[Team 39] C.G.M.

Sperimentazione nuovo protocollo corsi genin

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    Un corso Esplosivo







    Team 39.
    Il Colosso sapeva cosa voleva dire quella missiva, lo sapeva fin troppo bene, ed altrettanto bene sapeva quanto fosse irreparabile il danno che aveva fatto nell’aprirla. Lesse rapidamente la lettera senza fiatare, conscio del fatto che inveire contro dei e fato era ormai inutile. Quantomeno la missione pareva interessante.


    Ospedale psichiatrico.
    Mooolto strano.


    Il ninja sbuffò mentre voltava le spalle al postino che gli aveva consegnato la lettera, voltandosi gli fece segno di entrare con due dita, intanto che, con la mancina, rovistava in un piccolo cumulo di caos creatosi sopra una mensola li vicina per estrarne una penna.

    Galoppino, dammi della carta.

    Chiese tre fogli e tre buste standard, ognuna diretta ad un suo allievo, questa volta avrebbe convocato personalmente i suoi studenti, con il suo personalissimo metodo.

    All’attenzione di [cognome proprio PG] san:
    l’accademia, ed il tuo sensei Raizen Ikigami, hanno il piacere di informarti che il tuo profilo attitudinale e le tue conoscenze avanzate nell’arte ninja ti hanno permesso di essere tra le poche reclute selezionate per sperimentare una nuova tipologia di corso genin. L’accademia ha reputato necessario inasprire la selezione dando alle reclute la possibilità di sfruttare al massimo le proprie conoscenze ed attitudine al combattimento coadiuvata alla capacità di sopravvivere in ambienti ostili.
    Rinnovando le nostre congratulazioni per essere la prima elitè che sperimenterà il nuovo protocollo per il passaggio al grado genin C.G.M. le rinnoviamo i nostri saluti e le annotiamo il numero della sua matricola, utile anche per usufruire della totale copertura medica in caso di mutilamenti gravi.
    A D R C R H O G E A D H N M A H C B

    Ps:
    se la combinazione numerica non è conforme alle sue aspettative la informiamo che il C.G.M. ha avuto inizio nell’esatto momento in cui lei ha violato l’integrità di questa lettera.
    Abbini il suo nome completo al codice alfabetico sopra riportato in modo da incolonnare le lettere del suo nome a quelle del codice ed ottenga, mediante somma o sottrazione, un numero compreso tra -26 e +26.
    La serie di numeri così ottenuta è il suo codice-matricola numerico, la riporti sul foglio una volta ottenuta.
    Ha due giorni per commutare il codice alfabetico in uno numerico, in caso di errore o mancata consegna del suo primo esercizio avrà modo di desiderare una copertura medico-sanitaria per la cura delle mutilazioni.
    Il C.G.M. intende mantenere segreta l’attivazione e le modalità del corso, il messaggio si autodistruggerà a breve. Quale che sia l’esito la preghiamo di recarsi comunque all’incontro col suo maestro.

    Benvenuto al C.G.M.


    Il Colosso rigirò tra le mani ogni singola lettera per più di una volta con un sorriso ben poco raccomandabile, avrebbe parlato solo dopo aver ultimato la scrittura di tutte le 3 lettere, ed aver abbinato ad ognuna una mappetta che recava l'indicazione "punto d'incontro" esattamente sopra l'ingresso principale delle mura di Konoha.

    Ora mi occorre assoluto silenzio, mi raccomando.

    Disse rivolto al postino mentre da un cassetto della scrivania estraeva un piccolo cofanetto contentente un kit da scrittura a pennello.

    Un errore qui e l’accademia potrebbe avere tre studenti di meno.

    Concluso che ebbe di parlare al postino tornò sulle sue lettere e con minuziosa attenzione prese a tracciarvi sul retro un complesso fuuinjutsu, di quelli che a lui piacevano tanto, di quelli che anche ai suoi sensei sarebbero piaciuti, certo, il livello di complessità del rompicapo non era così elevato, ma dopotutto erano solo studenti.
    Ultimato il suo lavoro il fuinjutsu scomparve dalla lettera, rendendosi invisibile, come se la carta stessa avesse del tutto assorbito l’inchiostro, ciò che vi era stato nascosto però poteva essere rivelato solo dalla mano dei destinatari: i tre studenti del team 39.
    Al momento di consegnare le lettere al postino il Colosso aveva ancora il sinistro sorriso stampato sul volto, certo del fatto che dopo un simile espediente, se fosse riuscito a mandarlo a segno, l’accademia non l’avrebbe più convocato per un corso genin, o quantomeno l’avrebbe bollato come maniaco instabile dedito a ledere le reclute dell’accademia. Era il momento per l’accademia di comprendere che quel ninja non amava fare da balia.

    [Alla consegna della lettera]

    Appena letta completamente la lettera gli studenti avrebbero compreso cosa quel fuinjutsu permettesse alla “lettera” di fare: ogni singola parola si sarebbe infatti del tutto liquefatta, colando lungo il foglio sino a scivolare sulla mano degli studenti che, stretti da una presa ferrea non potevano opporsi in alcun modo all’invasione della propria mano da parte di quelle lettere animate che gli si sarebbero avvolte nel polso rivelando la loro vera identità: un sigillo esplosivo, che a giudicare dalle parole recitate dalla missiva avrebbe reciso di netto la mano facendo esplodere il polso.
    Possibile che l’accademia avesse assegnato proprio a loro, degli innocenti studenti, un sensei così squilibrato da concepire una simile prova?
    Era davvero possibile che un errore di decifrazione potesse comportare la perdita di una mano?
    Possibile che ad uno studente fosse stata assegnata una prova simile?


    Si, possibile.

    Avrebbe ghignato una voce troppo distante dagli studenti per essere udita.
    Il corso genin del Cane bianco della foglia era iniziato, e si preannunciava divertente.




    CITAZIONE
    Per informazioni spiegazioni, o richiesta di spiegazioni utilizzate pure il topic di OT aperto nell'apposita sezione ;)
     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    Un rumore di nocche contro la porta distolsero Akira dalla sua contemplazione del terrario. Passava la maggior parte del suo tempo ad osservare la teca e i suoi abitanti mentre portavano vanti le loro vite senza degnarla di sguardi o attenzione, mentre la ragazza ammirava la loro perseveranza e laboriosità. Si trattava di formiche rosse di Suna, che riuscivano in qualche modo a vivere serenamente in quell’ambiente ricreato a così tanta distanza dalla loro terra natia. La voce del postino che parlava con suo fratello e pronunciava il suo nome attirò l’attenzione della giovane Aburame, che si alzò in piedi e uscì dalla cantina per andare a vedere cosa stesse succedendo; Shun aveva già liquidato il pover'uomo e le stava porgendo una lettera senza dire niente, limitandosi a guardarla da dietro quelle lenti scure e fredde. La kunoichi inarcò un sopracciglio ma non proferì parola, prendendo semplicemente il pezzo di carta che le veniva offerto e dando le spalle al consanguineo per spostarsi in cucina e leggerne il contenuto con attenzione, ben sapendo che suo fratello non l’avrebbe seguita per farsi i fatti suoi. Avevano un legame particolare, non molto affettuoso ma nemmeno rabbioso; vivevano per ignorare l’altro, seppur di tanto intanto Shin le dicesse qualche parola affettuosa oppure le rispondesse in maniera vagamente acida. E poi era lei quella bipolare, certo.
    Sciolse il laccio che teneva la lettera chiusa e la aprì con deliberata lentezza, ma fece in tempo a leggere appena un paio di righe poiché l’inchiostro presente sul retro della carta la distrasse scivolandole lungo il polso snello fino a tracciare delle linee ben precise sulla sua pelle: un sigillo. La bionda rimase ad osservarlo assorta per qualche secondo, analizzando la situazione e arrivando ben presto alla conclusione che fosse un sigillo esplosivo che stava sfruttando la sua pelle come se fosse stata la superficie di una carta bomba.
    Dovette terminare la lettura per capire bene quando e perché avrebbe perso la sua mano e ammise all’istante che la cosa non le piaceva.
    La giovane Aburame corrugò le sopracciglia, rileggendo mentalmente la lettera una decina di volte, stringendola così forte da lasciare impressa sulla carta l’impronta sudata delle sue dita. Non era mai stata brava nella risoluzione dei codici cifrati e la sua vita da ninja l’aveva sempre immaginata come l’incarico di eseguire gli ordini dettati da altri. Parafrasando la faccenda, lei sarebbe stata agli ordini di quei ninja in grado di risolvere rompicapi e codici crittografati, pronta a fare ciò che loro le avrebbero detto. Non si vedeva né come un capo, né come l’ipotetica parte mentalmente avanzata del team, anzi, si cullava nella sensazione che essere uno strumento sarebbe stata la sua vocazione e la cosa non le dispiaceva affatto. Era convinta che tutti avessero un loro posto al mondo e il suo non era in alto per dirigere gli altri. Lesse lentamente il primo passaggio, assaporando le lettere, gustandone il suono, provando a trovare una stonatura nel complesso ma senza riuscirci, quindi si limitò a fare ciò che la lettera diceva: trascrisse sotto la lettera A del codice la prima del proprio nome, sotto alla lettera D una bella K e così via fino a che non arrivò a trascrivere sotto la H l’ultima lettera del suo cognome. Strinse gli occhi fino a due fessure, mentre il resto del suo corpo rimaneva calmo e rilassato: avanzava ben sei lettere. Cos’avrebbe dovuto farne? L’unica parola che le venne in mente e che avrebbe potuto occupare gli spazi mancanti era ‘Konoha’, ma per quanto ne sapeva il nome del suo villaggio non rientrava nella definizione ‘scrivi il tuo nome completo’. Decise di lasciarle perdere per il momento e si dedicò a sommare tutte le lettere: era un tipo positivo e pensava che aggiungere le cose fosse sempre meglio che sottrarle, ma quando ebbe convertito le terze lettere di entrambe le serie con il valore numerico del posto che occupavano nell’alfabeto, rimase perplessa. La diciottesima lettera dell’alfabeto (ossia la R), se sommata alla nona lettera dell’alfabeto (ossia la I) dava un risultato superiore a ventisei, ossia ventisette. Motivo per cui non aveva nemmeno senso continuare a sommare gli altri numeri, dato che la serie presentava già un errore. Si dedicò quindi all’opera di sottrazione e questa volta non vi furono valori minori di meno ventisei o superiori a ventisei, perciò la cosa la rassicurò. Venne però assalita dal dubbio che forse non avrebbe dovuto solo sommare o solo sottrarre, forse avrebbe dovuto valutare di volta in volta che operazione fare, ma in base a cosa? Fissò con insistenza la serie di numeri ottenuta, che le era parsa giusta fino ad un istante prima, non più molto sicura di ciò che aveva fatto. Avrebbe voluto confrontarsi con qualcuno, affidarsi ad Ayame come faceva di solito: la giovane Uchiha utilizzava la mente in maniera sorprendente e Akira sospettava che fosse proprio per questo che era così brava nell’uso dei genjutsu. Lei invece era un tipo taciturno, abituata ad obbedire, e non si interrogava mai sulle cose o su quello che le veniva chiesto di fare. Non aveva nemmeno la scusa dell’impulsività perché non era affatto così: semplicemente, prendeva tempo a ragionare solo sulle cose più inutili, quelle astratte. Le piaceva pensare ed era parecchio riflessiva, ma tendeva a non farsi domande in merito alla sua carriera ninja o al suo futuro, limitandosi invece a prendere le cose così come le venivano date. Non si poneva mai questioni a cui non sarebbe riuscita a trovare una risposta: si divertiva ad elaborare strategie ma non pensava nemmeno per un momento al fatto che potessero funzionare o meno, quello era compito del capo e quindi non compito suo. Era un controsenso vivente, ma non c’era molto da scavare per scoprire il motivo del suo atteggiamento: quando non spicchi nel tuo clan per essere la migliore in qualcosa, ti abitui a confonderti con lo sfondo, eseguendo ciò che viene detto da coloro che vengono reputati geni. La bionda si esaminò la mano, lanciando un’occhiata enigmatica allo strano sigillo impresso sul suo polso. Non le sarebbe affatto piaciuto dover dire addio alla fedele mano destra. Avevano passato così tanti bei momenti insieme, erano accomunate da un legame speciale e la conosceva bene, tanto da fidarsi di lei ed affidarle missioni complicate di vitale importanza: era lei a permetterle di nutrirsi, impugnando le bacchette, così come era lei la mano con cui si versava l’acqua nel bicchiere ed era sempre lei la mano con la mira più precisa. Al suo rigido controllo sfuggì un sorriso amaro, dovuto all’ironia che anche nei momenti più delicati riusciva a venire fuori dai suoi pensieri. Si sarebbe potuta allenare nel comporre sigilli con una mano sola, nel caso in cui avesse sbagliato? Ne dubitava. La sua carriera da ninja sarebbe terminata ancora prima di iniziare e un moto di stizza nacque e morì nei suoi occhi, tenuti a freno dall’imperativa flemma tipica degli Aburame.

    0 -7 17 -15 16 7 13 -14 -13 0 -10 3 14 13 1 8 3 2



    Davanti a lei, nitida sulla carta con inchiostro nero e preciso, c’era un’opzione. Poteva essere la soluzione adatta, quella che stava cercando e che le avrebbe permesso di diventare un Genin, ma poteva anche essere la prova nero su bianco del suo fallimento. Una goccia di sudore le scivolò lungo la tempia sinistra mentre continuava a fissare quella stranissima lettera: inutile nascondere che si era aspettata qualcosa di diverso. Aveva immaginato di ricevere una lettera, recarsi in un luogo, fare conoscenza del maestro e dei suoi compagni e magari farsi anche offrire il pranzo; invece quello che aveva davanti era una specie di test e la cosa ironica era che lei non avesse nemmeno idea di quale fosse la faccia di colui che gliel’aveva commissionato. Sapeva solo il nome: Raizen Ikigami. Beh, gli avrebbe come minimo infilato una blatta nel colletto quando si sarebbero incontrati, o anche uno stafilinide, se si fosse sentita particolarmente cattiva. Si lasciò sfuggire un sospiro stanco e liquidò le lettere che le mancavano con la soluzione più ovvia che le fu passata per la testa negli ultimi sette minuti: se non c’erano lettere da cui sottrarli, quei numeri rimanevano invariati. Eppure il fatto che il suo codice fosse composto da numeri negativi non le tornava: non aveva mai sentito di codici composti da numeri negativi. Non aveva mai sentito parlare di codici in generale, più che altro. Beh, ci aveva pensato abbastanza ed era mediamente sicura del fatto che non avrebbe saputo fare nulla di meglio rispetto a ciò che aveva già fatto e rimuginarci sopra era perfettamente inutile.
    «Cosa intendi fare?». Akira scosse la testa quando udì nella mente le parole di Hisoka, chiudendo improvvisamente gli occhi, mentre il nervosismo che aveva tentato di soffocare fino ad allora si riversò placidamente fuori dagli argini mentali che lei aveva imposto. Appoggiò la lettera sul tavolo della cucina a causa del tremore delle mani che faceva oscillare le parole scritte sulla carta e strinse con forza il bordo del tavolo fino a farsi sbiancare le nocche. La verità era che non lo sapeva. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto fare. Magari quello era uno di quei codici irrisolvibili e il sensei era un sadico che avrebbe goduto nel vedere esplodere la mano a tutti e tre solo per valutare la loro resistenza al dolore, chi poteva a dirlo? O magari aveva fatto un errore di trascrizione e... La mente dell’Aburame lavorò con calma e metodica precisione, vagliando tutte le possibilità – mano a mano più ridicole – che le venivano in mente. Quella che si stava trovando ad affrontare era la sua prima vera situazione di pericolo, più o meno grave: all’accademia non insegnavano come gestire le crisi di panico, ma la bionda era abbastanza sicura del fatto che non fosse spaventata né tantomeno vicina ad una crisi di panico. Stava anzi affrontando la situazione con una certa serenità, mista al nervosismo dovuto all’orgoglio: odiava l’idea di sbagliare e soprattutto di sbagliare di fronte ad altre persone. Sarebbe stato imbarazzante se né Akira né i suoi compagni fossero riusciti a venire a capo della soluzione di quell’enigma, o peggio, se lei fosse stata l’unica del suo team a non risolvere il rompicapo. Sentì un rumore di passi che si avvicinava alla cucina ma non si mosse, rimanendo tranquilla e rilassata al proprio posto, lasciando che la sua tensione si potesse intuire solo dalla sua ferrea presa sulla superficie lignea del tavolo; gli Aburame quando erano tesi si limitavano a non interagire con il mondo esterno, rimanendo chiusi nel proprio silenzio e dimezzando i loro già sparuti contatti umani e nemmeno Akira era estranea a questa logica comportamentale. Silenziosa e concentrata su ciò che l’aspettava, non rivolse nemmeno una singola parola a suo fratello Shun, giunto in cucina per chissà quale misterioso motivo. Gli unici suoni che riecheggiavano furono quelli del bicchiere di vetro che veniva separato dai suoi compagni, poi il tonfo sordo sulla superficie di legno lavorato e infine il cristallino scroscio dell’acqua che dalla brocca si riversava all’interno del bicchiere. Celere e preciso, Shun compì tutti quei gesti con la veloctà che il suo stesso nome suggeriva prima di proferire con un’espressione imperturbabile che non venne incrinata dall’atona e imperscrutabile voce: «Se non ti senti all’altezza puoi rinunciare. Nessuno si aspetta qualcosa di particolare da te, non rimarranno delusi. Fai quello che ti senti.». Akira gli lanciò una lunga e caustica occhiata prima di voltargli le spalle e uscire in silenzio dalla cucina, frenando a stento l’impulso di farsi largo oltre il fratello con una spallata. Non era il tipo di persona da cui avrebbe accettato simili consigli, e poi la lettera diceva che la prova era già iniziata perciò tirarsi indietro non sarebbe servito a nulla. Se la sua mano fosse esplosa, l’avrebbe accettato.

    [Due giorni e molti "Tsk, dannatissimo Shun." dopo]
    «Se trovo quel gran geniaccio che ha ideato questa prova, gli ficco una blatta su per.. .» disse l’Aburame, ma non sapremo mai dove sarebbe finita la blatta, perché il sarcastico quanto pacato tono della giovane divenne troppo basso per permettere che le sue parole fossero distinte con certezza. L’unica cosa sicura era che quella blatta sarebbe finita in un posto umido e oscuro, probabilmente uno di quei posti che non hanno la fortuna di essere baciati dal sole, magari uno di quei luoghi dove l’aria calda ha un ricambio costante con l’esterno. L’Aburame arrivò davanti al cancello di Konoha con le labbra strette in un’unica linea di disappunto a causa di ciò che le aveva detto Shun – parole che le riecheggiavano ancora nella mente nonstante fossero passati due giorni – e per l’affetto che la legava alla sua mano destra, sfortunatamente marchiata da un piacevole sigillo esplosivo. Ma Akira ne era certa: quello non era un addio, bensì un arrivederci. Incrociò le braccia al petto, controllando svogliatamente che la lettera si trovasse al suo posto nella tasca sinistra dei pantaloni, mentre stuzzicava con la lingua la punta del fukibari che teneva in bocca. Non se ne separava mai, era probabilmente l’arma a cui era più affezionata e non vedeva l’ora di imparare a sputarlo come se fosse un gigantesco fiammifero ardente. Magari in un occhio a qualcuno. Magari in faccia alla persona che le sarebbe stata più vicina nel momento in cui la sua mano le avrebbe detto addio. Ah, no, è vero: era solo un arrivederci. Akira sospirò, cercando di fare il possibile per cancellare l’irritazione proprio come faceva Shun, e quando ritenne di esserci riuscita si guardò attorno per cercare qualcuno che potesse essere Raizen Ikigami. Peccato solo che non sapesse come fosse fatto. Ma era un’Aburame e in quanto tale era una persona fortunata; o almeno era convinta di esserlo. Si avvicinò a uno shinobi con il coprifronte della Foglia appoggiato a un albero, con una bandana abbassata sugli occhi e una postura abbastanza ostile, ma sforzandosi di essere il più possibile educata gli chiese: «Lei è il maestro Raizen Ikigami?». Ottenne in risposta solo un borbottio che prevedeva le parole ‘montagna’, ‘disturbare’ e ‘se fossi in te’, ma dal momento che fu certa del fatto che quello non potesse essere il suo maestro, lo ignorò e passò oltre. Si avvicinò quindi ad una persona anziana dall’aria gaia e gentile, domandando impassibile: «Maestro Raizen Ikigami?», ma ottenne in risposta solo un'offerta di mele che - udite udite - erano in svendita. Ah. Delusa da quegli insuccessi, la kunoichi tornò davanti alla porta principale di Konoha, aspettando. Forse era arrivata in anticipo. Forse aveva sbagliato porta.
     
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    [Mattinata movimentata - Villaggio di Konoha, Casa di Ayame]
    Il sole di quella mattina filtrò deciso attraverso la seta sottile disposta a pannelli intervallati dalla grata in legno, rendendo quegli elementi d’architettura delle vere e proprie pareti luminose. A nulla servì il tentativo di Ayame di voltarsi nella direzione opposta rispetto a quella di provenienza della luce; quest’ultima non solo era tanto forte da rischiarare l’intera stanza, ma lo era anche abbastanza da aumentare di qualche grado la temperatura dell’ambiente interno, costringendo l’Uchiha – conscia di aver già perso la battaglia in partenza – ad abbandonare il tanto amato futon.
    Io ODIO gli Shōji!
    Ayame-neesan… – la voce di Makoto si perse nel silenzio, mentre la sorella maggiore, completamente assonnata, continuava a barcollare stropicciandosi gli occhi per raggiungere la parete della stanza, permettendo così un ricambio dell’aria.
    Ayame-neesan! – ripetè impaziente la piccola, sporgendosi in avanti e sulle ginocchia come a voler in qualche modo spingere con forza le sue parole, affinché la neo-promossa all’accademia ninja la sentisse.
    NEE-CHAN! Non devi gridare quando mi sono appena svegliata! Dimmi, cosa succede? – un broncio misto ad espressione di rimprovero andò a dipingersi sul volto della primogenita, mentre altri rumori all’interno dell’abitazione suggerirono ad Ayame che fosse in piedi anche sua nonna e che quindi, come al solito, ancora una volta aveva dormito più di tutti. Routine. O almeno lo era i giorni in cui non c’era Kimi; la madre di Ayame era esigente e difficilmente le avrebbe permesso di passare gran parte della mattinata a ronfare piuttosto che ad allenarsi. Forse sin troppo esigente, manco quel leggero oziare e la permanenza tra le braccia di Morfeo portasse come conseguenza il raggiungimento di una forma fisica pari a quella di un Akimichi.
    E’ arrivata quella per te. – rispose mortificata la bambina, indicando con la mancina una lettera ai piedi del letto. Recava lo stemma dell’accademia ninja e fu proprio quest’ultimo particolare che attirò l’attenzione della kunoichi, spingendola a fiondarsi sul piccolo pezzo di carta con tanta foga da inciampare buffamente nel tatami, provocandosi un bernoccolo non indifferente.
    Ouch! – fece l’Uchiha massaggiandosi il capo, ma mutando rapidamente l’espressione di dolore in una di compiacimento, tanto che gli occhi le iniziarono a brillare come scintille all’accensione di carte bomba. E’ per il corso genin, è per il corso genin!!! Ne sono sicura, Makoto-chan! Wiiiiii, spero sia per il corso genin!
    La mano della ragazzina iniziò a tremare per l’emozione mentre, con non poca difficoltà, si apprestava a rimuovere il laccio di protezione. Bingo! L’argomento, stando alle prime righe lette, era proprio quello sperato e l’emozione fu tanta che Ayame, causa l’euforia, cominciò a strattonare avanti e dietro la povera Makoto per la gioia, i cui occhi cominciarono a vorticare confusamente.
    La lettera, non ancora visionata del tutto, era ancora stretta in mano di Ayame, che senza preoccuparsi di fare colazione o altro continuò a leggerla nel dettaglio.
    Senti qui, Makotooo – esordì con fare pomposo ripetendo a voce più alta del normale quanto i suoi occhi avevano già osservato – "Le tue conoscenze avanzate nell’arte ninja ti hanno permesso di essere tra le poche reclute selezionate per sperimentare una nuova tipologia di corso genin… blablabla". Tradotto: tua sorella è una figa! E ancora "…attitudine al combattimento, capacità di sopravvivere, prima elite, combinazione alfanumerica". EEEEH?!? Oddio, che vogliono ora? – domandò spaventata proseguendo la lettura. Un codice? Una prova? Il corso che ha avuto già inizio? Ma io non sono brava in queste cose! Benvenuta al corso genin il cavolo!!! – terminò con espressione quasi isterica prendendosi la testa per le mani e iniziando a sballottarla da una parte all’altra. Solo dopo qualche secondo ricordò che il messaggio si sarebbe autodistrutto e velocemente riportò il codice lì scritto poco sotto, con l’intenzione di studiarlo con la dovuta calma, facendo attenzione per un’ultima volta anche alle istruzioni sotto riportate. Come evidentemente previsto dal mittente, un certo Raizen Ikigami, l’inchiostro iniziò a sciogliersi velocemente e Ayame, di riflesso, provò ad aprir la mano per evitare di sporcarsi. Nulla da fare, la carta sembrò non volerne sapere di lasciare il contatto con la pelle ed Ayame, dubbiosa, iniziò a chiedersi che scherzo fosse quello. Il nero di seppia cominciò una sinuosa discesa lungo la mano della kunoichi, assumendo forme sempre più simili a quelle di…
    Sigillo esplosivo!?! – disse esterrefatta la ragazzina, sbiancando in volto e cominciando a tremare per la tensione. Questo è un sigillo esplosivo! – continuò ad affermare senza staccare lo sguardo dal polso e dopo aver riconosciuto l’aspetto di quei caratteri visti qualche giorno prima, mentre la madre preparava l’equipaggiamento per la missione Anbu. Almeno credo. Non possono farlo, non è nemmeno la prima missione… . La piccola Makoto, incapace di comprendere appieno quanto stesse accadendo, pareva invece divertita alla vista della faccia stupita e spaventata della sorella maggiore.
    Due giorni, solo due giorni per risolvere il codice. E poi, e poi… – un principio di lacrime sembrò voler abbandonare l’angolo interno degli occhi dell’Uchiha, ma subito venne represso al pensiero di cosa avrebbero pensato i genitori, della sua promessa di essere forte, del suo essere una kunoichi, del suo essere un membro di quel clan. Piangere non era contemplato!
    E se magari… Mh! Ti frego io adesso, sensei Ikigami! - Ayame si portò frettolosamente all’esterno della propria abitazione, raggiungendo in questo modo la shishi odoshi con un sorriso speranzoso e l’espressione tipica di chi ha avuto un’idea geniale, per poi avvicinarsi al delicato getto d’acqua e… bagnare il sigillo. Uno, due, tre secondi…

    AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!! Togliti, togliti, togliti!!!

    Iniziò a urlare ancora una volta, strofinando con forza la pelle nella speranza che davvero, in qualche modo, quel marchio scomparisse. Di sicuro sapeva bene cosa fosse un sigillo esplosivo, ma la frenesia accompagnata all’isteria del momento l’avevano spinta a quel futile e sciocco tentativo.
    Poteva davvero l’accademia mettere così a rischio la salute dei suoi studenti? Poteva realmente spingersi a tanto? Erano ninja, questo si, si sarebbero dovuti abituare in fretta a convivere con il pericolo e il dolore, ma non all’inizio di un corso genin, non le sembrava minimamente possibile! Eppure le circostanze sembravano suggerire esattamente il contrario.
    Rassegnata, la ragazza prese in mano il codice trascritto poco prima sul foglio ormai quasi candido, cominciando a camminare senza meta e a ragionarci sopra, chiedendosi se per caso quella prova la stesse condividendo anche con Akira. Di sicuro, conoscendo l’Aburame, non avrebbe raggiunto la soluzione senza qualche timore di sbagliare, eppure era convinta che la reazione della compagna non sarebbe stata esagerata come quella avuta da lei. Erano tipi un po’ taciturni quelli del clan della bionda, e ricordavano tanto ad Ayame alcuni membri sgorbutici del suo clan per la loro introversione e attitudine ad isolarsi, anche se per fortuna Akira era una Aburame atipica e più solare. Solo… meno pazza di lei, ecco. Non che fosse difficile.

    Ayame-chan, hai smesso di gridare? – la voce della vecchia Satomi giunse dolce all’ascolto della nipote, che senza dire una parola indicò il braccio alla nonna. E quindi? Vatti a lavare, ancora a giocare con tua sorella, alla tua età? Sei una ragazzina ormai, hai messo da parte il futon? Hai fatto colazione? Hai mangiato? Se non mangi poi ti ammali, se ti ammali salti la scuola, se salti la scuola non impari… .
    Le raccomandazioni e domande si persero, accompagnate solo da un’espressione incredula e scettica di Ayame, dimenticatasi per un attimo di come fossero le nonne e di quanto il mondo ninja fosse stato ormai totalmente dimenticato dall’anziana Uchiha, a causa di una mente non più brillante per l’età avanzata. E tutto ciò nonostante in passato fosse stata anche lei un’ottima kunoichi. Buffo.
    Mi sta per saltare la mano e lei pensa se ho fatto colazione.. oooh ma perché sono partiti? Maledette missioni, grrrrrrrrrrrh!

    La giornata passò senza sostanziali novità, intervallata solo da contorti ragionamenti privi di soluzione che si protrassero sino a sera tarda.
    La voglia di andare a casa di Akira e chiedere aiuto a lei, o magari al fratello della compagna, era stata davvero tanta, ma non sarebbe stato corretto. Arrendersi alla prima difficoltà non era nel suo DNA, sarebbe stato troppo deludente e poi bisognava solo ragionarci su. Solo ragionarci su. Solo ragionar... zzz.


    [Circa 48 ore dopo…]
    La faccia stanca di Ayame recava ancora i segni del tatami su cui si era addormentata, mentre il foglio stretto in mano con il codice era stato condito di nuovi caratteri, opportunamente scelti dopo la decisione di adottare la sottrazione. L’idea di ricorrere alla somma, infatti, era stata abbandonata quando alla sesta combinazione di lettere il numero superava il +26.
    CITAZIONE

    A D R C R H O G E A D
    A Y A M E U C H I H A
    0 -21 17 -10 13 -13 13 -1 -4 -7 3



    H N M A H C B -> lettere in più

    La ragazzina si svegliò decisamente provata dalla giornata precedente e ancora un po’ abbattuta per non esser riuscita a trovare una soluzione soddisfacente al cento per cento. Le lettere del suo nome le aveva collegate a quelle fornitele, questo sì, ma il problema era un altro.
    Cosa diavolo devo farci con quelle che avanzavano? Sto impazzendo, maledetta prova. E pensare che io voglio solo combattere, tsk. - un pugno chiuso causò lo stropiccìo della carta, mentre Ayame, osservando il tempo passato dalla ricezione della lettera, si accorgeva di quanto poco ne restasse ancora a disposizione.
    'Lo lascerò così, o la va o la spacca. Tanto andrà!' – pensò improvvisamente entusiasta e carica di ottimismo, mostrando un pollice in su nei confronti della sorella minore. Semplice autoconvinzione per non deprimersi. Vedrai Makoto-chan, tua sorella diventerà genin! Poi dovrai pagarmi in cibo per ricevere insegnamenti da me, preparati. – disse con un sorrisino presuntuoso indicando la bambina, ricevendo di conseguenza un abito in pieno viso, cui rispose con una smorfia in piena regola.

    girl



    [Verso il luogo indicato]
    Ikuttachin, obaasan. Ikuttachin Makoto! Torno più tardi! – salutò Ayame, caricandosi in spalla l’equipaggiamento e sperando che oltre a tornare davvero, l’avrebbe fatto anche con la consapevolezza di aver fatto buona impressione al suo sensei, ma soprattutto con entrambe le mani.
    Le mura di Konoha non distavano troppo da casa della brunetta, in fondo il villaggio non era molto grande e, infatti, poco dopo, Ayame scorse la chioma della sua amica Aburame.
    AKIRA-CHAN! – gridò con una gioia immensa nella voce stringendo forte i pugni, per poi raggiungere velocemente la ragazzina ed esibirsi in un sorriso a trentadue denti. Anche tu hai ricevuto quella lettera, eh? Pfffff! – si intristì improvvisamente assumendo anche un’espressione contrariata, sicuramente nei confronti di quel pazzo del signor Raizen. Non possono farci saltare la mano, sarà tutta una messa in scena. O almeno spero... so solo che se lo prendo… – fece, avvicinandosi all’orecchio dell’altra kunoichi, ma si bloccò immediatamente avendo sentito un rumore e si voltò nella direzione di provenienza. Ci sarebbe mancato soltanto fare una figuraccia all’inizio del corso genin, poi la frittata era fatta del tutto. Ne parliamo dopo, Aki-chan. - terminò a bassa voce rivolgendole un occhiolino.
     
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    Scheda di Etsuko della Nebbia

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    L’inizio…

    un sigillo esplosivo eh…?

    Pronunciai quelle parole arrivando dietro alle ragazze che ora parevano intente a salutarsi. Bhe , si conoscevano e questo poteva solo che essere un vantaggio per loro. Ma come gli era saltato in mente? Inventarsi un marchingegno del genere per dei semplici studenti, andava oltre il classico sadismo espresso da Raizen in più occasioni. Lui e le sue smanie di grandezza. Non avevo alcuna intenzione di rattoppare arti e di rimettere in sesto studenti, quindi, quelle due avrebbero fatto bene a rispondere in modo corretto.

    Eh… no, non è uno scherzo…

    Mi sarei presentato…

    Etsuko Akuma, di Kiri

    L’abbigliamento era sobrio, completamente vestito di nero, solo una piccola fascia elastica bianca cingeva la vita, l’occhio sinistro, quello atrofizzato era chiuso e su di esso vi era una benda, molto simile a quella piratesca, l’altro invece sgombro da impedimenti, cominciava ora a formicolare, questo significava solo una cosa… Raizen era vicino!

    [… Qualche giorno prima …]

    Non vedo perché dovrei accettare questo incarico di aiuto sensei.

    Il tono era pacato e sedevo davanti alla commissione accademica, mi avevano fatto convocare, sicuri della mia risposta negativa alla loro richiesta.

    Perché quell’uomo è un pericolo pubblico e non da ascolto a nessuno di noi, ma giungono invece voci di una certa tua “influenza” sulle sue capacità decisionali.

    Il tono con cui avevano pronunciato quelle parole non mi piaceva affatto.

    Non so a cosa vi riferiate…
    Magari a quello che è successo al tempio del vento, vuoi parlarcene?

    Contrariato risposi

    Non c’è bisogno che sappiate altro di più di quello di cui siete già a conoscenza.
    Allora accetterai?
    Si accetterò, ma non perché me lo state chiedendo voi, semplicemente per il bene di quei ragazzi…
    Si certo Etsuko…

    [ /…]

    Allora dov’è quel folle del vostro Sensei?

     
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    Sulle ali del vento






    Il Colosso si era svegliato bene quella mattina, dopotutto non si poteva dire che quella che lo attendeva sarebbe stata una giornata noiosa. Sorrise di gusto uno dei peggiori sensei che l’accademia avesse mai conosciuto mentre questo camminava a lunghi passi per la strada principale di Konoha mentre si dirigeva al cancello principale. Probabilmente qualcuno con un tatto sviluppato in quel momento avrebbe potuto avvertire la sua imponente mole in avvicinamento, forse Etsuko se era già arrivato, ma i due studenti praticamente avrebbero solo potuto vederlo da lontano. Non gli piaceva. Preferiva un entrata in scena più epica, insomma nel suo stile, c’era da dire però che scomodare un drago solo per la sua entrata era un po’ troppo, avrebbe fatto da se, anche se non ricordava troppo bene “quella” tecnica, era da tanto che non la utilizzava più.
    Era ancora sulle mura quando due ragazzine cominciarono a gironzolare li intorno per vedere se lui fosse già presente, due konohaniane, ed anche conoscenti a quanto pareva, probabilmente le sue allieve. Pessima notizia, non che il Colosso fosse misogino, anzi, l’esatto opposto.
    Appena Etsuko finì di pronunciare la parola “sensei” Raizen sarebbe apparso in mezzo al gruppetto in mezzo ad un forte turbinio di vento che probabilmente avrebbe scostato le due studentelle.


    Qui.

    Avrebbe detto per poi far schioccare le dita sorridendo, un sorriso in cui Etsuko, conoscendolo, avrebbe letto ben poca felicità e la fine della prima prova del C.G.M. una fine col botto. Entrambe le mani esplosero, ma sia Raizen che Etsuko (probabilmente) non mossero un muscolo mentre il sigillo sui polsi delle allieve detonava, lasciando al suo posto solo la carne sfrangiata e carbonizzata, un danno difficile da ripristinare, ma il Sensei non pareva preoccuparsene mentre gironzolava attorno ai suoi allievi silenzioso. Il dolore doveva essere lancinante quasi quanto le loro grida, ma lui pareva non esserne sfiorato, fece passare qualche secondo, prima di parlare con una faccia lievemente delusa, mentre si chinava lievemente sulle due, come se guardasse delle cavie dentro ad una gabbia di vetro.

    Tranquille, tranquille, concentratevi, concentratevi.
    Pensate meno al dolore.


    Avrebbe detto, quasi come una cantilena accompagnando il tutto con il battito delle mani, come se richiamasse all’ordine dei bambini troppo rumorosi, il tutto sin quando le due non avessero recuperato un po’ di lucidità, quanto bastava per eseguire le sue istruzioni, al che, si sarebbe tirato su con un amabile sorriso.

    Guardatevi attorno, guardate me ed Etsuko, vedete del sangue?
    No, non c’è, l’esplosione di un arto è possibile che non ne produca?
    No. Quindi quale è la risposta?


    Toccò entrambe sulle spalle, facendo “ricomparire” magicamente il polso a tutte e due, anche se agli effetti era un semplice “rilascio” di potenza consona per sciogliere l’illusione contenuta nel fuuinjutsu.

    Genjutsu.

    E quello era, i loro polsi erano intatti e ora liberi da qualsivoglia scritta, sani ed illesi, magari con qualche postumo fastidioso dell’illusione, ma nulla di invalidante.

    Ed ora non fate quelle facce, è solamente l’inizio! Pensate positivo, avete già imparato qualcosa: un fuinjutsu può essere il tramite per qualsiasi diavoleria!

    Disse con la leggerezza di chi non si curava delle sue azioni, ma con la frizzanteria di chi trasmetteva qualcosa di logico e banale ai suoi discepoli, invero quel Colosso non sembrava minimamente turbato, ne ora che le due alunne erano così scosse, ne prima mentre urlavano di dolore, era rimasto sereno per tutta la durata di quell’azione terribile, come se non gli pesasse minimamente, dopotutto, non le aveva ferite realmente, no? Dopotutto, avevano da conoscere sofferenze più grandi, no? Dopotutto era ancora troppo poco per scuotere anche di un millimetro l’animo di quell’uomo. E poi quello era un addestramento, negli addestramenti ci si allena per essere pronti a tutte le evenienze. Sorrise, pensando a chissà cosa prima di parlare.

    Più che altro mi domandavo una cosa, non dovreste essere in tre?
    Perché se c’è un terzo e non è qui credo che dovrà veramente rinunciare alla sua mano.


    Dichiarò candidamente. In realtà il rompicapo non aveva una vera e propria soluzione, era pensato per degli studenti dopotutto, qualsiasi combinazione di numeri che seguisse le istruzioni avrebbe momentaneamente disattivato il sigillo, l’unica e vera risoluzione era la presenza di Raizen, per questo il foglietto riportava chiaramente di recarsi al luogo d’incontro sempre e comunque. Infatti, se trasgredito l’ordine, il fuuinjutsu non avrebbe rilevato la presenza del sensei, mancando un fattore questo sarebbe rimasto allo stadio precedente: quello di esplosivo, privando della mano l’assenteista.

    Mi dispiace, spero sarà nei pressi di un ospedale.

    Disse con un alzata di spalle, visibilmente poco dispiaciuto, ed in realtà soddisfatto come pochi, era stato commesso il primo errore, stupido e del tutto volontario ed era stata assegnata la prima punizione, era però curioso vedere come lo shinobi non diede a vedere la sua soddisfazione, quello sarebbe sicuramente stato il suo ultimo corso genin, non avrebbero mai e poi mai potuto richiamarlo dopo quegli eventi. Però, cosa ancor più strana, quella linea dura gli sembrava la più logica e naturale, forse non la più giusta, ma quello cambiava dai punti di vista.

    Bene! Ora che siete del tutto lucide è ora delle presentazioni, io sono Raizen, l’avrete ormai capito, e sono il vostro sensei. Direi che non c’è altro da sapere, no?

    Il resto dopotutto si vedeva: oltre due metri di altezza per un fisico che definire “robusto” era decisamente riduttivo, occhi rossi con pupilla a fessura verticale, occhi bestiali, l’unico segno nel volto del Colosso che lo designava come portatore e prigione della volpe a nove code, i capelli bianchi invece erano tenuti verso le spalle dal coprifronte, lievemente più ordinati del solito. Addosso il solito mantello bianco, eccezion fatta per la parte finale che termina in 4 "code" decorate con nuvole nere che sfumano verso l'alto, i pantaloni neri muniti di varie tasche riposti dentro gli stivali ed una maglietta nera aderente: un soldato, o quasi.

    Bene, la storia del CDM era una cazzata, era solo per farvi leggere tutto il foglietto, insomma, serviva una trama al mio bel rompicapo. Il corso che andremmo ad affrontare sarà più difficile di quanto annunciato, non amo fare da balia, e non amo chi ha bisogno di una balia, molto semplicemente.
    Però voglio togliermi una curiosità, quando siete arrivate qua sembravate allegre, felici di essere state ammesse all’accademia, sapete dirmi il perché?
    Nel senso, ci sarà un motivo per cui vi ci siete iscritte, no? E sicuramente, vista la felicità, speravate di passarlo per realizzare un qualcosa: che cosa?


    Chiese a bruciapelo per poi voltarsi da Etsuko.

    Ciao ghiacciolo, hai già pensato al nostro discorsetto?

    Questa volta aveva perso ogni tono sinistro e giocoso, con Etsuko recuperò una serietà forse disarmante nel passaggio da uno stato colloquiale all’altro, ma era evidente che ciò che aveva in ballo col kiriano fosse ben più importante e delicato rispetto al corso genin.

    Venite, ci incamminiamo, così non perderemo tempo ad ascoltarvi da fermi, la prossima destinazione è l’ospedale psichiatrico di konoha, ma voglio fare una deviatina per la foresta.
    Sarete entusiasti del caso che ci attende, vedrete!


    Si incamminarono verso la foresta, uno dei campi d’addestramento preferiti da Raizen, era adatto per addestrare i cuccioli dopotutto. La seconda parte del corso, all’insaputa degli studenti, e probabilmente di Raizen stesso, era iniziata: conoscere il proprio sensei per esser sicuri di non aprire la gabbia. Probabilmente iniziare a comprendere del perchè avesse quel sorriso stampato sul viso dal primo momento in cui era comparso sarebbe stato un aiuto per nulla piccolo in quel compito indiretto e non richiesto ma da svolgere con la massima celerità se volevano uscire incolumi da quel corso, forse il più grande pericolo di quel corso non era la missione, ma chi la gestiva. Ma dopotutto non sarebbe stato troppo difficile, il Colosso aveva un animo abbastanza cristallino, no?




    CITAZIONE
    Sanshou non è presente, come detto nel post, la sua mano è andata persa in quanto menomazione pesante e ferita permanente sarà necessaria un QdE o simile per recuperarla. La situazione potrebbe essere gestita anche nel corso genin se l'utente si impegnerà a rimediare al ritardo o ai ritardi.
    Ci sono delle regole, come era stato detto, non rispettarle prevede delle punizioni.
     
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    Akira Aburame ~ Studente di Konoha ~ Energia Bianca
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    L’arrivo di Ayame fu un sollievo: era un piacere vedere una faccia amica, anche perché quel corso genin non era certo iniziato nel modo più rassicurante. La salutò con una solidale pacca sulla spalla, giusto per non scadere nei banali abbracci che erano quanto di meno Aburamesco ci sia al mondo. Non che gli Uchiha fossero da meno, eh. «Se lo prendi, assicurati di tenerlo fermo perché io gli devo ficcare una blatta tra le chiappe.» ironizzò la bionda, incrociando le braccia in un eccesso di superbia. La presenza di Ayame le dava in qualche modo un po’ più di coraggio, forse a causa del temperamento molto più istintivo della ragazza: Akira faceva fatica a parlare con le altre persone, non per misantropia o chissà che altro, ma più semplicemente perché raramente trovava qualcosa di tanto meritevole da essere esternato a parole. Rispondeva alle domande con tutto l’impegno di cui era capace, ma mandare avanti una conversazione o fare conoscenza con qualcuno era tra le cose che odiava di più; anche per questo le piaceva l’idea di poter diventare un ninja. Non avrebbe dovuto chiedere nome e cognome ai suoi avversari prima di sconfiggerli. Aveva appena finito di parlare del luogo in cui la blatta avrebbe trovato dimora che Ayame si voltò dall’altra parte, resasi conto come l’Aburame di qualcuno in avvicinamento e la bionda annuì con un cenno del capo alle ultime parole della compagna.
    Non riucì a dire nulla all’indirizzo del kiriano sopraggiunto alle loro spalle, che non aveva affatto l’aria di essere il terzo membro del team, poiché una raffica di vento e la presenza di Raizen Ikigami la fece arretrare di un paio di passi, quasi contrariata.
    Akira guardò nella direzione del sensei e corrugò le sopracciglia in un’unica linea di disappunto. Sarebbe stato difficile trovare la strada giusta per la blatta in tutta quella massa umana: non era solo il fatto che fosse un uomo imponente ad intimidirla, ma anche il fatto che non aveva il tipico atteggiamento da gigante gentile. Uno come lui schiacciava le formiche anche respirando e lei era nulla più che una formichetta operaia, nera e perfettamente mimetizzata con lo sfondo. Non fece in tempo a dire alcunché poiché il lembo di pelle che copriva il tendine del suo polso iniziò a pulsare dolorosamente mentre il dolore comportato dalla separazione della mano dal resto del corpo si fece sentire con prepotenza. L’Aburame si portò immediatamente la mano sana a stringere il moncherino mentre dalle sue labbra socchiuse per la sorpresa fuoriuscì un mezzo grido strozzato. D’accordo, non era stata sicura della soluzione dell’enigma, ma non si aspettava davvero che il suo polso potesse optare per l’ammutinamento: credeva che una buona dose di fortuna le avrebbe fatto imboccare la strada giusta. Strinse i denti mentre l'odore di carne bruciata le pizzicava il naso e le faceva contrarre il viso in una smorfia a metà tra il disgusto e la sofferenza; non aveva mai provato un dolore simile e non solo perché non aveva la discutibile abitudine di farsi saltare in aria la mano, ma anche perché la sua vita era stata relativamente tranquilla. Nemmeno l'incendio l'aveva ferita, spronandola anzi a diventare un ninja medico e se non fosse stata la vittima, in quel caso, avrebbe scrutato con critica curiosità i contorni del polso esploso e avrebbe avanzato qualche osservazione, ma si sentiva troppo emotivamente coinvolta per garantire il distacco necessario a svolgere quelle semplici operazioni di analisi e commento: le era appena esploso il polso destro in faccia, pregiudicando qualsiasi sua possibilità di diventare un ninja vero, cos’avrebbe dovuto fare? Andare da Raizen, dargli una pacca sulla spalla e garantire che sì, certo, sarebbero diventati amiconi e gli avrebbe improvvisamente dato tutta la sua fiducia? Nah.
    Malgrado il dolore, capiva facilmente che rimanere a lamentarsi non sarebbe servito né a farle rispuntare la mano perduta né a fare una buona impressione sul sensei (cosa che comunque non riteneva possibile, così, a pelle), così si sforzò di pensare ad altro proprio come l'uomo aveva suggerito. Aveva seriamente temuto di doversi sforzare per trattenere le lacrime, ma aveva gli occhi talmente chiusi che il tentativo di colarle lungo le guance sarebbe stato inutile per qualsiasi gocciolina salata. Il moncherino continuava a bruciare insistentemente, quasi a volerle ricordare la propria presenza, ma l'Aburame lo relegò ad un angolo della sua mente proprio come faceva Shun. Nel fare l'errore di pensare a lui, si pentì all’istante del verso molto umano e poco Aburame che si era lasciata scappare, immaginandosi già lo sguardo freddo e irrisorio del fratello qualora lui fosse passato casualmente di lì e l’avesse vista sul punto di cadere in ginocchio ululando per il dolore. Ma probabilmente le sarebbe andata bene perché ciò che non avrebbe mai potuto tollerare sarebbe stata la sua...
    "Compassione." asserì Hisoka, con un tono di voce talmente leggero e spensierato da sembrare quasi amichevole. Quella parola trapanò la coscienza di Akira come una fulminea e divampante stilettata di dolore emulante in tutto e per tutto quello del suo polso nel momento in cui aveva deciso che non gli aggradava più il suo precedente incarico di sostenitore della mano destra. Mano che la ragazza si sarebbe probabilmente spiaccicata in faccia nel pensare di aver tradito la prima regola di ogni Aburame, senza pensare che gli Aburame avessero almeno una sessantina di prime regole, tutte egualmente importanti e quasi tutte egualmente ridicole. “Un Aburame non si fa mai cogliere impreparato né dai nemici né dal dolore, mantiene sempre un certo contegno e reagisce con distacco e autocontrollo ad ogni prova cui è sottoposto.” era, in questo caso, una di quelle regole che le venivano cantilenate come un mantra quando si sbucciava un ginocchio e inevitabilmente si ritrovava a piangere delle infantili lacrime silenziose. Non serviva a molto dire che gli altri bambini iniziavano ad urlare e dimenarsi perché, attenzione, quando Shun si feriva non pensava nemmeno un momento a piangere e si medicava da solo. Akira socchiuse gli occhi con fastidio mentre frammenti di quei ricordi si susseguivano nella sua mente senza un preciso filo conduttore, scanditi solo dai passi del sensei che camminava attorno alle due ragazzine. Troppo concentrata nel far finta che quei vergognosi ricordi non la turbassero, aveva assunto la sua tipica espressione facciale da “non m’importa di niente e di nessuno”, caratterizzata da uno sguardo basso e perso nel niente e i denti che cercavano di penetrare il labbro inferiore. Raizen dovette scambiare quel menefreghismo autoindotto per una certa lucidità, infatti continuò a parlare con un irritante sorriso, palesando l’assenza del sangue che generalmente accompagna la separazione di una mano dal suo compagno di tutta una vita, il polso. Sangue che peraltro era assente. La bionda alzò gli occhi al cielo quasi con esasperazione: ma certo, perché le cose dovrebbero seguire il loro corso? Sarebbe stato troppo semplice notare da sola la mancanza di tale sostanza nelle immediate vicinanze? Troppo scontato capire che quello fosse uno spocchioso, inutile, avvilente, macabro, squallido...
    «Genjutsu.» disse l’uomo dalle mille risposte, liberando le kunoichi dall’illusione. Akira lanciò un’occhiata ad Ayame, ben consapevole del fatto che presto o tardi l’Uchiha sarebbe esplosa e avrebbe di sicuro rivelato un paio di pensieri comuni ad entrambe le aspiranti genin. Forse pensieri non molto carini. Forse minacce di morte, per quanto poco realizzabili esse sarebbero potute essere. L’Aburame, dal canto suo, si ripromise che non si sarebbe più fatta cogliere di sorpresa come aveva fatto poco prima, lasciandosi scappare quel grido di dolore ben poco decoroso che, se avesse potuto prevedere, avrebbe di sicuro soffocato con tutte le sue forze, strappandosi le corde vocali se necessario. Per quanto le costasse ammetterlo, oltretutto, le parole del Colosso erano veritiere ed avevano realmente tratto qualcosa di buono da quell’insolita esperienza: da quel momento in avanti, Akira avrebbe bruciato ogni lettera proveniente dall’accademia e avrebbe scatenato sul postino tutta la sua colonia di Blatte Assassine Altamente Pericolose Che Nessuno Vorrebbe Prendere In Mano. Quel nome, altamente scientifico e pregno di professionalità ed accuratezza, era stato affibbiato alla specie da lei personalmente e seppure un tantino lungo, si era rivelato calzante. Evitò di commentare l’assenza del terzo membro dal momento che personalmente le importava tanto quanto le sarebbe potuto importare di un sasso sulla sua strada: lei non era un’amante delle preoccupazioni superflue. Sapeva collaborare in caso di necessità e capiva quand’era il caso di anteporre il bene della squadra al genetico individualismo degli Aburame, ma non era il tipo di persona che si preoccupava di qualcuno che, per come la vedeva lei, aveva avuto paura di rispondere ad un richiamo presentato con un sigillo esplosivo. Non era un tipo ottimista e l’ipotesi della paura non sarebbe stata contrastata da nessun altra, in quanto non espressa ad alta voce. «Disonorevole perdere una mano senza nemmeno aver partecipato a una missione.» si limitò a borbottare, rivolta più a se stessa che agli altri membri del team, quasi come se fosse un monito personale, per poi chiedere direttamente al sensei: «Onestamente non capisco una cosa: supponendo che il terzo componente del gruppo non si sia presentato in quanto resosi conto che fare il ninja, dopotutto, non era la sua massima aspirazione, che senso ha punirlo? In fin dei conti, è stato onesto con se stesso.».
    Quando il sensei ricominciò a parlare, Akira alzò lo sguardo sul Colosso e qualunque abitante di Konoha (a dispetto delle malelingue riguardanti i suoi occhi, i suoi capelli e l’atteggiamento) non avrebbe osato per un solo istante mettere in dubbio la sua appartenenza al clan Aburame: lo sguardo della quindicenne era distaccato, quasi apatico e il suo viso non tradiva la minima emozione per il semplice fatto che esse erano tutte assorbite dal rispetto della gerarchia che aveva accompagnato per tutta la vita la piccola insettofila bionda. Bastava convincersi che davanti a lui avesse il suo sensei e rinchiudere tutto il resto della personalità dell’uomo in quella semplice definizione: le modalità che avrebbe scelto di adottare per tramandare il suo sapere erano secondarie, così come il suo temperamento e il modo di fare. L’unica cosa importante per Akira erano gli ordini che lui avrebbe dato, i consigli che avrebbe potuto proferire e le critiche che sicuramente ci sarebbero state.
    Qualunque altra cosa, era un problema.
    Qualunque problema, era solo una condizione mentale dovuta alla sua debolezza.
    Qualunque debolezza non aveva motivo di esistere.
    Questo era più o meno il suo nindo, un atteggiamento semplice rispetto alle cose e al loro modo di verificarsi, una sottomissione totale al concetto di causa ed effetto, l’accettazione senza remore del fatto che ogni azione abbia le sue conseguenze. Non si poneva problemi, li evitava così come evitava fare ciò che non era un ordine o che poteva ritenersi superfluo perché ogni azione non necessaria genera imprevisti e gli imprevisti generano problemi.
    Rispose quindi con tono pacato, sentendo ancora l’eco bruciante della vergogna per l’urlo sfuggitole in precedenza e desiderando ardentemente di poterlo cancellare dalla memoria dei presenti: «L’unica cosa che voglio è poter essere testimone del fallimento di una certa persona. Ma dato che le persone geniali sbagliano solo se messe in difficoltà da qualcuno più forte di loro, per poter vedere ciò che voglio devo partecipare alle loro stesse missioni e quindi eguagliarle. Essere un genin è il primo passo verso la forza che cerco per non essere lasciata indietro e da ciò ne consegue la mia felicità.». La sua voce non subì mutamenti particolari, caratterizzata dalla flemma e dalla schiettezza che accompagnava ogni ragionamento o pensiero dell’Aburame. Almeno questa dote di famiglia veniva apprezzata e solente utilizzata. Le domande dirette, come quella posta da Raizen, non la mettevano in difficoltà perché aveva la rara abitudine di rispondere con la verità a dispetto di qualsiasi circostanza o imposizione; questo per un ninja non era una un pregio, in quanto come guerriero avrebbe anche dovuto mentire per nascondere informazioni preziose per il suo villaggio, ma la bionda non era affascinata dalle menzogne. Li trovava dei genjutsu di seconda categoria dal momento che una bugia, se nessuno la smaschera, può diventare la verità (o la realtà, se vogliamo essere più oggettivi) per colui che la ascolta. Allo stesso modo, un genjutsu non si differenzia dal mondo reale sino a quando non viene rivelato per quello che è. Dopo aver dato la sua risposta, onesta ma forse troppo lunga, passò la palla ad Ayame e regalò alla compagna la sua massima attenzione mentre seguiva Raizen diligente come un pulcino dietro a nonna papera. Avrebbe dovuto provare un minimo di interesse per il suo sensei e la sua storia, informarlo di quanto poco avesse gradito quel genjutsu, ma non fu una gran sorpresa constatare che proprio come al solito gli avvenimenti le scivolavano addosso come se non avessero una reale influenza. Il problema era che non c'erano domande da porre, nella sua mente, né osservazioni da fare.
    Niente da dire, il nulla più assoluto. Riteneva più importanti le indicazioni che Raizen avrebbe dato piuttosto che la persona in sé e ciò denotava un certo ribrezzo verso la sfera prettamente emotiva delle persone: se voleva fare conoscenza con il suo maestro, gli avrebbe offerto del saké una volta finito l’addestramento o qualcosa di simile. Non aveva la presunzione di dire che il suo modo di agire fosse giusto poiché lei stessa non lo riteneva tale; pensava invece che fosse naturale e questo forse era peggio. Forse quel corso genin le avrebbe dato una scusa valida per rivedere la propria morale.
    «Perché un ospedale psichiatrico? Voglio dire, dobbiamo fare da balia ai pazienti?» si limitò a chiedere l'Aburame, un po' per reale curiosità e un po' per sottolineare il fatto che il maestro stesso aveva affermato di non volersi occupare in tale maniera di... altri? Persone? Esseri viventi? Forme di vita?
     
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    Sorrise divertita alla frase di Akira, immaginandosi la scena e provando anche un po’ di ribrezzo al pensiero. Insomma, per quanto sapesse che gli Aburame non potessero farci nulla e che quella di familiarizzare con gli insetti fosse una caratteristica insita in loro sin dalla nascita, proprio non riusciva a comprendere come la compagna potesse amare tanto quegli orrendi animaletti. Fosse stato per lei si sarebbe anche allontanata volentieri ogni qualvolta coglieva l’amica in compagnia di qualcuno di loro, ma dato che ciò succedeva praticamente ventiquattr’ore su ventiquattro, aveva deciso tempo addietro di soprassedere cercando di non farci caso. Sì, qualche eventuale nemico Aburame la avrebbe potuta mettere in difficoltà anche con una misera blatta, proprio come quella citata dalla biondina, e questa era sicuramente una debolezza su cui l’Uchiha doveva lavorare; per ora però le cose stavano così e non poteva poi farci molto.
    Chiariamoci, non si eccitava nemmeno le poche volte che le era capitato di osservare, riflessa allo specchio, i suoi occhi assumere una tonalità rosso indiano, o quelli degli appartenenti al suo clan: per quanto fosse affascinante il fenomeno e sapesse ancora così poco a riguardo – se non proprio nulla –, trovava parecchio inquietante il fatto che si colorassero in quel modo e assumessero quei disegni neri simili a goccioline sui lati. Le tornò in mente in quel momento l’unica cosa certa circa lo sharingan, che aveva sentito dal padre, ovvero che si attivasse principalmente quando qualche Uchiha provava emozioni molto forti. Ma molto forti di che tipo, di tipo affettivo? Non ci aveva mai riflettuto troppo, a pensarci bene. Lei che odiava i ragazzini maschi della sua età avrebbe dovuto attendere che quel lato caratteriale mutasse per attivare decentemente lo sharingan? O magari, nel caso non fosse mai cambiato, sarebbere stata la prima stranissima Uchiha a possedere occhi difettosi in grado di attivarsi per pochi attimi e poi tornare a “spegnersi”?
    Quel flusso di elucubrazioni venne improvvisamente interrotto dall’arrivo di un uomo. 'Ecco, il terzo componente della squadra… un maschio pff.' – disse dentro di sé la kunoichi, prima di voltarsi e osservare che, evidentemente, dall’aspetto non sembrava per nulla avere la loro età.
    No-non è uno scherzo? – domandò noncurante del fatto di non essersi presentata, più per stupore nel sentire quella triste rivelazione che per maleducazione. E’.. è lei il sensei? – chiese rivolto a quell’Etsuko di Kiri, iniziando a guardarlo con sguardi assassini che sicuramente, sulla faccia di una stolta bambina di quell’età, avrebbero suscitato in chiunque una grassa risata piuttosto che una minaccia. Kiri aveva detto, eh? Era un villaggio ninja, di questo Ayame era sicura perché lo aveva studiato all’Accademia, ma non ricordava proprio che villaggio fosse. Cercò così con lo sguardo il copri fronte dell’uomo, avvicinandosi anche buffamente per ispezionare meglio. Se fosse stato il sensei o un ninja a tutti gli effetti avrebbe dovuto portarlo, no? Eppure non lo vide, ma la sua attenzione venne ugualmente catturata dalla benda che gli copriva l’occhio. Perché quella benda?
    Ecco, come al solito aveva iniziato a parlare troppo, come le accadeva usualmente. Oltre al fatto che accompagnava le parole dal solito indicare i suoi interlocutori, un brutto vizio che ancora non la abbandonava. Da questo punto di vista era molto diversa da Akira che invece, braccia conserte, restava assorta nei suoi pensieri senza proferir parola.
    Non ottenne risposta ma iniziò a provare profonda e improvvisa simpatia sentendo il termine “folle”, riferito al sensei, uscire dalla bocca del tizio lì presente. Con un cenno di testa affermativo confermò quanto fosse d’accordo con quella definizione, ma non ebbe il tempo di commentare ulteriormente che una raffica di vento e la comparsa di un quarto personaggio la colsero tanto alla sprovvista da farla indietreggiare, inciampare e cadere col sedere per terra.
    'Baka!' – pensò acidamente verso il nuovo arrivato, che sicuramente era l’istruttore data l’entrata scenica a suo avviso del tutto evitabile.
    Successe però tutto così in fretta da sembrare quasi irreale: Ayame sgranò gli occhi al sentire la pelle all’altezza del sigillo pulsare e poi, velocemente, eruttare violentemente in un’esplosione tale da lasciar dietro di sè null’altro che brandelli. Il dolore, lancinante, portò la kunoichi a svenire prima ancora che a urlare. Svenire forse solo per una frazione di secondo, il tempo necessario affinché la vista scomparisse del tutto e poi tornasse altrettanto rapidamente, dapprima bianca e poi via via meno appannata. Solo dopo, ai lamenti contenuti di Akira, si aggiunsero quelli pletorici di Ayame. Ma più che per il dolore, che a freddo sembrava non mostrarsi in tutta la sua assenza, erano lamenti dovuti alla paura. Paura di dover davvero rinunciare a quella mano, paura al pensiero che neanche un ninja medico come l’amato padre sarebbe riuscito a porre rimedio a quella situazione tanto facilmente, paura di non poter più intraprendere la strada intrapresa, quella della kunoichi, e non poter così più dare il cambio di testimone alla madre indossando finalmente un giorno quella maschera dall’aspetto animale, entrando nell’esercito Anbu. Un sommarsi di mille paure cui ogni secondo che trascorreva se ne aggiungevano delle altre: quella di non poter essere l’esempio sperato per la piccola Makoto, quella di non poter difendere la vita di Akira nelle missioni che le avrebbero viste coinvolte nel caso fossero diventate i pedoni degli shogi del villaggio di Konoha, quella di non poter raggiungere tutti gli obiettivi prefissati, il più importante dei quali era talmente grande da spingere l’Uchiha a non parlarne troppo né a pensarlo, per timore che se l’avesse fatto si sarebbe allontanato per dispetto.
    E poi, accanto a quell’immagine impietosa della disperazione, Ayame non comprendeva, una volta allontanati per un attimo i pensieri peggiori circa cosa non avrebbe potuto fare senza una mano, la calma apparente del suo maestro. Così distaccato, così disinteressato, così FOTTUTAMENTE apatico.
    Le lacrime iniziarono a sgorgare, senza alcuna sosta, dagli occhi della ragazzina che, ancora per terra, avvicinò le ginocchia l’una contro l’altra, prima di provarsi ad alzare tremando da capo a piedi. E poi successe: un calore improvviso le incendiò la fronte, andando poco a poco a diffondersi per raggiungere il culmine una volta raggiunti gli occhi. Non poteva osservarsi, ma non ve n’era bisogno questa volta. Ecco l’emozione forte, ecco la scintilla che aveva fatto sì che si mostrasse ai presenti quel fuoco nelle pupille, lo sharingan. Non durò molto nemmeno questa volta, giusto quanto bastasse ad Ayame a pronunciare, singhiozzando verso quel colosso, la frase:
    Co-come ha potuto…? COME-HA-POTUTOOOO!?!?!?
    Il tono di voce improvvisamente era aumentato, assumendo il suono tipico dei momenti d’isteria, ma a lei non interessava. Non gliene fregava nulla che quello che aveva dinanzi fosse il suo sensei, non era più importante. Tanto quel corso era finito prima ancora che cominciasse. E poi, se a lui non interessava il fatto di aver fatto saltare la mano a due ragazzine così piccole, non vedeva perché doveva preoccuparsi lei di risultare antipatica per delle semplici urla. Urla che, per la foga con cui erano uscite, avevano impedito alla kunoichi di sentire le parole di quell’uomo.
    Genjutsu.
    Ayame strabuzzò gli occhi una seconda volta nell’esatto istante in cui quello psicopatico con evidenti problemi mentali e metodi di divertimento alquanto discutibili le toccò la spalla, facendo lo stesso con Akira. Un rilascio, il semplice rilascio di un’illusione, tanto che l’amata mano tornò visibile all’estremità dell’arto superiore, senza segni di trauma di alcun tipo e senza alcuna scritta.
    La bocca della brunetta si aprì in un’espressione di incredulità, mista a rabbia, mista a confusione, mista a cento altre cose, mentre gli occhi vagavano in cerca dello sguardo dell’amica, come a cercare alleati con cui fulminare quel simpaticone.
    Anche Etsuko venne osservato nuovamente da Ayame: se solo avesse provato a sorridere anch’egli per quello scherzetto avrebbe inveito contro di lui, proprio come si apprestava a fare ora contro Raizen Ikigami.
    FUINJUTSU? ABBIAMO IMPARATO IL FUINJUTSU? DOBBIAMO PENSARE POSITIVO?!?! – provò a calmarsi, ma evidentemente era più forte di lei l’istinto ad attaccare e quindi continuò senza freno alcuno. AAAAAH!!! LEI CI HA FATTO PERDERE TRENT’ANNI DI VITA!
    L’indice, ancora una volta, cominciò a muoversi dall’avanti all’indietro verso il sensei, come per ammonirlo a non far mai più uno scherzo del genere. COSA LE SALTA IN MENTE!? – concluse stringendo la stessa mano protesa in avanti in un pugno, talmente serrato da portare le nocche a tingersi di bianco, per poi avvicinarla al viso e porre fine alla labile vita di quelle lacrime, indice di debolezza.
    'Questo è enorme e ora mi mena!' – pensò solo in un secondo momento, una volta tornata leggermente più in sé – 'Ma cavolo, dovevo dirgliele quelle cose! Ora sto meglio, umpf!'
    E tu… come fai ad essere così calma, Akiii? – domandò ancora una volta quasi disperata alla compagna. In risposta ottenne una scrollata di spalle dalla biondina e poi, ancora carica di desiderio di vendetta verso quel Raizen, tanto da esser capace persino di prenderla lei in mano la blatta tanto schifata e infilargliela nel didietro, ascoltò la domanda del ninja di Konoha circa il terzo componente della squadra. Lei era ancora troppo adirata per rispondere con calma e quindi non lo fece. Idem fece Akira, ma il sensei arrivò lo stesso alla conclusione che quel ragazzo mancava. Gli sarebbe saltata la mano per davvero... semplice, no?
    Un’espressione sconvolta si ridipinse sul viso al sentir quelle parole, tanto che all’inizio pensò stesse ancora scherzando, ma poi ascoltando il prosieguo dovette ricredersi. 'Allora è davvero matto questo, aiuto!!!'
    Si ricompose in tempo record per assumere le sembianze della persona seria che non era e, nel frattempo che Akira dava le sue motivazioni sul perché volesse intraprendere la strada della kunoichi a tutti gli effetti, pensò a cosa avrebbe dovuto/voluto dire, cominciando a camminare con gli altri verso la destinazione che, stando alle parole di Ikigami, era un ospedale, con prima però sosta nella foresta.
    Ci sono vari motivi che mi spingono a farlo. – esordì a sua volta, finalmente tranquilla. – Come primo motivo voglio seguire la strada dei miei genitori, arrivare un giorno ad allenarmi con loro, proteggerli se necessario in missione, renderli fieri vedendo la loro figlia diventare una kunoichi… – il pensiero inevitabilmente volò nuovamente alla cosa più importante per Ayame ma lei riuscì a scacciarla e rilegarla in un angolo della mente per una seconda volta. Poi, non vedo l’ora di riuscire, un giorno, a firmare un contratto con qualche animale figo! – chiuse il pugno in segno di vittoria, sorridendo per la prima volta dall’arrivo di Raizen – e inoltre diventare ANBU per combattere fianco a fianco con mia madre in quella squadra speciale per il bene del villaggio, con una di quelle maschere che adoro. Ma le cose più importanti sono altre… – si fermò per pochi secondi, guardando negli occhi tutti i presenti – non voglio che mia sorella, crescendo, pensi che il suo clan sia fatto solo di ninja privi di sentimenti, cui interessa esclusivamente il proprio tornaconto. Sento la gente pensare troppo spesso questo del clan Uchiha, forse per qualche avvenimento passato, forse per quanto fatto da Madara… ecco perché, in quanto membro del clan dal ventaglio – e indicò il simbolo dietro il proprio abito – voglio cancellare il bigottismo degli altri ninja di Konoha circa il clan Uchiha! Voglio essere un esempio per Makoto e darle dimostrazione che anche un Uchiha può intraprendere la strada della luce! Ma soprattutto… VOGLIO DIVENTARE SANNIN nel mondo degli shinobi!!! E ce la farò! – terminò esaltata con il pollice alzato, in segno di vittoria.
     
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    Acchiappa il drago






    Raizen osservò i due studenti con lo stesso cipiglio di un geniale quanto cinico scienziato che osserva le sue cavie dopo una data sperimentazione.

    Come siete carine.

    Sentenziò arricciando le labbra.

    Non siete i primi studenti che mi capitano sottomano ma imparerete presto a conoscere me e come ragiono, la risposta alla domanda della signorinella bionda forse darà già qualche indizio.
    Ovunque, nella terra e nel mare, in guerra o persino in un mercatolo di frutta c’è solamente una piaga: gli indecisi. Al mercato fanno una fila chilometrica, in guerra riempiono le bare.
    Un indeciso senza mano la prossima volta penserà più rapidamente alle proprie azioni.
    È stato onesto con se stesso, ma non con noi.
    Quindi, mi sembra giusto punirlo per metterlo sulla retta via, semplice, no?


    Disse con estrema calma, come se discorresse della cosa più naturale ed ovvia del mondo.
    Dopodiché ascoltò le parole delle due studenti, gli ricordavano Shizuka e Kuroro, in qualche modo l’entusiasmo dell’Uchiha e l’apatia dell’Aburame erano un eccellente specchio.


    Come dicevo prima, siete carine

    Si interruppe qualche istante solo per arricciare nuovamente le labbra in un sorriso fuori posto, sia per l’assenza di un motivo scatenante, sia perché si notava lontano parecchie miglia che fosse un sorriso falso.

    Tuttavia, parlate come delle ragazzette, ma è anche ovvio, alla fin dei conti lo siete. Ma da ora in avanti il percorso sarà solamente in salita, ripida, sdrucciolevole ed irta di spine.
    Dovrete crescere parecchio in fretta, e spero che a fine corso riusciate a darmi delle motivazioni un po’ più… originali? Mature?
    Quello che volete, ma spero siano diverse, la vendetta o rivalsa è un fuoco di paglia, brucia in fretta e una volta spento resta solo il freddo, soprattutto se viene chiuso in un finto guscio vuoto.
    Si, ho detto “finto” Aburame dai capelli d’oro.
    Inoltre, bada bene piccola Uchiha, che il mondo ninja non è un negozio di caramelle, prima di camminare devi almeno imparare a strisciare. Inoltre spesso è triste, e difficile entrarci con la propria famiglia.


    Sospirò, come se si avviasse verso un lungo discorso.

    I legami affettivi sono la cosa più pericolosa che ci possa essere, ci spingono al limite e oltre, purtroppo però oltre quella linea non c’è niente di buono, la cosa più bella che possa capitarvi è la morte. Non per essere catastrofici solo per farvi riflettere.
    Ricordatevi che il primo aggettivo che identifica un ninja è assassino, il secondo è ombra. Se io voglio ottenere qualcosa da Etsuko ad esempio, ma lo reputo troppo forte per le mie abilità, cosa potrei fare per spuntarla?
    Puntare un coltello alla gola di un suo caro e trasformarlo in una marionetta, e all’improvviso sarebbe un pericolo per se stesso, per il villaggio e anche per il mio ostaggio, un legame è ciò che è: un vincolo.
    Se tenete ad una persona è meglio lasciarla lontana dal lavoro. E mandate a cagare chi dice che solo l’amore può spingervi a migliorare, solo il cervello è in grado di farvi migliorare.
    Posso anche accettare opposizioni riguardo questo argomento, è pura etica ed io ho il mio modo di vivere questa vita, nonostante io sia più esperto potrei ancora sbagliarmi, per cui se volete in qualche modo opporvi questo è il momento giusto.


    Chiacchierando intanto erano giunti al bosco, sempre un eccellente spettacolo nei dintorni di Konoha, la sua veneranda età lo rendeva un raro scorcio che se ben letto poteva raccontare svariate storie.

    Ora.
    Il bosco non è un posto qualsiasi scelto per un picnick gustoso, siamo qui per un motivo: ci passerete dentro il 50% delle vostre missioni, per cui dovete imparare a muovervi rapidamente, ma soprattutto dovrete farlo bene. Seguendo le tracce e cercando di non lasciarne.


    Mentre parlava aveva composto i sigilli per evocare Kubomi, un piccolo drago, lungo poco più di un metro, ben poco brioso rispetto al suo solito, quasi scosso, col faccino triste che solo un bambino a cui era stato fatto un torto impagabile sapeva fare.

    Immagino tu non abbia trascorso troppi giorni felici ultimamente, eh?

    Disse il Colosso mentre gli permetteva di avvitarsi sul suo braccio e poi attorno al collo.

    Al monte non tutto scorre liscio di questi tempi

    Rispose sommessamente.

    Fortuna che ancora c’è un po’ di tempo per giocare lontano da li no?

    Disse Raizen col tono di chi la sapeva lunga, mentre il piccolo rettile tirava su la testa, quasi rinvigorito da quelle parole.

    Giocare?

    Chiese, con un sottile tono speranzoso nella voce mentre tirava su la testolina.

    Già, le due signorine qui stanno cercando di svezzarsi, temo che gli occorra un po’ di sana acchiapparella tra gli alberi, non credi?

    Al che, il piccolo, come se le avesse appena notate, gli serpeggiò incontro a mezz’aria, era si un rettile, ma si notava subito che era ancora un cucciolo, forse per via di quei lineamenti ancora morbidi e quasi del tutto privi di quelle escrescenze ossee che rendevano i draghi minacciosi come tradizione vuole.

    Quanto sono veloci?

    Chiese prima di fare uno scatto rapido cercando di toccare ciascuna delle due in tre punti differenti ad una velocità abbastanza alta per gli standard delle due [vel. Verde] (schiena, petto, ginocchio)
    Ostacolato o meno che fosse stato nei suoi movimenti avrebbe annusato le due per poi scuotersi entusiasta, come se fremesse dalla voglia di iniziare.


    Mh, pare sarò di nuovo io a vincere!

    Disse poco prima di scattare verso gli alberi, sparendovi.

    Il piccolo già conosce le regole, ma voi no, ve le spiego, anche se sono abbastanza elementari: vince il primo che tocca l’avversario per 3 volte. Kubomi anche se piccolo vi darà parecchio filo da torcere, perciò voi due collaborerete, ergo i vostri tocchi si sommano.

    Appena entrate nella foresta poterono subito notare che tipetto avessero davanti, per parte del suo tragitto aveva lasciato evidenti tracce del suo passaggio che lentamente andavano scemando, come se lui stesso le stesse addestrando a qualcosa di sempre più complicato.

    La foresta non sempre dorme.

    I due studenti avrebbero potuto constatarlo presto, dopo i primi minuti in cui Kubomi, grazie alle tracce del suo passaggio (piccole strisciate sui tronchi e rametti spezzati) e il frullare della sua coda , li aveva condotti nei territori più instabili [acquitrini, rami muschiosi: intralcio medio e scarso equilibrio] poi, con sempre meno segni nei tronchi il paesaggio del bosco sarebbe sfumato in qualcosa di sempre più tetro, in un primo momento poteva essere solo una sensazione, perché dopotutto a guardarsi intorno le due studenti non avrebbero individuato nulla di particolare, forse il loro respiro, o il loro olfatto si sarebbe potuto accorgere che l’aria, in quel punto, era strana, come se fosse già stata respirata: pesante, tiepida, ma non puzzolente, umida magari. Solo dopo qualche altro passo li in mezzo si sarebbero accorte che il sole si faceva più lontano coperto dai rami che si intrecciavano, sempre più stretti, sino a quando non si sarebbero ritrovate in un vicolo cieco: davanti, dietro, sopra, sotto. Nessuna via era disponibile, solo qualche piccolo cerchio senza muschio era visibile tra i rami, l’unico segno di passaggio del drago.
    Erano sole, forse spaventate dall’evolversi e dal mutare di quella foresta, però il piccolo drago continuava a correre, potevano sentirlo tra le foglie frusciare e a volte sghignazzare, poi, come un fulmine bianco, lo videro passare tra i rami, immergendosi letteralmente in essi, come se fossero liquidi, e lasciando al suo passaggio uno di quei cerchi già osservati prima. Era possibile inseguirlo, dopotutto quella era solo una foresta, e quelli soltanto dei rami. Tuttavia, appena sfiorato il tronco o un ramo questo si sarebbe mosso, prima lentamente, come se si sgranchisse, poi rapido, tentando di menare un colpo all’autore del tocco. Le piante parevano rispondere agli stimoli con tanta potenza quanta gliene veniva scaricata contro. O almeno così sembrava dai piccoli rigonfiamenti che si formavano nella zona toccata e che viaggiavano sino ad incontrare un “incrocio” formato da due rami dello stesso spessore di quello stimolato, per poi scaricare la forza raddoppiata.
    C’era un intricata risposta in quella rete di rami, e forse anche una possibilità di vittoria se fossero riusciti a sfruttare quella gabbia nella giusta maniera.
    Ma sarebbero riusciti a vincere prima di Kubomi? Difficile dirlo, ma il drago non faceva mancare gli attacchi, tutti portati a quella velocità mostrata in precedenza [vel. Verde] e spesso in punti inusuali e ciechi grazie alla sua particolare modalità di moto.
     
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