guadagnata urlando scompostamente, lì dove il rumore del suo respiro affannato si condensava in piccoli fiori di vapore acqueo che scemavano presto nel debole vento presente e che, in quel momento, rappresentavano l'unico rumore esistente...
    … un rumore, però, ch'era destinato a venir presto interrotto.
    Abbassandosi rapidamente verso il suolo, infatti, la più fallita tra le kunoichi afferrò con rabbia il proprio bouquet da terra e, presa da un impeto di ira intrattenibile che neanche le urla disperate di Ritsuko Aoki riuscirono a frenare, iniziò a strappare la carta con ampi gesti delle braccia tremanti, gettando i brandelli di quell'inutile decorazione in aria, fino a quando le sue piccole mani non arrivarono ai gambi di quelle rose che vennero strappate con brutalità dal loro malconcio ricovero.
    « La colpa è mia! » Urlò la straziata ragazza dagli occhi di smeraldo, fissando con astio le tombe bianche severe e giudicatrici che di fronte a lei sostavano stancamente « VI HO UCCISO IO » Strillò, isterica, stringendo le dita attorno alle spine « E' COLPA MIA » Ripeté, disperata...
    … e a quel punto, scoppiò a piangere. Improvvisamente. Ineluttabilmente.

    Piangeva la Principessa bastarda. La Principessa maledetta. La Principessa tempesta.
    La chiamavano in molti modi le persone che la conoscevano o che di lei avevano solamente sentito parlare da terzi, ma in quel momento, ironicamente, nessuno di quei titoli sembrava essere idoneo a rappresentare la figura di quella donna distrutta, la quale, piangendo e piangendo, bagnò il proprio volto delle torturate lacrime del rimorso, conferendosi l'aspetto di uno spirito in pena senza consolazione e senza futuro... lei che era la più grande tra le peccatrici, e ormai, la più dichiarata delle assassine.

    E così, gettando i fiori al vento, lasciando che questi precipitassero scompostamente al suolo, sotto la nevicata di carta immacolata che ancora danzava nel vento, Shizuka Kobayashi si portò entrambe le mani insanguinate al volto, alzando la testa verso il cielo gravido di pioggia, piangendo ancora e ancora come mai fino a quel momento aveva fatto... sicura che, quella volta, avrebbe terminato le proprie lacrime.


    Quella volta, le avrebbe realmente finite.


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    La Principessa e il Traditore
    Maledici la tua debolezza



    II


    Lui non sapeva chi fosse quella ragazza. Nemmeno io, in effetti, l’avevo mai vista. Ma la sua figura non lasciava dubbi. Il modo in cui muoveva il corpo, chinato da uno schiacciante dolore, il modo in cui era immobile nel fissare le tombe dinanzi a se, tutte così stranamente uguali tra loro, mi sembrava famigliare. Non ero stato chinato anch’io da quel dolore straziante? Quanto avevo pianto sulla tomba vuota di Yui? Quanto alla fine avevo pregato sulle tombe delle vittime degli uomini uccisi da Yashimata in quell’assurdo attacco?
    Yui, quelle persone, erano tutti morti perché io non ero stato in grado di proteggerli. Per quanto avessi cercato di diventare forte, non era mai stato abbastanza. Ogni volta che succedeva, il mio stesso essere veniva distrutto e ogni volta, dovevo ricostruirmi da capo.
    Ma si imparava a sopportare quel dolore. La mia anima non era andata così in pezzi dopo l’attentato. Avevo cercato di fare il possibile, avevo fallito ma avevo retto il colpo. Forse perché, egoisticamente, sapevo che non c’era nessuno di me caro tra le numerose vittime dell’attentato di Yashimata, ma non ritenevo di essere quel tipo di persona. Ero conscio della sofferenza e delle speranze degli altri. Le sentivo come mie. Il loro dolore era il mio dolore.
    Ero cresciuto, forse.
    L’esperienza di Yui mi aveva insegnato a restare in piedi. E Ayame e le mie bambine mi avevano dato la forza necessaria per farlo. Lanciai allora uno sguardo alla tomba dei miei genitori, vago, come per ricordare ciò che avevo chiesto loro poco prima.
    Di darmi la forza, perché altrimenti la mia non sarebbe bastata. Poi un urlo squarciò il silenzio che era stato interrotto solamente da cupi mormorii delle due ragazze, ai quali non avevo dato ascolto. Ed era una dichiarazione di colpa così limpida e sincera che mi colpì.
    Da quelle semplici parole riuscii a dedurre parte di ciò che era accaduto. Non tutto. Ma quelle non erano le parole di un’assassina ma piuttosto di una persona che non riusciva a smettere di considerarsi tale. Chiusi gli occhi per un istante, rievocando il volto lontano di Yui dinanzi agli occhi. La sua sofferenza prima, i suoi sorrisi poi e il momento della sua morte, proprio davanti ai miei occhi, a dimostrazione dell’umana incapacità di accumulare abbastanza potere da poter proteggere tutto e tutti.
    Per quanti anni mi ero incolpato? Del resto, era colpa mia si l’avevano rapita. Era colpa mia se l’avevano uccisa. Di chi altri sennò?
    breakblade11966982
    Voglio parlarle dissi al mio amico allora, con tono basso. Avevo il cappuccio in testa, il chakra soppresso e nemmeno la mia faccia era più quella di una volta. Quanti tra loro avrebbero potuto collegarmi al ragazzino fuggito da Konoha anni fa? Così discesi il sentiero dal piccolo rilievo sul qual riposavano le ossa dei miei genitori, lasciando la foto sulla tomba di mia madre. Ben presto gocce di pioggia fredde iniziarono a cadere dalle pesanti nuvole che avevano ricoperto il cielo, bagnando il mondo, nutrendo gli alberi e le piante che crescevano laddove noi vivi avevamo sepolto i nostri morti.
    Camminai tra le tombe che pian piano venivano lucidate dall’acqua, camminai verso quella ragazza che continuava a disperarsi.
    Perché?
    Cosa avevo da dirle? Che me ne importava di una perfetta sconosciuta che stava sul selciato di un cimitero a disperarsi per delle morti per le quali si sentiva responsabile? Perché sentivo quasi una innaturale necessità di dirle di smetterla di sentirci così, perché la colpa in realtà non era sua?
    E di chi era?
    Camminai dinanzi alle piccole tombe che scoprii essere di bambini. Nati in giorni diversi, in mesi diversi, in anni diversi ma non troppo lontani ma morti tutti, inesorabilmente lo stesso giorno. Capii allora di trovarmi dinanzi ad una strage. Una strage di povere anime innocenti.
    Mi fermai alle spalle della ragazza piega al suolo dal dolore, che ancora urlava la sua colpevolezza, restando silenziosamente a guardarla mentre affondava le sue mani negli steli spinosi di rose bianche, che ben presto finirono all’aria, allontanate da un dolore che la sola commemorazione non era in grado di smorzare.
    Cosa, allora?
    Afferrai una rosa che la ragazza aveva spinto fin dietro di me con il suo gesto rabbioso. Un movimento rapido e preciso, che non mi risparmiò un piccolo buco sul pollice della mano destra. Presi lo stelo come meglio potevo tra le dita e superai la giovane, inginocchiandomi davanti a lei.
    Non dovresti gettare via dei fiori così belli dissi allora, posando la rosa immacolata davanti a lei. Era saggio per me parlare con qualcuno a Konoha che non fosse Drake? Possibile che mi odiassero tutti senza che mi conoscessero? Solo per le azioni di un altro me, senza che avessi fatto del male a qualcuno? No. Dubitavo che a Konoha esistesse gente del genere in ogni angolo.
    Non sei riuscita a salvarli, vero? dissi con voce triste, guardando però la file di tombe bianche dinanzi a me Ti capisco. dissi abbassando appena lo sguardo. Il volto di Yui tornò a balenare davanti ai miei occhi So cosa si prova a fissare le tombe delle persone morte per un nostro errore, che siano sconosciuti oppure… deglutii, mentre un doloroso groppo in gola mi bloccava le parole Non importa chi altro dissi a bassa voce Non sempre siamo in grado di salvare chi è in pericolo. Non sempre possiamo proteggere le persone a noi care, o il nostro stesso villaggio. Si può fallire, ma quando si fallisce, allora ci ritroviamo a piangere su tombe di persone troppo giovani per averne una mi alzai in piedi e strinsi un pugno.
    Perché ero arrabbiato?

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    Quando arrivi a non riuscire a salvare nemmeno tuo figlio, capisci quanto sei inutile perché Yui, quando venne uccisa, era incinta Vorresti solo stare tutto il giorno davanti alle loro tombe, sperando che possano resuscitare, che tu possa chiedere loro scusa… ma non succederà mai. Ma se non capisci davvero come stanno le cose, allora non potrai mai riuscire ad allontanarti da questo cimitero posai una mano sulla tomba bagnata dalla pioggia che stava rapidamente rendendo fradici i miei vestiti Ma la colpa… di chi è? È dell’uomo che ha ucciso, rapito o altro? O di chi avrebbe dovuto proteggere senza riuscirci?
    Me l’ero chiesto sempre.
    Di chi era la colpa?
    Mia dissi all’inizio. Ero io a dover proteggere Yui. Era per colpa mia che lei era stata rapita. Era per colpa della mia debolezza che lei, alla fine, era stata uccisa.
    Di loro, dissi poi. Perché se non avessero iniziato tutto non saremmo mai arrivato a quel punto. Non avevo chiesto io di essere stato trascinato nel loro covo per salvarla, del resto. Ero stato costretto dalla loro malvagità.
    Ma alla fine, la colpa era sia mia che di loro. In realtà, il più grande colpevole a cui si può imputare una disgrazia è…
    La tua debolezza, ecco qual è la tua colpa. Maledicila, incolpala e soprattutto… sconfiggila
    Perché le anime dei morti non tornano indietro e tutto ciò che rimane di loro sono ossa, una tomba dove piangerli e la stessa debolezza che ha portato alla loro morte.
    Quindi mi voltai, sotto la pioggia, per raggiungere nuovamente Drake. Non potevo certamente metterlo nei guai facendomi vedere da mezzo villaggio, del resto.

     
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    Only in the agony of parting do we look into the depths of love.

    Shizuka Kobayashi's desperation




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    Fluttua nel cielo
    dove vai?
    Torna



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    Si sentiva come una piuma.
    Una delle piume di quegli uccellini troppo frettolosi, che spiccando ansiosi il volo di fronte alla corsa ilare di un bambino, perdevano qualche candida parte di sè, destinata a fluttuare nel vento fino a quando questo, maestro impietoso, avrebbe ritenuto opportuno.

    Fluttuava.
    Fluttuava nel vuoto.
    Fluttuava nel vuoto da molti giorni, ormai.

    Chiuse gli occhi e il mondo della realtà si oscurò, aprendo quello dei pensieri e dei ricordi.
    Rivide la se stessa di dieci giorni prima che correva sui tetti delle case del suo Villaggio. Un collarino di cuoio nero stretto al collo, come fosse un gatto fuggitivo. Gli occhi di un burattinaio che la seguivano, instancabili.
    Rivide le sue mani tremanti afferrare le taniche vuote da riempire con l'acqua di una fontana troppo distante per essere raggiunta. Avvertì ancora una volta la sua febbricitante disperazione nel cercare di colmarle nel modo e nel tempo che le era stato richiesto.
    Sentì di nuovo la sua rabbia. Le unghie scheletriche e arcuate della sua maledizione che sventravano la voragine del suo cuore, appannandole la mente. Distruggendo la sua lucidità.
    “Sei più maledetto di me!” Aveva urlato quella volta.
    “Aspetta, ti prego, non lo fare!” Aveva strillato poi, disperata...
    … mentre alle sue spalle, feroce come solo il grido della morte lo può essere, un'esplosione di dimensioni disumane sbocciava a un chilometro di distanza. Così lontana, eppure così potente da scuoterle il corpo, far tremare la terra e soffiarle via i capelli.

    Poi, ricordò l'odore acre del fumo.
    Il rumore assordante delle grida.
    Lo strepito soffice dei suoi passi zoppicanti sull'erba.
    Il sapore dolce del sangue sulle labbra.
    Esplosioni. Esplosioni. Esplosioni.
    Morti. Morti. Morti.

    Sorrise, stringendo gli occhi nell'abbassare la testa fino a terra, e fu solo quando sentì il fango ghiacciato picchiettato pietosamente dalla pioggia che si abbatteva su di lei e sulle lapidi che davanti alle sue lacrime danzavano incerte, che seppe di aver davvero toccato il fondo.

    Era esausta.
    Era esausta come non lo era mai stata in tutta la sua vita.
    Era così stanca che persino respirare cominciava a diventare doloroso...
    … quando aveva cominciato ad odiare così tanto l'alzarsi la mattina?
    Quando aveva smesso di sorridere alle bellezze di quel mondo che aveva sempre avuto la sicurezza di amare?

    Scosse la testa, sospirando debolmente, e il tepore del suo corpo si concretizzò subito in candidi e impalpabili fiocchi bianchi: Non erano morti solo loro quel giorno, vero?
    C'era una lapide in meno in quel cimitero.
    La sua.

    “Non dovresti gettare via dei fiori così belli”



    Voltarsi alle sue spalle fu un'agonia di proporzioni inimmaginabili per la giovane Principessa del Villaggio della Foglia, la quale, girandosi lentamente, non si premurò nemmeno di pulirsi la faccia sporca di terra e lacrime, preferendo evidentemente presentarsi così agli occhi del giovane uomo che di fronte a lei sostava: Sporca, ridicola, debole, distrutta... sotto molti aspetti, morta.

    “Non sei riuscita a salvarli, vero?”



    Non rispose. Non ci riuscì.
    Dal suo punto di vista, dopotutto, la sua colpa era ormai divenuta universale, una macchia color porpora talmente brillante che dal suo cuore dilaniava le carni, arrivando fino in superficie, lì dove chiunque avrebbe potuto vederla. Comprenderla. Giudicarla.
    Ovunque andava non faceva che vedere gli sguardi accusatori di chi la riteneva silenziosamente responsabile, pur senza dirglielo. Non c'era più nessuno di cui riusciva a incrociare lo sguardo senza abbassare il proprio.
    Tutti sapevano. Tutti la odiavano.
    Ne era così convinta...

    “Ti capisco”



    Ah si?
    Divertente.



    “So cosa si prova a fissare le tombe delle persone morte per un nostro errore, che siano sconosciuti oppure... Non importa chi altro”



    […] Ah. Adesso era tutto chiaro.
    Sorrise, divertita quasi da quella triste coincidenza che il Fato si era divertito a sputarle ai piedi...
    … un altro pezzente, eh?
    Alzando con fatica i suoi immobili occhi verdi sulla figura incappucciata di quell'uomo mai visto prima che di fronte a lei sostava, Shizuka Kobayashi ne scrutò silenziosamente i lineamenti semi-oscurati, e dopo un lungo attimo di silenzio -che parve essere troppo da chiedere al suo corpo, il quale si abbandonò subito dopo alla passività dei muscoli stanchi- non poté fare a meno di sorridere un'altra volta. Ironicamente.
    Conosceva bene quello sguardo che sembra scavare nei ricordi di un errore del passato senza colori e senza confini, e sapeva altrettanto bene riconoscere le ombre di un cuore macchiato dal peccato, quando le vedeva.
    Lei, del resto, doveva fronteggiare le sue ogni giorno, di fronte allo specchio della mattina.
    Le riconosceva. Sapeva.

    “Ma la colpa… di chi è? È dell’uomo che ha ucciso, rapito o altro? O di chi avrebbe dovuto proteggere senza riuscirci?”



    Tacque. Ancora.
    La domanda le parve così sciocca che, per un istante, valutò la possibilità di essere presa in giro...
    … di chi era la colpa?
    Se le circostanze fossero state altre, se lei non avesse sbagliato nulla e semplicemente fosse stata meramente incapace di proteggere il Villaggio che amava più di se stessa, forse avrebbe addirittura potuto egoisticamente perdonarsi. Ma la verità era un'altra: Lei aveva errato perché non era stata capace di pensare. Si era fatta annebbiare la mente dal desiderio di uccidere quell'uomo, e così facendo aveva commesso un errore.
    Semplicemente si era venuto a creare un conflitto fra malvagità diverse, e alla fine il desiderio di morte iniettato di follia di Karasu aveva surclassato il suo, ancora così immaturo, ancora così acerbo...

    Anche lei sarebbe divenuta così, un giorno?
    Come lui?

    Si ricordò di averlo pensato, quella volta: Una maledetta dall'odio non è destinata alla via dell'amore e della comprensione, dopotutto nessun Uchiha prima di lei -divorato da quella condanna demoniaca voluta da chissà quale Dio crudele- era riuscito a nutrire e perseverare un seppur labile desiderio d'altruismo.
    Un giorno, dunque, sarebbe diventata proprio come il Signore dei Corvi: Potente. Cattiva. Dannata.

    … Improvvisamente, la rabbia sorda.
    L'ira.

    L'odio.

    “La tua debolezza, ecco qual è la tua colpa.”



    Silenzio.



    “Maledicila, incolpala e soprattutto… sconfiggila”



    Silenzio.



    Accanto a lei, contraendo il volto in un'espressione risentita e iraconda, Ritsuko Aoki si alzò da terra, e compiendo un passo avanti rispetto alla sua inerte Signorina, come a volerla così proteggere da quell'ennesima pioggia di parole acuminate e taglienti come lame avvelenate, parve sul punto di mettersi a urlare.
    “Come si permette!?” Sembravano dire i suoi brillanti occhi cerulei “Se ne vada subito!” Parevano aggiungere le sue affusolate piccole mani bianche. Le stesse mani che ella alzò verso l'alto, forse credendo di poter mettersi davvero a urlare in una circostanza come quella, forse puerilmente immaginando di poter davvero così impedire che quello che temeva si realizzasse...
    … ma fu troppo lenta. Decisamente troppo.

    [...] Scattò in avanti con talmente tanta velocità che Ritsuko Aoki non ebbe neppure il tempo di comprendere cosa stava succedendo fino all'istante prima in cui vide la sua amata Principessa scivolare alle spalle dell'uomo incappucciato.
    Si era mossa rapidamente e con una tale silenziosa eleganza che lei, inesperta cameriera dagli occhi velati di gentilezza, non si era nemmeno resa conto di essere stata accerchiata e lasciata indietro... indietro. Di nuovo.
    Impallidì, sentendo improvvisamente tutto il suo gelido sangue defluire verso i piedi, e fu solo a quel punto che portandosi le mani rigide alla bocca, fece appena in tempo a gemere un debolissimo “No...” che Shizuka Kobayashi, la sua amata signora, aveva già cercato di afferrare una spalla dell'individuo senza identità, che avrebbe poi tentato di far voltare verso di lei prima di fare l'impossibile per scaraventargli un pugno in pieno viso...
    … E sarebbe stato senza dubbio uno dei più forti pugni che la bellissima Principessa del Villaggio della Foglia aveva mai tirato fino a quel momento, talmente potente e talmente ben assestato che se solo fosse andato a segno l'avrebbe lasciata con le nocche e le dita doloranti quel tanto che sarebbe stato necessario a ricordarle il motivo per cui si era arrabbiata così tanto.
    Digrignando i denti come un animale, la kunoichi avrebbe poi guardato l'uomo di fronte a sé, e a prescindere che fosse riuscita a meno a sferrare il colpo, avrebbe cercato di strappare il cappuccio dalla testa di lui, cui avrebbe infine rivolto uno sguardo tra i peggiori mai veduti nella piangente Konoha.
    Sembrava sul punto di esplodere in mille pezzi.

    shizukacimitero
    « Chi diavolo sei »

    La sua voce grondava fiele: Se fosse bastata la mera intenzione, per uccidere, quell'uomo sarebbe probabilmente già morto.

    « CHI DIAVOLO SEI? » Urlò nuovamente la donna, visibilmente fuori di sé dalla collera...
    … ma nonostante tutto, per quanto distrutta e furiosa fosse in quel momento, i suoi occhi non persero il loro tipico color verde smeraldo. Le sue mani non tremarono. Il suo volto non perse i lineamenti affascinanti che lo caratterizzavano.

    La sua maledizione, rimase a dormire.
    Sopita. In attesa.

    « Pensi che ti sia permesso di andare in giro a vomitare addosso alle persone i resti degli errori che non ti sei mai perdonato di aver commesso!? » Sibilò la Principessa, e la sua voce adesso era incrinata dall'astio più puro: Quello che non ha niente da perdere « Oppure credevi di “consolarmi” ? Di “darmi un consiglio” ? » Rise rumorosamente, fulminando poi con lo sguardo il suo interlocutore « Non mascherare il tuo egoismo e la tua incapacità con parole gentili: Un pezzente rimane sempre un pezzente... e come lo sono io, evidentemente, lo sei anche tu » Sibilò, iraconda « Incolpare la propria “debolezza” è come dare la colpa a se stessi, ne sei conscio oppure il tuo egocentrismo ha offuscato l'intelligenza che spero gli Dei ti abbiano donato alla nascita? » Sorrise, sarcastica, e così dicendo si abbassò leggermente verso il basso, quel poco che le sarebbe servito per cercar di incontrare gli occhi di colui che di fronte a lei sostava, al quale avrebbe poi rivolto un'espressione comprensiva e cordiale ch'era senza dubbio la più agghiacciante tra tutte quelle che l'avevano preceduta « Tu sei ancora colpevole come il giorno in cui hai lasciato che le persone dei tuoi ricordi ti abbandonassero, e lascia che ti sveli un segreto... lo sarai per sempre. La tua colpa non ti abbandonerà mai » Ghignò, divertita « ...è così evidente, non te ne rendi conto? » Domandò in un sibilo « Una persona che non ha ancora perdonato se stessa non ha il diritto di andare in giro a cercar di issarsi sopra il dolore altrui... » Ma poi, dopo quelle parole, improvvisamente, si sentì molto più colpevole e orribile di prima. Talmente brutta e talmente corrosa che fu costretta ad abbassare lo sguardo, poiché la sola possibilità di poter vedere il suo volto rispecchiato negli occhi dell'uomo che aveva di fronte, la raccapricciava.

    Era cattiva. Lo era con tutti.
    Persino con se stessa.

    « Se vuoi, piangi »

    Mormorò a quel punto, e le parole le uscirono di bocca prima che potesse frenarle.
    Per un attimo, ne fu persino stupita.

    « Penso ci siano delle cose per cui non si smetterà mai di piangere, e altre per le quali non si smetterà mai di ridere » La sua voce trasudava ancora rabbia, ed era impossibile che così non fosse, ma per un istante, per un solo debole istante, se l'uomo avesse fatto attenzione, avrebbe potuto scorgere un barlume di gentilezza colpevole in quelle parole acri, proprio come se dentro il corpo di quella ragazza venissero a collidere due oceani diversi e distanti, i quali, scontrandosi poderosamente gli uni contro gli altri, si rendevano responsabili di creare ogni sentimento ed ogni espressione che si leggeva su quel volto da bambola di porcellana e che si andava a seguire in quegli occhi color della primavera...
    « Ci sono degli episodi della nostra vita che non potremo mai perdonare, per quanto potremo un giorno essere in grado giustificarli. Per quanto saremo capaci, in futuro, di comprendere meglio ciò che un tempo ci è sembrato così confuso » Chiuse gli occhi. Le sue mani si strinsero a pugno « Possiamo dare la colpa a quello che vogliamo: Alla debolezza, agli Dei, alla malvagità che divora le persone... » Così dicendo, esitò per un istante « ...ma per quante storie possiamo tessere e per quanti dipinti di redenzione possiamo creare, nulla cancella la verità dei fatti: La colpa è nostra » Sorrise amaramente « Eravamo noi lì quel giorno. Noi non siamo riusciti a cambiare il corso degli eventi. Noi abbiamo commesso un errore che potevamo risparmiarci... e sempre noi abbiamo visto la morte cogliere quelle persone nel loro ultimo terrorizzato istante. Sempre noi abbiamo capito di aver fallito, di aver sbagliato nell'unico momento in cui probabilmente dovevamo non farlo... riusciremo mai a pensarla diversamente? » E così dicendo guardò l'uomo di fronte a sé « Se conosci un modo per smettere di stare così, dimmelo per favore... » Sussurrò... poi, come fosse stato improvvisamente tolto lei l'ingranaggio di caricamento che l'aveva fino a quel momento spinta a vivere, la kunoichi abbassò la testa e tacque.
    La sua vita, nuovamente, fu risucchiata via.


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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    La Principessa e il Traditore
    C’erano una volta un ragazzo e una ragazza…



    III


    Eppure parlavo di me.
    Senza volerlo avevo parlato di me. Di ciò che pensavo riguardo la mia storia perché quella di lei potevo solo intuirla. Avevo ripensato a Yui, dopo che il presente, fatto da Ayame e le nostre figlie l’aveva sepolto in una felicità nuova, radiosa, pure e sincera. In quel luogo di commiato, di lacrime e rimpianti avevo ripensato al più grande rimpianto della mia vita, alla mia incapacità di proteggere chi avevo amato.
    Non le avevo dato della debole. Non era stata mia intenzione farlo, ma mi resi conto solo dopo chi alla fine potevo averla ferita esattamente come avevo cercato di ferire me stesso. Mi accorsi del suo movimento solo quando lei posò una mano sulla mia spalla, facendomi girare di scatto. Assecondai quel movimento e vidi quel pugno partire distintamente e cercare di abbattersi sulla mia faccia con il solo, unico e forse anche ben motivato obiettivo di spaccarmela.
    Alzai la mano destra più velocemente di quanto lei potesse realmente concepira per intercettare quel colpo. Allora, senza dare la possibilità di sfuggirmi strinsi appena il suo pugno nella mia mano, al solo scopo di abbassare il suo braccio e renderlo nuovamente innocuo. Non dissi niente, non ero io a dover parlare dopotutto. Solo lei poteva dirmi cosa le era passato nella mente di così rabbioso da provocarle quell’impulso tremendo che l’aveva portata a un vano tentativo di ferirmi.

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    Non ero arrabbiato. Come potevo esserlo? Del resto, se qualcuno l’avesse fatto a me io avrei reagito nello stesso identico modo. La gente nel suo dolore vuole essere lasciata sola, vuole soffrire senza che nessuno potesse ascoltarli, vederli e quindi compatirli. Io ero arrivato lì, un perfetto sconosciuto e spinto da una forza di compassione che non sentivo di aver provato molte volte in vita mia avevo raccontato la mia storia.
    Una storia che doveva avere inquietanti parallelismi con quella di lei, perché si era sentita così colpita dalle mie parole.
    Ma non avrei mai rinnegato ciò che pensavo. Nemmeno quando lei, strepitando, mi disse chiaramente che incolpare la propria debolezza e incolpare se stessi era la stessa identica cosa.
    Certo, come no. Era la stessa identica cosa.
    C’erano due tipi di colpe che un uomo può attribuirsi per il proprio fallimento. Quella di essere com’è come essere immutabile nel profondo, sia per la propria consistenza più fisica che per i legami stretti o impossibili da disciogliere, come le parentele.
    Poi c’era la colpa di non essere stato sufficientemente all’altezza della situazione. Un confine sottile, ma ben marcato: c’è differenza tra cosa sei e cosa sei capace di fare. E sì, ero sempre colpevole. In questo, lei non diceva nulla di nuovo. Ero sempre io che avevo sbagliato, perché la debolezza era la mia.
    Eppure faceva la differenza tra il rimanere a piangere davanti alle lapidi e vivere ancora una volta. Però non risposi, rimasi ad ascoltare il suo fiume di parole disperate, cariche di un dolore primordiale potente quanto il mondo. Perché su una cosa aveva ragione, anche incolpando la nostra debolezza, rimanevamo noi i portatori di tale infamia.
    Ormai ho pianto tutte le mie lacrime dissi a voce bassa, voltando appena il capo per guardare le lapidi dei bambini Scusami se hai pensato che ti stessi dando della debole, a dire il vero, io parlavo di me stesso di un me stesso che avevo ucciso sotto il peso della mia convinzione Noi saremo sempre responsabili di ciò che abbiamo fatto, non potrà essere mai altrimenti il cappuccio era caduto dalla testa e ora penzolava umido sulle mie spalle. Lei non sembrava avermi riconosciuto e del resto non dovevano esserci cartelloni con il mio viso in giro per Konoha del resto. Tanto meglio così.
    Però la responsabilità dei nostri errori può essere attenuata fino ad essere seppellita sei ci sforziamo di fare in modo che quegli errori non accadano più tornai a guardare il suo viso, rigato dalle lacrime e dalla pioggia Non mi perdonerò mai per ciò che ho fatto, ma questo mi ha consentito di andare avanti e ricominciare a vivere. Perché se nonostante tutto vivi, non sprecare la seconda occasione che il destino ha voluto riservarti. alzai lo sguardo poi verso il cielo plumbeo che sembrava voler piangere insieme alla kunochi fredde lacrime dolci Non conosco modi per smettere di stare così, ma posso raccontarti ciò che è successo e forse, capire che può esserti d’aiuto dissi a voce più bassa, con ricordi dolorosi che riaffioravano ad ogni dove. Socchiusi gli occhi e respirai piano.
    Se lei avesse annuito, avrebbe saputo quella che fu la storia d’amore tra Itai e una ragazza di nome Yui, con la sua tragica conclusione.
    itai1
    Avevo una ragazza, qualche anno fa. La trovai che era prigioniera con me in un covo di nukenin che avevano deciso di rapirmi a causa delle divergenze con un mio parente evitai di introdurre in quella storia l’ingombrante presenza di mio nonno Itai, perché avrebbe richiesto solo spiegazioni che non volevo dare in quel momento La salvai e salvai me stesso da quella prigione, non aveva più un posto dove vivere, così venne a vivere a casa mia. Ci innamorammo, lei rimase incinta deglutii nella speranza di sciogliere quel doloroso nodo che mi chiudeva la gola Poi, qualche mese dopo, il complice dell’uomo che avevo ucciso per liberarmi e per liberare lei tornò. La rapii mentre ero fuori casa, mi provocò per andare a salvarla e lo feci, che dovevo fare? Lasciare la donna che amavo, incinta di mio figlio, in mano a dei criminali? Allora li ritrovai, cercai di salvarla, ma ebbero la meglio su di me strinsi il pugno con tutta la mia forza, fino a farmi sbiancare le nocche, quasi fino a infilare le unghia nel palmo della mia mano Mi catturarono e la uccisero davanti ai miei occhi le risparmiai il dettaglio della mia furia, di come li avessi massacrati a mani nude come un animale fa con la sua preda Seppellii una bara vuota per lei, una bara sulla quale ho passato giorni e giorni a incolparmi di ciò che era successo. Inerte, senza riuscire a fare altro che piangere la guardai negli occhi Capii che non potevo andare avanti così, che la mia stessa vita mi stava sfuggendo di mano. La disperazione mi stava uccidendo, solo che provavo troppo dolore per rendermene conto. Giurai allora, su quella tomba, che non avrei mai più permesso che una cosa del genere accadesse. Poi, dopo qualche mese, ancora carico di rammarico, trovai un’altra persona che lentamente e dolorosamente mi fece dimenticare Yui. Lei mi tese la mano mentre cercavo di uscire dal baratro, ed io l’afferrai e ho rivisto la luce feci un lieve sopiro, socchiusi gli occhi Ho lottato contro la mia colpa, giurando a me stesso che non avrei più permesso che accadesse qualcosa del genere. Ho imparato ad amare di nuovo, grazie a una persona speciale. E per quanto, se ci pensi, senta ancora un dolore atroce, un senso di colpa che minaccia di uccidermi feci una piccola pausa, puntando i miei occhi verdi in quelli di lei, ugualmente verdi Vivo, ed è questo quello che conta.
    Non sapevo che saggezza avrebbe potuto tirare fuori dalla mia storia, se fosse riuscita a trovarne una.
    Una piccola nota finale, non dissi il mio nome. Ero un traditore nella terra che avevo tradito e lei non godeva ancora di nessuna fiducia da parte mia. Come potevo permettere che Drake venisse coinvolto in guai che non meritava per un mero scambio di convenevoli che potevo evitare.
    Almeno per ora.

     
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    There will always be something to ruin our lives, it all depends on what or which finds us first. We are always ripe and ready to be taken.

    Shizuka Kobayashi's abyss




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    “Sai Shizuka... al mondo esistono davvero tante persone e tutte quante loro pensano, amano e soffrono nel loro personalissimo modo.
    Ti capiterà spesso di trovarti di fronte a qualcuno di cui non comprendi i sentimenti, o che sarà tanto più simile a te da credere di sentir parlare il tuo cuore... in quei momenti però, chiunque sia la persona che dinnanzi a te si erige e qualunque siano le sue parole, ti prego di avere fiducia in lei poiché questo, un giorno, potrà davvero essere utile a qualcuno.
    Sai, dubitare è semplice... è così facile ritirare la mano anziché porgerla... ma credere negli altri, sorridere laddove non si riesce a farlo, questa è la vera sfida! Questo è il vero raggiungimento!
    Diventa una persona che è in grado di accogliere anche chi non conosce, Shizuka.
    Impara ad amare gli altri, bambina mia...”



    Quello che si trovava di fronte a lei in quel momento era un alto ragazzo dai capelli biondi e dei bellissimi occhi verdi intrisi di un dolore radicato, profondo e antico, che in quel momento conferiva lui molti più anni di quelli che probabilmente aveva.
    Il suo volto, perfetto nei suoi lineamenti delicati tipici di una bellezza senza dubbio incantevole, parevano esser stati induriti nel tempo dalle crudezze e dall'amarezza di una vita forse non troppo generosa, ma nonostante tutto non abbastanza crudele da aver cancellato un fascino di fronte al quale la Principessa di Konoha -bloccata per una mano e impossibilitata perciò a muoversi- non poté che ammutolire.
    […] Non aveva mai visto quella persona prima di allora... chi era? Uno straniero? Un cittadino comune?
    Guardando la grande mano di lui che, delicata, stringeva la sua propria, la kunoichi si rese conto inevitabilmente che no... non era un cittadino, non era possibile. Una velocità come quella dimostrata non era propria di chi non era mai stato avvezzo ad un livello elevato delle arti del combattimento.
    Il distacco tra lei e quel tipo, infatti, era ampio. Forse -pensò con impotente rassegnazione- troppo per essere quantificato.
    Tacque, e non oppose dunque resistenza al tentativo dell'uomo di farle abbassare il braccio, un gesto al quale invece si arrese docilmente, conscia che anche se avesse tentato di reagire non sarebbe riuscita a far altro che rendersi nuovamente ridicola.
    Ridicola come, ormai, si sentiva ogni giorno.
    Ridicola come quella volta...
    … Lei, la Principessa fallita.

    “Scusami se hai pensato che ti stessi dando della debole, a dire il vero, io parlavo di me stesso”



    Non rispose, preferendo piuttosto rimanere in silenzio, ferma ad appena pochi passi da quell'estraneo di fronte a quale sembrava a malapena una bambina... un ironico paragone quello -si rese conto abbassando lo sguardo nel sorridere amaramente divertita- perché mai come in quel momento si era sentita realmente così debole e piccola.

    “Non mi perdonerò mai per ciò che ho fatto, ma questo mi ha consentito di andare avanti e ricominciare a vivere. Perché se nonostante tutto vivi, non sprecare la seconda occasione che il destino ha voluto riservarti.”



    Quelle parole si infransero sul suo viso con una brutalità tale che lei, rialzando di scatto i suoi occhi in quelli altrettanto verdi del suo interlocutore, non poté che schiudere la bocca in un'espressione che in quell'istante, e prima che lei potesse anche solo pensare di impedirlo, espresse... il terrore. L'angoscia. La paura. Lo smarrimento.
    La richiesta disperata di aiuto.

    Già, perché si era persa quella bambina dal visetto di bambola. Era così evidente.
    Si era persa e ancora, per quanto stesse correndo cercando di individuare il debole bagliore del suo cuore pulsante nell'oscurità in cui era sprofondata, non si era ancora ritrovata.
    E non sapeva dove andare. Non sapeva con chi avanzare.
    Non sapeva cosa fare.

    Ormai, giovane anima smarrita, cominciava a diventare stanca...

    shizukamorte



    « Ho paura »
    Le parole le uscirono di bocca deboli, sussurrate a malapena, e così oneste, così candide nella loro pura sincerità da sembrar quasi una supplica.
    “Credimi” Sembravano dire, gemendo disperate “Credimi, ti prego”
    « Ho paura da morire » Singhiozzò la bella Principessa del Villaggio della Foglia, trattenendosi dal lasciar che i grandi lacrimoni che gonfiavano i suoi occhi le cadessero a rigarle il viso « Ho paura di morire » Ammise, stringendo le mani a pugno « Esplodevano davanti ai miei occhi... ero ricoperta del loro sangue... » E non erano solamente bambini quelli che riempivano i suoi incubi, ma anche giovani uomini senza identità di cui aveva faticosamente appreso il nome solo il giorno in cui si era presentata al loro funerale, lì dove si era inchinata di fronte alle vedove, agli orfani e ai parenti dilaniati dal dolore fino a quando la schiena non aveva cominciato a dolerle... perché si era inchinata diverse volte in quei giorni di pioggia che avevano assistito alla silenziosa sfilata delle tombe di cui si era resa complice e colpevole.
    Si era inchinata, poi, tornata a casa, aveva ricominciato a lavarsi. A lavarsi per l'ennesima volta.
    E si lavava con ispidi crini irsuti la giovane Principessa del Villaggio della Foglia, sfregandosi il corpo nudo e tremante di disperazione con la rabbia feroce tipica della follia, cercando così di cancellare quelle macchie di sangue che continuava a vedersi addosso e di cui ancora sentiva l'odore, il sapore...
    La sua pelle, graffiata e lacera in più punti, era dunque divenuta l'espressione più vivida del suo dolore. Un dolore che lei sapeva l'avrebbe marchiata a vita...
    … perché per quanto continuava a lavarsi, le sue braccia rimanevano intrise di rosso. I suoi capelli puzzavano ancora di morte. Le sue labbra erano ancora acremente incrostate di scarlatto.
    Era rossa.
    Era completamente ricoperta.

    “Non conosco modi per smettere di stare così, ma posso raccontarti ciò che è successo e forse, capire che può esserti d’aiuto”



    La voce dell'uomo giunse da un luogo remoto di quella realtà che sperava di aver abbandonato per sempre, inducendola così ad alzare faticosamente lo sguardo su di lui, che osservò a lungo senza dire una parola...
    […] … Era così triste...
    Il viso di lui, in qualche modo, le ricordava il proprio, e il tono della sua voce, vibrante come le corde di un violino non accordato, riusciva ad arrivare al suo cuore come quelle di nessun altro prima di quel momento...
    “Sorridi, ti prego” Avrebbe voluto dirgli se solo la sua voce fosse riuscita ad uscire dalle sue labbra esitanti “Non essere triste, tutto andrà meglio” … ma al contrario, invece di parlare, si limitò a tacere.
    Poteva rispecchiarsi negli occhi di colui che di fronte a lei sostava nell'attesa e lei, scrutando laddove nessun altro avrebbe mai guardato, rivide l'immagine di una se stessa distrutta, sporca di fango e lacrime, e piegata da un dolore che, si rese conto quasi con stupore, era probabilmente molto più abissale di quello che aveva pensato...
    Si era ridotta ad essere l'ombra di se stessa, una figura di cui in passato avrebbe sicuramente avuto pietà poiché lei, giovane indomita e indistruttibile che di una sconfitta sapeva sempre fare una vittoria, non aveva mai sofferto come in quel momento. Mai.
    Nemmeno il tradimento di suo fratello era riuscito a piegarla a quel modo. Nemmeno la scoperta della maledizione che avrebbe contaminato tutta la sua vita era riuscita ad annichilirla come in quel momento. Nemmeno le rivelazioni sul suo passato costruito a tavolino l'avevano sconvolta talmente tanto.
    Rimase immobile, tentata dalla possibilità di mettersi a ridere della se stessa patetica che era divenuta, ma poi, quasi risvegliandosi da un torpore egoistico che non le era mai stato proprio, comprese che non avrebbe mai potuto capire quelle cose vedendo l'immagine di se stessa riflessa in quegli occhi... se questi non fossero stati, paradossalmente, più lucidi dei suoi.

    L'uomo che si trovava di fronte -capì dunque- era distrutto. Lo era, forse, quanto lei.
    Oppure, in un qualche modo che superficialmente aveva ritenuto impossibile, lo era addirittura di più.

    « Parlami » Sussurrò improvvisamente in quel momento, in una reazione quasi inconscia, per poi guardare il ragazzo che di fronte a lei chiudeva gli occhi, sospirando prima di mettersi difficoltosamente a ricordare, parlare, raccontare...
    … di una ragazza di nome Yui e di un amore corrisposto e profondo, protagonista di una vita che dall'imprevisto aveva creato la gioia e dall'errore la felicità.
    Del male che l'uomo era capace di creare e che spesso, per quanto si cerchi di impedirlo, regnava sulla gentilezza.
    Della morte scura come la notte e della rinascita opaca dopo la perdita.
    Della fiducia che, anche stavolta, si rendeva compositrice del cammino in cui chi aveva creduto in lei poteva pretendere di avanzare...
    … e poi della forza di continuare, di non arrendersi, di non finire.
    Della capacità di vivere laddove la morte si presenta come l'unica fuga.

    Le parlò di tutto questo l'uomo dal volto fragile e il cuore forse gentile forse annebbiato.
    Parlò di tutto questo a lei, che non era niente di più di una carcassa marcita nella sua stessa disperazione.
    A lei che aveva desiderato morire per poter smettere di star male.
    A lei che non aveva fatto altro che commiserarsi, allontanando chiunque le si affiancasse cercando di capirla e amarla nonostante l'errore e la colpevolezza.

    A lei...

    A lei...



    A lei...



    shizukamani
    Poi, fu solamente un attimo.
    Shizuka Kobayashi si alzò in punta di piedi, cercando così di azzerare disperatamente la distanza d'altezza che la separava da quell'uomo attorno al cui collo avrebbe poi tentato di intrecciare le sue braccia, in modo da poterlo stringere a sé con delicata forza qualora le fosse stato permesso.
    E lo avrebbe legato a se stessa, tenendolo stretto al petto come si poteva tenere un bambino spaurito bisognoso di essere cullato dalla comprensione della gentilezza.
    Lo avrebbe abbracciato con dolcezza, sprofondando poi il suo visetto nel collo fermo di lui, e solo a quel punto, con una voce delicata e tremante, gli avrebbe sussurrato un debole: « Grazie... » a cui, dopo una lunga esitazione, la Principessa avrebbe accompagnato un debole cenno di assenso con la testa.
    « Grazie di avermi detto tutto questo... » Avrebbe ripetuto, continuando a tenere stretta a se quella persona di cui non conosceva la storia e l'identità « ...va tutto bene adesso, non è colpa tua » Sussurrò, senza stare evidentemente poi troppo a pensare di quale reazione avrebbe potuto suscitare con quelle parole che non erano mai state chieste o desiderate e che, probabilmente, l'avrebbero resa ridicola e indesiderata ancora una volta, procurandole un allontanamento crudo e amaro che però lei...
    … lei aveva preventivato. Aveva immaginato.
    Sapeva che questo, suo malgrado, sarebbe potuto succedere.
    Nel momento stesso in cui si era slanciata per stringere a sé quell'uomo aveva capito che avrebbe potuto venir cacciata, disprezzata, ferita come mai in quel momento in cui la corazza che proteggeva il suo cuore era in frantumi...
    Nonostante tutto però....
    … però lui stava male e lei, lei che non aveva nessun pregio se non quello di riuscire a credere nel prossimo e di voler aiutare quel prossimo a cui guardava sempre con gentilezza, desiderava che lui sapesse che non era colpa sua e che, in verità, era davvero un uomo eccezionale.
    Voleva che sapesse che una persona come lui aveva fatto l'impossibile e che non vi erano colpe che gravavano sul suo animo.
    Voleva che sapesse che, per quanto irrazionale e folle tutto questo potesse sembrare, lei gli era vicina.

    Lei gli era, insensatamente e senza dubbio scioccamente, vicina.

    « Hai amato dell'amore più puro e anche adesso, dopo tanti anni, stai facendo tutto ciò che puoi fare: Vivere al massimo delle tue capacità, riscoprendo la gioia dell'amore e del sorridere nonostante le avversità... » Sorrise dolcemente nel dire quelle parole « ...Yui-sama è di sicuro felice, poiché sono sicura che la gioia delle persone che ci lasciano è quella di poter vedere chi hanno amato continuare ad avanzare senza arrendersi mai » E in quel momento, suo malgrado, si chiese se lei stesse facendo questo oppure si fosse fermata quel giorno d'autunno, rifiutandosi di continuare a camminare « Hai ragione tu... » ...l'aveva sempre avuta, probabilmente, sin da quando avevano cominciato a discutere « ...Non possiamo cancellare ciò che abbiamo fatto, ma possiamo fare in modo di attutire la nostra colpa » Esitò, chiudendo gli occhi « Non sei solo » Mormorò, rendendosi conto che per quanto avesse voluto ingannarsi dicendo il contrario, nemmeno lei lo era « La tua vita ne è la prova... è la rappresentazione del tuo cuore gentile in grado di amare » Sussurrò « Non hai niente di cui incolparti ancora » Mormorò, esitando « Penso che ormai... tu possa essere libero »

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    "Non scordare:
    noi camminiamo sopra l'inferno,
    guardando i fiori."

    Issa




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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Gocce di pioggia che lavano le lacrime



    IV




    Some nights, I stay up cashing in my bad luck
    Some nights, I call it a draw
    Some nights, I wish that my lips could build a castle
    Some nights, I wish they'd just fall off



    Non è colpa mia.
    Non è colpa mia.
    Non è colpa mia.
    Non è colpa mia.
    Non è colpa mia
    Quante volte avevo ripetuto quelle parole senza crederci davvero. Davanti a uno specchio per convincere alla mia immagine riflessa che è vero? Quante volte avevo ripetuto quelle parole dinanzi ad una tomba, sperando che quella foto che andava lentamente sbiadendo potesse animarsi e dirmi che sì, non era colpa mia?
    Eppure mai una volta avevo avuto una risposta, né dal mio riflesso né da quella tomba. Ero rimasto solo con il mio senso di colpa che avevo imparato a gestire. A sconfiggere.
    Non è colpa mia.
    La più grande balla che avessi potuto raccontare a me stesso. Perché era colpa mia e la cosa non sarebbe cambiata mai. Yui era morta perché aveva deciso di stare con me, perché io non ero stato abbastanza forte per salvarla. Eppure vivevo.
    Perché lei non poteva vivere? Perché quella giovane ragazza della quale non sapevo nemmeno il nome mi aveva abbracciato dicendomi parole delle quali avevo trovato il significato tempo fa?
    Ero triste. Ero a pezzi. Avevo appena pregato dinanzi alla tomba dei miei genitori, avevo rievocato la storia di Yui e sentito nuovamente quel dolore che avevo imparato a seppellire sotto la gioia regalatami da Ayame, dalle mie bambine, da tutto ciò che avevo conquistato dopo di lei.
    Solamente Kaku mi rimaneva di quella vita. Il demone che aspettò di vedere la mia ragazza morta prima di concedermi il potere che mi avrebbe permesso di salvarla. Non potevo dimenticare il demone però. Era parte di me e quel suo atto così ignobile sarebbe rimasto per sempre legato al mio corpo e alla sua anima. La sua forza e quindi anche la mia mi ricordavano sempre quanto mi era costato ottenerla.
    Rimasi immobile tra le braccia di quella perfetta sconosciuta senza sapere cosa fare, con la mente in tumulto. Mi sembrava di essere tornato indietro di anni, a quando ero tornato a Kiri distrutto, strisciando quasi come un verme senza più volontà di reagire.
    Perché non muovevo le braccia?
    Cosa mi impediva di alzarle e fare ciò che sapevo di dover fare? Non ero io l'uomo che aveva bisogno di sentire parole rincuoranti. Avevo già superato la prova che il destino crudele aveva deciso di mettermi davanti. Era lei ad avere bisogno dell'aiuto che in maniera quasi incomprensibile lei stava donando a me.
    Chiusi gli occhi abbassando il capo. La sconosciuta era più bassa di me, così quando chinai il capo mi ritrovai a fissare una massa bagnata di capelli castani adesi alla sua testa, appesantiti e scuriti dalla pioggia. Deglutii a fatica tutta quella tristezza e con uno sforzo immane iniziare a sorridere.


    But I still wake up, I still see your ghost
    Oh Lord, I'm still not sure what I stand for oh
    What do I stand for? What do I stand for?




    Alzai le braccia verso quella creatura indifesa e piano posai le mani sulla sua schiena per un abbraccio gentile. Fui rispettoso quanto deve esserlo uno sconosciuto, ma quanto potevano essere sconosciute due persone così vicine nella loro storia? Lei mi aveva abbracciato, io stavo facendo lo stesso.
    Mi ero resto conto che mi sembrava di conoscere quella persona da ben più di cinque minuti.
    Io non sono solo dissi allora a bassa voce, mentre piano la pioggia che cadeva furiosa dal cielo cercava quasi di coprire le mie parole Adesso ho trovato la forza di vivere. Adesso sono sposato e ho una famiglia.
    Quindi, gentilmente, sciolsi quell'abbraccio ma puntai decisi i miei occhi verso quelli smeraldini di lei. Bagnati.
    Potevo riflettermici in quegli occhi verdi. Se avessi saputo di più sulla storia di chi avevo di fronte avrei potuto dire che il verde è il colore degli occhi dei bastardi.

    And that's alright; I found a martyr in my bed tonight
    She stops my bones from wondering just who I am, who I am, who I am



    E tu ami qualcuno? non intendevo saperlo, non erano questioni che mi riguardavano. La sua storia era solamente sua e stava a lei decidere di dirmi di più. Così, dopo quella domanda che non richiedeva risposta continuai a parlare. Se c'è qualcuno di speciale per te, tienilo stretto. La gente speciale tende a scivolare troppo facilmente dalle nostre dita feci un sospiro, alzando lo sguardo verso il cielo plumbeo che insisteva nel gettare acqua addosso al mio viso. Ovviamente fui costretto a riabbassare lo sguardo verso lei.
    Le gocce di pioggia erano la maschera migliore che potessi chiedere in quel momento.
    Lavavano via le lacrime senza sosta, nascondendole in torrenti di acqua gelida che scorrevano sul mio viso. Resistetti all'impulso di strofinare gli occhi. Li chiusi.
    E smisi di piangere.
    Hai portato fiori sulle tombe delle tue vittime. Soffri per loro. Soffri per non essere stata capace di salvarli. Così guardai ancora una volta la distesa di tombe bianche di persone troppo piccole per averne una Anche tu hai un cuore gentile. E se per te la libertà è lontana, ricorda solo questo tornai allora a guardarla negli occhi La troverai.
    E non c'era niente di più meravigliosamente vero.
    Perché avrebbe passato notti insonni a rimuginare su quanto aveva fatto. Avrebbe pianto lacrime amare. Avrebbe portato decine e decine di fiori a quel cimitero.
    Ma un giorno, chissà quando, avrebbe messo un piede fuori dal cancello di quel luogo di morte e rimorsi, avrebbe guardato il cielo e si sarebbe resa conto che la sua vita era ricominciata. Ancora una volta.
    Chi sei?
    Non sapevo se essere divertito o meno. Sicuramente non avrei riso. Ma aveva un non so ché di ironico il trovarsi a parlare a una ragazza sconosciuta della propria vita travagliata, degli amori sanguinosamente perduti, dei sensi di colpa passati per poi scambiarsi un abbraccio senza nemmeno sapere il suo nome.
    Non ero certo di poterle dire il mio, ma ero di certo di voler sapere il suo.

    Solo perchè esisto
    sono qui,
    tra la neve che cade.

    Issa

     
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    Life, death and rebirth are inevitable.

    Shizuka Kobayashi starts again




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    “Tu ami qualcuno?”



    Quelle parole, per quanto incredibilmente inattese furono, sortirono un effetto tutt'altro che prevedibile nel cuore della giovane Principessa del Villaggio della Foglia, la quale, bloccando improvvisamente il suo sguardo in un vuoto colmo di domande, non poté fare a meno di schiudere leggermente la bocca, stupita...

    … Masayuki.

    Si era dimenticata di lui.
    L'aveva perduto nel labirinto della sua egoistica disperazione.

    Masayuki.

    Capelli color della luna.
    Occhi del ghiaccio più puro.
    Sorriso della dolcezza tiepida dell'amore.

    Masayuki...

    Assaporò brevemente quel nome sulle sue labbra, muovendole nel disegnare nel vento le lettere che lo componevano senza però emettere nemmeno un flebile suono, e nel farlo sorrise.
    Sorrise quella donna dagli occhi della primavera e il volto da bambola.
    Sorrise, e i pochi istanti che scandirono quel sentimento, furono benedetti dalla più gentile delle espressioni... per un attimo, se qualcuno l'avesse veduta in quel momento, non avrebbe mai potuto immaginare il dolore incolmabile ch'ella covava in cuor suo, poiché la bellezza cortese del suo volto avrebbe cancellato presto i più infausti pensieri.
    Per un momento, e solo per un momento, Shizuka Kobayashi apparve bellissima.
    « Si » Rispose a quel punto lei, alzando teneramente il suo sguardo in quello dell'interlocutore che le sostava di fronte « Sono innamorata di qualcuno » Annunciò, e la timidezza si fece spazio sul suo viso esprimendosi con un lieve e inaspettato rossore. In quel momento, sembrava quasi una bambina che non riusciva a contenere l'inimmaginabile candore della propria fanciullezza nemmeno di fronte all'orrore della malvagità.

    “Se c'è qualcuno di speciale per te, tienilo stretto. La gente speciale tende a scivolare troppo facilmente dalle nostre dita”



    Tacque per un istante e i suoi pensieri corsero rapidi.
    Masayuki... dove si trovava in quel momento? Era ancora in viaggio? Era già tornato alla sua terra?
    Lui era solo uno Shinobi appena promosso... dunque poteva permettersi lei, che lo superava in abilità, di dimenticarsi la sua vita?
    Esitò nel darsi una risposta ma poi, quasi con rassegnazione, sorrise, abbassando e scuotendo la testa: No, non era così.
    Masayuki era un ninja, ormai. Un Genin del Villaggio di Kiri.
    Egli sarebbe cresciuto e sarebbe divenuto forte e resistente come la pietra, poiché era ciò che il suo destino sembrava avere in serbo per lui...
    Lei, invece...
    … Lei doveva diventare la Kunoichi più potente mai conosciuta nella storia delle Terre Conosciute, non era questa la promessa che aveva fatto a se stessa e tacitamente anche a lui?

    Si era dimenticata di tutto, come era stato possibile?

    “Hai portato fiori sulle tombe delle tue vittime. Soffri per loro. Soffri per non essere stata capace di salvarli. Anche tu hai un cuore gentile. E se per te la libertà è lontana, ricorda solo questo: La troverai.”



    In un primo momento quelle parole le sembrarono ridicole.
    Pensare alla sua libertà in un momento come quello, in cui il suo animo era ancora così collassato dal peso di una vergognosa colpevolezza, le sembrava un azzardo troppo grande da potersi permettere...
    … eppure, in un piccolo punto di luce, nel profondo della sua coscienza dilaniata dal peccato, sapeva che l'uomo senza nome aveva ragione.
    Ci sarebbe stato un giorno in cui lei sarebbe riuscita a cucire quella disperazione sul collage dei suoi ricordi, e quel giorno avrebbe imparato a fare tesoro di un'esperienza che adesso le sembrava solo una condanna.
    Sapeva che sarebbe andata così, perchè era sempre così che andava: Per quanto profondo possa essere il baratro nel quale l'inesperto umano precipita, vi sarà sempre il fondo e poi il tassello utile alla scalata verso l'alto.
    La vita, del resto, è una scala di possibilità. Dopo essere caduti si può sempre trovare la forza di rialzarsi.
    Alla sconfitta segue sempre una vittoria.
    Alla morte consegue sempre una rinascita.

    Questa è la vita.
    Una bilancia perfetta di dolore e felicità.

    « Immagino tu abbia ragione... » Sussurrò dunque la ragazza, e la sua voce, nel pronunciarsi in quel momento, parve più vitale rispetto alle discussioni precedenti. Dava quasi l'impressione di un fiore rimasto per molto tempo senza acqua ma che poi, dopo molta spaurita speranza, era stato saziato di ciò che più bramava. In questo modo, dunque, le foglie tornavano turgide, il gambo si issava, i petali splendevano.
    Allo stesso modo la voce, lo sguardo e la postura di Shizuka Kobayashi si accaparrarono avidamente quelle poche stille di perdono disinteressato che erano state concesse lei, donando alla propria signora una nuova forma... molto più vicina a quella originale.
    Molto più vicina alla Principessa Tempesta di Konoha.

    “Chi sei?”



    La domanda arrivò alle sue orecchie con la tranquillità tipica dell'innocenza e lei, alzando lo sguardo in quello del suo interlocutore, parve rischiararsi di stupore. Sembrava non essersi minimamente aspettata una domanda come quella... e come avrebbe potuto? Le circostanze che l'avevano indotta a incontrare quell'estraneo erano, del resto, oltremodo eccezionali.
    Nonostante tutto però quel quesito, dopo un primo attimo di meraviglia, non parve alla giovane kunoichi poi troppo incredibile: Lei e quell'uomo, del resto, sembravano avere molto più in comune di quanto due fratelli avrebbero forse avuto mai. Di questo, ne era stranamente sicura.
    Sorrise dunque, l'erede dei Kobayashi, e nel farlo annuì.
    Non vi era nulla di male a rivelare il suo nome, e soprattutto -seppe allora. non vi era nulla di male a rivelarlo a quella persona... poiché, lo sapeva, non importava quanta infamia la sua colpa poteva portarle: Quell'uomo non l'avrebbe giudicata mai.
    « Chiedo perdono se non mi sono ancora presentata » Esordì dunque la ragazza, chiudendo gli occhi e rendendosi conto solo in quel momento delle condizioni scandalose nelle quali si trovava... come aveva potuto ignorare se stessa e il suo decoro per così tanto tempo? Doveva apparire orribile.
    Scosse la testa, disapprovando così la sua stessa condotta, e dopo quel chiaro segno di biasimo fece l'atto di alzare nuovamente lo sguardo sull'uomo di fronte al quale si trovava, pronta a dire tutto di se stessa...
    … o almeno questa era l'idea iniziale, prima che Ritsuko Aoki si portasse di fronte a lei, uscendo così dall'angolo appartato della situazione nel quale si era ritrovata segregata.
    Sul suo volto offeso e arrabbiato vi era poco di confidenziale e quasi niente di rivelatorio, e nel notarlo, per un istante, nel cuore della Principessa nacque un terribile dubbio.

    « UNO SPORCO ZINGARO COME VOI HA PROPRIO UNA BELLA FACCIA TOSTA A NON CONOSCERE LA FAMOSA PRINCIPESSA DEL CLAN KOBAYASHI »

    E il dubbio venne confermato.

    « COME VI PERMETTETE DI GIUNGERE DI FRONTE ALLA PIU' POTENTE EREDE DEL VILLAGGIO DI KONOHA CON QUESTA VOSTRA INSOLENZA INTOLLERABILE?! »

    Immobile nel punto che non aveva ancora abbandonato, Shizuka Kobayashi si sentì gelare dalla testa ai piedi e per un attimo fu sicura di aver perfettamente riacquistato l'uso di ogni singolo muscolo del suo corpo, come anche di tutte le corde vocali ormai da troppo tempo inutilizzate.
    Improvvisamente non stava bene... stava benissimo.

    « NON SOLO INSULTATE E FATE PIANGERE LA MIA SIGNORA, MA AVETE ADDIRITTURA IL CORAGGIO DI CHIEDERE IL DI LEI NOME SENZA AVER PRIMA ESPRESSO IL VOSTRO!? »

    […] Considerando la soglia di sopportazione di Ritsuko Aoki, la sua devota e fedele domestica, era ammirevole quanto lei si fosse contenuta dopo averla vista razzolare nel fango, gettarsi addosso ad un estraneo con atteggiamenti rissosi, urlare in un cimitero e alla fine abbracciare un uomo privo di nome e di titolo. Di solito sarebbe scoppiata molto prima di fronte a tanta mancanza di decoro.
    Portandosi una mano fradicia al volto, la Principessa non poté fare a meno di sospirare: Era arrivata in quel luogo con il cuore grondante di rabbia, impotenza e disperazione...
    … adesso, sembrava destinata ad uscirne colma di una ironica corona di irrazionalità.

    « Ritsuko, per favore... » Gemette allora, sperando così di poter placare l'ira della compagna.
    « OH!? “PER FAVORE” COSA, OJOU-SAMA!? » Scattò però immediatamente Ritsuko, voltandosi inviperita verso quella che si supponeva essere la sua Signora, come se non avesse atteso altro sin dall'inizio di quella sua scenata « VI SIETE IMPROVVISAMENTE RICORDATA CHE ESISTO!? »
    Quelle parole colpirono Shizuka in pieno viso e lei, irrigidendosi, si ritrovò a deglutire rumorosamente. Ammettere di essersi effettivamente dimenticata della sua migliore amica, sarebbe stato scortese probabilmente...
    « NON CONOSCETE NEMMENO QUESTO ZOTICONE, EPPURE VI SIETE PERMESSA DI ABBRACCIARLO! VOI! SHIZUKA KOBAYASHI, L'EREDE DEL PIU' POTENTE CLAN DI SETE E TESSUTI MAI CONOSCIUTO! C'E' UN LIMITE A TUTTO, LO SAPETE?! ... E VOI » Continuò la domestica, girandosi di scatto verso il ragazzo biondo al cui viso puntò un minaccioso dito indice pieno di quella rancorosa decisione di cui la donna sembrava colma « ...Come diavolo avete osato fare tutto questo? Come vi siete permesso!? » Sibilò in un sussurro, compiendo dei temibili e altrettanto goffi passi nel fango « Come... » Ripeté, abbassando ancora di più la voce « ...come ci siete riuscito » Ormai il suo timbro era ridotto ad un sussurro appena udibile, tanto flebile che probabilmente lo stesso straniero avrebbe avuto difficoltà ad udirlo in modo distinto « Come siete riuscito a farla tornare... » Sussurrò, abbassando poi lo sguardo quasi sperando di riuscire a scavare da sola una voragine nella quale sembrava desiderosa di lasciarsi precipitare...
    … poi, però, colma di una rinnovata e orgogliosa foga, la ragazza non perse tempo ad issarsi in tutto il suo metro e cinquanta di altezza, così da poter puntare il suo dito indice contro il volto del suo improvvisato interlocutore il quale, vista la vicinanza dello stesso, sarebbe forse stato indotto addirittura a indietreggiare « UN ANIMALE COME VOI DOVREBBE AVERE LA PREMURA DI PRESENTARSI PRIMA DI OSAR PORRE DOMANDE, E' VOSTRA LA CONOSCENZA DELL'EDUCAZIONE!? » Ululò iraconda la cameriera con occhi dardeggianti di una collera che ormai lasciava intendere un astio molto più personale che... formale « OOOH MA COSA POSSO ASPETTARMI DA UNO ZINGARO, DICO BENE!? E' EVIDENTE CHE CHI NON HA DIMORA NON POSSIEDE NEMMENO L'ACUME DEL BUON COSTUME! »
    « In effetti è vero »
    Acconsentì l'erede dei Kobayashi, fissando il biondo con i suoi profondi occhi verdi sempre più lucidi, sempre più accesi... sempre più vivi.
    « MA CERTO CHE E' VERO! » Ringhiò trionfante Ritsuko Aoki, piazzandosi sgraziatamente le mani sui fianchi, incurante della pioggia che ormai aveva slordato sia lei che la sua amata signorina.
    « Sarebbe meglio andare a casa » Aggiunse Shizuka, annuendo gentilmente.
    « GIA', SAREBBE MEGLIO ANDAR... GREOIGNSLDòJPDOJASOP » Le parole si strozzarono nella gola della povera ragazza la quale, lasciando precipitare le sue braccia verso il basso e girandosi di scatto con espressione sconcertata verso la sua Padrona, non poté fare a meno di spalancare la bocca con orrore. Nel suo sguardo, adesso, un vago alone di disperazione.
    « Siamo tutti completamente bagnati, dopotutto il tempo non sembra essere stato clemente con noi » Argomentò la Principessa, levando i palmi della mani verso l'alto « Di questo passo rischieremo di ammalarci, e del resto continuare con questo pessimo spettacolo non mi sembra opportuno e rispettoso per il luogo nel quale ci troviamo » Continuò, scuotendo la testa « Le circostanze che si sono venute a creare hanno dell'inverosimile, ma non è detto che sia necessario protrarle oltre il necessario, dico bene? » Domandò la kunoichi, rivolgendosi al ragazzo senza nome « Non sei costretto a dirmi chi sei, se non è questo ciò che vuoi » Disse poi, chiudendo brevemente gli occhi « Ognuno di noi può avere qualcosa che non vuole dire, e la provenienza o le formalità non hanno nessuna importanza in questi casi. Tu mi hai già reso partecipe di una parte importante del tuo cuore... questa premura, ai miei occhi, vale più di mille presentazioni » Concluse, sorridendo gentilmente « Ma visto e considerato che ormai la mia pessima copertura sembra essere saltata per questa testona di una domestica... » Sussurrò ancora Shizuka, girandosi a fissare un'ancora allibita Ritsuko Aoki « ...è permesso alla “Principessa del Clan Kobayashi” di invitare questo “povero zingaro” presso la sua dimora? » Chiese, accennando ad un sorriso « Con delle vesti pulite e un buon tè alle erbe di pruno selvatico sono sicura che avremo modo di tornare in noi stessi tutti quanti... »


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