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La Principessa e il Traditore
Preghiera sulla tomba dei genitori
IColonna sonora /X)
La strada per il cimitero la ricordavo ancora. Un posto lugubre, pieno di alberi lugubri e di gente lugubre. Un posto dal quale ero uscito, cinque anni prima, solo e senza nessuno per non mettervi mai più piede. Così, mentre seguivo Drake di tetto in tetto, abbastanza sovrappensiero, sentii nel petto una sensazione disgustosa che ben presto mi prese lo stomaco, attanagliandolo in una morsa gelida che mi fece venire la nausea.
Era per caso senso di colpa?
Probabile.
Cinque anni sono troppi, anche per un traditore. Avevo sempre dato per scontato che Konoha avrebbe sempre respinto una richiesta del genere. Avrei potuto ingegnarmi. Avrei potuto infiltrarmi senza essere notato e dirigermi lì, in quel cimitero, a ricordare mia madre e mio padre. Ai morti non interessava sotto quali spoglie andavi a fare loro visita.
Ai morti non interessava nulla. I morti erano morti e i cimiteri esistevano solo per i vivi.
Non era senso di colpa.
I miei genitori non era più concessa la sofferenza. Erano in pace ormai. La mia mancanza riguardava solo ed esclusivamente me. La mia coscienza. La mia necessità di avere un conforto che mi era stato negato. Avrei voluto parare con mia madre, raccontarle molte cose.
Non potevo farlo.
Avrei voluto lavorare nuovamente con mio padre, chiedergli cosa fare.
Non potevo farlo.
Loro erano stati portati via per sempre da me, da Maku, da Hanako. Le tombe erano i posti dove i vivi ricordavano i morti e dove, per questo, potevano ancora immaginare – per qualche minuto – di parlare con loro e trovare un conforto per sofferenze che i vivi non riuscivano a placare.
Solo i Kami sapevano di quanto avessi bisogno io di quel conforto. Ayame era malata, ero praticamente solo con le bambine da un po’ e mi sembrava che tutta Kiri mi odiasse. Avevo bisogno di ricordare le voci dei miei genitori. Di ricordare a me stesso le loro lezioni e quindi trovare le risposte che cercavo.
Lì, davanti alle loro tombe di pietra.
Arrivammo nel cimitero passando per la porta centrale. Mi ero fatto più taciturno e ogni ombra di sorriso era del tutto sparita. La mattina avanzava rapida e ben presto qualcuno sarebbe venuto a far visita ai suoi cari. Avrei preferito non essere visto da altre persone di Konoha.
Ricordo ancora dove sono mormorai a Drake quasi distrattamente. Era vero.
Dopo cinque anni quei vicoli erano per me straordinariamente familiari. Stradine strette, per lo più tortuose, contornate da bare di uomini e donne, ninja e non che sembravano fissare il mio ritorno nella patria nativa quasi con disapprovazione.
Avevo tradito, che ci facevo lì?
Ignorai quel macabro pensiero partorito dalla mia mente e mentre la sensazione di nausea e dolore si faceva più intensa, voltai in una stradina laterale che saliva subito con una decina di scalini fino in cima a una piccola collinetta dove c’erano sei o sette bare. Lì, al centro di quel piccolo rilievo, riposavano Hanako Uchiha e Akarashi Nara.
Mi fermai sull’ultimo gradito e mi voltai appena verso Drake.
Rimani quì, per favore, voglio restare un attimo da solo ed era comprensibile come richiesta. Così camminai per quella decina di metri che mi separavano dalla grande lapide di pietra comune che cinque anni prima scelsi come tomba. C’erano dei fiori freschi, i miei fratelli dovevano essere passati di recente.
La fissai, senza riuscire a pensare a nulla.
La fissai, senza riuscire a dire nulla.
La fissai, senza riuscire a muovere un misero muscolo.
Piegai le ginocchia appena e allungai le dita quanto bastava per posare i polpastrelli sul marmo liscio. Cercai di ricordare il tocco di mia madre, ma mi accorsi di non riuscire nemmeno a ricordare bene il suo viso.
Mi si serrarono i denti e la gola e gli occhi iniziarono a bruciare.
Non piansi.
Ricordai.
Ricordai molte cose. Ricordai la mia infanzia, passata ridendo e giocando con mio fratello. Ricordai i giorni tristi della scomparsa del mio gemello. Ricordai il ritorno alla vita e alla felicità, quando mia madre riuscì a farmi ridere ancora e mio padre iniziò a crescermi più come un uomo. Ricordai il giorno in cui chiesi per la prima volta di essere un ninja e la durezza con cui mio padre me lo negò. Lo odiai all’epoca, ma adesso lo capisco. Non ero del tutto certo di potermi dire felice se Jukyu e Nana avessero deciso di intraprendere la mia carriera. Ricordai le sgridate. Ricordai le risate. Ricordai gli allenamenti e la loro reazione quando, ormai maggiorenne scelsi la vita del ninja.
Ricordai la loro morte.
Quel fumo soffocante che portò via la loro vita.
Ricordai la scoperta della loro vera identità e quindi della mia.
Nara e Uchiha. Il sangue di due clan, i poteri di nessuno.
Scusatemi non parlai.
Pregai silenziosamente, sperando solo che potessero ascoltarmi. Non riuscivo a parlare a una tomba.
Era stupido, insensato e doloroso.
Sono passati cinque anni abbassai il capo verso la terra sotto la quale riposavano le loro ossa Cinque anni e il vostro figlio degenere non ha nemmeno avuto la forza di venire a lasciare un fiore sulla vostra tomba. Io, che vi ho seppelliti.
Quanto vorrei che foste vivi, vorrei dirvi tante cose, vorrei raccontarvi tante cose mi strofinai gli occhi, non volevo piangere Sono un Jinchuuriki, sai papà? Tu che hai sempre voluto tenermi lontano dalla sofferenza di questo mondo… alla fine, tuo figlio ha fatto di testa sua, ed è diventato il ninja che più soffre la gola era dolorosa, la nausea era svanita ma quella sensazione che non riuscivo a capire permaneva, tremenda e spossante E sai mamma, mi sono sposato. Vorrei che tu potessi conoscere Ayame, ti sarebbe piaciuta tanto. E ho due figlie, ho avuto la stessa vostra fortuna di averne due in un colpo solo… sono bellissime, impazziresti per loro cercai nella tasca dei miei pantaloni qualcosa ed estrassi una foto, che posai ai piedi della lapide. La foto ritraeva me e Ayame, insieme, e sulle nostre ginocchia con lo sguardo spaesato tipico dei bambini piccoli, le nostre figlie.
Ho bisogno di voi ammisi tra me e me, posando nuovamente le dita sulla lapide di marmo grigio Non so cosa fare. La mia vita… la mia vita sta diventando un casino tremendo. Rischio di perdere Ayame e di dover crescere Jukyu e Nana da solo e a Kiri… Cosa ho fatto?
Cosa ho fatto?
La domanda che tutti coloro che commettevano un crimine e poi si rendevano conto dell’enormità dello stesso si pongono.
Cosa avevo fatto cinque anni fa? Perché ho lasciato un villaggio per andare in uno nuovo, dove tutti diffidano di me perché ho lasciato il primo e perché pericoloso, in quanto Jinchuuriki?
Perché avevo commesso quell’errore?Errore…
Ho sbagliato, mamma?
Cosa mi avrebbe detto? Avevo realmente distrutto le mie possibilità di essere felice lasciando Konoha? Cosa avrebbe detto la donna… la donna che per amore aveva lasciato il suo clan, si era privata dei suoi poteri come kunochi, che per proteggere i suoi figli dalla sua stessa famiglia si era separata da loro e che era figlia di un nukenin?
Mi avrebbe dato dell’idiota. Mi avrebbe detto di guardare più nelle mura di casa mia che fuori. Mi avrebbe ricordato che se la gente mi odiava, dovevo far cambiare loro idea. E dentro casa, però, c’era ancora Ayame. Avevo ancora le mie bambine. Avevo sempre qualcosa per cui lottare. Per cui non arrendermi, essere forte, sorridere alla vita.
E poi c’erano i miei amici.
Drake, compagno di mille battaglie per lo più letali, che mi aveva permesso di rivedere quella tomba.
Takuma, il nuovo Jinchuuriki che più che mai aveva bisogno di una mano.
Shinodari, Ryutsuki, che erano un’altra parte della mia famiglia.
Miyori, la loro nipote, che non avevano mai conosciuto.
E altri, altra gente con la quale andavo più o meno d’accordo ma con la quale avevo stretto rapporti. Che mi avevano aiutato quando avevo bisogno. I miei fratelli, la gente di Kurohai.
Importa qualcosa se qualche vecchia bisbetica mi odia per ciò che sono, mamma? pensai, mentre una lacrima cadeva dall’occhio destro Importa qualcosa se ho più motivi per essere felice? allungai il capo, fino a posare la fronte contro il freddo marmo della lapide, cercando di trattenere le lacrime che premevano con la forza di uno tsunami dietro i miei occhi per uscire.
Non potrò tornare molto presto, mamma, papa. Forse non potrò tornare più, non lo so. Se dovesse succedere qualcosa ad Ayame… concedetemi la vostra forza, perché ne avrò bisogno
Itai Nara non aveva mai pregato.
Ma in quel momento, Itai Nara ne aveva più bisogno che mai.
Mi rialzai. Non riuscii a guardare Drake in faccia, fissavo ostinatamente le tombe che da quella piccola altura potevo vedere. Non mi ero accorto che altre lacrime avevano rigato il mio viso ma che, in buona sostanza, mi sentivo meglio.
La sensazione che avevo provato fino a poco prima era sparita. Capii solo allora che da quando avevo messo piede dentro Konoha ciò che avevo sentito era paura.
Pure e semplice paura di non essere abbastanza per Jukyu e Nana, per me stesso e per tutti quelli che, alla fine, facevano affidamento su di me.
Ero più legato ad Ayame di quanto la gente credesse. Mi aveva conosciuto in un momento duro e grazie a lei ero riuscito a vivere di nuovo. Avevo trascorso gli anni più belli della mia vita con lei. L’avevo sposata. Era la madre delle mie figlie.
Non sapevo cosa avrei fatto senza di lei. Una cosa però era certa.
Non mi sarei arreso. Come non mi ero arreso mai.
Come non si erano mai arresi i miei genitori.
Mi asciugai le lacrime e finalmente tornai a vederci decentemente. Tra le molte file di tombe, tra le ultime, ce n’erano alcune simili tra loro, disposte vicine. Le uniche che una ragazza, in lontananza, stava osservando. La potevo solo osservare di spalle dalla mia posizione, senza capire chi fosse.
Drake chiamai allora il mio amico, stendendo una brutta sensazione addosso Chi è lei?
Non mi aspettavo la sapesse. Ma c’era una cosa che Drake non capiva.
Quella ragazza ricordava me, davanti alle tombe delle vittime dall’attentato alla piazza centrale di Kiri. A fissarle, senza riuscire a comprendere davvero il motivo per cui una tale tragedia fosse accaduta, con una sola sensazione a farla da padrona sulla tristezza e sulla rabbia.
Un indomabile, immenso e doloroso senso di colpa.. -
The_Drake.
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Rimase in disparte, lasciando, ovviamente, lo spazio al suo amico di Kiri per parlare o portare onore ai suoi cari: si fidava, quindi rimase di spalle, cercando di non spiare ciò che veniva fatto davanti alla tomba; Preferì per passare il tempo farsi un giretto tra le tombe, dando un'occhiata a chi c'era e chi non c'era: lìnon vi erano i suoi genitori, ma molti dei suoi compagniche aveva lasciato in battaglia, molti delle reclute delle mura morte durante il lavoro, molti ninja che aveva allenato e che in missione aveva perso la vita.
La passeggiata lo portò a ricordare quando aveva messo insieme il team di Konoha, composto anche dalla sua allieva Shay Hyuga, e del momento in cui finì d'esistere per la morte di uno dei membri, forse quello che aveva avuto un incontro sbagliato lungo il suo cammino: forse non erano stati i serpenti di Orochimaru, forsi invece si, ma lui non l'avrebbe mai scoperto.
Continuò lungo una delle rocce commemorative più importanti in quel luogo.
Si trovava lungo l'infinita fila di lapidi bianche posizionate a terra, una costruzione di roccia nera e con sopra numerosi nomi di ninja valorosi: loro eran pura ispirazione per il ragazzo, ninja che aveva dato tutto per Konoha, ninja che avevano meritato con la loro morte di vivere nelle memorie di tutti avendo un posto in quel luogo; Sperava di non finirci molto presto, anzi, di non finirci affatto e di continuare la sua vita dentro la Foglia per gli anni a venire.
Si ricordo nel frattempo che avrebbe dovuto indire pure la riunione dentro Konoha: ora come ora il villaggio era paragonabile a una fortezza senza senso, qualcosa che aveva le fondamenta ma non ancora le mura; Avrebbe dovuto recuperare più soldi possibile e più gente possibile, per costruire e potenziare la sua casa, almeno finchè aveva il potere di amministratore: era sicuro che i piani alti si sarebbero accorti della presenza, prima o poi, di Itai a Konoha, quindi doveva agire subito sfruttando la sua carica, sperando che non gli venisse tolta per quella gitarella. Per come l'amico aveva bisogno di questo viaggio per commemorare i suoi genitori, avrebbe abbandonato il suo posto di amministratore subito se il consiglio l'avesse valutato troppo pericoloso: Konoha stava diventando una gabbia di matti, cinici e senza cuore.
Se fosse diventato Kage, avrebbe cambiato tutto ciò, questa era una promessa.
Comunque, dopo un pò la voce del suo amico rieccheggiò dentro alla zona, richiamando l'attenzione di Ryouji: un'altra persone era dentro quel luogo e come il Kiriano, sembrava immersa nel portare omaggio a qualche caro defunto. Non ne ho la più pallida idea...comunque non è difficile vedere visitatori in questo luogo. Disse, girandosi verso la ragazza e osservando la scena: non voleva importunarla, non sarebbe stato giusto.. -
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La Principessa e il Traditore
Maledici la tua debolezza
II
Lui non sapeva chi fosse quella ragazza. Nemmeno io, in effetti, l’avevo mai vista. Ma la sua figura non lasciava dubbi. Il modo in cui muoveva il corpo, chinato da uno schiacciante dolore, il modo in cui era immobile nel fissare le tombe dinanzi a se, tutte così stranamente uguali tra loro, mi sembrava famigliare. Non ero stato chinato anch’io da quel dolore straziante? Quanto avevo pianto sulla tomba vuota di Yui? Quanto alla fine avevo pregato sulle tombe delle vittime degli uomini uccisi da Yashimata in quell’assurdo attacco?
Yui, quelle persone, erano tutti morti perché io non ero stato in grado di proteggerli. Per quanto avessi cercato di diventare forte, non era mai stato abbastanza. Ogni volta che succedeva, il mio stesso essere veniva distrutto e ogni volta, dovevo ricostruirmi da capo.
Ma si imparava a sopportare quel dolore. La mia anima non era andata così in pezzi dopo l’attentato. Avevo cercato di fare il possibile, avevo fallito ma avevo retto il colpo. Forse perché, egoisticamente, sapevo che non c’era nessuno di me caro tra le numerose vittime dell’attentato di Yashimata, ma non ritenevo di essere quel tipo di persona. Ero conscio della sofferenza e delle speranze degli altri. Le sentivo come mie. Il loro dolore era il mio dolore.
Ero cresciuto, forse.
L’esperienza di Yui mi aveva insegnato a restare in piedi. E Ayame e le mie bambine mi avevano dato la forza necessaria per farlo. Lanciai allora uno sguardo alla tomba dei miei genitori, vago, come per ricordare ciò che avevo chiesto loro poco prima.
Di darmi la forza, perché altrimenti la mia non sarebbe bastata. Poi un urlo squarciò il silenzio che era stato interrotto solamente da cupi mormorii delle due ragazze, ai quali non avevo dato ascolto. Ed era una dichiarazione di colpa così limpida e sincera che mi colpì.
Da quelle semplici parole riuscii a dedurre parte di ciò che era accaduto. Non tutto. Ma quelle non erano le parole di un’assassina ma piuttosto di una persona che non riusciva a smettere di considerarsi tale. Chiusi gli occhi per un istante, rievocando il volto lontano di Yui dinanzi agli occhi. La sua sofferenza prima, i suoi sorrisi poi e il momento della sua morte, proprio davanti ai miei occhi, a dimostrazione dell’umana incapacità di accumulare abbastanza potere da poter proteggere tutto e tutti.
Per quanti anni mi ero incolpato? Del resto, era colpa mia si l’avevano rapita. Era colpa mia se l’avevano uccisa. Di chi altri sennò?
Voglio parlarle dissi al mio amico allora, con tono basso. Avevo il cappuccio in testa, il chakra soppresso e nemmeno la mia faccia era più quella di una volta. Quanti tra loro avrebbero potuto collegarmi al ragazzino fuggito da Konoha anni fa? Così discesi il sentiero dal piccolo rilievo sul qual riposavano le ossa dei miei genitori, lasciando la foto sulla tomba di mia madre. Ben presto gocce di pioggia fredde iniziarono a cadere dalle pesanti nuvole che avevano ricoperto il cielo, bagnando il mondo, nutrendo gli alberi e le piante che crescevano laddove noi vivi avevamo sepolto i nostri morti.
Camminai tra le tombe che pian piano venivano lucidate dall’acqua, camminai verso quella ragazza che continuava a disperarsi.
Perché?
Cosa avevo da dirle? Che me ne importava di una perfetta sconosciuta che stava sul selciato di un cimitero a disperarsi per delle morti per le quali si sentiva responsabile? Perché sentivo quasi una innaturale necessità di dirle di smetterla di sentirci così, perché la colpa in realtà non era sua?
E di chi era?
Camminai dinanzi alle piccole tombe che scoprii essere di bambini. Nati in giorni diversi, in mesi diversi, in anni diversi ma non troppo lontani ma morti tutti, inesorabilmente lo stesso giorno. Capii allora di trovarmi dinanzi ad una strage. Una strage di povere anime innocenti.
Mi fermai alle spalle della ragazza piega al suolo dal dolore, che ancora urlava la sua colpevolezza, restando silenziosamente a guardarla mentre affondava le sue mani negli steli spinosi di rose bianche, che ben presto finirono all’aria, allontanate da un dolore che la sola commemorazione non era in grado di smorzare.
Cosa, allora?
Afferrai una rosa che la ragazza aveva spinto fin dietro di me con il suo gesto rabbioso. Un movimento rapido e preciso, che non mi risparmiò un piccolo buco sul pollice della mano destra. Presi lo stelo come meglio potevo tra le dita e superai la giovane, inginocchiandomi davanti a lei.
Non dovresti gettare via dei fiori così belli dissi allora, posando la rosa immacolata davanti a lei. Era saggio per me parlare con qualcuno a Konoha che non fosse Drake? Possibile che mi odiassero tutti senza che mi conoscessero? Solo per le azioni di un altro me, senza che avessi fatto del male a qualcuno? No. Dubitavo che a Konoha esistesse gente del genere in ogni angolo.
Non sei riuscita a salvarli, vero? dissi con voce triste, guardando però la file di tombe bianche dinanzi a me Ti capisco. dissi abbassando appena lo sguardo. Il volto di Yui tornò a balenare davanti ai miei occhi So cosa si prova a fissare le tombe delle persone morte per un nostro errore, che siano sconosciuti oppure… deglutii, mentre un doloroso groppo in gola mi bloccava le parole Non importa chi altro dissi a bassa voce Non sempre siamo in grado di salvare chi è in pericolo. Non sempre possiamo proteggere le persone a noi care, o il nostro stesso villaggio. Si può fallire, ma quando si fallisce, allora ci ritroviamo a piangere su tombe di persone troppo giovani per averne una mi alzai in piedi e strinsi un pugno.
Perché ero arrabbiato?
Quando arrivi a non riuscire a salvare nemmeno tuo figlio, capisci quanto sei inutile perché Yui, quando venne uccisa, era incinta Vorresti solo stare tutto il giorno davanti alle loro tombe, sperando che possano resuscitare, che tu possa chiedere loro scusa… ma non succederà mai. Ma se non capisci davvero come stanno le cose, allora non potrai mai riuscire ad allontanarti da questo cimitero posai una mano sulla tomba bagnata dalla pioggia che stava rapidamente rendendo fradici i miei vestiti Ma la colpa… di chi è? È dell’uomo che ha ucciso, rapito o altro? O di chi avrebbe dovuto proteggere senza riuscirci?
Me l’ero chiesto sempre.
Di chi era la colpa?
Mia dissi all’inizio. Ero io a dover proteggere Yui. Era per colpa mia che lei era stata rapita. Era per colpa della mia debolezza che lei, alla fine, era stata uccisa.
Di loro, dissi poi. Perché se non avessero iniziato tutto non saremmo mai arrivato a quel punto. Non avevo chiesto io di essere stato trascinato nel loro covo per salvarla, del resto. Ero stato costretto dalla loro malvagità.
Ma alla fine, la colpa era sia mia che di loro. In realtà, il più grande colpevole a cui si può imputare una disgrazia è…
La tua debolezza, ecco qual è la tua colpa. Maledicila, incolpala e soprattutto… sconfiggila
Perché le anime dei morti non tornano indietro e tutto ciò che rimane di loro sono ossa, una tomba dove piangerli e la stessa debolezza che ha portato alla loro morte.
Quindi mi voltai, sotto la pioggia, per raggiungere nuovamente Drake. Non potevo certamente metterlo nei guai facendomi vedere da mezzo villaggio, del resto.
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La Principessa e il Traditore
C’erano una volta un ragazzo e una ragazza…
III
Eppure parlavo di me.
Senza volerlo avevo parlato di me. Di ciò che pensavo riguardo la mia storia perché quella di lei potevo solo intuirla. Avevo ripensato a Yui, dopo che il presente, fatto da Ayame e le nostre figlie l’aveva sepolto in una felicità nuova, radiosa, pure e sincera. In quel luogo di commiato, di lacrime e rimpianti avevo ripensato al più grande rimpianto della mia vita, alla mia incapacità di proteggere chi avevo amato.
Non le avevo dato della debole. Non era stata mia intenzione farlo, ma mi resi conto solo dopo chi alla fine potevo averla ferita esattamente come avevo cercato di ferire me stesso. Mi accorsi del suo movimento solo quando lei posò una mano sulla mia spalla, facendomi girare di scatto. Assecondai quel movimento e vidi quel pugno partire distintamente e cercare di abbattersi sulla mia faccia con il solo, unico e forse anche ben motivato obiettivo di spaccarmela.
Alzai la mano destra più velocemente di quanto lei potesse realmente concepira per intercettare quel colpo. Allora, senza dare la possibilità di sfuggirmi strinsi appena il suo pugno nella mia mano, al solo scopo di abbassare il suo braccio e renderlo nuovamente innocuo. Non dissi niente, non ero io a dover parlare dopotutto. Solo lei poteva dirmi cosa le era passato nella mente di così rabbioso da provocarle quell’impulso tremendo che l’aveva portata a un vano tentativo di ferirmi.
Non ero arrabbiato. Come potevo esserlo? Del resto, se qualcuno l’avesse fatto a me io avrei reagito nello stesso identico modo. La gente nel suo dolore vuole essere lasciata sola, vuole soffrire senza che nessuno potesse ascoltarli, vederli e quindi compatirli. Io ero arrivato lì, un perfetto sconosciuto e spinto da una forza di compassione che non sentivo di aver provato molte volte in vita mia avevo raccontato la mia storia.
Una storia che doveva avere inquietanti parallelismi con quella di lei, perché si era sentita così colpita dalle mie parole.
Ma non avrei mai rinnegato ciò che pensavo. Nemmeno quando lei, strepitando, mi disse chiaramente che incolpare la propria debolezza e incolpare se stessi era la stessa identica cosa.
Certo, come no. Era la stessa identica cosa.
C’erano due tipi di colpe che un uomo può attribuirsi per il proprio fallimento. Quella di essere com’è come essere immutabile nel profondo, sia per la propria consistenza più fisica che per i legami stretti o impossibili da disciogliere, come le parentele.
Poi c’era la colpa di non essere stato sufficientemente all’altezza della situazione. Un confine sottile, ma ben marcato: c’è differenza tra cosa sei e cosa sei capace di fare. E sì, ero sempre colpevole. In questo, lei non diceva nulla di nuovo. Ero sempre io che avevo sbagliato, perché la debolezza era la mia.
Eppure faceva la differenza tra il rimanere a piangere davanti alle lapidi e vivere ancora una volta. Però non risposi, rimasi ad ascoltare il suo fiume di parole disperate, cariche di un dolore primordiale potente quanto il mondo. Perché su una cosa aveva ragione, anche incolpando la nostra debolezza, rimanevamo noi i portatori di tale infamia.
Ormai ho pianto tutte le mie lacrime dissi a voce bassa, voltando appena il capo per guardare le lapidi dei bambini Scusami se hai pensato che ti stessi dando della debole, a dire il vero, io parlavo di me stesso di un me stesso che avevo ucciso sotto il peso della mia convinzione Noi saremo sempre responsabili di ciò che abbiamo fatto, non potrà essere mai altrimenti il cappuccio era caduto dalla testa e ora penzolava umido sulle mie spalle. Lei non sembrava avermi riconosciuto e del resto non dovevano esserci cartelloni con il mio viso in giro per Konoha del resto. Tanto meglio così.
Però la responsabilità dei nostri errori può essere attenuata fino ad essere seppellita sei ci sforziamo di fare in modo che quegli errori non accadano più tornai a guardare il suo viso, rigato dalle lacrime e dalla pioggia Non mi perdonerò mai per ciò che ho fatto, ma questo mi ha consentito di andare avanti e ricominciare a vivere. Perché se nonostante tutto vivi, non sprecare la seconda occasione che il destino ha voluto riservarti. alzai lo sguardo poi verso il cielo plumbeo che sembrava voler piangere insieme alla kunochi fredde lacrime dolci Non conosco modi per smettere di stare così, ma posso raccontarti ciò che è successo e forse, capire che può esserti d’aiuto dissi a voce più bassa, con ricordi dolorosi che riaffioravano ad ogni dove. Socchiusi gli occhi e respirai piano.
Se lei avesse annuito, avrebbe saputo quella che fu la storia d’amore tra Itai e una ragazza di nome Yui, con la sua tragica conclusione.
Avevo una ragazza, qualche anno fa. La trovai che era prigioniera con me in un covo di nukenin che avevano deciso di rapirmi a causa delle divergenze con un mio parente evitai di introdurre in quella storia l’ingombrante presenza di mio nonno Itai, perché avrebbe richiesto solo spiegazioni che non volevo dare in quel momento La salvai e salvai me stesso da quella prigione, non aveva più un posto dove vivere, così venne a vivere a casa mia. Ci innamorammo, lei rimase incinta deglutii nella speranza di sciogliere quel doloroso nodo che mi chiudeva la gola Poi, qualche mese dopo, il complice dell’uomo che avevo ucciso per liberarmi e per liberare lei tornò. La rapii mentre ero fuori casa, mi provocò per andare a salvarla e lo feci, che dovevo fare? Lasciare la donna che amavo, incinta di mio figlio, in mano a dei criminali? Allora li ritrovai, cercai di salvarla, ma ebbero la meglio su di me strinsi il pugno con tutta la mia forza, fino a farmi sbiancare le nocche, quasi fino a infilare le unghia nel palmo della mia mano Mi catturarono e la uccisero davanti ai miei occhi le risparmiai il dettaglio della mia furia, di come li avessi massacrati a mani nude come un animale fa con la sua preda Seppellii una bara vuota per lei, una bara sulla quale ho passato giorni e giorni a incolparmi di ciò che era successo. Inerte, senza riuscire a fare altro che piangere la guardai negli occhi Capii che non potevo andare avanti così, che la mia stessa vita mi stava sfuggendo di mano. La disperazione mi stava uccidendo, solo che provavo troppo dolore per rendermene conto. Giurai allora, su quella tomba, che non avrei mai più permesso che una cosa del genere accadesse. Poi, dopo qualche mese, ancora carico di rammarico, trovai un’altra persona che lentamente e dolorosamente mi fece dimenticare Yui. Lei mi tese la mano mentre cercavo di uscire dal baratro, ed io l’afferrai e ho rivisto la luce feci un lieve sopiro, socchiusi gli occhi Ho lottato contro la mia colpa, giurando a me stesso che non avrei più permesso che accadesse qualcosa del genere. Ho imparato ad amare di nuovo, grazie a una persona speciale. E per quanto, se ci pensi, senta ancora un dolore atroce, un senso di colpa che minaccia di uccidermi feci una piccola pausa, puntando i miei occhi verdi in quelli di lei, ugualmente verdi Vivo, ed è questo quello che conta.
Non sapevo che saggezza avrebbe potuto tirare fuori dalla mia storia, se fosse riuscita a trovarne una.
Una piccola nota finale, non dissi il mio nome. Ero un traditore nella terra che avevo tradito e lei non godeva ancora di nessuna fiducia da parte mia. Come potevo permettere che Drake venisse coinvolto in guai che non meritava per un mero scambio di convenevoli che potevo evitare.
Almeno per ora.
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La Principessa e il Traditore
Gocce di pioggia che lavano le lacrime
IVSome nights, I stay up cashing in my bad luck
Some nights, I call it a draw
Some nights, I wish that my lips could build a castle
Some nights, I wish they'd just fall off
Non è colpa mia.
Non è colpa mia.
Non è colpa mia.
Non è colpa mia.
Non è colpa mia
Quante volte avevo ripetuto quelle parole senza crederci davvero. Davanti a uno specchio per convincere alla mia immagine riflessa che è vero? Quante volte avevo ripetuto quelle parole dinanzi ad una tomba, sperando che quella foto che andava lentamente sbiadendo potesse animarsi e dirmi che sì, non era colpa mia?
Eppure mai una volta avevo avuto una risposta, né dal mio riflesso né da quella tomba. Ero rimasto solo con il mio senso di colpa che avevo imparato a gestire. A sconfiggere.
Non è colpa mia.
La più grande balla che avessi potuto raccontare a me stesso. Perché era colpa mia e la cosa non sarebbe cambiata mai. Yui era morta perché aveva deciso di stare con me, perché io non ero stato abbastanza forte per salvarla. Eppure vivevo.
Perché lei non poteva vivere? Perché quella giovane ragazza della quale non sapevo nemmeno il nome mi aveva abbracciato dicendomi parole delle quali avevo trovato il significato tempo fa?
Ero triste. Ero a pezzi. Avevo appena pregato dinanzi alla tomba dei miei genitori, avevo rievocato la storia di Yui e sentito nuovamente quel dolore che avevo imparato a seppellire sotto la gioia regalatami da Ayame, dalle mie bambine, da tutto ciò che avevo conquistato dopo di lei.
Solamente Kaku mi rimaneva di quella vita. Il demone che aspettò di vedere la mia ragazza morta prima di concedermi il potere che mi avrebbe permesso di salvarla. Non potevo dimenticare il demone però. Era parte di me e quel suo atto così ignobile sarebbe rimasto per sempre legato al mio corpo e alla sua anima. La sua forza e quindi anche la mia mi ricordavano sempre quanto mi era costato ottenerla.
Rimasi immobile tra le braccia di quella perfetta sconosciuta senza sapere cosa fare, con la mente in tumulto. Mi sembrava di essere tornato indietro di anni, a quando ero tornato a Kiri distrutto, strisciando quasi come un verme senza più volontà di reagire.
Perché non muovevo le braccia?
Cosa mi impediva di alzarle e fare ciò che sapevo di dover fare? Non ero io l'uomo che aveva bisogno di sentire parole rincuoranti. Avevo già superato la prova che il destino crudele aveva deciso di mettermi davanti. Era lei ad avere bisogno dell'aiuto che in maniera quasi incomprensibile lei stava donando a me.
Chiusi gli occhi abbassando il capo. La sconosciuta era più bassa di me, così quando chinai il capo mi ritrovai a fissare una massa bagnata di capelli castani adesi alla sua testa, appesantiti e scuriti dalla pioggia. Deglutii a fatica tutta quella tristezza e con uno sforzo immane iniziare a sorridere.But I still wake up, I still see your ghost
Oh Lord, I'm still not sure what I stand for oh
What do I stand for? What do I stand for?
Alzai le braccia verso quella creatura indifesa e piano posai le mani sulla sua schiena per un abbraccio gentile. Fui rispettoso quanto deve esserlo uno sconosciuto, ma quanto potevano essere sconosciute due persone così vicine nella loro storia? Lei mi aveva abbracciato, io stavo facendo lo stesso.
Mi ero resto conto che mi sembrava di conoscere quella persona da ben più di cinque minuti.
Io non sono solo dissi allora a bassa voce, mentre piano la pioggia che cadeva furiosa dal cielo cercava quasi di coprire le mie parole Adesso ho trovato la forza di vivere. Adesso sono sposato e ho una famiglia.
Quindi, gentilmente, sciolsi quell'abbraccio ma puntai decisi i miei occhi verso quelli smeraldini di lei. Bagnati.
Potevo riflettermici in quegli occhi verdi. Se avessi saputo di più sulla storia di chi avevo di fronte avrei potuto dire che il verde è il colore degli occhi dei bastardi.And that's alright; I found a martyr in my bed tonight
She stops my bones from wondering just who I am, who I am, who I am
E tu ami qualcuno? non intendevo saperlo, non erano questioni che mi riguardavano. La sua storia era solamente sua e stava a lei decidere di dirmi di più. Così, dopo quella domanda che non richiedeva risposta continuai a parlare. Se c'è qualcuno di speciale per te, tienilo stretto. La gente speciale tende a scivolare troppo facilmente dalle nostre dita feci un sospiro, alzando lo sguardo verso il cielo plumbeo che insisteva nel gettare acqua addosso al mio viso. Ovviamente fui costretto a riabbassare lo sguardo verso lei.
Le gocce di pioggia erano la maschera migliore che potessi chiedere in quel momento.
Lavavano via le lacrime senza sosta, nascondendole in torrenti di acqua gelida che scorrevano sul mio viso. Resistetti all'impulso di strofinare gli occhi. Li chiusi.
E smisi di piangere.
Hai portato fiori sulle tombe delle tue vittime. Soffri per loro. Soffri per non essere stata capace di salvarli. Così guardai ancora una volta la distesa di tombe bianche di persone troppo piccole per averne una Anche tu hai un cuore gentile. E se per te la libertà è lontana, ricorda solo questo tornai allora a guardarla negli occhi La troverai.
E non c'era niente di più meravigliosamente vero.
Perché avrebbe passato notti insonni a rimuginare su quanto aveva fatto. Avrebbe pianto lacrime amare. Avrebbe portato decine e decine di fiori a quel cimitero.
Ma un giorno, chissà quando, avrebbe messo un piede fuori dal cancello di quel luogo di morte e rimorsi, avrebbe guardato il cielo e si sarebbe resa conto che la sua vita era ricominciata. Ancora una volta.
Chi sei?
Non sapevo se essere divertito o meno. Sicuramente non avrei riso. Ma aveva un non so ché di ironico il trovarsi a parlare a una ragazza sconosciuta della propria vita travagliata, degli amori sanguinosamente perduti, dei sensi di colpa passati per poi scambiarsi un abbraccio senza nemmeno sapere il suo nome.
Non ero certo di poterle dire il mio, ma ero di certo di voler sapere il suo.Solo perchè esisto
sono qui,
tra la neve che cade.
Issa. -
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