No Pain, No Gain

<b>[Negozio]</b>

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  1. ~ Marcø
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    La Prima Notte di Lavoro







    Furono inutili le parole che mi rivolsero Hakuseki e quella specie di fantoccio buono solo ad offendere, in quel momento non li sentii neanche, preso dalla foga del mio attacco. Sentii le nocche impattare contro il naso avversario, rompendolo, quindi il rumore della sua schiena contro il pavimento di quella piccola casetta. Fissai quel debole dall'alto finchè non si rialzò, per uscire velocemente inveendo contro di me. Respirai un paio di volte per calmare il battito del cuore che aveva accelerato, mentre disattivavo l'aura di elettricità che mi circondava: Quindi mi girai verso Hakuseki che, durante lo scontro, anche se mi vergognavo quasi a chiamarlo a quel modo, era caduto, forse per la sorpresa di aver visto il bullo finire al tappeto così facilmente.

    « Aspetta, ti aiuto a rialzarti! »


    Gli porsi la mano, mentre questi si rialzava piuttosto lentamente, notai l'espressione preoccupata. Chiuse la porta, per poi spiegarmi la situazione. Hakuseki cercava di condurre verso quel ragazzo e la sua banda di amici una sorta di resistenza passiva, in modo da non farli arrabbiare eccessivamente e mettere a rischio la propria vita. Non ero d'accordo: quegli sbandati non avevano nessun diritto di comportarsi a quel modo, ma avrebbero continuato a farlo fintanto che qualcuno di più forte o cattivo li avesse fermati. Anche se fossero tornati in tre, dieci o cento, nessuno di loro avrebbe più alzato una mano sul signor Mozumi, che presto avrebbe trovato alloggio a villa Yotsuki, lontano da quelle preoccupazioni.
    Comunque, non esposi le mie idee per non interrompere il discorso del mio nuovo maestro. Mi raccontò come il gruppo di banditi chiamati "Le Asce" avesse prevalso sugli "Alligatori", iniziando così a spadroneggiare per Oto, seppur mantenendo un basso profilo. Facevano i grossi, ma sapevano che era meglio lasciar stare le organizzazioni più grandi e organizzate della loro, o non sarebbe rimasto che polvere dei loro corpi. Provai a controbattere, quando mi disse di provare ad ignorarli, ma fu proprio in quel momento che il vecchio tatuatore ritirò fuori l'idea del the. Feci un cenno d'assenso col capo, mentre mi avvicinavo al tavolo.
    Durante i minuti necessari per portare l'acqua ad ebollizione, Hakuseki mi parlò di mio padre e della sua vita di artista. Il vecchio Matsuo venne descritto come un vero genio degli affari, senza però sete di denaro, che portava avanti la sua passione guadagnando un po' di soldi per la propria famiglia. Sapevo già di assomigliare a mio padre, ma, forse preso da un attacco di nostalgia, il mio ospite non fece altro che parlare di ciò che ci accomunava, sia nell'aspetto che nei modi di fare. Persino nel silenzio che stavo sfoggiando proprio in quel momento.

    « Non sono sicuro di essere bravo quanto lui, però. Me la cavo con la penna, ma un foglio di carta è piuttosto diverso dalla carne umana... »


    Hakuseki invece sembrava convinto che potessi eguagliare l'arte di mio padre, mi disse infatti, mentre mi serviva la bevanda calda, che sarebbe bastata la metà del talento del mio defunto genitore, per diventare un buon tatuatore. Il Mozumi si sarebbe trasformato in un insegnante severo ed inflessibile, per trasformarmi in un artista: perfetto. Un maestro troppo buono non mi avrebbe insegnato la perfezione, si sarebbe sciolto davanti ad i miei errori, senza correggermi. Invece, un bel sergente di ferro, come mio nonno, mi avrebbe fatto esercitare fino a quando i miei movimenti non fossero divenuti impeccabili.
    Salimmo al secondo piano, tramite la scala a chiocciola posta al centro della stanza. Il piano superiore costituiva la zona notte della casa, vi erano il letto, una sorta di studio e una libreria. Mi accomodai sulla sedia, quando Hakuseki mi invitò a farlo, fornendomi poi gli attrezzi del mestiere. Dentro alla scatoletta di legno che mi porse trovai dei pennelli e degli aghi, degli strumenti con cui imparare e perfezionare la tecnica, prima di costruire i propri attrezzi personali.

    « Grazie, Hakuseki. Mi impegnerò al massimo, sono sicuro che ti darò le stesse soddisfazioni che ti diede mio padre! »


    L'uomo sembrava contento ogni volta che parlavo, quasi sicuramente per via dei ricordi legati alla mia famiglia. Notai inoltre come, adesso che la situazione lo richiedeva, riuscisse a controllare il tremore delle sue mani, riducendolo al minimo. Dopo aver afferrato due rotoli da uno scaffale, li aprì sul letto, mostrando il loro contenuto particolare. Il materiale che li componeva era diverso dalla normale carta: era roseo e sembrava piuttosto denso, ma morbido. Era un composto atto a replicare la consistenza della pelle, in modo da far allenare i giovani tatuatori senza dover incidere sulla carne di qualche povero malcapitato. Una caratteristica molto importante di quel materiale era la sua durabilità: poteva essere usato più volte, dopo essere stato cancellato con un semplice impasto di chakra. Comodo, soprattutto vista la mia inesperienza.
    Per ovviare a questo problema, mi avrebbe mostrato la tecnica che stava alla base di quell'arte: l'inchiostro andava fatto penetrare nella pelle tramite le ferite causate dall'ago che veniva infilzato nella carne. Il dolore era fondamentale, perchè l'opera si compiesse correttamente, questo infatti dimostrava il sacrificio che si era disposti a fare per ottenere qualcosa di eterno. Quale miglior merce di scambio del dolore? Anche mio nonno la pensava a quel modo, una delle migliori dimostrazione me l'aveva data trasformando il mio chakra in elettricità. Un po' come infilare le dita in una presa della corrente.
    Mi avvicinai ad Hakuseki, per osservare al meglio la sua tecnica di penetrazione della carne: l'ago formava un angolo di circa quarantacinque gradi con la pelle finta, passava fra i capelli del pennello e infilzava la pelle più volte, fino a far raggiungere ad essa la sfumatura desiderata. Era un lavoro lungo, richiedeva una grandissima pazienza e una buona visione del lavoro da fare, anche se qualche metodo per aiutarsi esisteva, l'avevo letto fra gli appunti di mio padre. A differenza di certi artisti, che tenevano il disegno davanti agli occhi, per replicarlo al meglio sulla pelle, Matsuo era solito applicarne una copia direttamente dove avrebbe dovuto fare il tatuaggio, così da riprodurlo senza il minimo errore. Alcuni pensavano che quella non fosse vera "arte", copiare un tatuaggio, gli utilizzatori di questa tecnica affermava invece che, avendo disegnato loro la figura da imprimere nell'epidermide, essa permetteva di compiere lavori perfetti, soddisfacendo al meglio il cliente.
    Ero quasi sicuro che Hakuseki fosse contrario a quella tecnica, ma non glielo chiesi. Mi aveva dato un compito da fare e io avrei compiuto esattamente l'incarico che mi era stato affidato: ripetere il movimento per tutta la notte, così la mattina seguente sarei dovuto essere in grado di padroneggiarlo egregiamente. Feci un cenno d'assenso con il capo, poi concentrai la mia attenzione sul rotolo che mi trovavo davanti. Inclinai l'ago, che tenevo nella mano destra, cercando di posizionarlo come mi aveva mostrato Hakuseki, quindi posizionai il pennello fra l'ago e il rotolo, dopo averlo intinto nell'inchiostro.
    Spostai la mano con l'ago, fino a farlo penetrare nella pelle, facendo attenzione a non spingere troppo a fondo. La pelle aveva fatto meno resistenza di quanto pensassi, il risultato era invece invisibile a chi non avesse visto precisamente il punto dove l'ago aveva bucato la pelle. Ripetei il movimento nello stesso punto, in modo da far diventare il materiale del colore che desideravo. Una volta raggiunta una tonalità abbastanza scura, iniziai a trasformare il punto in una linea.
    Ero lento, me ne rendevo conto, ma potevo permettermelo visto che non si trattava di pelle vera. Avrei prima preso bene le misure sulla profondità e la densità delle penetrazioni, per poi velocizzare via via il movimento. Mentre disegnavo la linea che mi ero prefissato nella testa, mi resi contro di quanto dovevano essere vicine le penetrazioni per avere un colore uniforme, senza spazi vuoti a rovinare il disegno.
    Iniziai a deviare dalla retta immaginaria che stavo disegnando, trasformandola in una linea curva. Ormai riuscivo a rendermi contro di quante volte potevo iniettare l'inchiostro nella pelle prima di dover immergere nuovamente il pennello, evitando così di penetrarla senza disegnarci. Lo sguardo di Hakuseki incombeva su di me. Solo in quel momento pensai alla possibilità di aver interrotto la sua routine quotidiana, cercai di rimediare.

    « Hakuseki, se vuoi riposarti o hai da fare, non disturbarti per me, ti assicuro che continuerò ad impegnarmi fino a domani mattina! »


    Non alzai lo sguardo per parlare, né usai un tono particolarmente ricco di emozione: ero concentrato sul mio compito. Se il signore avesse deciso di riposarsi gli avrei augurato una buona dormita, mentre io continuavo a infilzare la finta pelle con l'ago. Piano piano, si iniziava a intravedere una figura sul rotolo: sembrava un cerchio, ma non l'avrei chiuso, avrei invece stretto la curva, per disegnare una spirale. Ci stavo mettendo più tempo di quanto pensassi, il numero di penetrazioni necessarie ad uniformare il colore era impressionante. Capii immediatamente perché il signor Mozumi mi aveva parlato del dolore: la puntura di un ago non mi spaventava, come non mi spaventava il morso di una formica, ma se con questa ci fosse stato un'intero formicaio pronto a divorarmi un morso alla volta, allora tutto avrebbe cambiato significato. Senza contare che compiere così tante volte lo stesso movimento, seppure poco faticoso, mi stava stancando più di quanto pensassi. Non mi sarei certo fermato per quello, però.
    Continuai a disegnare la mia spirale, mentre ripensavo alle parole del bulletto. Se non erravo aveva nominato un certo inchiostro speciale e Hakuseki non aveva negato né la sua esistenza, né di non averlo. Cosa voleva dire "speciale"? Era l'inchiostro con cui, secondo le leggende, alcuni ninja ricoprivano il proprio corpo in cambio di potenziamenti fuori dal normale? Mi sarei dovuto informare la mattina successiva, una volta padroneggiato il movimento. Ancora non avevo finito il primo disegno che mi ero prefissato di fare!
    Fu un lavoro lungo, e il risultato non mi soddisfò pienamente: c'era ancora molto su cui lavorare. La larghezza del tratto non era costante e. nonostante mi fossi impegnato al massimo nel compiere dappertutto lo stesso numero di penetrazioni, la tonalità del colore non era perfettamente uniforme. Notai, almeno, che le spire interne sembravano riuscite meglio delle prime che avevo disegnato. Un accenno di miglioramento.
    Iniziai a lavorare sul secondo rotolo, lasciando viaggiare la fantasia. Avrei tentato con qualcosa di più complesso, cercando di occupare più spazio possibile. Linee curve, dolci che si dividevano e diramavano come delle graminacee, coprendo velocemente lo spazio vuoto. Ma non era semplici ciuffetti erbosi, anzi, si stavano trasformando in pericolosi rovi, pieni di punte e uncini. Sì, percepivo sempre più chiaramente il significato di ciò che stavo facendo: i sentimenti si stavano fondendo con un semplice disegno, dando così vita ad un'intricata opera d'arte. Senza che me ne rendessi conto, i miei movimenti si stavano facendo sempre più fluidi, le penetrazioni più regolari e il ritmo più veloce. Stavo migliorando a vista d'occhio, o almeno così mi sembrava: avevo perso la cognizione del tempo, concentrato come ero. Poteva essere passata appena un'ora da quando avevo iniziato a disegnare, oppure il sole poteva essere prossimo allo spuntare, ma non avrei posato l'ago fino a quando Hakuseki non mi avrebbe fermato.
    Sul rotolo si era delineato un groviglio spinoso, simile ad un rovo selvatico, che riempiva ogni spazio possibile, escluso un angolo. Avevo intenzione di prendere spunto da alcune delle opere di mio padre per riempire quel vuoto: i libri che ricopiava erano delle vere e proprie opere d'arte, ogni capolettera catturava lo sguardo, facendo sorgere il dubbio che fosse stata disegnata da esseri ultraterreni. Aveva davvero delle mani d'oro, che dimostravano la sua esperienza formata da anni e anni di pratica. Pensando ad una delle sue miniature avrei provato a tatuare una lettera, completando così il secondo rotolo. Fu in quel modo che firmai la mia prima vera opera, con un'elaborata lettera "D", che nessuno avrebbe mai visto. Infatti, distraendomi per la prima volta, scorsi della luce entrare dalla finestra, annunciando probabilmente il sole mattutino.
    Disegnare così a lungo mi aveva fatto indolenzire non solo le dita, ma le intere braccia. Rilassai i muscoli del busto, collo compreso, mentre cercavo Hakuseki con lo sguardo. Non mi ero scordato dei miei pensieri della notte, ero ancora interessato all'inchiostro speciale, che sarebbe stata la prima cosa su cui avrei chiesto informazioni dopo avergli dato il buongiorno.

    « Buongiorno Hakuseki. Prima di valutare il mio lavoro, potresti togliermi un dubbio? Ieri, durante la tua discussione con quel ragazzo, avete nominato un certo inchiostro speciale: posso sapere di che si tratta? »



     
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29 replies since 7/11/2012, 20:28   595 views
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