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L'ispezione iniziale
Un tramonto tranquillo, dopo un bel pezzo tra l’altro, anche se non per tutti era facile apprezzarlo, tra le persone che non ci riuscivano era compreso lo stanco ragazzo che si stringeva nel suo mantello, lievemente infreddolito dall’inverno che arrivava in ritardo e dalla posizione che manteneva da ormai qualche oretta.
L’indecisione fatta persona, a dirla tutta.
Non sapeva se scendere o meno a terra, aprire quel cancelletto e bussare alla porta, magari buttandola a terra.
Per cui sarebbe rimasto li sopra ancora per un po’, guardando chi passava li sotto.
Non vedeva Shizuka Kobayashi da un pezzo, e a dirsela tutta la ragazza non gli stava troppo simpatica, se proprio doveva costringersi a riportarsela alla mente ben poche erano le cose piacevoli che si ricordava, in quanto la più indelebile restava il suo nobile sarcasmo che non infastidiva Raizen tanto per gli insulti quanto per il fatto che non facessero minimamente ridere!
Per il Colosso era quasi un codice d’onore. Se doveva insultare qualcuno doveva quantomeno far ridere, altrimenti tanto valeva star zitti.
Se insultare voleva solo dire affermare in un modo o nell’altro la propria superiorità allora era solo una gara a chi aveva il pistolino più grosso.
Senza contare che gli faceva bollire il sangue nel cervello il fatto che avesse da ridire ogni dannata volta che Raizen parlava.
Così, sospinto dal flusso di pensieri e dalla lieve ira si ritrovò sullo zerbino d’ingresso, guardandosi dietro pareva avesse avanzato ad occhi chiusi, considerando il cancelletto divelto.
Sbuffò mentre bussava alla porta, un rintocco di nocche ampio a sufficienza da fargli udire l’eco nel corridoio.
Aspettò a braccia conserte che gli venisse aperta la porta.
Raizen Ikigami, cerco Shizuka.
Nessuna risposta, solo uno sguardo dubbioso.
Beh? Che devo scrivertelo su un foglio di protocollo e metterci un sigillo imperiale?
Muovi le chiappe mozzo con i piedi all'asciutto e chiamami quella disgrazia che ti da lo stipendio! Marsh!
Disse restando a braccia conserte.
Sarebbe stato abbastanza difficile interagire con lui, occhi torvi a causa di una mal celata ira e il suo nuovo completo da missione, del tutto nero, che lo rendeva un ombra alta oltre due metri e larga quanto bastava da coprire alla vista ciò che stava fuori dalla porta e dietro di lui.
Il Colosso della foglia, per l’appunto.
Aspettò li l’arrivo dell’allieva, immobile come una statua.
Beh, e dove cazzo saresti stata tutto questo tempo?
Da quando abbiamo perso le tracce di quel cretino che dovevamo salvare da non mi ricordo dove non ti sei più fatta viva!
Avrebbe chiesto scocciato mentre con una spalla si poggiava al muro accanto alla porta. -
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Valutazione del danno
Quando il ragazzetto corse dentro casa Raizen sbuffò scuotendo la testa.
Mi domando perché in questa casa circoli questo spropositato numero di marmocchi.
Ma non dovrebbe essere attivo un qualcosa per impedire lo sfruttamento del lavoro minorile!?
A ben pensarci era raro vederci un adulto, e quando si facevano vivi necessitavano tutti delle virgolette, prima e dopo l’aggettivo.
Dovette attendere qualche minuto perché Shizuka facesse capolino dalla porta, tuttavia Raizen abbassando lo sguardo non trovò di certo ciò che si aspettava.
Per qualche secondo riuscì a fare ben poco oltre una faccia schifata, poi il suo cervello riprese contatto.
E tu piantala! Gallinaccia! Tornatene dentro a sciacquare qualche straccetto con quelle lacrime!
Forse si era riavviato in maniera un po’ violenta, ma non poteva sopportare quel comportamento disfattista, non in quel momento, aveva appena compreso di avere un problema, ed era più che sufficiente quello senza ulteriori aggravanti.
Si scostò dal muro, spingendosi lievemente con la spalla, per poi avvicinarsi al piccolo pulcino che gli stava davanti, si accovacciò e la fissò negli occhi, rosso contro verde. Era già uno spettacolo di contrasti.
Drizzò l’indice della mano destra e lentamente l’avvicinò alla fronte di Shizuka per poi spingere, sempre alla stessa velocità, continuando a fissarla negli occhi, atono e muto.
Avrebbe continuato così fino a buttarla per terra, era evidente che non si sarebbe opposta.
Che mezza sega.
Accompagnò la frase con un piccolo borbottio.
Va bene che i fili d’erba si piegano al maestro vento, ma qui si esagera.
Piegata con un dito.
E ora? Cosa avresti? Ti si è spezzata un unghia?
Ha trovato un allocco che ti ha dato attenzioni per cinque minuti e poi ti ha lasciato?
Si alzò in piedi, sovrastandola.
Oppure è per quei quattro buchi che sono stati fatti al villaggio quando c’era quel terrorista?
La guardò, aspettando risposta, ma la pazienza del Colosso è nota per essere sempre agli sgoccioli. Rapidamente calò la mano sopra Shizuka, afferrandola con poca grazia per il colletto, e tirata su la guardò, allo stesso modo in cui si guarda un bambino per convincerlo a fare qualcosa, fece per andare via, voltandosi, salvo rivolgerle la parola.
Riesci a gattonarmi dietro?
Andrò piano, così non ti perderai, promesso.
Era sia un offerta gentile e comprensiva che una sfida, ma anche un elemosina, stava a Shizuka tradurla nella maniera corretta o a lei più congeniale.
Accortosi della stasi di quel momento avrebbe sbuffato, girandosi verso Ritsuko.
ANCORA QUI?!?
Vogliamo portare a questa poveraccia qualcosa di adatto da mettersi?
FORZA!
Equipaggiamento e divisa ninja, subito!
Sorrise, ma era evidente che il volto del Colosso non sapesse sorridere, per cui l’espressione risultante era quasi inquietante.
E non provare a dire che non posso darti ordini Ritsucoso, altrimenti ti rado al suolo questa catapecchia tutta fronzoli e poi vi piscio sul giardino.
Tacque aspettando una reazione che in caso non si fosse innescata da sola avrebbe invitato con un gesto della mano, non si sarebbe mosso se Shizuka non avesse indossato ciò che aveva richiesto. -
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Saluti ad alta tensione
Assistette impassibile a tutta la vestizione della sua allieva, cercando di carpire di più di quanto il kimono non le avesse mostrato tra un cenno e l’altro del corpo di Ritsuko, ma i risultati furono deludenti, la ragazza pareva avere un certo talento per vestire la Kobayashi in mezzo alla strada.
Ti hanno fatto fare un addestramento specifico o è un tuo talento naturale quello di spogliare le persone senza farle vedere agli altri?
No perché ci si potrebbe mettere su un business come prestigiatore.
Commentò il Colosso per ingannare il tempo, pur ottenendo come risposta solo accurati movimenti dettati da un esperienza che forse avrebbe preferito fosse maturata in altre occasioni, dopotutto il fagotto che stavano incartando gli era caro.
Il rituale finì presto, ed il pacchetto fu pronto in breve, e con esso una velata minaccia di quella tipologia che al Colosso stanno parecchio scomode.
Cuciti la bocca, mezza tacca.
Avrebbe interloquito con un tono secco quanto serio.
Alla velocità del vento puoi al massimo spazzolarmi le scarpe, o tirarci la lingua se preferisci, con l’altezza da cui la tua testa si leva dal suolo è la cosa che ti verrebbe meglio penso.
TU sai quello che IO voglio farti sapere, contare quante stellette ho sul petto e guardarmi negli occhi è una cosa che possono fare tutti. Se poi tutti non sono bravi a fare due più due vuol dire semplicemente che non sono abili quanto te nella matematica elementare, complimenti, il tuo livello di spia ha appena raggiunto la mezza sega.
Sai solo ciò che credi di sapere, come tutti.
Stava per muovere verso l’ingresso del giardino quando con un piccolo scatto di incertezza mozzò il passo evitando così di passare oltre la servetta.
Ah, quasi dimenticavo, il mio lavoro non è proteggere Shizuka, è istruirla e lo faccio bene.
Il tuo quale è? Proteggerla?
L’unica volta che io ero a fare il mio lavoro in missione per il villaggio, tu anziché proteggere chi ti mette il piatto di zuppa davanti alla faccia ogni sera cosa facevi? Ti godevi i fuochi d’artificio?
Poi, voltandosi per mostrare il viso a Ritsuko continuò.
Vuoi davvero minacciare ME per una tua mancanza?
Torna dentro, salame, e la prossima volta conta i gradi sul petto dei terroristi anziché quelli sulle poche persone che coprono a gratis e senza nessuna richiesta i tuoi immeritati giorni di ferie.
Chissà forse la prossima volta tutte le cose generali che sai potrebbero aiutarti a fare decentemente il tuo lavoro e non un trucco da zingara da quattro soldi.
Concluse sputando a pochi centimetri dalle scarpe della kunoichi, delimitando la linea invalicabile che segnava ciò che ognuno sapeva dell’altro, perché dopotutto era vero che Raizen non sapeva niente di quella che considerava poco più che una sguattera, come anche era vero che lei sapesse di lui solamente ciò che stava sotto all’abbagliante luce del sole.
Andiamo Shizuka.
Furono le ultime parole del Colosso che avrebbero sentito per quella serata.
Fosse stato costretto l’avrebbe presa per mano, lievemente scocciato, anche se il vero peso di quella retromarcia non era tanto la fatica quanto il fatto che un suo ordine fosse stato bypassato.
Avrebbe iniziato a parlare solo una volta allontanato dalla magione.
Il tuo cane, perché son gentile a non dare nomignoli offensivi, pensi ci seguirà?
Non vorrei dargli motivo di fare un’altra delle sue uscite ad effetto in cui dimostra di aver origliato per bene chissà quale conversazione trasformandolo nell’evento del secolo.
Ma vabbè, aumentiamo il passo va.
Dalla residenza dei Kobayashi la via più rapida per giungere al monte dei kage era la piccola foresta che stava dentro alle mura, bisognava tagliarla parallelamente al viale principale, per incontrare il tacco roccioso che poi verso sinistra si trasformava nei soliti volti noti del villaggio.
Era quella la loro destinazione, per l’esattezza Raizen non si sarebbe fermato prima di raggiungere la testa del terzo Hokage, quella posta più in alto, avendo cura di passare, nel tragitto, dietro alle altre, in modo da non scorgere mai il villaggio.
Restando nascosto dietro alla spinosa capigliatura del terzo avrebbe rivolto la sua parola alla sua allieva, con un sospiro che sapeva di “ligio al dovere” o forse semplicemente di “ricerca della serenità necessaria a comprendere il prossimo”, ma distinguere la nota di un sospiro non era semplice.
Beh, cosa aspetti a parlare?
Vuoi una richiesta in carta bollata?
Ci avrebbe pensato solo dopo qualche istante che non era il modo migliore per iniziare una conversazione di quel genere, beh, se non altro era rimasto nel personaggio.
Io non sono il migliore degli strizza cervelli, però se mi dici cosa ci fai con quella cicatrice sul petto e con quella faccia da stracciona quando hai le chiappe perennemente al caldo magari abbiamo qualcosa di cui parlare anziché stare qui come due beoti a guardare il cielo.
Nel senso, parliamoci chiaro, sarebbe anche romantico, ma non sono mai stato romantico senza un doppio fine, non so se intendi.
Insomma, ti tocca parlare, io dopo un po’ parto con le stronzate a ruota libera.
Aggiunse confessandosi in tono secco e rapido.. -
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Primo Intervento
Mentre il Colosso parlava Shizuka continuava a borbottare come una povera demente, particolare a cui per un primo momento Raizen non badò, lasciando che quanto di sbagliato ci fosse in lei in quel momento fluisse all’esterno in un modo o nell’altro.
Soltanto quando lui finì di parlare lei parve recuperare improvvisamente la lucidità, cosa che meravigliò non poco lo shinobi, disarmato di fronte a quel cambiamento repentino.
Si voltò aggrottando la fronte.
Non sei normale.
E non lo dico tanto per dire, lo dico perché davvero, non sei normale.
Interagì con scarso tatto.
Ti ho preso da casa tua qualche minuto fa, e la cosa a cui ti si poteva rassomigliare con maggiore immediatezza era una larva troppo timida e indecisa sul da farsi dentro la propria crisalide.
E mo, tutto ad un tratto parli come se ti avessero inserito un CD preimpostato sulla testa che ti fa raccontare tutto quello avvenuto in mia assenza.
Contrasse la bocca in una smorfia che Shizuka sapeva essere un misto di scarso convincimento e abbondante insoddisfazione.
Il percorso classico sei tu che piangi, io che ti ignoro e tu che ti sfoghi.
Non tu che ti svegli all'improvviso e parli a ruota continua sparando informazioni che già sapevo e di cui, obiettivamente mi importa poco.
Ora.
Disse con tono al contempo conclusivo e di avvio.
Siamo precisi, tu non sei stata solo a dormire e riposarti, sei stata la bellezza di non so quanto, ma di sicuro era tanto tempo visto che ti davano ormai per spacciata -e non so quanto sia corretto parlare al passato- , sta di fatto che eri in stato catatonico, e credimi, devi essere un individuo profondamente stronzo per ridurti in quello stato.
Mentre parlava cambiò posizione, spostandosi dal fianco di Shizuka per mettersi di fronte a lei.
Per cui, ora, interagiamo.
Le mani si mossero avanti e indietro indicando uno scambio tra i due che pareva fosse indispensabile.
Non mi interessa nulla di Masayuki, so a malapena il suo nome e l’ho sempre considerato a malapena un cazzone, figurati quanta considerazione potevo avere di lui, e figurati quanto potrebbe importarmi se il mondo può vantarsi di essersi scrollato dalla groppa un altro come lui. Insomma, non dico di essere felice, ma non sono decisamente triste.
E ti dirò, non mi importa neanche di Kurotempi, ma lo senti che nome del cazzo hanno?
È così ridicolo che avendo un gatto non mi sognerei nemmeno di punirlo per tutta la sua vita con un nome simile.
Appurato questo.
Sorrise bonariamente mentre tendendo l’indice la indicava.
È di te che mi importa.
O meglio.
Aggiunse l’ultima frase mentre roteando la mano spingeva nuovamente avanti il discorso.
Ho legato il mio nome a poche cose in questa vita di mondo e diciamo che sono stato abbastanza selettivo, escludendo qualche povero demente che fortunatamente il corso degli eventi è stato così gentile da digerire, impedendo al mondo di ricordare che fosse in qualche modo legato a me i rimanenti sono tutti primi in qualcosa.
Tu, al momento.
Beh.
La guardò seriamente con quella compassione che sapeva piacergli ben poco, quel genere di compassione che si riserva agli storpi e agli invalidi.
Diciamo che non avrei troppa pena a farti digerire.
Non perché tu abbia in qualsiasi modo fallito, ma per il modo in cui lo fai.
Parliamoci chiaro. Guardati allo specchio, se non ti fai pena è solo per autoempatia nel vedere il tuo riflesso.
Spiegami dunque, devo proseguire oppure tutto questo ti è sufficiente per farti comprendere che mi interessa comprendere cosa è successo DOPO l’attacco?
Attese a braccia conserte e gambe distese la sua risposta, nascondendo una piccola nota di piacere nel notare che sotto ai suoi fili la marionetta aveva fatto qualche piccolo movimento.. -
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Accensione a strappo
Shizuka.
Un impertinente ragazzetta il cui miglior talento era indubbiamente quello di far saltare i nervi al Colosso, non che fosse un compito difficile per chiunque, ma lei era in grado di farlo con una metodicità così sopraffina che il rilascio dovuto alla rottura tuonava come la discesa del dio del tuono sulla terra.
Forse era la sua innata capacità di mettersi al centro del mondo nonostante al suo interno non fosse che un insignificante macchiolina come qualsiasi altro essere umano.
Non sapeva cosa fosse di preciso, ma in questi casi aveva l’abitudine di reagire quasi come uno specchio, mostrando al suo iroso interlocutore la medesima espressione.
Quanta paura può fare il contenitore di un demone che borbotta il suo disagio?
Ahahah! Umano!
Questa cosa è così divertente che potrei volerne una seconda puntata!
Mostragli cosa vuol dire far incazzare un rattaccio di fogna!
Il peggior calmante in una situazione di tensione era qualcuno che ti spingeva ad usare la violenza, alimentando la fiamma primordiale e istintiva della supremazia fisica.
Digrignò i denti trovando un piccolo sfogo in quel gesto sufficiente a tranquillizzarlo il tanto che gli bastava a fargli utilizzare la bocca e non le mani.
Piccola.
Sudicia.
Stronzetta.
Ingrata.
Scandì le parole tra un oscillazione della mascella e un’altra, cercando di non interrompere quel ritmo lenitivo.
Per quanto io mi impegni ad insegnarti come stare al mondo ancora non riesci a comprendere che sei attaccata al suo seno da quando tua madre ti ha messo al mondo, e il modo migliore che trovi per ringraziare è mordergli il seno.
Chi cazzo ti credi di essere?
CHI CAZZO TI CREDI DI ESSERE?
L’aumento del tono della voce fu del tutto incontrollato, ma parve che dopo un primo sfogo il Colosso fosse riuscito a ritrovare la calma.
Vuoi la gente morta?
Pezzente col cervello annacquato, non sei logica nei tuoi momenti di sanità mentale figurati ora.
Ma a tutto c’è un limite, spiegami, perché vorresti la gente morta?
Perché ormai ne hai vista già così tanta da essere gelida?
TU stai per spezzarti.
L’ultima frase arrivò come una stilettata, riguadagnando una fredda impostazione vocale che rese quelle poche parole ben più tangibili e violente della furia liquida che Raizen eruttava fino a pochi istanti prima.
Il freddo è solido.
Sei come un pezzo di vetro rovente , senti il calore, senti il potere del fuoco, ma basta una goccia di acqua fredda per mettere a nudo la tua cristallina imperfezione e farti esplodere in una nuvola di schegge che non arrecherebbero danno neanche ad un bambino affetto da senilità precoce.
Trovi solo il modo di ammonticchiare più scuse per il tuo pietoso fallimento, in un pietoso circolo di autoprotezione e odio verso i tuoi sensi di colpa che ancora ti dilaniano. Sei debole.
Sei così debole nel profondo da farti contaminare da qualsiasi evento negativo, senza comprendere che la vera forza sta nel mantenere intatta la propria strada, quale che essa sia.
Sei così debole da farmi ribrezzo.La sua espressione mutò trovando una placida serenità, non glaciale e calcolatrice, non innaturale, solo la più sincera espressione di serenità interiore, probabilmente dentro di se aveva trovato la soluzione.
Mi sono stufato di farti da balia, forza, usa quelle tue belle cosce e mettiti in piedi.
Ordinò mentre si alzava, qualcosa dalla sua voce era totalmente svanito.
Conscio che il suo ordine potesse non trovare alcuna risposta era pronto a prendere la Kunoichi di peso per l’avambraccio e strattonarla con ben poca gentilezza fino a metterla verticale.
Cammina.
Un nuovo ordine che poteva essere eseguito in autonomia o con un leggero aiuto fisico da parte di Raizen.
Con Shizuka avanti i due uscirono dai capelli del terzo hokage, spingendosi fino al sopracciglio da cui potevano godere della migliore e illimitata vista sul villaggio. Durante il piccolo tragitto, nascoso dalla posizione poco favorevole di Shizuka, Raizen creò un singolo clone che subito si immerse nel volto della statua.
Da quanto il tenero pulcino che ora pigolava come la chioccia che non era non la vedeva?
Probabilmente da tempo a sufficienza da ritrovarla esattamente come la ricordava nei suoi migliori ricordi, nessuno era a lavoro su alcuni cantieri, ma soltanto alcuni erano attivi sugli ultimi danni causati dall’attacco della banda di Hayate, il resto scorreva tranquillamente, alla Foglia non c’era spazio per le cicatrici.
Guarda avanti, guarda Konoha.
Solo tu ti sei fatta sfreddare dai buchi che ti sei fatta addosso, il fuoco della foglia arde e riscalda come sempre.
Soltanto belle parole per dire che a nessuno importa di chi siano le spalle su cui gravano quelle vittime, nessuno le cerca per metterle sotto terra insieme alla sua incapacità.
Non c’è solo una foglia, ce ne sono migliaia, e ogni volta che la foglia da te conosciuta cadrà ce ne sarà una nuova pronta a sbocciare.
Tacque qualche istante, mantenendo la sua allieva dinnanzi a se.
Se tu non fossi così debole avresti già capito che tutto ciò che è successo a te stessa dopo quell’esperienza doveva aiutarti a canalizzare le tue forze per annichilire la persona che ti ha fatto tutto quel male.
Invece l’odio sta divorando te stessa, senza la cortesia di cucinarti o usare posate ti spolpa a morsi mentre rantolando lo guardi impotente sperando che possa darti una scintilla utile a brillare gli istanti necessari ad incendiare le persone sbagliate.
Persone come te o muoiono da eroi, o vivono abbastanza a lungo da diventare mostri.
Ciò che successe dopo aver pronunciato quella frase fu ovattato da una strana sensazione, quella sensazione data dall’essere coscienti di compiere un’azione di cui si sarebbe pentito per una vita intera.
E questo villaggio ne ha già troppi.
La velocità con cui la mano di Raizen si posò sui seni di Shizuka probabilmente era troppo elevata perché un Uchiha implume come lei potesse difendersene e altrettanto lo era la spinta che ne derivò consegnando il piccolo corpo all’inconsistente abbraccio del vento.
Sarebbe precipitata per chissà quanto prima di sfracellarsi al suolo, forse un epilogo troppo triste per una bambina che ancora non aveva capito il linguaggio con cui il mondo e la vita comunicavano con lei.
Certo non avrebbe avuto scampo da quell’altezza se, poco più sotto, nello zigomo del terzo non fosse spuntato il clone, all’ultimo momento, afferrandola in uno stretto abbraccio di ferro.
C'erano forse altri modi di riprendere in mano le redini di quella situazione, ma Raizen aveva sempre utilizzato questi, perchè infondo, erano i più efficaci dato che la spavalderia di Shizuka poteva essere mondata solo in quel modo.
Vuoi morire?
Chiese con candida semplicità.
Ouhhhhhh mossa azzardata.
Era interessante come la Volpe potesse appassionarsi alla storia di Raizen.. -
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Ritorno di fiamma
Il pericolo dell'accensione a strappo
In qualcosa l’allieva era sicuramente cresciuta, pareva l’abilità e l’iniziativa non gli mancasse, quando il Colosso la vide sfiorare la statua e caricare il pugno si accese di un ira così profonda da annebbiare i suoi stessi sensi e la sua capacità di giudizio.
Si sarebbe scaraventato anche lui giù dal sopracciglio, camminando al contrario in modo di poter usufruire, oltre che della gravità anche della sua spinta per accelerare la caduta, un azione quasi folle che lo lanciò capovolto nel dirupo.
Giunto all’altezza dell’allieva in poco più di un istante strinse le braccia al corpo indurendole quanto più poteva aumentandone la resistenza attraverso il chakra.
Incassò alla perfezione, venendo scaraventato verso il volto insieme all’allieva che si preoccupò di trarre a se finendo a ridosso della cicatrice del terzo, stette li qualche secondo, con le braccia doloranti, riuscendo a passare le vesti con lo sguardo si sarebbero visti due ematomi in espansione.
Quando riuscì ad emergere dalla fessura Shizuka gli parlava.
Ti ho chiesto se volevi morire perché morte chiama morte, e basta.
E tu non fai altro che urlare “morte” come i corvi che piacciono tanto al tuo clan del cazzo.
Rimase qualche secondo in silenzio, disarmato, riflettendo su ciò che avrebbe detto, e sul fatto che pur potendo la sua allieva lo aveva colpito, esattamente come aveva fatto lui dopotutto.
Non fu quello a meravigliarlo, forse era l’acquisita capacità da parte di Shizuka di poterlo colpire come se nulla fosse.
Vuoi DAVVERO farla vivere questa stronzetta?
Ti sei sigillato un demone dentro per questo villaggio ed esiti a ridurle la faccia ad una disgustosa poltiglia?
Sollevò gli occhi verso la donna mentre batteva i denti lentamente, concentrato su chissà quali pensieri.
Ho sbagliato tutto, sei cresciuta e bla bla bla.
Sorrise malinconicamente.
Qualsiasi cosa che riguardi due persone si fa in due, se la situazione si evolve sempre alla stessa maniera forse è perché necessiti sempre degli stessi modi.
Guardati, cinque minuti fa neanche ti ricordavi come si parla, ora invece colpisci addirittura il tuo maestro.
Io onestamente son soddisfatto del progresso.
Ma sei troppo testarda per ammettere qualsiasi cosa che possa negare anche una virgola di quello che hai detto.
Ammise con triste orgoglio.
Non era semplice rendere Raizen triste, e ancor meno semplice era vederlo triste. Non era quel genere di persona che ama la compagnia, il rumore della voce altrui, le strade la gente.
Molto probabilmente gli piaceva semplicemente vivere, respirare, conservarsi seguendo il più basico degli istinti, senza badare ad altro, tutto il resto accadeva perché gli piaceva essere il migliore in ciò che faceva, se qualcuno cacciava prede grosse lui ne avrebbe cacciato di più grosse, sarebbe stato sempre al vertice della sua piramide alimentare e mai nessuno l’avrebbe scomodato da li.
Ma agli effetti lui era anche un uomo, e come tale non sempre aveva la forza per stare da solo, ogni tanto desiderava che il suo vertice fosse condiviso. Ma dopotutto lui era strano: difficile, per descriverlo con una parola. Trovare un solido e perfetto incastro che gli permettesse di accoppiarsi con qualcuno era un impresa paragonabile ad un uomo che sfida un Demone sperando di poterlo vincere.
Possibile, ma molto, molto difficile.
Sai Shizuka, tu non sei una persona semplice.
E amava riflettere parti di se stesso sugli altri. Conscio della sua complessità credeva che proiettare una parte del gigantesco e complesso ingranaggio che lo rappresentava sugli altri poteva aiutarlo a trovare una similitudine con loro, un pezzetto di un puzzle che completandosi con la conoscenza l’avrebbe aiutato a tradurre il complesso linguaggio che gli altri parlavano e che a lui risultava macchinoso e incomprensibile.
Io non faccio mai niente a caso in realtà, e mai le scelte che ho effettuato anche con te lo sono state, c’era sempre una fine programmazione dietro che tu, come tutti gli altri, non siete stati in grado di vedere. E forse il nasconderla troppo bene è stato l’errore principale.
Tu e Kuroko non eravate due studenti qualsiasi, tu e Kuroko eravate due potenziali Uchiha, e la mia principale debolezza in battaglia sono i genjutsu, o meglio, lo era al tempo.
Vi scelsi perché piccole larve com’eravate potevo seguire il vostro cammino, la vostra crescita, due potenziali Uchiha nel palmo della mia mano mi avrebbero insegnato a colmare le mia debolezza che sarebbe diminuita tanto quanto loro sarebbero cresciuti.
Inizialmente non eravate che due pezzi di carne destinati ad un pasto che mi avrebbe reso più forte, ne più ne meno.
Sospirò.
Ciò che non si può prevedere è il carattere di una persona e come si reagisce ad esso, e io a voi ho reagito in maniera del tutto inaspettata, anche per me, il che è assai raro. Da due pezzi di carne siete diventati persone tangibili con cui potevo interagire, e lentamente ho cercato di tirarvi su come meglio potevo, seguendovi passo passo.
Te in particolar modo perché ho potuto tenerti vicino.
Ho provato a renderti forte, forte come lo sono io, non perché io sia Dio ma perché mi rendo conto di avere un animo del tutto intaccabile agli agenti esterni, o quasi.
Cambiò posizione, riuscendo a sedersi nell’incavo che la cicatrice lasciava.
Qualcosa prima o poi entra sempre, qualcosa ci ferisce in un modo o nell’altro perché niente è perfetto. Quando accade a te cosa succede?
Ma prima di darti la risposta ti faccio notare come questo rapporto di dualità già ora sia evidente, ossia parlando di te si deve necessariamente parlare di me, non ti fa già sorgere qualche dubbio?
Dicevo, sei attorniata da persone, servi, parenti, chiunque ti porta un dono per farti sorridere, ma nel tuo egoismo badi solamente a te stessa a quanto tu soffri a quanto gli altri non soffriranno mai.
Non sei sopra il mondo, ci cammini, come tutti solo che al contrario di tutti non sei in grado di comprendere che il male che provi non è soltanto il tuo.
Hai detto che sei stanca del mondo, ma visto che soffri così tanto e per il mondo fai così tanto, dimmi, cosa hai mai fatto per… me?
Non aveva mai posto una simile domanda a Shizuka perché mai era stato necessario, mai fu necessario far notare al prossimo quanto lui faticasse per acquisire una fiducia e un rispetto che di fatto non pretendeva ma chiedeva a gran voce, per avere un posto anche nell’animo altrui, che fosse suo e soltanto suo, per essere il primo anche dentro a qualcuno.
Che chiedere fosse quindi la risposta?
Sei mai venuta a chiedermi come va?
Cosa hai fatto? Cosa è successo?
Hai mai bussato alla mia porta?
Mai.
E mai l’ho preteso, perché io infondo sto bene anche da solo. Mentre invece il mondo che ora tanto disprezzi quante volte ha bussato alla tua porta?
Quante volte ti ho raccolto dalla fredda terra in cui sei caduta per rimetterti in un tiepido nido in cui non ho mai desiderato entrare per non disturbare?
Quante volte ti ho teso la mano senza chiedere, senza pretendere nulla, tranne una cosa.
Che tu riconoscessi te stessa, i tuoi limiti e ne facessi la tua forza, sia come donna che come kunoichi.
La guardò dritta negli occhi, con uno sguardo che probabilmente lei non avrebbe mai riconosciuto se non avesse avuto la briga di scavare in quegli occhi rossi un tempo grigi, dietro quelle sopracciglia marcate e forti, dietro quelle rughe d’espressione marcate dalle intemperie.
Dietro a quell’espressione, che pur triste conservava la durezza di un volto che non sapeva esserlo più di un fugace sguardo passeggero che rappresentasse tale condizione.
Non hai saputo dare ne a te ne a me nemmeno la tua felicità.
Dichiarò con tono sottile.
Non sei mai cresciuta e mai crescerai, guardati!
Sei così impegnata a piangerti addosso che non ti rendi conto che il treno che sta deragliando è quello che guidi tu… la tua innata è maledetta?
Ma per favore! Io convivo con un demone!
Hai solo gli occhi rossi, se fossi nata con i capelli biondi saresti destinata a fare la modella?
Il tuo corpo segue la tua mente, se tu ti fai divorare dall’odio non dare la colpa ai tuoi occhi, non si pensa con quelli, si pensa col cervello.
E il tuo cervello, TU, credete che la cosa migliore da fare sia odiare il mondo.
E TENTATE di distruggerlo esattamente come hai fatto con me.
Riprese fiato, inalando per qualche secondo.
Non tutti sanno calarsi le braghe davanti al prossimo e ammettere che forse necessitano di qualcuno, alcuni preferiscono farsi da parte e non dare disturbo mentre ricompongono ciò che altri hanno infranto.
Alcuni, non sono in grado di ringhiare contro chi gli tende una mano quando sono feriti.
Alcuni, semplicemente, stanno in disparte perché le persone non cadono mai in avanti, in avanti guardano e basta, stanno di fianco o dietro aspettando di poter fare la loro parte nel momento del bisogno.
Altri invece addirittura fingono di necessitare degli altri, solo per avere la gioia di potergli urlare nel viso quanto siano inutili nonostante i risultati raggiunti.
Tu non sei cambiata neanche di un soffio, hai solo deciso che odi il mondo, ma il resto è identico, una donnetta viziata che urla al mondo i suoi desideri e le sue aspettative aspettandosi che questo con un inchino le esaudisca, per poi disperarsi quando non avviene.
Quanto poteva essere grande un sentimento?
Poteva raggiungere dimensioni abbastanza vaste da diventare un filtro che avviluppava la realtà mutandone l’apparenza e la percezione?
Era possibile descrivere qualcosa di simile per qualcuno che possedeva a malapena gli strumenti comunicativi indispensabili per acquistare del cibo? Come era possibile per un individuo simile valicare un simile ostacolo, quasi una sorta di autismo verso il mondo?
Una vita passata a raccogliere ogni esperienza, persino la più insignificante diventa una vita scomoda, pesante, di sicuro vi si troverà sempre lo strumento adatto per sostituirne uno ancora sconosciuto, ma sarà sempre più ingombrante del dovuto ed insieme agli altri occuperà uno spazio ed un peso che renderanno quella vita spossante, difficile da trascinare.
Forse la soluzione poteva essere rappresentare tutto con dei gesti, magari inconsueti, ma quanto doveva essere incisivo un gesto per essere all’altezza di tutte quelle esperienze, di tutto quel mondo che con tanta dovizia si portava appresso?
Raizen era giunto alla conclusione che doveva essere sempre più estremo, che doveva spingere sempre il suo interlocutore al limite per fargli provare le sue stesse sensazioni, per riuscire a farlo entrare dentro di se.
Non era una cosa che poteva fare con tutti, fondamentalmente con nessuno, per questo era molto più semplice aspettare che qualcuno sporgesse la testa nel suo zaino e rovistasse per conto suo, lui avrebbe atteso e al momento opportuno avrebbe descritto con la più fine minuzia ed attenzione ogni particolare dell’oggetto che incuriosiva la persona di turno.
Non era mai accaduto. Pareva che fosse troppo bravo a recitare e che la sua irruenza apparisse il suo vero volto dietro al quale non c’era bisogno di cercare ulteriori verità, e poteva essere vero in alcuni frangenti, ma la sua vita, il suo essere erano nascosti tutti alle spalle di quel fine velo di cartapesta!
Al contrario di chi, con una semplice maschera di apatia riusciva a coinvolgere gli spiriti più impreparati a curiosare in una vita piatta o fatta delle più grosse frottole.
Il mondo non era cattivo, ma indubbiamente girava al contrario.
Dimmi Shizuka, in tutto il tempo che ci conosciamo quante volte hai chiesto di ME come io ho chiesto di TE?
Rifletti prima di rispondere, e quando sarai certa della risposta dimmi quanto di corretto ci sia nell’odio e nell’abbandono che senti di subire, dimmi se è giusto che sia TU a strisciare per terra.
Ti chiudi in te stessa sbarrando qualsiasi entrata di fronte a chiunque cerchi da entrare e da dentro ti lamenti ululando alla cattiveria e ingenuità di chi all’esterno non riesce a trovare una chiave che comunque sarebbe inutile.
Magari adesso ti sembrerò lo stesso di sempre, invariato e immutato, ma credimi, è solo un altro pezzo di una maschera che ti sto gettando nel viso, minuto per minuto. Ho compreso come piegare il mondo al mio volere ma cosa importa?
Mi chiedi di mostrarti quanto sia cresciuto, ma se già la distanza tra noi è così ampia perché mai dovrei farla aumentare ulteriormente? Come faresti a raggiungermi?
Ho aspettato, solo in mezzo ad un mare di persone che qualcuno arrivasse per ME, credendo che prima o poi sarebbe arrivato e io potessi aprirmi senza remore, potendogli svelare ogni più piccolo segreto, ogni più piccola paura, ogni più piccolo trauma.
Ho aspettato seduto sui marciapiedi, dentro giganteschi palazzi, in altri villaggi, ho aspettato ovunque che qualcuno fosse interessato a scalfire la superficie che tanti avevano a malapena leccato nel tentativo di scioglierla come fosse un banale ghiacciolo.
Le risposte stavano negli occhi.
Aspetto un’intera vita di essere primo e insostituibile per qualcuno, di essere un qualcosa di troppo grande perché ci sia spazio per altro. Di poter essere la prima e l’ultima goccia del vaso.
Ma non sono ferrato in questo, io non sono affatto bravo in questo. Ho sbagliato.
Ho aspettato invano.
Si alzò, senza abbandonarne lo sguardo, le braccia abbandonate sui fianchi a causa del dolore, simili alla paralisi a cui erano sottoposte quelle di Shizuka.
Proprio perché sono riuscito a farmi sigillare un demone all’interno una carezza come quella non può essere niente più che una carezza.
Sei così basso da uccidere qualcuno solo per una carezza, Kyuubi?
…ah si, vero, la risposta è decisamente si.
Anche io probabilmente, ma a questo punto sconto più, sconto meno ha poca importanza.
E ora, sono stanco.
Concluse, tornando a parlare con Shizuka.
Sbaglierai tante altre volte, crescerai storta, ma sarà la tua direzione, quella che ti piace tanto e che invece a me fa ribrezzo.
Dici che non ho saputo plasmarti? Hai ragione, ma purtroppo sono stato così stupido da mutare solo la superficie, l’animo, quello importante, è rimasto invariato.
Mentre la superficie è così identica a me da respingermi e tenermi lontano, come le due famose calamite.
Non avrai ostacoli, non avrai il mio ostacolo, perché non vorrò MAI essere il tuo errore o parte di esso.
Sbaglierai da sola e sola ti rialzerai, sempre che questo possa interessare all’adultissima te.
Calcò la mano sul loro ultimo errore con la forza di un torchio, e senza aggiungere altro si voltò, incamminandosi verso il villaggio, seguendo il volere di Shizuka: allontanandosi fino a sparire.
Decise infine di non rivelargli che era a conoscenza della posizione di Kuroko, ma non potè fare a meno di sorridere all’ennesimo errore che avevano commesso e che solo le sue parole avrebbero potuto rivelare, chissà quanto ne sapeva di questo l’informatissima Ritsuko.. -
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Il varo
La tempesta travestita da marea
Il Colosso scosse la testa, arrestandosi.
Sai cosa? Io sarò affetto da amnesia ma tu hai un problema quasi più grave ricordi selettivamente, partecipo anche io a questo errore, ma lascia che ti ricordi delle terme, perché proprio quelle ci permettono di parlare ORA in questo modo.
Fece una pausa, fissando i propri occhi su quelli di lei, curiosamente simili.
Tu, mi dicesti che IO non ero la tua valvola di sfogo, che se non mi dicevi tutto era perchè evidentemente non ero la persona adatta, credimi, lo ricordo bene.
In quel momento sei stata tu a mettere l’acciaio nel cemento che io stavo gettando, murando ogni tua possibilità d’accesso.
Ho un modo strano di rapportarmi con gli altri, ma è questo, tu mi dicevi della tua famiglia io ti dicevo della mia, il problema è che niente di tutto questo per me era importante quanto lo era per te.
Famiglia, difficoltà ad accettare una doppia identità e tutto il resto, per me hanno poco peso è un qualcosa a cui mi sono abituato.
Io non sono stato cresciuto come shinobi, e lo sai, io ho saputo diventarlo, è diverso.
La indicò, in un primo momento senza parlare.
Guardati, di nuovo.
E dimmi cosa è quella merda che ti va dalla spalla al fianco, è così grossa che potrebbe passarci un treno.
Cerchi di lasciarti addosso i segni di una crescita che non ti serve puntellare.
Non ti serve ricordarti che ora sei più grande, non ti serve ricordarlo agli altri.
Anche perché, diciamocelo, non me frega proprio un cazzo.
Ti ho sempre detto che uno shinobi necessitava di due vite e hai appena finito di dirmi che ne hai volontariamente abbandonato una. Sei ammezzata.
Sentenziò con la sua tipica supponenza.
E non me ne importa nulla se il mio giudizio è sbagliato se mi faccio fantasie e quello che stradiavolaccio pare a te. Questo si vede da fuori e questo dici.
Sospirò torturandosi le guance con i denti mentre rifletteva, ed era chiaro quanto quella che pareva essere una decisione fosse importante per lui, più volte il suo sguardò saettò da una parte all’altra di quella cicatrice, pareva che in essa vi ritrovasse qualcosa di profondamente errato, a sufficienza da reputarla estranea a quel corpo, addirittura a questo mondo.
Mi sono rotto di stare appeso alla faccia di questo vecchio.
Fu il suo modo di dire a Shizuka di seguirlo mentre si spostava, la portò in una parte più silenziosa del villaggio, una piccola piazza con una fontana in ghisa al centro il cui rubinetto ormai vecchio, scandiva il tempo con l’acqua che perdeva quando il chiacchiericcio dei passanti non ne sovrastava il rumore.
Le poche panchine a disposizione erano quasi del tutto vuote e quello spiazzo, quasi scavato tra i fitti alberi tipici di Konoha, andava ormai svuotandosi.
E rilassati, sei troppo tesa, dopotutto sei stata brava.
Avrebbe affermato riferendosi a qualcosa che lei, cresciuta come si credeva d’essere, probabilmente non si rendeva conto d’aver fatto.
Sospirò nuovamente.
C’è qualcosa oltre l’allievo e il maestro, certo.
Siamo stati a contatto in un modo che non ci avrebbe permesso alternative allo sviluppare un rapporto diverso.
Ma a ben pensarci, cosa è?
Sei tu che maldestramente cerchi di sapere chi e cosa sono e sono.
Chinò la testa mentre col pollice cercava di allisciare una piccola scheggia della panca in cui stava seduto, un piccolo gesto con cui ingannava il tempo necessario a pronunciare quelle parole volutamente caute, su cui voleva darsi la possibilità di tornare indietro prima di ultimare la frase se si fosse accorto di sbagliarla.
E sono io che uso tutta la mia forza per rompere qualsiasi tipo di maschera tu voglia metterti addosso, da quella di una stupida bambina sulla punta dei piedi, a quella di una donna dietro una cicatrice il cui peso ormai la schiaccia. E smettila di affermare il contrario.
Per l’inferno, smettila!
Non esistono maledizioni, esistono solo checche smidollate dagli occhi congiuntivitici che danno parole altisonanti a scelte che il loro culo tremolante ha paura di prendere.
Non c’è maledizione, non c’è un baratro, ci sei tu e ciò che vuoi fare di te, non raccontarmi altre storie, sono ridicole, e credimi non è un vanto, ma ne conosco davvero tante.Si girò verso Shizuka, il Raizen di sempre dopotutto, un po’ scompigliato ma ordinato nel complesso con quella sua divisa nera ed essenziale, che faceva risaltare i suoi capelli chiari come una cascata al chiaro di luna. Aveva un sorriso stiracchiato sulle labbra, un angolo della bocca piegava verso l’alto, marcando l’alto zigomo di quel suo sciupato dall’incuria tipicamente maschile che lasciava la barba più lunga della dignitosa rasatura a pelle.
A me Shizuka piaceva prima.
E non mentirmi, non dirmi che non esiste più o che è cambiata perchè cresciuta, la vedo muoversi ogni volta che apri gli occhi a sufficienza.
Non mi infastidisce che tu cresca, che tu sia capace di uccidere, mi infastidisce che tu perda il tuo animo cristallino, era una peculiarità come si potrebbe dire, rinfrescante?
Ora arrivi qui, ti porti dietro il tuo zainetto di odio e speri che io possa accettarlo?
A me i cambiamenti non piacciono generalmente, diciamo una sorta di piccolo autismo, figurati quando sono in peggio che reazione possono causare. Ah no aspetta, l’hai appena visto.
Figurati quando mi accorgo che a causarli non è una crescita spontanea ma un trauma.
Esplodo, e non posso farne a meno.
Esplodo quando parli di appoggiarti a qualcuno solo perché potrebbe portarti più in alto.
Esplodo perché non vengo escluso da quel gruppo, ma soprattutto perché mi conosci così poco da pensare che potrei accettare una cosa simile.
Dichiarò senza mezzi termini, anche se pareva lievemente risentito, seppur sicuro che fosse nel giusto era cosciente che le sue reazioni potevano essere esagerate e quando aveva l’occasione per rifletterci nuovamente poteva capitare che se ne pentisse.
Esplodo cercando di distruggere ciò che non gradisco, e avrai notato che non mi preoccupo di ciò che c’è tra l’esplosione e l’obiettivo.
Non voglio credere che tu sia così stupida da aver buttato te stessa così lontano da non poterti ritrovare, saresti solo l’ennesima baldracca con quattro kunai per mano, una kunoichi tra le kunoichi.
E credimi, non sarei in grado di vederti nemmeno se quei tuoi stupidi occhi diventassero grandi quanto le ruote di un carro.
Appoggiandosi sullo schienale della panchina parve trovare del sollievo da tutti quei piccoli gesti di autodistrazione.
Non era divertente vederti inciampare, arrossire e tutte le altre cose da Shizuka era… bello.
Si poteva percepire che quel placido soffio di vento sarebbe stato in grado di trasformarsi in uragano a comando.
Pronunciò l’ultima parola con un candore innaturale per lui, sottolineando in quel modo quella che per lui risultava essere l’unica parola degna di concludere quella frase.
Mi sono allontanato per mesi e mesi perché lontano mi ha portato il mio lavoro.
Sai cosa è successo mentre tu giocavi con i tuoi petardi?
Ero in una piccola isola sperduta nel mare tra Kiri e Konoha, combattevo delle strane creature, abomini, particolari esperimenti che portavano gli esseri umani a tramutarsi in bestie assoggettati da un'unica mente, il loro creatore e padrone.
Alcuni erano così forti che mi hanno messo KO, mi hanno imprigionato e torturato.
Eppure ne sono uscito, ho portato con me gli altri prigionieri e ora sono qui, senza cicatrici, ma con dell’esperienza comunque preziosa.
Ah. E non precipitarti, da allora sono diventato decisamente più forte, temo molte cose non sarebbero accadute con le capacità attuali.
Questo per dire che non sono un vittimista, semplicemente tutto ciò che ho fatto da quando ti ho prelevato da casa tua doveva portare a questo in qualche modo, se lo fossi stato a quest’ora sapresti cosa è accaduto in quell’isola, invece no.
Per dire cosa?
Quella cicatrice è orribile, non te la meriti.
Si alzò quasi di botto, seguito da lamento di qualche bullone che protestava per quell’irruenza, tendendo la mano a Shizuka, esattamente come la ricordava, grande eppure non tipicamente gonfia come lo erano le mani dei lavoratori, nodosa nelle giunture ma snella e agile, forse qualche callo in più dovuto al lavoro in fucina di cui tuttavia la sua allieva non sapeva nulla, una mano forte, al suo interno quella di Shizuka si sarebbe quasi persa, piccola, come sempre.
Vieni.
La invitò con uno sguardo che non tradiva la nuova marea che quelle parole avevano portato, se era vero che l’allieva voleva un’altra possibilità così come le sue parole chiedevano, appositamente per lei era sorta una nuova gravità per innalzarne una sufficientemente grande da sommergerla, si sarebbe opposta?
Come sarebbe riuscita da quella placida tempesta?
Se avesse accettato l’avrebbe tratta a se avvicinandosi al suo orecchio, in caso contrario sarebbe scattato in avanti con un mugugno poco dopo aver alzato gli occhi al cielo in segno di scherzosa noia.
Senza Shizuka non ci sarà MAI Raizen.
Se la sua allieva voleva dei compagni era vero che Raizen voleva qualcosa che credeva essere suo, qualcosa che a torto o ragione si prendeva i meriti di aver scoperto, dietro strati di piccole e grandi bugie, dietro muri di invalicabili divieti, dietro famiglie oppressive, dietro maschere di repressione: Shizuka, quella per lui vera, bianca e pura sotto la luna e non rossa di fiamme tra le tenebre.
E spegni quelle ridicole rotelle.. -
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Come nuova
Ci aveva provato, era indubbio che ci avesse provato, l’aveva fatto e ci aveva speso tutte le parole possibili, per un'unica ragione: voleva esser certo che tutto il necessario passasse e nulla rimanesse all’esterno, nuovamente gli era stato chiesto e nuovamente aveva dato questa volta senza alcun freno.
Il tutto senza alcun ritorno, il tutto per trucchi e cibo.
Per quanto non lo desse a vedere il Colosso era paziente, non con tutti, ma sicuramente con Shizuka, riusciva a dare il meglio di se da quel lato, ma probabilmente anche in quel frangente l’un l’altro avrebbero trovato da ridire su quanto, come e perché.
Come poteva essere riuscita ad ignorare tutto ciò che di suo aveva messo in quelle parole?
Sarai scemo, ed è innegabile, ma se tanto mi da tanto lei è la tua degna allieva.
Qualcosa nella voce del demone era totalmente sbalordito, e qualcosa in Raizen, per quanto un lato di se stesso non volesse ammetterlo, si era incrinato definitivamente.
Tastò la mano di Shizuka col pollice, era diversa, non poi troppo, ma dove prima era presente la pelle morbida che si confaceva a quella persona con cui Raizen non era in grado di perdere la pazienza, ora stavano dei ruvidi calletti, propri della persona cambiata o cresciuta, che aveva dinnanzi.
Avrebbe voluto portarla a conoscere gli anni che non si erano visti, gli avrebbe raccontato tutto ciò che voleva, ma quel così grande desiderio di conoscerlo pareva non fosse così impellente.
Doveva forse prendere atto di quel cambiamento?
Non voleva credere alle sue orecchie, ad ogni costo, e pur di non accettare il cambiamento e ciò che sentiva avrebbe preferito escluderlo, lasciare che accadesse senza che lui lo percepisse.
Avrebbe stretto tra le sue mani quel ricordo, emozione, sentimento o qualsiasi cosa essa fosse, senza cederlo a nessuno fino al momento opportuno, che la sua forza servisse ad altro, oltre che a prendersi la vita di chi desiderava.
Sospirò mentre rilasciava la mano, deluso da quell’ennesima prova di totale disinteresse.
Non sei pronta a me Shizuka, ne a ciò che chiedi, ne a ciò che potrei darti.
Probabilmente, non lo sarai mai, e mai sarai in grado di comprendere ciò che è invisibile agli occhi.
Sarai anche cresciuta, ma l’hai fatto lontano da me.
Gli accarezzò il volto struccato con una gentilezza inconsueta, consapevole che se mai si fossero rincontrati quella scena si sarebbe ripetuta come sempre: stessa intensità, stesse emozioni, stessi caratteri.
Forse con un esito diverso, forse no. Dopotutto nessuno, nemmeno Raizen stesso, avrebbe saputo dire quante volte ancora avrebbe potuto perdonare quella ragazza.
Quando vorrai riprovare cercami, ma fallo seriamente.
E fallo se ci tieni, prima o poi perderò la pazienza, e non urlerò più.
Sorrise, aspettando qualche istante prima di lasciarsi affondare nella terra, sparendo.
Edited by F e n i x - 15/2/2015, 00:11.