La Principessa e il Traditore

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    S E N S E OF G U I L T:
    Only in the agony of parting do we look into the depths of love.

    Shizuka Kobayashi's desperation




    divisore





    Fluttua nel cielo
    dove vai?
    Torna



    divisore



    Si sentiva come una piuma.
    Una delle piume di quegli uccellini troppo frettolosi, che spiccando ansiosi il volo di fronte alla corsa ilare di un bambino, perdevano qualche candida parte di sè, destinata a fluttuare nel vento fino a quando questo, maestro impietoso, avrebbe ritenuto opportuno.

    Fluttuava.
    Fluttuava nel vuoto.
    Fluttuava nel vuoto da molti giorni, ormai.

    Chiuse gli occhi e il mondo della realtà si oscurò, aprendo quello dei pensieri e dei ricordi.
    Rivide la se stessa di dieci giorni prima che correva sui tetti delle case del suo Villaggio. Un collarino di cuoio nero stretto al collo, come fosse un gatto fuggitivo. Gli occhi di un burattinaio che la seguivano, instancabili.
    Rivide le sue mani tremanti afferrare le taniche vuote da riempire con l'acqua di una fontana troppo distante per essere raggiunta. Avvertì ancora una volta la sua febbricitante disperazione nel cercare di colmarle nel modo e nel tempo che le era stato richiesto.
    Sentì di nuovo la sua rabbia. Le unghie scheletriche e arcuate della sua maledizione che sventravano la voragine del suo cuore, appannandole la mente. Distruggendo la sua lucidità.
    “Sei più maledetto di me!” Aveva urlato quella volta.
    “Aspetta, ti prego, non lo fare!” Aveva strillato poi, disperata...
    … mentre alle sue spalle, feroce come solo il grido della morte lo può essere, un'esplosione di dimensioni disumane sbocciava a un chilometro di distanza. Così lontana, eppure così potente da scuoterle il corpo, far tremare la terra e soffiarle via i capelli.

    Poi, ricordò l'odore acre del fumo.
    Il rumore assordante delle grida.
    Lo strepito soffice dei suoi passi zoppicanti sull'erba.
    Il sapore dolce del sangue sulle labbra.
    Esplosioni. Esplosioni. Esplosioni.
    Morti. Morti. Morti.

    Sorrise, stringendo gli occhi nell'abbassare la testa fino a terra, e fu solo quando sentì il fango ghiacciato picchiettato pietosamente dalla pioggia che si abbatteva su di lei e sulle lapidi che davanti alle sue lacrime danzavano incerte, che seppe di aver davvero toccato il fondo.

    Era esausta.
    Era esausta come non lo era mai stata in tutta la sua vita.
    Era così stanca che persino respirare cominciava a diventare doloroso...
    … quando aveva cominciato ad odiare così tanto l'alzarsi la mattina?
    Quando aveva smesso di sorridere alle bellezze di quel mondo che aveva sempre avuto la sicurezza di amare?

    Scosse la testa, sospirando debolmente, e il tepore del suo corpo si concretizzò subito in candidi e impalpabili fiocchi bianchi: Non erano morti solo loro quel giorno, vero?
    C'era una lapide in meno in quel cimitero.
    La sua.

    “Non dovresti gettare via dei fiori così belli”



    Voltarsi alle sue spalle fu un'agonia di proporzioni inimmaginabili per la giovane Principessa del Villaggio della Foglia, la quale, girandosi lentamente, non si premurò nemmeno di pulirsi la faccia sporca di terra e lacrime, preferendo evidentemente presentarsi così agli occhi del giovane uomo che di fronte a lei sostava: Sporca, ridicola, debole, distrutta... sotto molti aspetti, morta.

    “Non sei riuscita a salvarli, vero?”



    Non rispose. Non ci riuscì.
    Dal suo punto di vista, dopotutto, la sua colpa era ormai divenuta universale, una macchia color porpora talmente brillante che dal suo cuore dilaniava le carni, arrivando fino in superficie, lì dove chiunque avrebbe potuto vederla. Comprenderla. Giudicarla.
    Ovunque andava non faceva che vedere gli sguardi accusatori di chi la riteneva silenziosamente responsabile, pur senza dirglielo. Non c'era più nessuno di cui riusciva a incrociare lo sguardo senza abbassare il proprio.
    Tutti sapevano. Tutti la odiavano.
    Ne era così convinta...

    “Ti capisco”



    Ah si?
    Divertente.



    “So cosa si prova a fissare le tombe delle persone morte per un nostro errore, che siano sconosciuti oppure... Non importa chi altro”



    […] Ah. Adesso era tutto chiaro.
    Sorrise, divertita quasi da quella triste coincidenza che il Fato si era divertito a sputarle ai piedi...
    … un altro pezzente, eh?
    Alzando con fatica i suoi immobili occhi verdi sulla figura incappucciata di quell'uomo mai visto prima che di fronte a lei sostava, Shizuka Kobayashi ne scrutò silenziosamente i lineamenti semi-oscurati, e dopo un lungo attimo di silenzio -che parve essere troppo da chiedere al suo corpo, il quale si abbandonò subito dopo alla passività dei muscoli stanchi- non poté fare a meno di sorridere un'altra volta. Ironicamente.
    Conosceva bene quello sguardo che sembra scavare nei ricordi di un errore del passato senza colori e senza confini, e sapeva altrettanto bene riconoscere le ombre di un cuore macchiato dal peccato, quando le vedeva.
    Lei, del resto, doveva fronteggiare le sue ogni giorno, di fronte allo specchio della mattina.
    Le riconosceva. Sapeva.

    “Ma la colpa… di chi è? È dell’uomo che ha ucciso, rapito o altro? O di chi avrebbe dovuto proteggere senza riuscirci?”



    Tacque. Ancora.
    La domanda le parve così sciocca che, per un istante, valutò la possibilità di essere presa in giro...
    … di chi era la colpa?
    Se le circostanze fossero state altre, se lei non avesse sbagliato nulla e semplicemente fosse stata meramente incapace di proteggere il Villaggio che amava più di se stessa, forse avrebbe addirittura potuto egoisticamente perdonarsi. Ma la verità era un'altra: Lei aveva errato perché non era stata capace di pensare. Si era fatta annebbiare la mente dal desiderio di uccidere quell'uomo, e così facendo aveva commesso un errore.
    Semplicemente si era venuto a creare un conflitto fra malvagità diverse, e alla fine il desiderio di morte iniettato di follia di Karasu aveva surclassato il suo, ancora così immaturo, ancora così acerbo...

    Anche lei sarebbe divenuta così, un giorno?
    Come lui?

    Si ricordò di averlo pensato, quella volta: Una maledetta dall'odio non è destinata alla via dell'amore e della comprensione, dopotutto nessun Uchiha prima di lei -divorato da quella condanna demoniaca voluta da chissà quale Dio crudele- era riuscito a nutrire e perseverare un seppur labile desiderio d'altruismo.
    Un giorno, dunque, sarebbe diventata proprio come il Signore dei Corvi: Potente. Cattiva. Dannata.

    … Improvvisamente, la rabbia sorda.
    L'ira.

    L'odio.

    “La tua debolezza, ecco qual è la tua colpa.”



    Silenzio.



    “Maledicila, incolpala e soprattutto… sconfiggila”



    Silenzio.



    Accanto a lei, contraendo il volto in un'espressione risentita e iraconda, Ritsuko Aoki si alzò da terra, e compiendo un passo avanti rispetto alla sua inerte Signorina, come a volerla così proteggere da quell'ennesima pioggia di parole acuminate e taglienti come lame avvelenate, parve sul punto di mettersi a urlare.
    “Come si permette!?” Sembravano dire i suoi brillanti occhi cerulei “Se ne vada subito!” Parevano aggiungere le sue affusolate piccole mani bianche. Le stesse mani che ella alzò verso l'alto, forse credendo di poter mettersi davvero a urlare in una circostanza come quella, forse puerilmente immaginando di poter davvero così impedire che quello che temeva si realizzasse...
    … ma fu troppo lenta. Decisamente troppo.

    [...] Scattò in avanti con talmente tanta velocità che Ritsuko Aoki non ebbe neppure il tempo di comprendere cosa stava succedendo fino all'istante prima in cui vide la sua amata Principessa scivolare alle spalle dell'uomo incappucciato.
    Si era mossa rapidamente e con una tale silenziosa eleganza che lei, inesperta cameriera dagli occhi velati di gentilezza, non si era nemmeno resa conto di essere stata accerchiata e lasciata indietro... indietro. Di nuovo.
    Impallidì, sentendo improvvisamente tutto il suo gelido sangue defluire verso i piedi, e fu solo a quel punto che portandosi le mani rigide alla bocca, fece appena in tempo a gemere un debolissimo “No...” che Shizuka Kobayashi, la sua amata signora, aveva già cercato di afferrare una spalla dell'individuo senza identità, che avrebbe poi tentato di far voltare verso di lei prima di fare l'impossibile per scaraventargli un pugno in pieno viso...
    … E sarebbe stato senza dubbio uno dei più forti pugni che la bellissima Principessa del Villaggio della Foglia aveva mai tirato fino a quel momento, talmente potente e talmente ben assestato che se solo fosse andato a segno l'avrebbe lasciata con le nocche e le dita doloranti quel tanto che sarebbe stato necessario a ricordarle il motivo per cui si era arrabbiata così tanto.
    Digrignando i denti come un animale, la kunoichi avrebbe poi guardato l'uomo di fronte a sé, e a prescindere che fosse riuscita a meno a sferrare il colpo, avrebbe cercato di strappare il cappuccio dalla testa di lui, cui avrebbe infine rivolto uno sguardo tra i peggiori mai veduti nella piangente Konoha.
    Sembrava sul punto di esplodere in mille pezzi.

    shizukacimitero
    « Chi diavolo sei »

    La sua voce grondava fiele: Se fosse bastata la mera intenzione, per uccidere, quell'uomo sarebbe probabilmente già morto.

    « CHI DIAVOLO SEI? » Urlò nuovamente la donna, visibilmente fuori di sé dalla collera...
    … ma nonostante tutto, per quanto distrutta e furiosa fosse in quel momento, i suoi occhi non persero il loro tipico color verde smeraldo. Le sue mani non tremarono. Il suo volto non perse i lineamenti affascinanti che lo caratterizzavano.

    La sua maledizione, rimase a dormire.
    Sopita. In attesa.

    « Pensi che ti sia permesso di andare in giro a vomitare addosso alle persone i resti degli errori che non ti sei mai perdonato di aver commesso!? » Sibilò la Principessa, e la sua voce adesso era incrinata dall'astio più puro: Quello che non ha niente da perdere « Oppure credevi di “consolarmi” ? Di “darmi un consiglio” ? » Rise rumorosamente, fulminando poi con lo sguardo il suo interlocutore « Non mascherare il tuo egoismo e la tua incapacità con parole gentili: Un pezzente rimane sempre un pezzente... e come lo sono io, evidentemente, lo sei anche tu » Sibilò, iraconda « Incolpare la propria “debolezza” è come dare la colpa a se stessi, ne sei conscio oppure il tuo egocentrismo ha offuscato l'intelligenza che spero gli Dei ti abbiano donato alla nascita? » Sorrise, sarcastica, e così dicendo si abbassò leggermente verso il basso, quel poco che le sarebbe servito per cercar di incontrare gli occhi di colui che di fronte a lei sostava, al quale avrebbe poi rivolto un'espressione comprensiva e cordiale ch'era senza dubbio la più agghiacciante tra tutte quelle che l'avevano preceduta « Tu sei ancora colpevole come il giorno in cui hai lasciato che le persone dei tuoi ricordi ti abbandonassero, e lascia che ti sveli un segreto... lo sarai per sempre. La tua colpa non ti abbandonerà mai » Ghignò, divertita « ...è così evidente, non te ne rendi conto? » Domandò in un sibilo « Una persona che non ha ancora perdonato se stessa non ha il diritto di andare in giro a cercar di issarsi sopra il dolore altrui... » Ma poi, dopo quelle parole, improvvisamente, si sentì molto più colpevole e orribile di prima. Talmente brutta e talmente corrosa che fu costretta ad abbassare lo sguardo, poiché la sola possibilità di poter vedere il suo volto rispecchiato negli occhi dell'uomo che aveva di fronte, la raccapricciava.

    Era cattiva. Lo era con tutti.
    Persino con se stessa.

    « Se vuoi, piangi »

    Mormorò a quel punto, e le parole le uscirono di bocca prima che potesse frenarle.
    Per un attimo, ne fu persino stupita.

    « Penso ci siano delle cose per cui non si smetterà mai di piangere, e altre per le quali non si smetterà mai di ridere » La sua voce trasudava ancora rabbia, ed era impossibile che così non fosse, ma per un istante, per un solo debole istante, se l'uomo avesse fatto attenzione, avrebbe potuto scorgere un barlume di gentilezza colpevole in quelle parole acri, proprio come se dentro il corpo di quella ragazza venissero a collidere due oceani diversi e distanti, i quali, scontrandosi poderosamente gli uni contro gli altri, si rendevano responsabili di creare ogni sentimento ed ogni espressione che si leggeva su quel volto da bambola di porcellana e che si andava a seguire in quegli occhi color della primavera...
    « Ci sono degli episodi della nostra vita che non potremo mai perdonare, per quanto potremo un giorno essere in grado giustificarli. Per quanto saremo capaci, in futuro, di comprendere meglio ciò che un tempo ci è sembrato così confuso » Chiuse gli occhi. Le sue mani si strinsero a pugno « Possiamo dare la colpa a quello che vogliamo: Alla debolezza, agli Dei, alla malvagità che divora le persone... » Così dicendo, esitò per un istante « ...ma per quante storie possiamo tessere e per quanti dipinti di redenzione possiamo creare, nulla cancella la verità dei fatti: La colpa è nostra » Sorrise amaramente « Eravamo noi lì quel giorno. Noi non siamo riusciti a cambiare il corso degli eventi. Noi abbiamo commesso un errore che potevamo risparmiarci... e sempre noi abbiamo visto la morte cogliere quelle persone nel loro ultimo terrorizzato istante. Sempre noi abbiamo capito di aver fallito, di aver sbagliato nell'unico momento in cui probabilmente dovevamo non farlo... riusciremo mai a pensarla diversamente? » E così dicendo guardò l'uomo di fronte a sé « Se conosci un modo per smettere di stare così, dimmelo per favore... » Sussurrò... poi, come fosse stato improvvisamente tolto lei l'ingranaggio di caricamento che l'aveva fino a quel momento spinta a vivere, la kunoichi abbassò la testa e tacque.
    La sua vita, nuovamente, fu risucchiata via.


    divisore




     
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