Una bravata a Konoha

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    Fame, no portafogli.


    L'arte del rubare!



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    Una giornata particolare, ad intervalli di tempo irregolari le nuvole pacifiche oscuravano il sole, per poi dargli di nuovo il suo giusto spazio, una giornata calda, rinfrescata però da un fresco vento invernale, di quello che fa screpolare le labbra ed arrossare le guance.
    Ed era nel contesto del villaggio della Foglia, precisamente in una delle piazzette dello stesso, vicine alla strada centrale, che quello spilungone bislacco di Shinji Uchiha, passeggiava allegramente, beh forse non così allegramente, visto che aveva una fame da lupi ed il suo stomaco brontolava, tanto che la gente che passeggiava vicino a lui, si voltava a guardarlo quasi intimorita da quei rumori.
    In bocca aveva una delle sue sigarette speciali, extracolme di catrame e nicotina, e lui era famoso in tutto il clan per essere un accanito fumatore.
    Stava pensando al fatto che pochi giorni gli rimanevano per continuare a fare il bighellone, ah il dolce far niente stava per finire.
    Sarebbe partito in missione per conto dell'accademia con Toro Yamanaka e Kenzaru, i suoi due compagni di marachelle.
    Beh di sicuro il ventenne in quanto a cervello era poco più che un bambino piccolo.
    E altrettanto sicuramente non era intenzionato a partire, se non costretto dalle minacce di morte espostegli da suo nonno, il vecchio Lupo di Ferro degli Uchiha.
    Passeggiando il giovane incontrava sempre più spesso dei deliziosi aromi di cibo perfettamente cucinato dalle abili mani dei negozianti e dei possessori di chioschi, rinomati e famosi in tutta Konoha, se avesse avuto il suo portafogli, di sicuro si sarebbe concesso un bel pranzetto, senza badare a spese come al solito, ma non l'aveva e questa situazione lo stava lentamente portando all'esasperazione.
    Avete mai provato ad avere una fame del diavolo? Ad avere dell'ottimo cibo sotto gli occhi e non poterlo comprare?
    Beh di sicuro per il ragazzone dai capelli corvini quella era una delle prime volte, perchè ad un tratto si fermò di fronte ad un chiosco di spiedini, con l'aria da affamato cronico, con la bocca aperta e gli occhi colmi di uno strano bagliore di desiderio.
    Poi qualcosa di strano accadde, poichè il babbeo prese una manciata di spiedini dal bancone, sorrise al negoziante con aria di scuse, e si mise a correre, rapido e veloce come solamente un ninja può fare, mentre il lento e goffo negoziante gli gridava dietro, accusandolo di furto e di essere un ladro![Velocità: 300]

    Ma che diavolo combini Shinji!!!!!? E ora? Scappa e nasconditi!



    Continuò a correre, ovviamente attirando un bel po' d'attenzione su di se, visto che tutti si erano girati verso quel babbeo con gli spiedini in bella vista, e chiunque fosse passato da quelle parti avrebbe potuto notare il subbuglio ed il chaos che un' azione sconsiderata aveva creato, era stato un attimo di follia, di sconsideratezza, lui non era cattivo, aveva solamente tanta fame! Mentre come un razzo correva, a tratti urtava per sbaglio qualche cittadino, chiedendo prontamente scusa, e fu da li in avanti che mentre il giovane compiva lunghe e rapide falcate per portarsi all'interno del Bosco secolare, iniziò a gridare:

    Largo! Largo lasciatemi passare! E' Urgente!



    In cuor suo sperava che nessuno dei passanti sarebbe stato tanto curioso da provare a seguirlo, o forse se non per curiosità, per senso civico oppure per giustizia o per altro!
    Non voleva grane, avrebbe risarcito il negozio più avanti, una volta trangugiati quegli spiedini di pollo!





    CITAZIONE
    Una tipica e rocambolesca situazione alla Shinji Uchiha, a te entrare in scena XD e buona Role^^
     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    Akira dondolò pigramente le gambe, mentre rimaneva placidamente seduta su una panchina lignea ad osservare le nuvole che si rincorrevano in cielo; più di una volta avevano coperto il sole, offuscando i raggi allegri che proiettavano fugaci ombre sul terreno. Era una giornata abbastanza tranquilla per l’aspirante ninja, la cui carriera di studentessa si avviava al tramonto: i maestri all’accademia erano fieri dei risultati da lei conseguiti in quei tre anni di studio e lei stessa si sentiva più consapevole dei propri limiti e delle proprie abilità. A dire la verità, il suo addestramento si era prolungato con un anno di troppo, dato che all’alba del suo quindicesimo anno di vita si trovava ancora con la testa china sui rotoli per assorbire quante più nozioni possibili, ma era in qualche modo convinta del fatto che la teoria non l’avrebbe salvata se si fosse trovata ad affrontare uno scontro diretto. Cosa che peraltro era intenzionata a fare. Il suo sguardo saettò dal cielo all’orizzonte, incrociando una figura in rapido movimento che sembrava venire dalla sua parte, ma di certo non per fare due chiacchiere; la studentessa avvicinò rapidamente le ginocchia al petto, circondandole con le braccia ed appoggiandoci sopra il mento, osservando curiosa la corsa del ragazzo, apparentemente molto più grande di lei, diretto verso un luogo ignoto. Un angolo della bocca dell’Aburame si arricciò verso l’alto quando vide una seconda figura che arrancava nel vano tentativo di raggiungere colui che aveva appena oltrepassato tre cittadini che si trovavano sulla sua strada, facendo finire a gambe all’aria un innocente bambino che passava di lì. L’espressione del piccolo però non era irritata o capricciosa, quanto più sorpresa: osservava con occhi leggermente sgranati il ragazzo che si allontanava e il mercante che tentava di seguirlo, ma la sua espressione quando il negoziante si fermò per riprendere fiato fu la stessa che si dipinse sul volto di Akira. Con l’unica differenza che la ragazza riusciva a mascherare bene il suo entusiasmo, a differenza del bambino che afferrò una manica della tunica del padre e la tirò con insistenza per arrivare al suo viso e riuscire a sussurrare qualche parola speranzosa, mentre il genitore scuoteva bonariamente il capo. La studentessa scese con un saltello dalla panca, incartò gli onigiri e li ripose in una delle tasche, ringraziando la tendenza naturale degli Aburame ad avere delle rientranze negli abiti anche nei posti più impensati. Si incamminò alla volta del Bosco Secolare con le mani intrecciate dietro la testa e passo flemmatico, facendosi guidare da due libellule dai colori armoniosi che volteggiavano pigre ed eleganti attorno al viso della ragazza, raccontandole le novità del bosco, riferendole la posizione di quello scoiattolo che era appena corso a nascondersi dietro il ramo del pioppo alla sua destra, descrivendole i suoni che riuscivano a percepire distintamente e senza smettere di parlare per un solo secondo. Era uno dei vizi delle libellule, sfortunatamente: amavano mettersi in mostra, erano vanesie ed attiravano fin troppo l’attenzione, ma erano gli informatori più dotati che l’Aburame conoscesse. Non avevano mai fallito nel riferirle i pensieri dei suoi familiari e non avevano sbagliato quando si era trattato di indicarle la strada di casa; erano dei buoni alleati. Osservando attentamente l’ambiente circostante, Akira notò come la vegetazione travolta dal passaggio del giovane fosse difficile da individuare e presente in misura decisamente minore rispetto a quello che si era aspettata: solitamente quando una persona correva, riusciva a fare terra bruciata attorno a sé, mentre quel ragazzo sembrava abituato a muoversi velocemente e non lasciare troppe tracce del proprio passaggio. Quando riuscì finalmente ad udire dei suoni estranei rispetto a quelli della natura, l’aspirante ninja si acquattò dietro un cespuglio, stuzzicando con la punta della lingua il fukibari che teneva in bocca per la maggior parte del suo tempo, allo scopo di stemperare la tensione che le stava strisciando alle spalle. In cuor suo, sapeva perché aveva seguito quella persona: era incuriosita dal suo comportamento e proprio come i bambini vengono attratti dalla possibilità di infrangere le regole, lei si sentiva calamitata dalla possibilità di seguire quel giovane che aveva catturato la sua attenzione. Voleva vedere quanto sarebbe riuscita a resistere senza che lui la scoprisse ed era impaziente di mettersi alla prova; trattenne il respiro, spiandolo da dietro le foglie del cespuglio di more e sperando che l'odore degli onigiri non la tradisse.


    CITAZIONE
    Ecco, spero vada bene (:



    Edited by Ressilj - 30/1/2013, 01:08
     
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    Mangiare, pensare e...


    Tu chi sei?



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    Aveva dunque distanziato gli inseguitori, di certo non era comune che un semplice studente, ancora privo di coprifronte, riuscisse a sprigionare una velocità simile, lui ci era riuscito grazie a tutti quegli anni in cui era stato costretto ad allenarsi, e grazie ad Atasuke che gli aveva fatto comprendere che l'addestramento e la forza, dovevano avere uno scopo, lui l'aveva riconosciuto nei suoi compagni, nelle due persone per le quali avrebbe senza esitazione sacrificato qualsiasi cosa, per quei due che la pensavano proprio come lui. Entrato all'interno del Bosco secolare con foga e apprensione, il giovanotto si era portato nel punto più folto dello stesso, dove eventuali ricerche del ladruncolo sarebbero sgtate inutili.
    Aveva trovato un ramo abbastanza basso, ed aggrappandosi ad esso era riuscito a sedervisi, e fu lì che con soddisfazione iniziò a mangiarsi quegli spiedini, che erano il bottino di un ladro mediocre ed affamato. Lì rimase in silenzio, mangiando come un lestofante privo di garbo, veloce, quasi senza assaporare il cibo.
    In quel silenzio gli tornarono a mente un'infinità di cose, i suoi occhi preziosi coperti da quelle lenti trasperenti, preziosi si, ma che ancora dovevano trovare la vera luce, lui lo desiderava lo Sharingan, lo bramava, ma come aveva detto Atasuke non era ancora pronto. Pensò per un istante che vista la rarità di quei geni innati, forse avevano saltato Shinji, e sarebbero stati trasmessi solamente a suo figlio, oppure vista la sua diversità dagli altri Uchiha, i geni del clan si erano semplicemente persi per strada.
    Era un pensiero che lo angosciava spesso, rimanere senza occhi rossi sarebbe stata una bella beffa, chiunque avrebbe riso di lui, anche se poi ne avrebbe pagato le conseguenze. Terminò di mangiare l'ultimo spiedino, poi un rumore come di una grossa volpe attirò la sua attenzione, così il giovane si mise alla ricerca tramite lo sguardo di quell'animale enorme che aveva avvertito muoversi, eppure tutto taceva, tutto era in silenzio, apparte il suo respiro ancora lievemente affannato dopo la corsa.
    Pensò al fatto che se il negoziante avesse chiamato la Polizia di Konoha, quasi completamente formata da sporchi Uchiha, lui avrebbe passato un bel po' di guai sia con il villaggio che con suo nonno.
    Eh si, aveva fatto proprio una cavolata a rubare il cibo, mentre gli sarebbe bastato recuperare i suoi soldi a casa, e pooi tornare e comprare quello che voleva. Si diede qualche colpetto sulla testa come se si stesse autorimproverando mentalmente.
    La situazione sembrava tranquilla, lo spilungone lì appollaiato sul ramo, ed assorto in mille e più paranoie inspiegabili, ma c'era qualcosa che gli destava sospetto, lui aveva mangiato del pollo piccante, e allora perchè sentiva l'odore di Onigiri? Flebile, quasi inesistente, però c'era eccome, che ne avesse qualcuno in tasca? No, aveva già controllato, aveva solamente le sigarette.
    Iniziò a sniffare nell'aria, annuendo quando riuscì dopo alcuni secondi a cogliere l'esatta fragranza di Onigiri! Qualcuno li aveva persi nel bosco? Possibile, Shinji li voleva, e odiava che il cibo buono venisse sprecato.
    Così scese dal ramo, e come un cagnone contento che segue una traccia di fiuto, iniziò a sniffare un po' ovunque, tentando di localizzare la direzione dalla quale quell'odore proveniva, e fu in quella buffa e insperata situazione, che il ragazzone si ritrovò a 4 zampe, proprio come un cane, di fronte ad un ampio cespuglio di more, Onigiri alle More?
    Ma che?

    Ehi coso, non esistono Onigiri alle more, eppure sono sicuro di aver sentito qualcosa, erano Onigiri! Forse... le more mi hanno fatto perdere la pista! Mangerò le more allora... uffa, volevo gli onigiri...



    E fu così che sempre a quattro zampe, con una faccia da perfetto demente dipinta sul volto, Shinji iniziò a raccogliere una mora dopo l'altra, ed a cacciarsela in bocca, come un bimbo che ha appena trovato un vasetto di marmellata.
    Aveva la bocca sporca di succo di mora, appiccicoso e violaceo, occhi felici come se gli avessero fatto un regalo, ed ecco che in quel preciso istante la traccia olfattiva di Onigiri tornò! la sentiva forte e chiara! erano li vicini, sembravano quasi al di la del cespuglio, così il babbeo, senza pensare che i cespugli di more hanno una miriade di spine, infilò letteralmente la testa all'interno del cespuglio, fino ad arrivare dall'altro lato dello stesso, ma non vi trovò gli Onigiri dall'altra parte, bensì una ragazzina.
    Rimase a guardare quella tizia, un po' deluso e completamente pieno di piccoli graffi in volto, causati dalle spine del cespuglio, attorno alla bocca, ancora succo di more. Era immerso in un cespuglio, e stava guardando una ragazza negli occhi, che ci faceva lì?
    E perchè riusciva sempre a rendersi ridicolo oltre ogni concezione? L'unica cosa che spontaneamente disse, forse preoccupato che quella fosse della polizia di Konoha, fu:

    E tu chi sei?




     
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    La ragazza si appiattì contro il cespuglio di more, allarmata dal fatto che il giovane avesse preso ad annusare in giro come se fosse sulle tracce di qualcosa, ma rimase ferma nella sua posizione senza tentare di allontanarsi; era sicura del fatto che l’odore delle more avrebbe coperto il suo, perciò si convinse che il ragazzo fosse sceso dal ramo solo per tornare a casa – ovunque essa fosse – o per allontanarsi da quel posto, pensando forse che la polizia di Konoha avrebbe potuto raggiungerlo. Invece, al contrario delle sue previsioni, Akira sgranò impercettibilmente gli occhi quando lo vide annusare l’ambiente circostante ed infine puntare proprio a quel cespuglio di more dietro al quale lei era nascosta. Avrebbe dovuto cogliere l’occasione e scappare prima, perché se si fosse mossa in quel momento sarebbe stata di sicuro un bersaglio facile da individuare e non voleva che il ladro di spiedini la scambiasse per un nemico e le lanciasse dietro i suoi shuriken. Rimase seduta sui talloni, immobile, mentre un goccia di sudore si staccava dalla punta d una ciocca bionda e le scivolava lungo la schiena: non avrebbe potuto prevedere quale sarebbe stata la reazione del ragazzo una volta che l’avesse trovata, poteva anche essere un assassino ormai pratico e letale – cosa che sarebbe dovuta diventare anche lei un giorno o l’altro, in quanto ninja – e l’Aburame aveva ancora tanti sogni da realizzare prima di morire a causa delle more che non avevano adempiuto al loro incarico di tenerla nascosta.
    Trattenne il respiro quando il ragazzo iniziò a cibarsi proprio dal cespuglio dietro al quale Akira era nascosta, facendo scivolare silenziosamente la mano verso la tasca degli shuriken e afferrando saldamente una di quelle stellette per i bordi di una punta. Stuzzicò ancora una volta la punta del fukibari, spingendo il bastoncino a compiere una nervosa mezzaluna nell’aria, mentre la testa del compaesano che si faceva strada tra gli arbusti la metteva sempre più a disagio. Se lo vide spuntare davanti pochi istanti dopo, con la faccia sporca di succo di more e graffi disseminati un po’ ovunque, mentre le lanciava un’occhiata non troppo rassicurante; le sembrava quasi di essere stata scambiata per un succulento spuntino e fu tentata dall’annusarsi un’ascella per vedere se ci fossero delle tracce di salsa di soia o qualcosa di simile. Eppure si era lavata quella mattina! La sua mente lavorò in fretta per cercare una scusa che la potesse salvare dall’ira della persona che aveva di fronte: avrebbe potuto dire di essersi persa dentro al cespuglio di more o sputargli il fukibari in faccia e scappare a gambe levate. Invece la domanda che le venne posta fu molto più normale di quello che si era aspettata: «E tu chi sei?».
    Deglutendo, la ragazza vagliò tutte le risposte che le vennero in mente, ma si trovava in difficoltà in quanto era abituata a rispondere nel modo più sincero e pacato possibile solo se conosceva l’interlocutore; non avere la minima idea di chi si trovasse davanti, però, le fece seriamente considerare l’ipotesi di mentire al giovane, che sarebbe benissimo potuto essere una poco affidabile compagnia o qualcosa di simile. Rifletté intensamente per qualche secondo, con tutti i muscoli tesi mentre il suo sguardo rimaneva neutro ed enigmatico, limitandosi a rispondere con un pacato cenno del capo: «La voce della tua coscienza, ma sono ancora in prova.».
    A quel punto allungò la mano che non stringeva lo shuriken verso il ragazzo dai capelli scuri che era sbucato dal cespuglio di fronte a lei e si presentò con tutta la tranquillità del mondo, accennando anche ad un sorriso cordiale che trovava perenne asilo sul suo volto: «Il mio nome è Akira Aburame e non ti stavo assolutamente seguendo.». Sebbene il suo corpo fosse rigido e teso come una corda di cetra, il tono che aveva usato era flemmatico e controllato, come se stesse parlando con una persona che conosceva da un sacco di tempo; era piuttosto brava a celare la paura e sebbene le sue mani fossero imperlate di sudore tanto da farle temere di perdere la presa sullo shuriken, si impose di non correre via come una bambinetta qualunque davanti a uno sconosciuto. Era stata lei a volerlo seguire e sebbene pensasse di avere la possibilità di scappare via prima di venire scoperta, non voleva mostrarsi a disagio o intimidita; l’avversario aveva probabilmente un bel po’ di anni più di lei, ma dove stava il problema? Quando avrebbe iniziato ad andare in missione, era convinta che i suoi avversari non le avrebbero chiesto la carta d’identità per sapere se fosse stata abbastanza grande da poter essere colpita.
    Per non dare l’impressione di essere a disagio, allargò il sorriso e chiese con studiata spontaneità: «Posso offrirti un onigiri in segno di pace?». Ritenendo inutile rimanere seduta dietro a un cespuglio che non poteva più nasconderla, si alzò in piedi e si pulì i pantaloni dalle foglie secche che ci erano rimaste impigliate, per poi andare tranquillamente ad appoggiarsi con la schiena ad uno degli alberi che stavano alle sue spalle.

     
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    Onigiri!


    Tu si che mi capisci!



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    Che strano, rubi degli spiedi, ti nascondi nel bosco, ed infini trovi una ragazzina dietro un cespuglio, si la vita di Shinji Uchiha non smettava mai di essere rocambolesca, era sempre un continuo turbinio di sensazioni, botte e novità. Ed ora aveva di fronte una biondina, ed era completamente sporco di succo di more, ed inoltre pieno di piccoli taglietti a causa delle spine, che adesso cominciavano a pizzicare, ma il giovanotto attese la risposta della sua nuova scoperta, estraendo un fazzoletto e ripulendosi la bocca dal succo delle more. Beh, la sua risposta fu singolare e normale allo stesso tempo, era un'Aburame, quelli che avevano un sacco di strani insettini! Poi in aggiunta quella neanche stava seguendo lui! Quindi perfetto!
    Lei allungò una mano verso Shinji, al quale si illuminarono gli occhi, un po' dal sollievo, e un po' per l'occasione che aveva di conoscere uno di quegli strani tipi insettosi! Non aveva mai parlato con nessuno di essi, eppure ne aveva sentito nominare qualcuno nelle storie della guerra che il vecchiaccio gli aveva raccontato. Lui diceva che un Aburame non cade mai senza aver sconfitto il suo avversario, tipi tosti!
    E fu così che Shinji strinse la mano a colei che disse di chiamarsi Akira, non troppo forte per non rischiare di fratturargliela, anzi moderò la sua forza in modo che la sua risultasse una normale stretta di mano. Poi essa se ne uscì dal cespuglio, e Shinji fece lo stesso, rimettendosi in piedi e procurandosi altri micro-graffi sul volto. Poi disse abbastanza felice, ma senza mostrarlo chiaramente sul suo volto, ne con un sorriso pronunciato, ne con espressioni facciali particolari:

    Piacere di conoscerti, io sono Shinji Uchiha, meglio conosciuto come l'Intraprendente oppure, dai miei arcinemici e consanguinei Uchiha, come il Babbeo! Ma se vuoi va bene Shinji, o Shin!



    La ragazza non contenta di essere entrata già nelle grazie del giovane Uchiha, si permise anche di offrirgli il suo cibo preferito, un Onigiri! Sul volto graffoato del ragazzone si dipinse un sorriso a 3500 denti, ed il giovane si inchinò con rispetto come a voler ringraziare l'Aburame per quella sua generosa offerta, poi tornato su, riprese a parlare e disse:

    Ti ringrazio, ti ringrazio con tutto me stesso! E' il mio cibo preferito, mi sdebiterò in qualche modo, ti offrirò una cena, o quello che riterrai più giusto, ma dimmi, cosa ci fai quì nel bosco? ad essere sincero io scappavo dopo aver commesso un insensato furtarello da teppista!



    Che Babbeo!, gli aveva spiattellato tutto, e se adesso quella correva ad informare la polizia?! Panico, il volto di Shinji si rabbuiò di colpo, ma poi gli passò, Akira gli sembrava una di quelle persone che emanavano una sorta di aura rassicurante, così prima di scadere in un altro reato, ben più grave del furto, attese la reazione di lei a quell'affermazione, doveva imparare a non lasciare la lingua libera di sputar fuori troppe informazioni su di se...
    Akira andò ad appoggiarsi ad uno dei grandi alberi, e Shinji si mise accanto a lei, seduto ai piedi dell'enorme pianta, senza badare di essere troppo irruento o sfrontato, come al solito, era naturale al 100%, senza condizionamenti.




     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    Shinji non era un tipo con cui era difficile parlare e le bastò entrare in contatto con lui per sentirsi subito più sollevata; Akira era uno di quei tipi di persona che non perdono mai la calma o che in ogni caso non lo davano a vedere, per non dare occasione alle altre persone di cogliere debolezze o punti facili da colpire. Non lo faceva con coscienza, semplicemente le veniva naturale il fatto di esporsi il meno possibile con chiunque perché riteneva più sicuro non dare mai troppe informazioni su di sé alle persone che la circondavano; era una ragazza riservata, diffidente. Poteva essere diretta e sincera tanto quando pacata e flemmatica, tutto nello stesso istante. Come Aburame aveva imparato ad agire con lentezza, calibrando le proprie reazioni e prendendosi i propri tempi per fare qualunque cosa: alzare la voce, compiere movimenti bruschi, giudicare le altre persone a prima vista non facevano parte del suo carattere per merito delle sue abitudini nel metabolizzare qualunque evento prima di reagire di conseguenza. L’Uchiha che aveva di fronte, invece, appariva del tutto diverso da lei: si era presentato come un tipo spontaneo, quasi spensierato, avrebbe detto la ragazza. Akira si lasciò sfuggire un sorriso sereno, mentre rispondeva alla presentazione del ragazzo: «Ti chiamerò Shin, allora. Tu puoi chiamarmi come vuoi, il mio nome è di ampie vedute ed aperto a qualsiasi tipo di mutamento.». Le veniva facile scherzare con quell’Uchiha e proprio mentre assimilava la consapevolezza di quale fosse il suo cognome, allungò una mano verso la corteccia su cui stava zampettando allegramente un bruco del colore dell’oro, forse un po’ più pallido. Allungò un dito a sollecitare la pelle rugosa dell’insetto e con tenerezza lo solleticò con la punta dell’indice, su cui il bruco si arrampicò; la faceva ridere con quelle zampette mollicce e le antenne filiformi, ma quella era una sensazione piacevole a cui era abituata da quando era nata: in pochi secondi un paio di forellini si aprirono sul suo strato epidermico e da esso fuoriuscirono una decina di insetti che circondarono il bruco, assalendolo e ricoprendolo totalmente. Ma Akira aveva già perso interesse nella faccenda e guardava Shin dritto negli occhi, ponendo la domanda che le era venuta in mente con un sorriso amichevole molto più largo rispetto a prima, allegro ma pur sempre calmo: «Non ti piace essere un Uchiha? Io conosco solo una ragazza del tuo clan, si chiama Uchiha Ayame. Ma ha circa la mia età, forse non avete avuto occasioni di incontrarvi.». Ecco, stava iniziando. La fase di buonumore lampante e quasi illogico che precedeva sempre la lunga malinconia dovuta al sopravvento di Hisoka su quella che era la loro sfera psichica condivisa; Akira era una persona con un ampio spettro emotivo, variegato e ricco di sfumature, che nonostante fossero sempre venate dalla solita pacatezza tipica degli Aburame, riuscivano comunque ad emergere e a delineare quel tratto della sua personalità che la differenziava da Shun e Arashi, i suoi fratelli. Ma quando il buonumore si frammentava, era solo la malinconia a farle compagnia: sentimento distruttivo e sterile, reso ulteriormente struggente dal fatto che nella sua vita non vi fossero eventi abbastanza tragici a cui imputarla. Aveva consumato una fanciullezza che rientrava nella norma e se si faceva eccezione per la morte di sua sorella minore e il rapimento dei due Otesi, si riteneva una ragazza che aveva potuto godere di quindici anni di vita quasi noiosi. Eppure il dolore era sempre lì, nascosto dietro l’angolo, pronto a venire fuori senza la minima ragione solo perché era così che doveva essere. Il controllo che aveva sulle sue emozioni era labile e temporaneo, soggetto a flebili dilatazioni fra le ombre di tempo e ricordo che la seguivano calpestando la sua ombra. Un paio di antenne scivolarono dal dorso della mano dell’Aburame, cadendo sul terreno fra i ciuffi d’erba senza fare il benché minimo rumore, mentre gli insetti saziati dal pasto facevano ritorno alle loro colonie. Akira continuava a sorridere con calma e spontaneità. Era rimasta un po’ sorpresa dalla fiducia che lui le aveva dato, dapprima confidando nel fatto che non lei non lo stesse seguendo e poi confessandole il suo furtarello. La ragazza sorrise, facendogli un cenno con la mano come per dirgli di non preoccuparsi: «Avevo intenzione di venire qui a cercare libellule, poi ti ho visto sfrecciare verso il bosco e ho pensato che sarebbe stato interessante provare a non farmi scoprire.» l'Aburame fece una pausa, scompigliandosi i capelli con una mano con una lieve traccia di imbarazzo, mentre continuava a spiegare abbassando lo sguardo: «Ma non sono stata molto brava, anzi, mi hai scoperto subito. Eppure ero convinta che fosse giunto il momento di lasciare l'Accademia!». Si interruppe per estrarre dalla tasca il fagotto con li onigiri e li porse al ragazzo con un sorriso gentile e flemmatico, scivolando contro la corteccia dell'albero e sedendosi anche lei a terra, con le ginocchia strette al petto e il mento appoggiato su di esse. Il bosco le piaceva perché non c'erano influenze esterne da parte dei cittadini di Konoha e si poteva godere di una rara comunicazione con la natura, perciò per qualche istante l'aspirante kunoichi socchiuse gli occhi e si lasciò cullare dai sussurri dell'ambiente circostante. Riaprì in seguito gli occhi cerulei, inclinando appena un po' la testa verso la spalla destra per domandare con un tono di voce leggermente divertito per la battuta finale: «A proposito, Shin, tu sei un chuunin o qualcosa di simile? Sei davvero veloce per essere un comune mortale come me.». Contro ogni aspettativa, era abbastanza interessata da quell'incontro da voler fare amicizia, cosa che raramente le capitava: di solito si limitava a collaborare con gli altri in maniera cordiale e fruttuosa, ma forse per il fatto che l'Uchiha fosse più grande, la faceva sentire estremamente curiosa.

     
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    Io sono il Figlio della sofferenza.


    La Forza nasce dal dolore.



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    Chi era quella ragazza? Perchè sembrava non giudicare Shinji come il perfetto idiota che era, anzi sembrava alquanto gentile ed incuriosita da quello spilungone, per Shinji avere a che fare con persone che non lo disprezzavano, era una cosa rara, apparte Toro e Ken, e forse quel gattaccio di Frog, poi qualsiasi persona aveva da ridire sul suo comportamento. Estrasse ancora una volta il suo pacchetto di sigarette, e meccanicamente se ne accese una, aspirando a fondo per distendersi un attimo. C'era un problema fondamentale, non vi era un solo Uchiha che conoscesse, che non lo considerasse un babbeo, un tizio poco raccomandabile, una pecora nera da evitare, a lui questo non era mai importato più di tanto, ma presto tutto sarebbe cambiato radicalmente, avrebbe assunto il titolo di Genin, sarebbe stato riconosciuto come vero Shinobi, cosa che gli faceva schifo, visto che odiava lavorare.
    Ed a quel punto? Il clan avrebbe accettato il semi-ritardato al suo interno? Avrebbe ancora potuto contare su Atasuke? Oppure avrebbero cercato di toglierlo di mezzo per non sfigurare con gli altri clan... beh a pensarci quyella era la soluzione più Uchiha che potesse venir presa dal Clan.
    Akira, gli disse cordialmente che il ragazzone avrebbe potuto chiamarla come meglio credeva, così Shin rimase alcuni secondi con una faccia pensosa, come se stesse escogitando un piano o roba simile, poi quasi involontariamente le labbra si mossero da sole, e dalla bocca uscì una calda parola, un pezzetto del nome di lei, che in quel momento era sembrato appropriato al ragazzo:

    Kira... posso chiamarti Kira? Se lo trovi piacevole...



    I suoi occhi neri e velati da qualcosa di simile alla rassegnazione, tentarono di trovare sicurezza in quelli di lei, di scorgere da parte sua un cenno d'assenso. Si, gli stava assolutamente simpatica, ed in più era un Aburame, quindi uno dei Clan che gli piacevano di più, misteriosi, ma anche cordiali in genere, delle persone giuste e leali, al contrario della maggiorparte degli spocchiosi Uchiha. Chissà quanti anni aveva quella ragazza, rimase a fissarla, indagando se stesso e provando mentalmente ad affibbiarle delle età differenti, forse rimase a fissarla un po' troppo. Infine distolse lo sguardo, concludendo che fosse evidentemente più giovane di lui, forse non di molto, ma più giovane. Shinji Uchiha di certo non si intendeva di fisionomia.
    In altre situazioni avrebbe agito da vero e proprio don Giovanni, trovandosi con una ragazza da solo nel bosco, ma in quell'occasione no voleva dare fastidio a quella persona, in qualche modo, la rispettava lei non lo aveva disprezzato o giudicato, e lui si sarebbe comportato in maniera adeguata. Lei si mise a giocherellare con un piccolo bruco, poi sorridendo gli rivolse un'altra domanda, che lo colse totalmente impreparato. In effetti erano sentimenti strani quelli che provava verso la sua famiglia, verso il Clan e verso il nome Uchiha, sentimenti profondi ed ormai indelebili, che a discapito delle apparenze da giocherellone ingenuo che egli si era costruito attorno, stavano da un po' di tempo guidando i suoi passi.

    Mi piace il mio cognome... ma odio gli Uchiha, il loro credersi superiori, il guardare dall'alto in basso chi è meno dotato e chi non ha lo Sharingan, nel mio maledetto Clan o sei un guerriero perfetto, un Genio, oppure nessuno, neanche la famiglia ti considererà mai... Nessuno cerca di aiutarti, di prenderti per ciò che sei, ogni singolo e maledetto Uchiha pensa solamente a diventare più forte, per il proprio tornaconto. Io ho scelto di essere diverso, di non rispettare le regole, di fregarmene delle imposizioni di mio nonno e del Clan, diciamo che attualmente sono considerato come la vergogna del Clan.
    Ho vent'anni, ed ancora non ho sviluppato i miei geni innati, ancora non possiedo il titolo di Genin, e se non fosse per le minacce di morte di mio nonno, neanche vorrei ottenerlo...
    Comunque non conosco la tua amica, mai sentita nominare...



    Abbassò la testa poi il giovane, sbuffando e scuotendo il capo, mentre lentamente continuava a fumare, Kira gli disse che aveva provato a seguirlo, per mettersi alla prova, e che lui l'aveva subito scovata, anche se a Shinji quello più che una sua abilità o competenza, sembrò una vera e propria coincidenza, lui riusciva a fiutare Onigiri come se fosse un cane da fiuto a volte! Infine la ragazza si portò a sedere accanto al ragazzone, e gli offrì uno dei suoi onigiri, che Shinji accettò sorridendole di buon grado e ringraziandola nuovamente. Poi forse incuriosita dalla velocità mostrata nella fuga da parte dello spilungone, chiese se egli in realtà non fosse già un Chunin, e a quell'affermazione il ragazzo fece cenno di no, per poi iniziare a spiegare qual'era la fonte della propria forza.
    Ma prima terminò di mangiare il prelibato cibo offertogli.

    No Kira! Io sono un allievo dell'accademia... anche se diciamo non sono così normale come sembra, fin dall'età di 4 anni, a causa di mio nonno, sono stato costretto ad allenarmi in maniera estrema, sono stato torturato senza alcun motivo per giorni e giorni, ed il mio corpo...



    Shinji si aprì la veste nera, rimanendo a torso nudo, in vista il suo fisico definito ma snello, tremendamente sfregiato da ogni sorta di cicatrice e bruciatura concepibile.

    Come vedi è stato temprato decine di volte, messo alla prova cresciuto nel dolore e nella sofferenza più atroce, poichè io mi rifiutavo di seguire gli ordini e i dettami del clan, e francamente non possiedo neanche il talento tipico degli Uchiha, è stata la continua sofferenza, il continuo dolore provato in quasi ventuno anni di vita, a dotarmi di capacità superiori ad un comune allievo, ma avrei preferito non avere questa Forza, poichè il prezzo per ottenerla, è stato troppo grande da pagare, e continua ad esserlo. Ho tre mesi di tempo per divenire Genin, altrimenti il Clan mi ucciderà...
    Mi spiace averti dovuto mostrare queste orribili cicatrici, ma era necessario per farti comprendere il perchè odio gli Uchiha e la mia famiglia...



    Il giovane poi rapidamente si rivestì, accorgendosi solo in quel momento che era rimasto a torso nudo di fronte ad una ragazza, e per quel motivo Shinji arrossì violentemente, aveva commesso un altro errore dettato dall'impulsività e dalla scarsa capacità di ragionamento, chissà come Kira l'avrebbe presa la sua storia, si sarebbe spaventata? Oppure avrebbe dato ragione al Babbeo di Casa Uchiha. Beh questo era tutto da vedere, anche se in cuor suo lo sciocco Shinji sperava che quella giovane lo comprendesse, e se non completamente almeno in parte.




     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    Quando Shinji espirò una boccata di fumo per poi renderla partecipe del soprannome che aveva scelto, Akira fece un mezzo sorrisetto e sciolse la posizione che aveva precedentemente assunto, inarcando di poco la schiena all’indietro ed appoggiando i palmi delle mani ai lati, ma non prima di averle congiunte e aver fatto un mezzo inchino scherzoso dicendo: «Kira andrà benissimo, sembra proprio un nome forte.». Rispose all’occhiata del ragazzo con un cenno gentile poiché le piaceva davvero quel nome, e a giudicare dal ronzio amichevole dei suoi insetti piaceva anche a loro; sebbene non riuscisse a controllarli o a comunicare con loro, riusciva un po’ a capirli dato che condividevano lo stesso corpo da più di quindici anni. Quando sarebbe diventata un Genin, avrebbe finalmente imparato a comprenderli del tutto e a farsi capire da loro, riuscendo addirittura a sfruttarli in battaglia o nella vita di tutti i giorni: suo padre le aveva spiegato che gli insetti sono quasi insensibili ai genjutsu e la piccola Aburame, inesperta e goffa nel fronteggiare quelle tecniche o anche solo nel sentirne parlare, aveva accolto quella notizia con un sorriso quasi raggiante, seppur intaccato dalla sua proverbiale calma. Era una caratteristica degli Aburame quella dell’Autocontrollo Supremo, così come la chiamava ironicamente Akira: nessuno avrebbe mai visto un Aburame lanciare un grido di gioia o mettersi a frignare davanti a tutti, per il semplice fatto che la flemma scremava qualsiasi altra emozione. Ad una prima occhiata superficiale, sarebbero sembrati dei manichini che eseguono gli ordini senza un briciolo di emozione, ma quando si imparava a conoscerli veramente, si capiva che sotto il primo stato di cera dell’alveare, omogeneo e impersonale, vi era un altro brulicante mondo che zampillava in continuazione di felicità, sorpresa, rabbia, dolore e tutte le altri emozioni contrastanti e profonde tipiche dell’animo umano. Ma come si può intuire dai capelli biondi e dall’assenza di tondi occhialetti scuri, Akira si distanziava un po’ dalla massa degli Aburame: non riusciva a tenersi le sue emozioni solo per sé, anzi, sorrisi e gesti erano naturali e semplici, diretti, accomunati solo ad un notevole sangue freddo e alla calma quasi sarcastica che era sua prerogativa sin dalla sua nascita. Attese serenamente che il ragazzo trovasse le parole che riteneva adatte per rispondere alla sua domanda e quando lo fece, la giovane Aburame intuì di aver appena passato una sorta di confine: le stava confessando qualcosa che probabilmente non avrebbe rivelato a chiunque e quindi in un certo qual modo si sentiva accomunata a Shin da un timido sentimento d’amicizia. La tendenza della bionda di non fidarsi mai di nessuno era stata totalmente rabbonita dalla disarmante sincerità dell’Uchiha, che pareva molto più abituato di lei ad intessere rapporti interpersonali, tanto che la stava abilmente legando a sé con parole e fatti a cui nessuno sarebbe rimasto indifferente, ma forse non si accorgeva di questa sua abilità, assorto com’era nell’esprimere le sue emozioni. Le stava raccontando di un lato degli Uchiha che lei non conosceva, ma che avrebbe forse potuto intuire durante gli allenamenti a casa di Ayame; se la ragazza avesse avuto qualche amico Hyuuga, forse avrebbe potuto notare una certa somiglianza negli atteggiamenti dei membri di questi due clan, ma sfortunatamente non conosceva in maniera approfondita né l’uno né l’altro perciò non ebbe la possibilità di fare questa affermazione.
    Il sorriso si spense per lasciare spazio ad un’espressione meditabonda, quasi mesta, mentre rispondeva con tono pacato: «Penso che fare una scelta sia sempre una grande manifestazione di forza, anche se nel tuo caso questa forza nasconde una grande debolezza. La solitudine e il disprezzo temprano le persone rendendole qualcosa che in realtà non sono; rimani una persona troppo buona per venire emarginato da una famiglia che non ti merita. Questo è ciò che penso.». Il tipico tono controllato e quasi freddo degli Aburame era venuto a galla senza che Akira se ne rendesse conto, dando ai suoi pensieri un’impronta troppo seria e indirizzandoli verso una scelta di parole che forse avrebbe potuto cambiare, ma non si rimangiò quanto detto. Non sapeva quasi nulla della situazione familiare di Shin e forse aveva detto qualcosa che avrebbe potuto offenderlo, ma era una ragazza diretta e sincera perciò non era sua abitudine tacere quando riteneva di dover dire qualcosa.
    Poteva aver sbagliato, ma non avrebbe rimpianto di averlo fatto.
    Mentre l’odore della nicotina impregnava l’aria, l’onigiri svanì tra le affamate fauci del ragazzo. Lui le rivelò di essere un allievo dell’accademia e l’Aburame si stupì di non averlo mai notato, forse troppo concentrata sulla socievole e divertente Ayame per prestare attenzione anche agli altri. Per lei Ayame era come un sole e lei si sentiva un satellite silenzioso e felice che godeva della possibilità di gravitarle attorno; la giovane Uchiha era notevolmente portata nei genjutsu, altra nota di merito che la faceva brillare agli occhi dell’incapace Aburame. Il racconto di Shin poi prese una piega molto seria: le raccontò di come fosse stato torturato – a quella parola Akira sgranò gli occhi, ma mantenne un certo contegno senza mutare la propria espressione calma e attenta – per diventare forte e di come fosse suo nonno l’autore di ciò. Denudandosi il torso, il giovane Uchiha diede modo ad Akira di vedere sul suo corpo sfregi e bruciature che la lasciarono interdetta nonostante gli anni passati a ripetersi che mostrare del tutto le proprie emozioni fosse sempre un male. Ma in quel momento non vi fu alcun filtro, l’espressione imperturbabile venne lavata via alla vista di una cosa simile e le sue labbra si schiusero per la sorpresa, lasciandola notevolmente sconcertata di fronte a ciò che vedeva e quasi incredula nell’udire ciò che l’amico aveva passato. Era più grande di lei di cinque anni, ne aveva avuto la conferma, ma in quel momento le ispirò un moto di tenerezza che si affrettò a sopprimere: non avrebbe mai voluto che qualcuno provasse tali emozioni nei suoi confronti, perciò nemmeno a lei piaceva provarle nei riguardi di altre persone, la riteneva quasi una mancanza di rispetto. Quella strana sensazione era penetrata in lei solo perché aveva abbassato la guardia a causa della sorpresa, perciò si impegnò nel ritrovare la sua dignità e ricostruire quel muro di pacatezza e flemma mentre Shin era impegnato a rivestirsi. Lei non era tipo da agire in maniera impulsiva o avventata, perciò quello che fece pochi istanti dopo fu un gesto a suo parere ben ponderato e come tutte le altre cose che faceva non se ne sarebbe pentita. Passò un braccio attorno alle spalle dell’Uchiha, abbracciandolo con vigore per qualche secondo e staccandosi subito; non era una stretta compassionevole o qualcosa di simile, anzi, l’Aburame la vedeva un po’ come una sostituzione del celebre passaggio di chakra che si effettua durante le missioni. Lei non era assolutamente in grado di passargliene un po’ e probabilmente lui non ne avrebbe nemmeno avuto bisogno, ma voleva fargli capire che l’avrebbe fatto. Era un gesto rude e probabilmente goffo, ma non era sua abitudine andare in giro ad abbracciare la gente. «Io non so cosa provi perché all’interno del mio clan sono un Aburame come tanti altri, nessuno di speciale. Ma sei mio amico e se hai bisogno di qualcosa o se vuoi fare un tranquillissimo allenamento con i manichini e i kunai, puoi venire a casa mia.». Non riuscì proprio a soffocare l'accenno di ironia nel sottolineare come l'ipotetico allenamento sarebbe stato tranquillo e continuando la conversazione come se niente fosse, gli spiegò a grandi linee dove lei vivesse, facendo ovvio riferimento al quartiere degli Aburame e narrando un curioso aneddoto riguardante la signora Takeshi a cui una volta aveva per sbaglio lanciato le bucce di un uovo in testa, tirandole fuori dalla finestra senza farci caso. «Per la cronaca, io ho quasi sedici anni e nulla di interessante da rivelare.» commentò poi, con espressione pacata, aggiungendo con ironia: «Fatta eccezione che per un rapimento finito male, il mio curriculum è totalmente immacolato.». Le sarebbe piaciuto indirizzare la conversazione verso qualche argomento allegro di cui discutere, ma così come non era brava a socializzare non era nemmeno brava a portare avanti le conversazioni. Rispondere alle domande era nella sua indole, ma per farne altre o proporre qualche argomento aveva bisogno di pensarci su e mettersi a ponderare questioni su questioni durante una conversazione per trovare quella più adatta non le pareva il massimo.

     
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    Il bosco ed un gatto


    Conoscere un'Aburame.



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    Sembrava che le fosse piaciuto il fatto che Shinji si fosse permesso di abbreviarle il nome, e quella ragazza sembrava addirittura stata toccata dalla spiegazione che Shinji le spiattellò così, senza alcun preavviso, senza pensarci due volte, un po' come se la conoscesse da una vita invece che da 10 minuti. Dopo che Shinji le ebbe spiegato il perchè del suo Odio verso il Clan degli uchiha, al quale disgraziatamente apparteneva e del quale non avrebbe voluto sapere nulla, tranne che come sviluppare i suoi due occhi rossi, quel potere gli era necessario, ed anche se non era molto sveglio, comprendeva che se voleva giocare una partita in solitaria, doveva ottenere l'abilità innata del suo clan, in modo da poter quanto meno gareggiare alla pari con chiunque. Kira dopo alcuni istanti espresse la propria opinione sopra quel delicato argomento, le sue parole definirono Shinji come una persona troppo buona da esser rinnegato. Così il ragazzone le sorrise un po' sconsolato, e si apprestò a continuare a spiegarle come in realtà stavano le varie cose:

    Beh Kira, grazie dei complimenti, ma non li merito sai? Io non sono una persona molto buona, in realtà c'è qualcosa dentro di me, che mi fa essere davvero spietato, qualcosa che ora non avverto, qualcosa che però è all'interno del mio sangue e guida le mie azioni, durante situazioni coincitate....
    In combattimento sono uno spietato assassino, ho già ucciso molte volte, arrecato ferite abominevoli anche a colui che considero il mio migliore amico. I miei geni Uchiha comandano purtroppo, e se qualcuno mi costringe a combattere, non posso tratenermi ed una parte di me non vuole neanche trattenersi...
    Quindi mi spiace contraddirti, ma in effetti sono una gran brutta canaglia...
    In genere però cerco di fare le cose che ritengo giuste, e non ciò che mi viene imposto, per questo il clan mi rigetta, come al contempo io rigetto la mia appartenenza ad esso.



    Evidentemente, la vista delle cicatrici di Shinji la turbò, tanto che al contrario delle dicerie sull'inespressività e sulla mancanza di sentimenti degli Aburame, Kira si mosse, e per pochi istanti abbracciò Shinji, non un abbraccio caloroso, qualcosa del tipo una pacca sula spalla, un gesto che significava una cosa solamente, era davvero così triste venir torturati ogni santo giorno?
    Shinji in cuor suo non provava tristezza, ogni volta, ogni igniezione di dolore allo stato puro, rafforzava il suo desiderio di distinguersi da quei bastardi che erano gli Uchiha. Diciamo che erano la sua benzina.
    Kira, capì che il babbeo non doveva avere una vita facile, così pronunciò alcune parole per farlo snetire a suo agio, disse che se voleva poteva allenarsi tranquillamente con lei.
    E a quelle parole Shinji annuì e le sorrise sensa esagerare, poi rimanendo colpito dalle ultime parole di lei, la sua espressione si fece accigliata, come se si interrogasse su qualcosa, poi le sue labbra si dischiusero, e lo spilungone Uchiha tornò a prendere la parola:

    Beh Kira, accetto, qualche volta ci alleneremo, e poi devo offrirti una cena! E non sono contemplate risposte negative all'invito! Ma dimmi di più su quel rapimento, perchè finito male? Eri in missione?
    Poi se non hai nulla in contrario, vorrei farti una domanda...Perchè stai seguendo il percorso accademico, in che cosa credi? Cosa ti spinge a rischiare la tua vita, cosa ti spinge a essere una kunoichi?



    Da quanto tempo non si concedeva un po' di tempo per parlare in tranquillità con qualcuno? Beh lui non ricordava l'ultima volta che gli era successo, tutto quello che si poteva intendere dagli atteggiamenti del giovane, era che ormai quella ragazza l'aveva colpito in qualche modo, glielo si poteva leggere negli occhi, che ancora una volta, irrispettosamente fissavano la giovane ragazza come a tentare di carpirne i segreti e l'essenza.




     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    La bionda inarcò un sopracciglio con aria confusa quando l'Uchiha asserì che lei aveva del tutto sbagliato opinione su di lui, parlandole di come in realtà si fosse trovato ad uccidere già delle persone e di quando durante i combattimenti si trasformava in una specie di macchina di morte. Ancora una volta il discorso si concluse con un accenno al clan e alla singolare esperienza del ragazzo; ciò fece annuire Akira mentre raccoglieva i suoi pensieri, ma questa volta non disse nulla. Shun le aveva sempre detto che prima di aprire la bocca e parlare a vanvera doveva essere sicura di quello che diceva. Possibile che suo fratello si fosse sbagliato? Non ci pensò nemmeno per un istante, scuotendo subito la testa e rifiutandosi anche solo per un momento di prendere in considerazione quell'eventualità. «Non esito a credere che tu non sia un santo: dopotutto siamo ninja, se ci facessimo problemi nell'uccidere saremmo davvero nei guai. Però non mi dai l'impressione di una di quelle persone che godono nel comportarsi da stronze abbassò la voce nel pronunciare quell'ultima parola, guardandosi nervosamente attorno per qualche secondo, timorosa del fatto che suo fratello potesse averla udita e si stesse avvicinando per sgridarla. Alla fine, seppur detta con tutta la flemma del mondo, quella rimaneva una parolaccia e gli Aburame non dicevano tali brutte parole. La ragazza per un momento si chiese se tutte quelle assurde regole che dicevano "gli Aburame non fanno questo" e "gli Aburame non fanno quello" non fossero solo delle ridicole scuse inventate da Shun per farla comportare come voleva lui, senza il rischio che lo mettesse in imbarazzo. Probabilmente sì. Di sicuro gliel'avrebbe chiesto.
    Nel frattempo, Shinji doveva aver frainteso qualcosa, questo era poco ma sicuro. D’altro canto, Akira non si era spiegata con molta precisione e questo aveva contribuito a far nascere quello che agli occhi della bionda era un comico malinteso. Il suo sorriso si screziò di divertimento mentre si passava una mano tra i lisci capelli biondi come per prendersi il tempo necessario per non scoppiare a ridere; non sarebbe stato un comportamento molto dignitoso, i suoi parenti Aburame avrebbero potuto disconoscerla e diseredarla se si fosse lasciata sfuggire una risata davanti a qualcuno. Non sia mai che venga intaccato il loro seriosissimo e puntiglioso nome, specialmente se a farlo è un mostriciattolo biondo che si ostina a palesare ogni sorta di espressioni sarcastiche; si riteneva una specialista in ambito di smorfie, avrebbe vinto il primo premio di qualche concorso se nel mondo dei ninja ve ne fosse mai stato indetto uno. Cosa che naturalmente non era accaduta. «In verità io ero la vittima, non il rapitore. Ma sarebbe scorretto dire che mi abbiano portato via con la forza o qualcosa di simile... li ho seguiti.» la quindicenne si prese qualche secondo di tempo per capire come sarebbero potute suonare le sue parole alle orecchie di qualcuno che non conosceva l’intera faccenda dal suo punto di vista. Ad un primo ascolto, quelle sarebbero potute sembrare le giustificazioni o ammissioni di un ninja traditore del proprio villaggio, mentre la questione era un po’ più complicata, perciò si affrettò a spiegare con un sorriso tranquillo: «Non che io abbia tradito Konoha o cose simili, ma... da piccola ero parecchio ingenua. Mi hanno chiesto aiuto nel ritrovare un bambino che si era perso cercando probabilmente di adescarmi, ma mi ero immedesimata talmente bene nel giocare a fare il ninja in missione che sono uscita dal villaggio senza nemmeno accorgermene, anche troppo coinvolta nelle ricerche.». Si lasciò sfuggire una breve e secca risata, ma essa non suonò divertita o spensierata. Al contrario, era una di quelle risate che escono freddamente dalle labbra quando si sente una battuta scadente o quando ci si vuole fare beffe di qualcuno. Ogni volta che ripensava a quella vicenda si sentiva stupida: aveva notato i coprifronte di Oto e nonostante ciò li aveva assecondati. Aveva intuito quanto il loro interesse nella ricerca del loro ipotetico fratellino fosse superficiale e sterile, ma non aveva fatto nulla per domandarsi il motivo del loro finto profitto nel farsi guidare da una ragazzina. «Onestamente, non credo che mirassero al rapimento di Akira Aburame, penso solo che abbiano pensato di portare via con loro il primo bambino che avessero visto per farne chissà cosa, peccato solo che le cose non siano andate come avevano pianificato.».
    Un sogghigno sfuggì al suo autocontrollo nel ripensare al fuoco che li aveva resi inoffensivi. Lei aveva preso quella gita fuori da Konoha come un’allegra scampagnata, limitandosi a fare del suo meglio per guardare sotto ogni sasso e dietro ogni albero alla ricerca di un bambino del cui aspetto non aveva nemmeno lontanamente idea. Aveva definito quell’esperienza come rapimento solo quando Shun l’aveva apostrofato come tale, con quella sua voce fredda e impersonale che quando era più piccola le metteva addosso un certo disagio. Arashi era colei che aveva trovato la sorella mentre tornava a Konoha dopo l’incendio, individuandola grazie ai suoi insetti; in quel momento, mentre Shun parlava di progetti troppo ambiziosi e guerrafondai per essere presi in considerazione, Arashi cullava la sorella minore fra le braccia senza dire una parola, mantenendo una neutra espressione di disinteresse mentre l’unico modo per intuire il suo affetto era il calore con cui abbracciava Akira. Shin le porse un’altra domanda, un po’ più complessa della precedente, a cui rispose con un sorriso pacato: «Riconoscenza verso il villaggio e bisogno di rendere orgoglioso il mio clan... ti direi questo. Voglio proteggere la mia casa e tutte le persone che abitano a Konoha, voglio che mio padre riesca ad avere delle aspettative nei miei confronti. Poi c’è mio fratello, Shun Aburame: per lui è sempre stato tutto facile. È il primogenito ed il figlio perfetto che chiunque potrebbe desiderare, ma questo non è un problema; a darmi fastidio è il fatto che qualunque cosa lui dica o faccia, lui riesce a non commettere mai errori. Proprio per questo voglio diventare una grande kunoichi e sono disposta a morire: voglio essere insieme a lui quando capirà di essere uguale a tutti coloro che ritiene inferiori a sé. Per dirla in maniera semplice, non voglio essere lasciata indietro.». Non era difficile per lei parlare di Shun, ma era difficile trovare le parole adatte per non dipingerlo troppo buono o troppo cattivo. Suo fratello era come una lama in cui ci sono due lati piatti e larghi, ma fra essi c’è un bordo affilato e sottilissimo che non si può vedere molto facilmente. Shun era quel bordo, costantemente in bilico tra l’essere un modello per le sue sorelle ed essere il cinico arrogante che non mancava mai di far capire agli altri quanto fossero inferiori. Infine, già che c'era, pensò di aggiungere alla precisa presentazione di prima un ulteriore punto che l'aveva sempre affascinata. «Una mia ambizione è stipulare un contratto con un animale. Una cosa tipo il Quarto Hokage e il Signore dei Rospi, anche se credo vada oltre le mie possibilità. Però secondo me tutti i veri ninja dovrebbero esserne in grado. A te non piacerebbe?».
    Per un Aburame - ninja appartenente ad un clan di insettofili - imparare la Tecnica del Richiamo doveva essere qualcosa di molto simile a ciò che è per un cane dissotterrare un osso. Akira non faceva eccezione.


     
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