Kakurenbo

Role free: Arashi - Sasori - Asgharel

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    C H E C K:
    You might not have the things you want, but if you check carefully, you got all you need.

    This is Shizuka Kobayashi.




    divisore





    “...Sei uscito di senno, oppure sei serio?”



    Shizuka Kobayashi era seduta per terra quando le venne dato quell'ordine. La divisa che Ritsuko le aveva messo addosso nel cortile della magione del suo Clan, mentre lei rimaneva immobile a guardare un punto indefinito dello spazio –ancora annebbiata da un sentimento pesante come un sudario che solo il Colosso della Foglia era riuscito a strappare via, restituendola alla vita– fasciava il suo corpo con aderenza come sempre perfetta, proprio come ci si sarebbe aspettati da un abbigliamento confezionato su misura dalla stirpe della “K.” ricamata a filo d'oro.
    “Ti pare che stia scherzando, idiota?”
    “Raizen, amore mio... il mio affetto per te valica i confini del mondo, sai che inghiottirei le fiamme dell'inferno in nome del nostro legame, ma questo...”
    “Che poeta. Finito di cincischiare, gallina? Vai a prendere quel tizio, e valuta le condizioni in cui sta messo.”
    “Ehi kitsune, non basteranno tutte le tue code e le mie rotelle per impedire agli Uchiha di farmi saltare via la testa se sottraggo loro un cane sotto custodia... sempre messo che io ci riesca, ovviamente.”
    “Non sei tu l'esperta in infiltrazioni? Beh, esperientizza.”
    “...esp- cosa?”
    “Shizuka, dacci un taglio. Il tipo è rimasto imprigionato per mesi e quando sono andato a tirarlo fuori non mi è parso proprio intero, è possibile che il suo cervellino abbia ceduto.”

    A quelle parole l'Erede del Clan Kobayashi era scoppiata a ridere e alzandosi in piedi aveva inarcato un sopracciglio, mettendosi a braccia conserte.
    “...Ceduto, eh? Accipicchia, è proprio un bel problema!” Aveva esclamato allora, sarcastica, facendo roteare gli occhi al cielo; dopotutto parlare a lei di precarietà mentale era uno scherzo di pessimo gusto che solo pochi si sarebbero potuti permettere.
    “Fai poco la simpatica, deficiente. E' un creatore, hai capito, ora?”

    I creatori erano soggetti rari nel Clan Uchiha e, per questo, temuti.
    Quella da cui venivano benedetti era un'abilità in grado di piegare le regole della realtà al loro volere, addomesticando la mente altrui con inganni da cui si poteva non uscire mai. Un dono senza pari, dunque, ma difficile da gestire e per questo coltivato e tenuto sotto controllo solo da chi vantava una potenza in grado di trovare la via d'uscita da quei labirinti senza fine; era proprio per questa ragione che si diceva che ogni creatore della stirpe del ventaglio avesse un maestro d'alto rango che ne educasse personalmente la preparazione... la verità, però, era che i membri in possesso di quella capacità erano talmente pochi che spesso persino i sensei più qualificati non erano in grado di capire i meccanismi di quella sfaccettatura della loro stessa Kekkei Genkai, non potendo far altro che lasciare i propri allievi in balia di loro stessi.
    Quello era ciò che era successo a Shizuka Kobayashi.
    Al tempo il fatto che la figlia di Heiko la reietta avesse manifestato l'abilità innata del clan che l'aveva ripudiata, rivelandosi una creatrice, era stata una disgrazia e un'offesa per la grande stirpe del ventaglio; che poi quella stessa usurpatrice bambina fosse stata corrotta dalla malvagità latente di quell'abilità innata per cui ogni Uchiha viene educato sin dall'infanzia, cosicché sviluppi un senso del dovere superiore alla maledizione del suo stesso sangue, era stato un rischio che nessuno a Palazzo Uchiha si era voluto assumere. Incapaci di comprendere i confini e le estensioni di quella che fino a quel momento era stata considerata niente più che una leggenda dimenticata, i maestri del Clan avevano sottoposto la ragazzina ad addestramenti al limite del concepibile, la concentrazione di anni e anni di educazione mancata, ma nel farlo avevano ottenuto solo il risultato di piegare la sua mente ancora più in basso, verso un livello di creazione che assumeva connotati grotteschi e spaventosi che persino suo zio, Isamu Uchiha, suo malgrado sangue del suo sangue, non aveva saputo come affrontare.
    Quella volta fu proposto di sigillare il suo Sharingan che, un giorno, quando quella bimba fosse diventata donna e la sua inettitudine si fosse raffinata in abilità, avrebbe potuto diventare un pericolo anziché una risorsa. A quanto pareva quello era il destino che spettava ai creatori fuori controllo, quelli cioè che avevano perduto la capacità di dominare la loro mente. Ciò però che tutti sembravano non aver preso in considerazione era che Shizuka Kobayashi non era mai stata sola. Al suo fianco aveva sempre avuto una famiglia accorta, un Clan potente deciso a supportarla, e soprattutto un maestro che mai l'aveva perduta di vista e che, quella volta come tante prima, era andato ad aiutarla.
    Era un mistero come i metodi di Raizen Ikigami, il Colosso di Konoha famoso per la sua volgarità e il carattere rude, fosse capace di sistemare sempre i deboli pezzi dell'animo della giovane Principessa dei Kobayashi, invero l'emblema della bellezza elegante e silenziosa, ma era indubbio che lui e solo lui ne fosse in grado. I due erano una coppia paradossale, per la verità piuttosto mal assortita, ma si diceva che non importava quanto lontano si trovassero, se la Volpe avesse ululato la Principessa sarebbe comparsa dalle ombre per lui, e se ella avesse cantato gentilmente egli sarebbe arrivato senza indugio in suo soccorso.
    Sasori Uchiha, però, era un caso diverso, giacché pareva che nessuno, nel suo Clan, avesse intenzione di farsi carico della sua riabilitazione, limitandosi piuttosto a metterlo semplicemente sotto osservazione in attesa che fosse lui stesso ad uscire dalla ruota di ansia e paura in cui pareva fosse finito. Niente di cui stupirsi, in linea di principio gli Uchiha non si mostravano mai compassionevoli con i propri membri a meno che non fosse strettamente necessario, il che le faceva ben sperare che le sue condizioni non fossero così critiche, giacché in quel caso il loro atteggiamento sarebbe stato più accorto. In sostanza, benché non avesse mai visto né sentito parlare di sto tipo, la sua “missione” era infiltrarsi al Quartiere Uchiha, raccogliere informazioni e poi andare a prenderlo, portarlo via, testarne l'equilibrio mentale e poi riportarlo pinto e lindo entro i sicuri confini della sua casetta. Una passeggiata insomma, soprattutto vista la descrizione gentilmente offerta da Raizen del signorino in questione (“Un ragazzo di circa la tua età, con occhi neri, capelli neri, pelle bianca e lo sguardo da coglione” ...praticamente la descrizione del 99,6% di tutti gli esponenti del Clan), e il permesso che Atasuke le aveva fatto ottenere quasi due anni e mezzo prima.
    Portandosi ambo le mani al petto la kunoichi alzò dolcemente lo sguardo al cielo, pensando a quel ragazzo tanto dolce che aveva rischiato la testa per lei e così facendo annuì con compassione: grazie Atasuke, il tuo buon cuore non andrà sprecato, farò buon uso della tua gentilezza...
    … anche perché non poteva fare altrimenti. Gli ordini di Raizen erano imperativi per lei, un po' perché far arrabbiare il Jinchuuriki della volpe a nove code era sempre una pessima idea, un po' perché scappare le era sempre piaciuto poco, ma prenderne così tante da tornare a casa sui gomiti per non aver adempiuto al suo dovere ancora meno. I metodi del suo maestro erano, del resto, la copia esatta di quelli dell'uomo che aveva cresciuto lui, un tipo talmente orribile da essere stato cancellato dagli archivi dell'accademia centrale, e perciò, come si poteva ben immaginare, non certo famoso per il suo buon cuore e i biscotti al cioccolato: Jotaro e qualcosa, se non ricordava male. Beh, non che poi le importasse poi molto. L'importante era non sperimentare più i creativi metodi di “punizione” che aveva insegnato al suo unico discepolo, che per una serie di fatti inspiegabili era il suo maestro, e che l'ultima volta l'avevano lasciata incosciente per ben due giorni.
    Sorridendo educatamente, la kunoichi si mosse nervosamente sul posto accorgendosi di sudare all'idea di essere sottoposta di nuovo a quel tipo di trattamento. Deglutendo, si accomodò più compostamente sul tatami verde salvia sul quale si trovava, mentre accanto a lei una donna alta e dai corti capelli neri le porgeva una tazza di ceramica fumante, sorridendo.
    «Dimmi un po', Shizuka...» Esordì una voce maschile, bassa e ben impostata, non appena la donna bruna fu sparita dietro l'unica porta scorrevole bianca che dava accesso alla grande sala giapponese in cui la ragazza sedeva. «...ma quella povera scimmia di Toshiro Kobayashi, che per disgrazia è tuo padre...»
    «...e vostro cognato...»
    «...è forse diventato pazzo come avevo sempre pensato che fosse, cosicché io possa finalmente ordire un piano per ucciderlo senza avere remore da parte della società?»
    «Ojii-sama, le possibilità che qualcuno, a Konoha, ritenga misericordioso il vostro desiderio di uccidere mio padre, temo siano molto basse. Credetemi.»

    Immobile su un tatami di bamboo finemente intrecciato un alto uomo dai capelli corvini e gli occhi neri, vestito di un pregevole kimono porpora fermato in vita da un obi argento, sorrise educatamente. La pipa di legno che teneva in mano roteò sapientemente tra le sue dita rese ruvide da lavori di fatica prima di fermarsi tra i suoi denti ed egli, a quel punto, aspirò una profonda boccata di fumo, che si trattenne per un attimo dall'espirare. Quando infine lo fece, le sue mani scattarono talmente rapide che la povera Shizuka Kobayashi non ebbe neanche il tempo di fermare la gittata dei quattro rotoli di tessuto legati dal nastro recante la “K.” di filo d'oro del suo clan, che caddero rovinosamente a terra, srotolandosi in ogni direzione.
    «Questo non toglie che per sei volte abbia chiesto lui un tessuto per un nuovo obi da cerimonia e lui mi abbia mandato... ROBA SIMILE!» Ringhiò iracondo l'uomo, indicando inorridito un rotolo di tessuto ocra con una stampa di scimmiette intente a battere piattini accerchiate da banane sbucciate danzanti. «O QUESTO!» Rincarò, prendendo tra le mani tremanti un lembo di un altro rotolo, rosa con petali di ciliegio ricamati a mano. «Mi sta prendendo in giro, forse?!»
    La risposta era così ovvia che la Principessa decise di ammorbidirla come poté.
    «...Avete chiesto una fantasia allegra, Ojii-sama.» Osservò infatti la nipote del Jonin, uno dei pezzi grossi della Polizia del Villaggio della Foglia, senza perdere la compostezza e la piccante filatura che sapeva dovesse tenere un mercante del calibro del suo Clan natio, benché il suo volto per un attimo tremò in una maschera di compostezza sin troppo ostentata.
    «Non osare ridere, Shizuka. Non osare.» Sibilò l'uomo, stringendo in una mano un terzo tessuto, verde a pallini e stelline azzurre. «Questa volta ha esagerato...lui e la sua maledetta ironia da quattro soldi... crede di essere divertente?!»
    In effetti si, Toshiro Kobayashi, il capoclan della più potente dinastia di sete e tessuti di tutto il Paese del Fuoco, quando aveva scelto quel tipo di tessuti aveva riso talmente tanto che nemmeno una pentolata in testa da parte della moglie –la bellissima Heiko Uchiha, la donna più affascinante di Konoha (di cui pochi sospettavano quale fosse il reale carattere)–, che lo aveva poi preso per il collo nei cinque minuti successivi, urlando lui di non minare i rapporti con gli Uchiha; lo aveva fatto desistere dalle sue intenzioni. Il problema era che, al pari di un bambino, Toshiro non era in grado di comprendere quando doveva smettere di scherzare... il che lo rendeva l'avversario drammaticamente perfetto di Isamu Uchiha, il cui carattere intransigente, che non torna mai sui suoi passi, lo aveva costretto in quella circostanza a rimandare indietro i tessuti scelti per lui dal cognato per ben sei volte sperando che quella successiva fosse quella buona, giacché era per lui impossibile ritirare la commissione effettuata. Per questa ragione quello era esattamente il sesto giorno che quella storia andava avanti e Shizuka, felice di avere l'occasione per gironzolare nel Quartiere Uchiha senza dare troppe spiegazioni false, aveva colto al volo quella ghiotta occasione, offrendosi di fare da commissionaria per avere modo di operare come preferiva circa la sua “seconda faccenda”.
    «Questa è l'ultima volta che quel sudicio mercante osa mancare di rispetto a me... questa farsa da bambini è durata sin troppo, e trova ora la sua fine!» Ululò Isamu Uchiha, mettendosi in piedi con lentezza raggelante. Guardando un punto indefinito del giardino in cui si affacciava la sala dei ricevimenti presso cui si trovavano, l'uomo rimase in un pudico silenzio e infine, seriamente, annuì. «Andrò personalmente da lui.» Mormorò, in quella che sembrava più una minaccia che un annuncio.
    «...Cose da uomini, Ojii-sama?» Domandò educatamente Shizuka, riordinando le stole del suo Clan per poi alzarsi in piedi.
    «Regolamento di conti.» Ringhiò l'altro, stringendo in una mano la sua pipa.
    «Oh! In tal caso, Ojii-sama, ritengo che sia più corretto non accompagnarvi... il posto di una donna non è presso lo scontro di due ego maschili, d'altronde.»
    «Esatto, bambina mia.»
    Approvò il Jonin, grattandosi il mento, chiaramente soddisfatto della pudicizia intellettuale della nipote, che si vantava di rendere ogni giorno più simile ad una vera Uchiha. Era incredibile quanto nell'ultimo periodo fosse diventata abile nel parlare e nell'accontentare il proprio interlocutore, in effetti... «Torna a cose fatte.» Ordinò a quel punto, colmo dell'autorità che gli era riconosciuta dal Villaggio, e così dicendo, dopo aver preso sotto braccio i quattro rotoli di tessuto (che incartò preventivamente in un lungo foglio di carta di riso perché nessuno ne vedesse il contenuto), l'uomo imboccò l'uscita della villetta giapponese in cui abitava, dirigendosi a passo spedito verso l'uscita del Quartiere Uchiha.
    “Finiranno a bere sakè e giocare a Go” Pensò la ragazza, sventolando la mano nel salutare il parente. “Spero che Oto-sama non si mangi di nuovo le pedine di Isamu-jii quando capirà di star perdendo...” anche perché l'ultima volta Heiko voleva sventrarlo per tirargliele fuori dallo stomaco, e non era stato facile farle capire che assassinare il marito le sarebbe valso molto più di qualche rimprovero da parte della giustizia (che essendo rappresentata da suo zio le lasciò comunque qualche dubbio).
    Sospirò, e non seppe quanto fu felice di capire che da quel momento in poi era libera di occuparsi della sua altra faccenda, che fu ben lieta di risolvere immediatamente.
    […] Arrivare fin dove aveva compreso trovarsi l'abitazione di Sasori Uchiha fu facile grazie alle informazioni che aveva ottenuto chiaccherando con tutti coloro che avevano avuto la voglia di farlo, e scivolare dentro la casa aprendo la finestra del retro con un foglio rigido e fine di bamboo laccato lo fu altrettanto, anzi, forse troppo, tanto che quando la ragazza entrò nell'abitazione, ritrovandosi sopra il piano cottura della spartana cucina in stile giapponese dell'edificio, che sorvolò con un balzo leggero e privo di rumore, non poté fare a meno di rimanere interdetta. Rimase immobile, aspettando per una manciata di minuti che accadesse qualcosa, ma niente di quello che aveva ipotizzato (e sperato) si concretizzò neanche quando gettò sul pavimento due sassolini raccolti dal ghiaino del cortiletto posteriore e lei, a quel punto, non riuscì a nascondere il suo stupore: nessuna trappola, nessun allarme. Niente di niente.
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    «Spero vivamente che questo tipo sia un ninja abile come un Kage per poter dormire senza nessun riguardo dopo un trauma come quello che ha subito. Altrimenti è un pazzo sul serio.» Mormorò la Principessa, grattandosi la testa. «“E' una questione delicata, stai attenta”» Scimmiottò la voce di Raizen poi, dandosi una rapida occhiata intorno, prese ad avanzare.
    Si trovava al piano terra di una villetta studiata su misura secondo i dettami della tradizione giapponese, un dettaglio che apprezzò e che compensò nella sua mente, almeno in parte, il raccapriccio che aveva provato quando aveva scoperto che la sua collocazione era così vicina a Palazzo Uchiha. Incurante di trovarsi in casa d'altri, la ragazza avanzò con disinvoltura, osservando con curiosità gli ideogrammi dipinti secondo la tradizione Shodo che erano appesi alle pareti, e dopo aver fatto capolino nel corridoio, di cui scrutò i dettagli, zampettò senza nessun ritegno nel grande salone, che si poteva indovinare affacciarsi su di un classico giardinetto zen. Avrebbe scommesso cento ryo che dietro i pannelli di riso scorrevole chiusi c'era un laghetto, qualche sasso, magari una o due carpe e anche qualche alberello. Classico abbinamento. Ridacchiò tra sé e sé, scuotendo la testa.
    Sasori doveva essere il tipico ragazzino di buona famiglia, una di quelle attaccate alle tradizioni, con ogni probabilità idolatrante quel povero coglione del Capoclan, l'uomo a cui lei, al contrario, desiderava così ardentemente strappare gli occhi per farglieli masticare e poi ingoiare. Era possibile che non avesse avuto assolutamente nessun problema serio nella sua vita se non quell'imprevisto in missione –come suppose guardando le foto incorniciate su una cassettiera, in cui lui sorrideva quasi sempre con sincerità– che l'aveva cambiato gli Dei solo sapevano come. Fino a quel momento si era limitato ad essere l'orgoglio di mamma e papà, loro forse morti o lontani da parecchio tempo a giudicare dalla polvere e dalla freddezza del luogo, che non vedeva un'accurata pulizia e una presenza costante da parecchio tempo. Un ninja provetto pieno di impegno, devoto alla sua causa e con tanta buona volontà, insomma. Il classico Uchiha, niente di più, niente di meno.
    Alzando gli occhi al cielo la ragazza sospirò sonoramente, lasciandosi poi cadere a terra vicino al tavolo basso della sala principale, sul cui piano vi era un cestino intrecciato pieno di mandarini che avevano l'aspetto di non essere mummificati come il posto in cui erano collocati. Appurando che erano freschi come davano l'impressione di essere, la ragazza non si fece poi troppi problemi a prenderne uno, che cominciò a sbucciare sorridendo grata.
    […] Vista in quel momento, immobile e silenziosa, Shizuka Kobayashi non dava affatto l'idea di essere la shinobi che molti dicevano fosse, soprattutto all'interno del Clan Uchiha.
    I lunghissimi capelli castani si erano fatti ormai abbastanza lunghi da ricadere sul pavimento, incorniciando con ciuffi ribelli un volto ovale simile a quello di una bambola di porcellana tradizionale: profondi occhi verdi, labbra carnose e lineamenti delicati. In verità, nel suo aspetto, non vi era niente che richiamasse la bellezza fatale della madre, l'emblema della sensualità della stirpe del ventaglio. Ella era la rappresentazione più perfetta del sangue dei Kobayashi, una Principessa considerata bella non per le forme, invero morbide e prosperose, ma per l'eleganza nobile e fiera, distintiva di chi sapeva ciò che voleva e non si faceva problemi ad ottenerlo.
    Purtroppo una vita trascorsa tra le grinfie del peggiore ninja mercenario di tutto il continente, o poco ci mancava, aveva affinato il suo carattere tagliente e ambizioso in una mordace personalità piena di sarcasmo e scarsa sensibilità.
    Aah... pessimo connubio, quello, per una così nobile e graziosa Principessina, erede di una così ricca dinastia, che avevano creato molte, troppe voci, sul suo conto... tante delle quali erano solo invenzione, solo malizia. Forse.
    «Sasori, qui ci vuole un kotatsu, tu sia dannato, inizia a far freddo, sai?» Esordì la kunoichi, come se conoscesse il proprietario della casa da tempo immemore. «Quando ospiti una donna devi sincerarti di metterla a suo agio... santi Numi, sempre così sempliciotti gli uomini Uchiha: abbaiate tanto in combattimento, ma quando si tratta di femmine cadete sempre sulle basi.» Sospirò, fingendosi sconsolata, e a quel punto, affilando gli occhi in un sorrisetto, prese un altro mandarino, che lanciò con una precisione millimetrica nelle scale che si affacciavano di fronte alla sala in cui si trovava. Il frutto, dopo aver delineato un arco perfetto nell'aria, cadde sul primo pianerottolo di svolta che conduceva alla seconda rampa, quella che portava effettivamente al secondo piano.
    Non fu ben chiaro perché ripeté l'operazione altre cinque volte, lanciando tutti i mandarini a distanze sempre inferiori fino a creare una pista che conduceva a lei, se per divertimento o per accelerare l'incontro, ma quello che fu evidente è che, mentre rimaneva in attesa della comparsa del padrone di casa, che sapeva trovarsi lì con una certezza che rasentava la perfezione –poiché a Konoha vi erano pochi shinobi abili quanto lei a ottenere informazioni–, tese i sensi e raffinò la sua percezione poiché la fortuna non era mai stata dalla sua parte e, con ogni probabilità, si sarebbe potuta trovare davanti qualsiasi cosa.

    Ecco come avvenne il primo incontro tra Shizuka Kobayashi, la Principessa della Foglia, e Sasori Uchiha, il sopravvissuto.


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  2. Sasori Uchiha
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    Casa & Relax


    Quella mattina il sole era già alto da un pezzo. Ma il ragazzo si stava riposando dopo la nottata non certo tranquilla. Quella sera aveva deciso di allenarsi in notturna. Stava ancora riposando con il "gattone" che dormiva acciambellato ai suoi piedi del letto. La stanza era in una penombra con delle fessure delle tapparelle appena socchiuse che illuminavano debolmente la stanza che era messa in un disordine estremo. Se Hokusai avrebbe visto il disordine che regnava dentro quella stanza, non l'avrebbe fatta passare liscia. Non quella volta però, per fortuna di Sasori era fuori per una missione e non sarebbe tornato se non dopo qualche settimana. Quindi anche per quel motivo, Sasori si stava riposando. In fondo non avrebbe fatto male un po' di riposo, dopo quello che gli era accaduto durante la prigionia.
    Era cambiato forse non in meglio, forse non in peggio. Aveva trovato forse la sua dimensione, aveva capito che nella sua vita ed in generale nella vita serve un equilibrio. Non c'era una forma di bene o male assoluto, ma dipendeva dal contesto e da quello che per quel preciso momento era giusto da fare. Forse aveva trovato sè stesso, la sua via. Ma erano discorsi forse troppo generalizzati, troppo distaccati, da quello che poteva apparire Sasori. In fondo al villaggio nessuno apparentemente si era accorto della differenza, del cambiamento. Ma se ne sarebbero resi conto. Era maturato in un certo senso. Quella prigionia gli aveva aperto la mente ed era diventato proprio lui: Sasori Uchiha.
    Si girò lentamente nel letto cercando di trovare la giusta posizione, per riprendere sonno, ma il solo risultato fu quello di far cadere il povero "gattone" dai piedi del letto, dove stava beatamente riposando. Quest'ultimo, per protesta, saltò nuovamente sul letto e con la sua zampa,cercava di svegliare il ragazzo. Sasori cercava con la mano di allontanare il felino, ma non riuscendoci per l'eccessiva stanchezza, alla fine il "gattone" ebbe la vinta sul suo padrone.



    Ma perchè non torna a dormire !?



    Alla fine, stressato ed anche un po' seccato, Sasori si alzò e guardò la sveglia sul comodino del suo letto indicava le undici e mezza. Sgranò gli occhi, per capire se stesse ancora dormendo. Ma l'ora non cambiò. Era dannatamente tardi, quindi prese il necessario dall'armadio e andò velocemente al bagno per lavarsi. Una bella doccia era quello che ci voleva per iniziare la giornata.



    [...]



    Quando Sasori uscì dal bagno per andare a vestirsi, sentì come dei colpi sordi provenire dal piano di sotto. Eppure non c'era nessuno a parte il "gattone" che lo guardava incuriosito. Cercando di fare meno rumore possibile, avrebbe indossato un comodo vestito che usava quando non doveva uscire di casa. Ultimamente sembrava che il destino avesse riservato per lui soltanto seccature. Da quando era passato di grado ed era tornato dalla prigionia, non aveva altro che ricevuto pacchi e pile di carte, obblighi e doveri, non che la cosa non gli piacesse, sia chiaro, soltanto che la burocrazia l'aveva assorbito in un circolo apparentemente senza fine.



    Giuro che se anche questa volta è quel maledetto messaggero, lo farò rimpiangere di non essersi fermato alla porta



    Quindi sarebbe sceso, con tutta calma scortato dal gattone al suo fianco. Vestito con la solita tenuta da casa,però quando iniziò a scendere le scale, vide un mandarino sul pianerottolo più in basso, seguito da un secondo, per terra.



    Che diavolo !?



    C'era qualcosa di insolito. Probabilmente non era il solito messaggero mandato dall'Amministrazione. Questa volta era diverso. Di solito quel testone, non era solito lanciare mandarini per casa, era troppo rispettoso delle regole, etichette e quant'altro. Chiunque c'era di sotto, perchè doveva lanciare mandarini. Era molto meglio mangiarli. A parte questi dettagli, la curiosità di sapere chi c'era nel salone era troppo forte. Quindi scese le scale rimanenti con il gattone al suo fianco fino ad arrivare nel salone. Aveva un'espressione contrariata, ma seria, non disse nulla, fino a quando non si fermò ad un metro da dove si era posizionata l'ospite, poi esordì urlando:




    E tu chi diavolo saresti ? Non ti hanno insegnato l'educazione ?



    Qualsiasi cosa avesse detto la sua interlocutrice avesse scosso la testa:



    Vedo che non hai afferrato il punto



    Quindi continuò il discorso ma parlando in maniera rilassata e tranquilla:



    Che diavolo sei venuta a fare? Non aspetto visite oggi, nè tanto meno domani. L'ufficio è chiuso. Sai almeno in che guaio ti sei cacciata ?



    Non appena avrebbe iniziato a pronunciare la domanda, il nero cupo dei suoi occhi avrebbe lasciato il posto allo sharingan. Era pronto a tutto, chiaramente la sua reazione dipendeva da cosa avrebbe risposto quella ragazza.

     
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  3. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]

    Tanto per cambiare, Altre Grane


    ~Un'altra giornata di problemi~


    Quella sembrava essere un'altra delle solite giornate invernali in cui il gelido vento soffiava per le vie di Konoha mentre il cielo limpido, interrotto di tanto in tanto da una sfuggente macchia bianca simile ad una nuvola, permetteva al sole di riscaldare appena ciò che riusciva ad irradiare, finchè una nuova folata di vento ne spazzava il labile tepore.
    A volte quelle potevano considerarsi giornate bellissime, da passare a casa o nella casa da the ad osservare il cielo sorseggiando magari una calda tazza di the o una sana bottiglia di sakè caldo, ma alla fine per Atasuke si era solo trasformata nell'ennesima ronda all'interno delle mura per controllare eventuali movimenti sospetti.
    A causa di quanto accaduto non troppo tempo addietro con l'incidente del Gobi, infatti, il corpo di guardia delle mura aveva ricevuto ordini straordinari occupandosi anche delle ronde di pattuglia all'interno del villaggio in supporto al sempre più sguarnito corpo di polizia.

    °Odio queste giornate gelide di ronda... Ed odio ancora di più il fatto che ci sia anche quell'idiota di Sougo... Spero che almeno questa volta il bastardo non combini qualcos'altro di spiacevole°


    Lanciò rapido un'occhiata alle spalle cercando con lo sguardo il biondino che doveva essere il suo supporto in caso di combattimenti giusto per vederlo, nuovamente, intento a manipolare la giovane mente di un bambino per convincerlo a picchiare il suo amichetto per un lecca-lecca.
    Una vena parve iniziare a pulsare sulla fronte di Atasuke che senza una parola si avvicinò di soppiatto al compare mollandogli un sonoro cazzotto sulla testa.

    «Sougo... Ti ricordo che siamo in servizio, quindi piantala di importunare i bambini con le tue idee sadiche da pazzo omicida e vedi di concentrarti sul lavoro»

    "Atasuke, mi hai fatto parecchio male... Io stavo solo raccogliendo informazioni dai miei informatori... e da quello che so sei tu quello che non sta facendo il suo dovere facendosi i fatti suoi per le vie di Konoha"


    A stento Atasuke trattenne un'altro colpo dato il tono quasi canzonatorio del collega. Ancora una volta si chiedeva come fosse possibile che quel tizio avesse passato l'esame Genin era un mistero, ma ancora più misterioso era come fosse mai stato possibile che quel sadico fosse diventato un guardiano.
    Con voce decisa e ben poco amichevole Atasuke replicò un'ultima volta prima di afferrare con violenza l'orecchio del biondino trascinandolo via.

    «Vedi di fare la persona seria e riprendi il tuo giro di ronda prima che decida di staccarti quest'orecchio una buona volta... anche se per quel che le usi non ne sentiresti certo la mancanza...»


    Poi si voltò con un'ampio sorriso e con un tono completamente diverso e particolarmente premuroso si rivolse al ragazzino che era rimasto giustamente sbigottito dalla assurda scena grottesca.

    «E tu... Impara a non ascoltare le parole di quest'uomo o quando sarai grande rischierai di diventare una cattiva persona»


    Con un ultimo sorriso si voltò salutando poi distrattamente il ragazzino con la mano destra non occupata a trascinare il dolorante Sougo.
    Quando i due ebbero finalmente svoltato l'angolo Atasuke avrebbe quindi mollato il suo compare riacquisendo uno sguardo decisamente serio.

    «Ed ora... Seriamente, che avevi in mente Sougo?»

    "Nulla, mi stavo solo divertend..."

    «Sougo!»


    Tuonò senza lasciare spazio alcuno al "sottoposto" di schivare ulteriormente il discorso.

    "Uff... E va bene Ho visto una ragazza sospetta che si dirigeva verso il quartiere Uchiha ma non volevo stare a perdere tempo per una semplice ragazza sospetta"

    «Devo forse ricordarti come è andata a finire con l'ultima "Semplice ragazza sospetta"!?»

    "N-no... Hai ragione..."


    Quella forse era la prima volta che vedeva Sougo realmente dispiaciuto per ciò che aveva combinato. Forse a poco a poco stava riuscendo a dare un senso a quel ragazzo o forse quella non era altro che l'ennesima farsa del biondo sadico torturatore che era Sougo Okita.

    «Allora dirigiamoci al quartiere Uchiha... Tu resta di supporto, io mi preoccuperò di ingaggiare»

    "Va bene..."


    Il tono di Atasuke era tornato calmo, quasi amichevole, anche se manteneva la precisione militare dell'ordine. La risposta di Sougo invece aveva come una sorta di sibilo sinistro, quasi come se fosse stato un serpente a fare quella falsa promessa aspettando invece l'occasione buona per colpire alle spalle la sua preda.

    [...]


    Atasuke era partito estremamente deciso alla volta del suo quartiere natale cercando di trovare l'elemento sospetto che Sougo aveva intercettato pochi istanti prima. Per sua fortuna, tuttavia, anche se la kunoichi non aveva lasciato tracce del suo passaggio, non ebbe molto da cercare vedendola aggirarsi nei pressi della casa che ormai aveva imparato a conoscere.
    Con un gesto della mano segnalò al compare di fermarsi e di nascondersi in attesa di ulteriori ordini mentre Atasuke stesso si era accovacciato per osservare meglio la scena.

    °Perchè questa casa... Possibile che ci sia un collegamento? Ma soprattutto... che sta facendo quella ragazza? Che stia verificando la presenza di trappole?°


    Un'istante dopo ne ebbe la conferma vedendo che la ragazza stava ormai avanzando pronta ad infilarsi di soppiatto nella casa.

    °Devo seguirla e capire le sue intenzioni!°


    Rapido e silenzioso si mosse a sua volta arrivando fino al limitare della casa ma senza entrarvi all'interno spiando appena ciò che accadeva da uno spiraglio della porta appena socchiusa.
    Ciò che vide aveva dell'incredibile. La ragazza continuava a lanciare mandarini, pronunciando discorsi dissennati con una voce che gli era familiare, ma che per qualche motivo ancora non era stato in grado di ricollegare ad un volto noto.
    Dalla sua posizione sfortunatamente continuava a non poter vedere il volto della ragazza ma solo i suoi capelli castani e l'abito, cosa che comunque non era sufficente a riconoscere chicchessia.
    Decise quindi di rimanere in posizione, pronto ad intervenire in caso di una reale situazione di rischio per il suo compare.
    Poco dopo anche Sasori fece la sua comparsa all'interno della stanza e con evidente e giustificato nervosismo, in fondo una sconosciuta gli era appena piombata in casa.
    Appena udì quelle parole Atasuke scattò aprendo d'un colpo la porta che scorrendò andò a sbattere violentemente contro il fine corsa e con il medesimo impeto estrasse una delle due wakizashi che portava alla vita.

    «Ferma dove sei! In nome dei Guardiani di Konoha! Non hai possibilità di fuga!»


    Proruppe prima di vedere effettivamente con chi aveva a che fare.
    Quando vide infatti il volto della ragazza raggelò per un'istante.

    «S-Shizuka? Che diavolo ci fai qui? Ma soprattutto perchè ti sei intrufolata in casa altrui? Dannazione... Hai forse intenzione di mettermi di nuovo nei casini con il Clan, l'amministrazione o il villaggio intero?»


    Con quelle parole rinfoderò l'arma, ma rimase comunque all'erta. Sapeva infatti che se Shizuka era da quelle parti al 90% delle probabilità anche Ristuko era da qualche parte e probabilmente gli sarebbe saltata addosso da un momento all'altro ed in effetti non poteva dirsi pienamente rassicurato dalla presenza di Sougo.

    «Sasori, non ti preoccuparo per lei, non è qui per farti del male... Quindi non c'è la necessità di usare lo sharingan... Senza contare che qui dentro abbiamo tutti e tre la medesima abilità...»


    Si lascò "sfuggire" cercando di appianare le acque con quella confessione di parità di capacità in quella sorta di assurda situazione in cui tutto poteva esserci tranne che un normale e pacifico convivio.
    Memore di ciò che Shizuka aveva combinato fino a quel giorno e conscio delle pessime abitudini sociali della principessa Atasuke rimase in attesa di una risposta da parte dell'una, ma anche da parte dell'altro nella speranza che tutto non andasse a sfociare in una sorta di poco piacevole rissa di gruppo. Se c'era una cosa che odiava era battersi con dei compaesani, figurarsi quando tutti e due appartenevano in un certo senso anche al suo clan...



    Edited by Asgharel - 31/1/2015, 11:57
     
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    C H O I C E:
    Mystery creates wonder and wonder is the basis of man's desire to understand.

    Shizuka Kobayashi's offer.




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    Shizuka Kobayashi era una Principessa, e come tale era sempre stata sempre educata a comportarsi: kimono di broccato ricamati a mano e geta laccati; si diceva che fosse la migliore intrattenitrice delle case da té del villaggio e, forse, anche di ben più lontano. Cantava, danzava, recitava e sapeva persino suonare due strumenti, gestire una casa, servire il tè e dialogare con modestia a dispetto della sua sconfinata cultura accademica.
    ...Ma non era paziente. Non lo era mai stata. Afflitta da un'insofferenza molto simile ad un male di vivere nei confronti di tutte quelle persone stupide che popolavano il mondo in cui lei regnava, o in generale verso tutto ciò che non andava come avrebbe dovuto andare, aveva sin da piccola denotato un carattere piccante, irritato e irritante, che si scolpiva quasi sempre in un tagliente e maestoso sarcasmo da cui nessuno era mai salvo. Nè i ricchi Daimyo delle terre conosciute assieme ai loro affascinanti figli che cercavano da anni di sedurla, né un'associazione terroristica che le dava, a quanto sembrava, la caccia, e neanche il temibile Jinchuuriki della volpe a nove code...
    … figurarsi dunque quanto poté ghignare quando Sasori Uchiha le arrivò davanti poco più che in pigiama, rimbrottandola con rimproveri da padre di famiglia.
    «Oh, ti prego, spegni quegli occhietti lampeggianti se non vuoi che te li cavi e te li cucia sulla schiena, dove sicuramente ti saranno più utili visto quanta percezione hai. Sono entrata in casa tua con la stessa semplicità con cui entro nella mia.»
    Quella fu la prima frase che Shizuka Kobayashi rivolse al neo Chunin. La sua voce era raffinata da lunghe lezioni di dizione, posata e priva di inflessioni, ma tagliente e ironica abbastanza da indurre il suo interlocutore ad arrossire. Nonostante ciò, proprio come aveva immaginato, questo non bastò a indurlo a disattivare la sua Genkai Kekkai. Un problema che avrebbe certo saputo come gestire se solo quell'insistente presenza non avesse deciso di spostarsi dalla finestra in cui si era appostata nel goffo tentativo di seguirla senza farsi scoprire per correre verso la porta d'entrata.
    Per un'istante la kunoichi si chiese se non avesse dovuto intervenire immediatamente e vagliò allora alcuni possibili scenari tutti altrettanto plausibili: tessere un Genjutsu abbastanza potente da bloccare sia il nuovo pedante arrivato che il suo target, per esempio; oppure ammazzare il volto incognito che voleva interromperla e bloccare gli tsubo di movimento del signor pigiama brutto (che non era stato fatto dal suo clan, ovviamente) per portarselo via in qualche modo... erano scelte eccellenti, ma prevedevano rischi che non poteva assumersi in una circostanza, un luogo e in un momento come quelli. Non poteva permettersi di abbaiare troppo... e poi, sul serio, era davvero necessario preoccuparsi tanto? Che genere di coglione poteva terminare un così ostentato e stupido inseguimento entrando dalla porta principale tutto arrabbiato?
    Quando Atasuke Uchiha sbatté la porta ed entrò trafilato nel salotto in cui lei stava ancora continuando a mangiare i mandarini del padrone di casa, urlando a squarciagola le sue solite idiozie buoniste e fuori luogo, la ragazza si limitò a sorridere e, annuendo, ad esclamare solo un: «Appunto.» che scemò in un imbarazzante silenzio.

    S-Shizuka? Che diavolo ci fai qui?
    «Mah, nulla, ero in gita scolastica. Sai, buffi camici con maniche a sbuffo, cappellini arancioni e tutto il resto...»
    Ma soprattutto perchè ti sei intrufolata in casa altrui?
    «Sono una guardona, ahimé. Rubo intimo da tempo, ormai.»
    Dannazione... Hai forse intenzione di mettermi di nuovo nei casini con il Clan, l'amministrazione o il villaggio intero?
    «Noo, non potrei mai. Con quella spadina al vento e i capelli tagliati di fresco non mi permetterei un affronto del genere nei tuoi confronti guardiano di Konoha, sul serio.»



    Ad essere onesti la ragazza era talmente divertita da quella scena, colpita dalla convinzione infantile con cui Atasuke era piombato in quella casa ignorando qualcosa come centoventimila accorgimenti del manuale “il buon ninja (quello serio, che sopravvive)” che per un istante ignorò persino il fatto che fosse lui la causa per cui la sua pseudo missione rischiava di fallire. Cercò insomma per un attimo di non ricordare cosa avrebbe dovuto fare quando avrebbe smesso di ridacchiare e mangiare mandarini come se quella fosse davvero una visita di piacere e nient'altro, come se alla fine non avesse davvero dovuto porre fine a quella circostanza e prendere quello che doveva. In un modo o nell'altro.
    «Beh?! E a lui l'educazione chi gliel'ha insegnata?!» Sbottò offesa la Principessa dei Kobayashi, indicando con finto stupore il guardiano delle mura e poi il padrone di casa. «Quindi se irrompo dal portone principale va bene, ma se sono più discreta e pudica e ti entro dalla cucina no?» E rivolgendosi all'ultimo arrivato avrebbe aggiunto seriamente: «Guarda che oggi Sasori non aspetta visite, e neanche domani. L'ufficio è chiuso, e adesso io e te ci siamo cacciati in un bel guaio... li vedi gli occhietti con le rotelle?» Sorrise e stavolta si fece affilata. Come al solito la sua pessima tendenza a memorizzare ogni cosa molto rapidamente non le aveva impedito di ripetere a memoria il rimbrotto subito poc'anzi, che a quanto pareva non aveva digerito visto che stava rischiando la testa per la salvezza di quel ragazzino dai capelli ad anatra. Era irritante, ma in un modo abbastanza affascinante da impedire ai suoi interlocutori di sgozzarla, una dote innata che le aveva permesso di prendere in giro la maggior parte dei pezzi grossi del mondo sottobanco della vita shinobi senza venir assassinata.
    In effetti, Shizuka Kobayashi, la pupilla di Raizen Ikigami e l'ultima discendente del “Clan” Jotaro, era una ragazza piena di possibilità, nessuna di queste mai mostrate ad alcun membro del Clan Uchiha se non a suo zio e ad altri due Jonin che l'addestravano e, suo malgrado, al Capoclan, cui era costretta a sottostare da quando la sua Genkai aveva cominciato a sprofondare in un livello sempre più grottesco di inquietante orrore. L'affermazione di Atasuke, dunque, la divertì quanto il qualunquismo di chi cerca di dimostrarsi sicuramente in grado di gestire una situazione piena di incognite. Conosceva il carattere di quel ragazzo e aveva imparato a scendervi a patti con il tempo, quando l'irritazione naturale che provava nei suoi confronti si era trasformata in una sorta di problematico affetto. Quella volta, però, l'intolleranza scemò presto nella voglia di metterlo a tacere una volta per tutte: quella sua sciorinata voglia di dimostrare sempre che la conosceva come le sue tasche non riusciva più a sopportarla. Odiava quando parlava come se comprendesse la sua persona più di quanto lei stessa potesse mai fare; perché in tutti quegli anni Atasuke non aveva mai mosso un passo avanti dal semplice “amicone di quartiere”, quello che incontri di tanto in tanto al chiosco, con cui scambi due parole di circostanza, e certo era pur vero che la sua grande opportunità nei confronti degli Uchiha era nata grazie a lui ed era altrettanto vero che lei ne era attratta come l'oscurità può esserlo dalla luce del sole, ma lui non sapeva comunque niente. Ed era meglio che cominciasse a comprenderlo.
    Tutti questi pensieri vorticarono nella mente della kunoichi di Konoha, ma nessuno di questi abbacinò il suo volto, che si mantenne ironico e rilassato come all'inizio, per nulla turbato da tutta la circostanza che si stava svolgendo. Sorrise.
    «Possibile che quando io cerco di conoscere la gente che mi raccomanda mio zio, una sorta di miracoloso sopravvissuto –e così dicendo ammiccò a Sasori– tu compari a rompermi le uova nel paniere?» Domandò sarcastica rivolgendosi ad Atasuke, riprendendo a colmare il breve silenzio che si era formato un secondo prima. «Lo sai che non sono tipa da bussare alle porte, credevi che se avessi avuto intenzioni malevole avrei cominciato a lanciare mandarini per casa come una deficiente?» Fece roteare gli occhi al cielo e ghignò, divertita. «Invece di seguirmi come un topo avresti dovuto fermarmi e chiedermi cosa pensavo di fare, sei così tremendamente teatrale... mi viene voglia di ammazzarti, certe volte, davvero.» Accennò ad un pudico sorriso, dopoché non perse tempo a voltarsi verso Sasori, e con un'improvviso impeto batté ripetutamente la mano destra sul tavolo basso presso cui era seduta. «E tu, ora che hai capito che non sono un mostro a quattro teste, pensi di fare del té così che ti aggiorni del motivo per cui sono qui, o pensi che debba farlo io La sua domanda sembrava più una velata minaccia che nessuno dei presenti avrebbe avuto problemi a ricondurre al suo essere donna, giacché pareva che per quanto Shizuka Kobayashi fosse tremendamente femminile –e civetta abbastanza da essersi portata dietro una boccetta di smalto, che tirò fuori dalla sua borsa a tracolla e che aprì, iniziando a smaltarsi le dita senza nessun ritegno per i suoi interlocutori– non voleva sentirsi gravata dalle responsabilità tipiche del suo sesso, almeno in circostanze come quelle, dove bene o male sperava di essere considerata al pari di qualunque altro uomo. «Ho portato dei dolcetti.» Avrebbe aggiunto la ragazza, iniziando a soffiare sulle sue dita stancamente, e infilando con attenzione millimetrica una mano in borsa ne avrebbe estratto una scatola di mochi. Questa recava sulla confezione l'effige a forma di coniglio della migliore pasticceria tradizionale di Konoha, un lusso che, ahimé, probabilmente solo la Principessa dei Kobayashi e pochi altri si sarebbero potuti permettere. «Speravo di offrirteli almeno dopo le presentazioni, ma i tuoi occhi a rotella e questo scemo qui.» Continuò, indicando Atasuke. «Mi hanno rovinato i programmi. Ho preso ripieno all'azuki, che è il mio preferito, spero ti piaccia altrimenti attaccati, indietro non torno.» Disse con poca gentilezza e così dicendo contemplò le sue dita rifatte. Era stata estremamente veloce a smaltarsi, segno di un'abitudine consolidata, e ritappò perciò altrettanto in fretta la boccetta, che lasciò cadere in borsa per evitare che lo smalto fresco si rovinasse. Solo a quel punto aspettò che i suoi interlocutori rispondessero. O almeno che ci provassero, poiché nel momento in cui avrebbero tentato a farlo si sarebbero accorti con orrore che la loro capacità, anche solo quella di aprire la bocca, era compromessa, e quella di articolare suoni, pertanto, quasi annientata.
    Semi-paralisi da veleno disperso nell'aria. Quel tipo di debilitazione fisica che si impadronisce dei tuoi sensi prima che tu riesca a comprenderlo e che, anche in caso di accorgimento, ti impedisce di scappare. Il veleno del cibo si può rigurgitare, quello da ferita limitare, ma quello del vento, dell'aria, non lo si può incatenare. Meno di qualche secondo, ecco il tempo utile perché maturi il suo effetto, che si presenta immediato, rapido e violento: in un attimo, sai che sei spacciato...
    «...entra infatti nel flusso sanguigno, bloccando i fasci muscolari come un elastico, e ahimé non c'è niente che possiate fare se non pregare in testa vostra che io adesso non vi voglia tagliare la gola.» Stava educatamente spiegando una voce, che ai due shinobi Uchiha sarebbe apparsa nitida e inesorabile come una boccata di fiele. Di fronte a loro, Shizuka Kobayashi si sarebbe a quel punto alzata, sorridendo nel guardarsi le mani. «Quindi ricominciamo, e non vogliatemene a male, ho degli ordini da eseguire.» Sospirò prima di accerchiare il tavolo e di avvicinarsi a Sasori Uchiha.
    Vista da vicino la ragazza sarebbe apparsa agli occhi del Chunin più bassa di quello che forse egli aveva immaginato, sul metro e sessantacinque circa e quindi molto più bassa della media delle sue magrissime e alte coetanee. Le forme morbide del suo corpo, con fianchi sinuosi e un seno molto più che generoso, rendevano la sua figura una geometria di linee scolpita da addestramenti che non si limitavano solo al campo di battaglia, ma a luoghi più silenziosi, discreti... lì dove una donna, una kunoichi, poteva fare del suo meglio.
    Il suo fisico, però, era deturpato, e solo in quel momento il ninja sopravvissuto se ne sarebbe accorto, forse persino con un certo orrore: una cicatrice enorme, di quasi tre dita di spessore, la sfregiava infatti partendo dalla spalla sinistra, scivolando poi tra i due seni e precipitando infine verso il basso, terminando chissà dove. Per quanto l'aderente divisa da lei indossata cercasse di nasconderne in parte i danni, quell'orrore era ben visibile a quella distanza, vista la scollatura dell'abito.
    «Il mio nome è Shizuka Kobayashi, sono l'unica allieva viva di Raizen Ikigami, che è il Colosso dagli occhietti buffi che ti ha salvato il culo in missione: è lui che mi manda da te.» Disse infine la donna, mettendosi a braccia conserte. «Sono qui per testare il tuo cervellino, che a quanto mi risulta è più debole di quanto tu stesso voglia ammettere, e temo che i tuoi blandi e penosi allenamenti, quelli cioè in cui ti diverti ogni giorno da quando sei tornato, non serviranno proprio a niente per placare la situazione in cui versi. Quella scimmia del mio maestro se n'è accorto e mi ha mandato a valutare se rischi di impazzire oppure no.» Sapeva più cose di quelle che avrebbe dovuto e a quel punto, ormai con le carte scoperte, non sembrava più essere intenzionata a nasconderlo. «Sei un creatore e la tua mente è compromessa, vorrei dunque che tu fossi messo al corrente di cosa succede ad uno della tua risma, a chi cioè può piegare la realtà a suo piacimento, quando il suo equilibrio interiore viene incrinato: il capoclan ordinerà il sigillo della tua Genkai e tu vivrai il resto dei tuoi giorni incapace di attivare ciò con cui sei nato. Un mezzo ninja, una mezza persona, chiamati pure come ti pare.» Era un'accusa più grande di quella che forse chiunque si sarebbe mai permesso di fare, ma la kunoichi la disse con semplicità, quasi con soddisfazione, come se l'idea di offendere la rinomata veste di perfezione del capo degli Uchiha le procurasse un acceso senso di godimento. «Ed ecco che qui entro in scena io.» Continuò la Principessa dopo aver fatto una breve pausa, probabilmente atta a permettere a Sasori di elaborare quanto appena sentito. Allargò le braccia in modo teatrale, ammiccando. «Benché tu non sappia assolutamente niente di me, e così continuerà ad essere finché non deciderò il contrario, vorrei che tu sapessi che sono l'unica persona che può aiutarti in questo mare di merda che è il tuo Clan e l'unica, per inciso, che non intende assolutamente sigillare il tuo Sharingan, perché per quanto tu possa essere stato scosso dalla tua esperienza e per quanta oscurità tu sia sicuro di aver visto, ti posso garantire che esiste un punto, un puntino minuscolo che forse ora non sei in grado di vedere, di luce vera. E quella luce ti permetterà di ritrovare serenità e anzi di far fruttare il tuo nuovo te stesso in modi imprevedibili... ma devi accettare un aiuto, oppure potresti non riuscire a controllare le conseguenze di ciò che adesso sei, perché chi riesce a piegare il creato al suo volere vive in un livello della realtà diverso da quello di chiunque altro, e tutte le esperienze che vive contribuiscono ad arricchire quel livello, che può salire o scendere... e se scendi troppo, credimi, poi non sai più come uscirne.» Tacque per un istante e poi, incredibilmente, sorrise. Ed era un sorriso vero, quello. Sincero.
    Durò solo qualche debole istante, ma in quei secondi Shizuka Kobayashi non era più un'infiltrata esperta in veleni e in chissà quale altra diavoleria, un demone che era arrivato dal nulla per distruggere la serenità di qualcun altro, ma una persona che sembrava conoscere bene il significato delle sue parole, come se ci fosse passata prima, come se sapesse davvero cosa si sente a trovarsi in un labirinto che continua fino al cielo e da cui non si riesce ad uscire neanche urlando e piangendo. Ma furono illazioni solo di qualche istante, quelle, poiché subito dopo il volto da bambola della kunoichi ritornò nella sua solita espressione di ovvia sufficienza.
    «Io posso aiutarti, a prescindere che tu abbia davvero perso il tuo equilibrio o meno: posso insegnarti come far fruttare i lati peggiori e migliori della tua realtà, spingendoti verso i livelli più grotteschi della tua mente. Ti mostrerò l'inferno e ti farò divorare da esso. Piangerai acido, il tuo corpo verrà spellato da vivo e tu saprai di essere morto e rinato, ma quando tutto questo terminerà non importa quanti mesi sarai rinchiuso o cosa vedrai, non potrai scendere più in basso di dove io ti condurrò... sai, l'oscurità è la mia specialità.» Disse, facendo l'occhiolino al suo interlocutore. «Quindi dunque, tirando le redini di questa lunga conversazione, hai due possibilità: rimanere qui e rimetterti al giudizio inappellabile di gente che probabilmente non incontrerai mai, rischiando la sorte, oppure provare prima il tutto e per tutto per scalare la vetta e andare avanti. Mi rendo conto di non essere la tipa più raccomandabile del mondo, ma se avessi voluto ucciderti, lo avrei già fatto mentre dormivi.» Esclamò, battendo una mano sulla spalla del Chunin. Questo si sarebbe accorto di non sentire assolutamente il tocco della mano della giovane. «Se vuoi venire con me spero tu sia bravo nella tecnica della trasformazione, perché devi mutare in lui.» Disse, indicando Atasuke che aveva fino a quel momento ignorato. «Uscire di qui con il mio “amicone” desterà meno problemi di quanti ne avremo, e non saranno pochi vista quanta attenzione il coglioncello ha attirato entrando e urlando come un'oca.» Sorrise, e così dicendo estrasse dalla sua tracolla una pillola gelatinosa bianca dalla forma ovale. Sembrava delicata al tatto, ma quando Shizuka la posò sulle labbra di Sasori, egli si sarebbe accorto che era rigida... a quanto pareva, dunque, vi erano parti del corpo che risentivano della semi-paralisi meno di altre. Non che avesse importanza vista la circostanza. «Fidati di me.» Mormorò, in quella che sembrava più un ordine che una supplica. «E se ti chiedi perché sembro tenerci tanto, sappi che non ti conosco abbastanza da provare un reale interesse nei tuoi confronti, ma odio le ingiustizie e so cosa significa essere sottoposti a delle decisioni troppo grandi da cui non puoi ribellarti, e credo che chiunque debba avere l'opportunità di dimostrare che può cambiare il suo destino. A questo aggiungici il fatto che il mio maestro arrabbiato fa più paura di quella che faccio io, da arrabbiata, intendo, quindi eccoci qua. Credo di aver delucidato tutte le tue domande.»
    A dispetto del suo pessimo carattere, piuttosto evidente e, per la verità, incredibilmente simile sotto molti aspetti a quello di colui che aveva annunciato essere il suo maestro, la Principessa dai grandi occhi verde smeraldo e i lunghi capelli castani era un'oratrice molto più che suadente. Sembrava in grado di miscelare con sapienza sincerità e opportunismo, arroganza e dolcezza, in un profumo inebriante da cui pochi sarebbero usciti indenni. Ma, purtroppo, non era una donna paziente.
    «Sei in grado di annuire.» Avrebbe detto con leggerezza. «Se vuoi venire, fallo, questo è il mio antidoto. Sa di fegato di maiale, quindi fa schifo, ma è rapido ad entrare in circolo.»
    Quale che fosse stata la risposta, però, con sommo stupore di entrambi i suoi interlocutori, la ragazza avrebbe lasciato due pastiglie sul tavolo. Una era per Atasuke, cui lei si sarebbe avvicinata solo dopo.
    «Mi dispiace, ma la legge del tuo Clan non è quella a cui io ubbidisco.» Avrebbe detto la kunoichi e sembrava realmente contrita. «Desidero la morte del capoclan che tu veneri come un Dio come la voglio di chi mi dà la caccia raccontandomi la fiaba di potermi dare un futuro migliore. Voglio la morte di chi racconta frottole al popolo di questo villaggio mascherando la verità di una sparizione con un'amministrazione fantoccio, e voglio la morte anche di chi, come te, crede di conoscermi quando nemmeno io conosco me stessa. Voglio la morte di un sacco di gente e cerco di scordarmi di questo dettaglio rincorrendo un personale senso di giustizia che tu non accetteresti mai, perché prevede il raggiungere il mio obiettivo appoggiandomi a chiunque, anche a chi tu consideri feccia.» Sorrise socchiudendo gli occhi verdi.
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    «Sono così corrotta, Atasuke, che la tua presenza candida mi offende. Mi fai sentire più schifosa di quello che realmente sono e sinceramente non mi interessa se il tuo Clan cercherà di ammazzarmi per quello che sto facendo ora, non è giusto che un demente con il pigiama brutto che ha fatto l'errore di vedere l'inferno, soffrendone per di più, rischi di non poter vivere la sua vita perché considerato come un presunto pericolo per il livello di eccellenza che chiunque porti il vostro cognome pare debba avere. Il tuo capoclan non ha mai smesso di volermi uccidere, a dispetto di tutti i permessi che mi ha concesso, e io stessa non ho mai smesso di sperare di riuscire a diventare abbastanza potente da imporgli questo destino per prima... non so che realtà tu veda, o quanto splendore tu riesca a scovare in ciò che ti circonda. Ma sinceramente non mi interessa: non so cosa tu e la tua gente vediate di così orribile nell'inferno e nella gente come me che ci sta dentro così bene, ma mentre il tuo corpo si scioglie e tu prendi coscienza del fatto che non siamo allo stesso pari e che io posso ucciderti quando più ne ho desiderio, ragiona sul fatto che esistono più strade per giungere nello stesso luogo e forse i miei “colpi di testa”, quelli che ti fanno così paura, fanno parte di un'idea più gentile, in cui magari io non distruggo nessun villaggio, ma anzi lo tutelo.» Disse così e socchiudendo gli occhi guardò con freddezza lo Shinobi di fronte a lui. Quella era, per Atasuke Uchiha, la prima volta che vedeva Shizuka dopo molto tempo da così vicino e si sarebbe dunque potuto accorgere solo allora del cambiamento negli occhi di lei, perennemente più scuri rispetto a quelli conosciuti un tempo, come anche di quella stessa grande e orrenda cicatrice ancora fresca che ne sfregiava il fisico. «Hai memorizzato tutto, Uchiha?» Avrebbe domandato la Principessa. A quanto pareva tutta quella fuga di informazioni con cui aveva riempito il suo discorso non era così casuale. «Prendi la tua medicina o rimarrai stordito tutto il giorno. Non preoccuparti di salvarla, i miei veleni cambiano così rapidamente che tu e chiunque altro non potreste maturare nessun antidoto anche partendo da uno già fatto.»

    Fu così che, gelidamente, il sipario cadde sulla scena.


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  5. Sasori Uchiha
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    La Stanchezza


    Rimase totalmente indifferente alle parole della ragazza. Non aveva predisposto alcuna trappola o sistema di allarme in caso di intrusioni, per il semplice fatto che non credeva importasse realmente introdursi in casa sua. In fondo era una casa come tante altre nel quartiere. Inoltre non c'era niente di prezioso. Poi improvvisamente fece la sua comparsa anche Atasuke,che cercava di rassicurare il ragazzo sulla presenza della ragazza, che non era da considerare ostile.



    Se la conosce Atasuke, per me è a posto



    Disattivò lo sharigan. Di Atasuke sapeva che poteva fidarsi, almeno a fino ad oggi. Aveva un ottimo rapporto con quel ragazzo. Shizuka e Atasuke si conoscevano, eccome se si conoscevano. Si stava godendo la discussione tra i due. Onestamente a Sasori non che importasse molto il fatto che si fosse intrufolata in casa sua. In fondo, era da tempo che non riceva visite, escludendo quelle periodiche di suo padre tra una missione e l'altra. Quindi un po' di gente nuova non era affatto male. Quindi sorrise compiaciuto della discussione tra i due. Soprattutto quando rifece il verso a Sasori, conosceva bene quelle parole, le aveva usate come presentazione. In fondo, si era intrufolata in casa sua, senza bussare, senza un invito. Inoltre non si può combattere dentro casa, aveva appena rinnovato le tinte alle pareti. Sarebbe stato un peccato mortale distruggere tutto quanto. In ogni caso si limitò soltanto ad una occhiata di traverso nei confronti della ragazza. Erano pochi minuti che si conoscevano e per il momento a parte il sarcasmo, non si stava troppo divertendo.



    [...]



    Quando cercò di ingraziarsi Sasori, iniziò a ridere poi brevemente aggiunse:



    Simpatico tuo zio, lo conosco ?



    Effettivamente le parole di Shizuka, sembravano confermare quanto detto da Atasuke. Quindi era tranquillo e rilassato. Certo era molto meglio bussare per entrare comodamente in casa. Magari le avrebbe preparato un thè oppure qualcos'altro. Ma non di troppo impegnativo. Soltanto per farla accomodare, come le tradizioni di casa vogliono. In effetti la ragazza sembrava proprio bacchettare Sasori a riguardo.



    Se non fossi entrata come una ladra, oppure un'assassina, un thè con dei biscotti te li avrei anche offerti sai !? Te che dici ?



    Si mise una mano davanti al volto ed iniziò a scuoterla in segno di disapprovazione. Non appena vide i biscotti che la ragazza aveva portato, rimase leggermente interdetto. Non capiva a questo punto, il motivo di quella strana visita. Se era entrata di soppiatto e non dalla porta principale un motivo c'era o almeno qualcosa non quadrava. Ma tant'è, decise di rimanere al gioco per cercare di capire quale era il punto.



    Beh a questo punto, vado a fare il thè. I biscotti senza thè non possono esistere. Torno subito



    A quel punto andò in cucina, si mise a rovistare nella credenza, dove c'erano tutte le pentole ed il necessario per cucinare, tirò fuori una teiera, prendendo anche il miglior thè che aveva in casa. Era buonissimo con quel tipo di biscotti ed era anche di pregio. Si può dire quasi che il thè costava più della cucina. Non appena pronto lo mise velocemente nelle tazze e lo portò di là in salotto dove c'è Shizuka e Atasuke. Poi tornato di là avrebbe detto a tutti e due:



    Ecco a voi del bel thè ! Spero vi piaccia



    Sorrise, poi aggiunse rapidamente:



    Atasuke accomodati pure,scusami ma ero leggermente disorientato in tutto questo trambusto



    Sasori aveva molto gradito quei biscotti, gli aveva molto piacere che la ragazza glieli avesse gentilmente offerti. Stava per prendere un altro biscotto, ma non riuscì ad addentarlo. Cosa diavolo stava succedendo. Una idea il ragazzo ce l'aveva. Forse era stato un ingenuo, oppure questa volta gli avevano preparato una trappola. Delle idee gli si affollarono nella testa. Ma nessuna sembrava essere attendibile. Venne il momento delle presentazioni, in un momento diciamo non proprio ottimale, ma meglio tardi che mai. Era allieva di Raizen. Quel ragazzo gli stava davvero simpatico.



    Per fortuna non sono ancora diventato psicopatico. Ma un pò di aiuto non guasta mai, non sto neanche messo così male come credono



    In quel frangente conveniva comunque seguirla e prendere quel fottuto antidoto. Quindi annuì con la testa un po' titubante prese l'antidoto. Aveva davvero un saporaccio. Non voleva assolutamente sapere come l'aveva realizzato quella ragazza. Non appena i sintomi erano passati, si estraniò dalla discussione. Aveva altre idee per la testa. Quindi assecondò senza battere ciglio, la proposta della ragazza e con una henge si trasformò nel suo compagno di tante battaglie: Atasuke. Non sapeva dove sarebbero andati, non sapeva quanto tempo sarebbero stati via, prima di muoversi prese un foglietto di carta, dietro la cesta con i mandarini che si trovava, scrisse brevemente a suo padre che non sarebbe tornato a breve e si raccomandava di dare da mangiare al gattone. Rimise il foglietto sotto la cesta per evitare che volasse, ma che fosse visibile a suo padre. Era successo tutto così in fretta che non aveva ancora deciso che cosa avrebbe fatto, era come frastornato.



    Edited by Sasori Uchiha - 4/2/2015, 22:50
     
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    ~La goccia che fece traboccare il vaso~


    Inutile dire che alla fine della fiera Shizuka come suo solito sembrava divertita nello sfottere Atasuke, come d'altronde aveva ormai la pessima abitudine di fare un po con tutti, scordando spesso che le sue azioni avevano anche un'effetto su ciò e chi la circondava.
    Quasi a stento si trattenne nell'ascoltare le buffonate della ragazza in risposta alle sue domande rinfoderando l'arma.

    "Beh?! E a lui l'educazione chi gliel'ha insegnata?! Quindi se irrompo dal portone principale va bene, ma se sono più discreta e pudica e ti entro dalla cucina no? Guarda che oggi Sasori non aspetta visite, e neanche domani. L'ufficio è chiuso, e adesso io e te ci siamo cacciati in un bel guaio... li vedi gli occhietti con le rotelle?"

    °Sempre la solita... Evidentemente non ha imparato nulla in questi ultimi mesi in cui non ci siamo più visti°


    Atasuke sbuffò fingendo di abbozzare una risata, cercando di celare il fastidio che iniziava a provare nel sentirla ancora comportarsi come una bambina viziata.

    «Forse. se TU non avessi violato l'altrui proprietà neppure io avrei dovuto irrompere in casa di Sasori... Ci hai mai pensato? Se solo per una volta ti comportassi come una persona civile eviteresti a me e a tutti gli altri tonnellate di casini»


    Lo sguardo di Atasuke dal solito sorridente era diventato serio, quasi duro. Già in quel momento Shizuka avrebbe dovuto capire che non poteva più scherzare a lungo, tuttavia sembrava che quello non fosse effettivamente il suo desiderio.

    "Invece di seguirmi come un topo avresti dovuto fermarmi e chiedermi cosa pensavo di fare, sei così tremendamente teatrale... mi viene voglia di ammazzarti, certe volte, davvero."

    °Credimi, oggi il desiderio è reciproco°


    Pensò tra se continuando a lanciare occhiate all'amica cercando con attenzione le parole con cui risponderle nella speranza che per una volta gli desse ascolto.

    «Shizuka... Cara Shizuka... Devo forse ricordarti quanto accaduto al villaggio poche settimane orsono? Quando una stronza Yamanaka ha pensato bene di provare a liberare il Gobi per distruggere il villaggio? Lo sai meglio di me che che tuo zio è a corto di uomini e che la polizia ha affibbiato a noi guardiani dei turni di ronda aggiuntivi per coprire la carenza di personale... Credo che facendo girare quella mezza rotella sana che ti è rimasta potresti addirittura arrivare a capire perchè ho preferito seguire una figura sospetta che si addentrava dentro una casa... E scusa se dopo mesi che non ti fai vedere mi son permesso di non riconoscerti»


    Il tono di Atasuke si manteneva serio. Era chiaro che non stava scherzando e che non era assolutamente in vena di continuare con le buffonate o i giri di parole.
    Per quanto Shizuka non stesse, apparentemente, facendo nulla di illegale, Atasuke sembrava non poterle concedere oltre di comportarsi come una bambina viziata che ostinatamente voleva continuare a giocare con tutto ciò che la circondava fregandosene di ciò che poteva provocare.
    Ignorò poi la velata minaccia nella proposta di preparare il the e si avvicinò osservandola mentre con nonchalance iniziava a smaltarsi le unghie. Non sapeva il perchè ma sentiva qualcosa che non gli piaceva nell'odore di quello smalto. Certo, era il solito odore di smalto già sentito parecchie volte a casa della sua vicina quando di tanto in tanto si facevano compagnia nel tempo libero, tuttavia percepiva una nota strana.
    Tralasciò poi le parole di Shizuka sui suoi biscotti continuando ad avere un pessimo sospetto, sospetto che poco dopo iniziò a confermarsi essere la realtà.
    Iniziò infati a sentire una sorta di formicolio alle dita ed un pizzicorio ai muscoli e gli venne in mente solo una cosa: Veleno.

    °Dannazione! Ecco che aveva quello smalto! Un veleno paralizzante! Questa volta giuro che non la passa liscia!°


    Non potè fare altro che pensare. Il veleno aveva ormai iniziato a fare effetto ed Atasuke non aveva modo di muoversi dalla sedia su cui si era seduto, anche se con lo sguardo torvo continuava a puntare Shizuka che nella sua teatralità iniziò ad esporre i dettagli del suo veleno e del motivo per cui si trovava in quel posto. Circumnavigò il tavolo avvicinandosi a Sasori facendo partire un'enorme sproloquio sul perchè era li e su tutta quell'ondata di fesserie in merito alla follia di Sasori legata alla lunga prigionia.
    Certo era che per Sasori quella non era stata una passeggiata al parco, tuttavia Atauke non poteva sopportare oltre la teatrale stupidità con cui Shizuka continuava a muoversi.
    Giunse quindi quella sorta di folle monologo in merito all'animo candido di Atasuke e della sua "venerazione" per il capoclan. Venerazione che non c'era mai stata e che mai Atasuke avrebbe avuto intenzione di intraprendere. Era evidente che ancora una volta Shizuka aveva sbagliato alla grande le sue valutazioni.
    Quando poi lei ed il falso Atasuke uscirono dall'edificio, con enorme sforzo cercò di ingurditare qella specie di pastiglietta ed attese i rapidi effetti dell'antidoto.

    °Questa volta Shizuka l'hai fatta troppo grossa... Prega solo che riesca ad arrivare a te in tempo per fermare Sougo...°


    Intanto, fuori dalla casa Sougo osservava la scena ben nascosto e pronto ad intervenire.
    Fin dai primi momenti quel sadico immaginò che in quella scena c'era qualcosa che non andava. Non solo Atasuke era a spasso con la presuna terrorista, ma soprattutto non aveva ancora dato alcun segnale. Un inquietante sorriso di dipinse sul volto del biondino, il quale non stava godendo propriamente della possibilità che Atasuke fosse fuori gioco, quanto probabilmente del fatto che quella poteva essere per lui un'occasione di farlo fuori "legalmente". Anche se prima, nel suo sadismo aveva in insano desiderio di aprire in due la ragazza con cui stava passeggiando.
    Silenzioso come un topo scivolò nell'e ombre pronto a scattare addosso alla ragazza che cercò di prendere alle spalle puntandole la lama del tanto alla gola.

    "Heilà puttanella... Ti va se facciamo quattro passi in un vicoletto buio? Non ti preoccupare, ti proteggo io..."


    Inutile dire che in caso di reazione violente Sougo avrebbe mollato la pressa arretrando con un balzo leccandosi le labbra con gusto. Ormai era nel pieno del suo sadismo.

    "Uhhh Sembra che la puttanella abbia le unghie... Sarà divertente"


    Sibilò con il suo sguardo omicida direttamente puntato sulla ragazza.
    In quel momento, Atasuke, che si era perfettamente ripreso arrivò lanciato di gran carriera puntando direttamente su Shizuka, la quale, a quel punto se lo sarebbe visto arrivare davanti mentre caricava una potente sberla diretta al pieno del volto della ragazza.

    Se ella avesse deciso di intercettarla o di evitarla in qualche modo, l'altra mano di Atasuke, la sinistra, sarebbe immediatamente scesa all'impugnatura della seconda wakizashi posta al fianco destro portando un rapidissimo colpo con l'impugnatura dell'arma, diretto all'addome della ragazza per spezzarle il fiato.
    Se ancora avesse puntato a parare, allora una testata sarebbe piombata sul viso della ragazza, ormai impegnata ancora a tenere ferme le mani di Atasuke.
    Mentre nell'eventualità che ancora la ragazza avesse tentato di evitare i suoi colpi, una feroce vampata sarebbe partita dalla bocca di lui, puntando direttamente al volto di Shizuka, noncurante delle ustioni che poteva provocare.

    «Sougo! Vedi di darci subito un taglio o giuro che questa volta ti riporto al comando a tocchettini!»

    "Ma... Atasuke, Io..."

    «Taci!»


    Un solo sguardo verso il compagno. Uno sguardo carico d'ira. Non di odio, solo semplice e pura ira, sufficente a costringere il biondino ad abbassare lo sguardo.
    Poi lo sguardo si portò su Shizuka. Semmai la ragazza avesse deciso di guardarlo negli occhi avrebbe visto in lui qualcosa di diverso. Uno sguardo ben lungi dall'essere simile a quelli che le aveva sempre riservato. Uno sguardo che tuttavia non conteneva odio puro nella sua irosa forma, bensì una sorta di amore, simile a quello di un genitore che bruscamente rimprovera un figlio.

    «Venendo a te Shizuka... Quando pensi di finirla di fare la cretina eh!?»


    Tuonò zittendo bruscamente ogni eventuale tentativo della ragazza di ribadire o di esprimersi da li sino alla fine del suo discorso.

    «Non solo hai pensato bene di intrufolarti in casa altrui, non solo stai cercando di rapire un ninja di Konoha... Ma hai la faccia tosta di provare anche a dirmi che non ti posso capire? Che "forse" lo stai facendo per un bene superiore? Che stai cercando di difenderlo dal clan?»


    Inspirò rabbioso con il naso prima di riprendere ancora una volta la sonora ramanzina.

    «Piantala con queste STRONZATE e vedi di crescere una buona volta! Cosa ti fa credere che io stesso avrei permesso una cosa del genere eh!? Cosa ti fa pensare che agire così spudoratamente ti avrebbe permesso di uscirne indenne? Quando cazzo lo capirai che non posso continuare a proteggerti se continui così ardentemente a cercare di distruggerti e di distruggere tutto ciò che hai intorno a te!?»


    Atasuke scosse la testa, quasi come a non voler credere a ciò che stava dicendo ed a ciò che stava per dire, mentre il suo tono iroso andava, poco alla volta, a svanire.

    «Quando capirai che le tue azioni hanno delle ripercussioni sulle persone e su ciò che ti circonda? Quando comprenderai che con questa tua condotta assurda ed ingiustificata finirai solo con il farti ammazzare? Tu vorresti difendere il villaggio e chi ti è caro e questo lo capisco... Ma non pensi che se continui con questi stupidi e teatrali colpi di scena non puoi fare altro che attirare altre sventure su di te? Hai mai provato a pensare quanto tu mi abbia rovinato la vita con le tue azioni da quando ci siamo conosciuti? Ci hai mai pensato?»


    I suoi occhi smisero di essere irosi, mentre rimase quell'alone di amore, forse paterno, forse platonico o forse di altra natura, mentre il tono si era ormai raddolcito.

    «Se vorrai aiutare Sasori io sono ben disposto ad aiutare entrambi, a patto che sia fatto come si deve. Ne lui ne io abbiamo motivo di continuare con questa stupida messa in scena, quindi, se davvero vuoi aiutarlo, fallo come farebbe un'amico. Lui non ha vincoli che gli impediscono di uscire dal villaggio»


    Ed a quel punto tacque.
    Non aveva altro da aggiungere, mentre Shizuka aveva molto da aggiungere ed Atasuke non avrebbe accettato nessuno scherzo, nessuna battutina ne comportamenti stupidi da bambina viziata. Voleva farla ragionare ed evidentemente quello era l'ultimo modo che poteva tentare per dare una raddrizzata a quella ragazza.
    Se ci fosse riuscito, avrebbe proseguito a sua volta con i due, andando fino in fondo a quanto stava per accadere, altrimenti, se lei avesse proseguito con le sue azioni stupide, si sarebbe diretto a fare rapporto direttamente all'amministrazione del villaggio. Come aveva lui stesso ribadito, non poteva più continuare a proteggerla nella sua ostinata serie di azioni autolesioniste.

     
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    Shizuka Kobayashi's breakaway




    divisore





    “Solo tu avresti potuto distruggere il villaggio mentre cercavi di proteggerlo.”




    Uscire dall'abitazione di Sasori Uchiha fu semplice come previsto, anche troppo. Non avvertì la presenza di nessuno di troppo vicino da indurla a credere di essere oggetto di attenzioni di un certo tipo, almeno fino a quando, d'improvviso, la percezione di un'identità le si dichiarò nitida alle spalle.
    Stupida come una tortora e goffa come un bambino, la presenza parve godere per qualche istante della felicità di chi crede di essere dalla parte avvantaggiata delle cose, come se fosse realmente sicura di averla presa di sorpresa. Ignorando la situazione la kunoichi continuò ad avanzare, tenendo il braccio del finto Atasuke che, al suo fianco, ancora guardava il mondo con gli occhi confusi di chi non è sicuro di cosa credere.
    Per un istante, suo malgrado, la Principessa dei Kobayashi si chiese se non avesse caricato quel ragazzo e la sua mente debilitata dal trauma della segregazione, di una sorgente di notizie troppo grande per essere digerita. Non tutti, come lei, erano in grado di reagire alla difficoltà con rapidità, perché non tutti erano stati abituati a far dipendere quella tempistica veloce alla propria sopravvivenza. Si morse il labbro inferiore, interdetta: che avesse sbagliato a non dare lui più tempo? A non rispettare i suoi pensieri?

    "Heilà puttanella... Ti va se facciamo quattro passi in un vicoletto buio? Non ti preoccupare, ti proteggo io..."



    Tacque, fermandosi.
    Un uomo, un ragazzino forse. L'innocenza con cui l'aveva presa alle spalle era talmente adorabile che, per un attimo, ricordò le prime volte in cui era stata introdotta all'omicidio da Norio. Al tempo anche lei, guidata solo da una cieca voglia di dimostrare quanto poteva essere temibile e soffocata dall'esigenza impellente di dare sfogo alla sua ira latente, commetteva quel genere di errori infantili e sciocchi; non nascondere la propria presenza all'obiettivo per esempio o, peggio, parlare prima di essersi sincerata di non poter errare nell'intenzione.
    Abituata a quel genere di situazioni, non fu necessario alla ragazza voltarsi per sentire il tocco di una lama fredda sul collo. Questa era corta, tozza: un coltello, più probabilmente un tanto. Buona scelta, difficile da disarmare, facile da riporre... ma così terribilmente semplice da sottrarre.
    Sorrise, divertita.
    «Questa “puttanella” non te la puoi permettere.» Si limitò a rispondere la kunoichi stringendo debolmente il braccio dell'Uchiha sopravvissuto, come a volerlo rassicurare, prima di lasciarlo andare facendo scivolare la sua mano lungo il fianco corrispettivo, così da liberare il ragazzo dalla sua presa di modo che non rimanesse coinvolto in quel battibecco tra bambini. «Costo troppo e, credimi, non sapresti come gestirmi.» Sospirò, avvicinando la mano destra alla lama sul suo collo, che scostò con scarsa convinzione. Era talmente poco spaventata e agitata dalla situazione da risultare persino offensiva nei confronti di chi tentava di angustiarla con così tanta passione ardente. «Torna quando avrai imparato almeno a toccarmi il seno in modo da provocarmi piacere.» Aggiunse volgarmente, ghignando, e solo a quel punto avrebbe mosso di scatto il braccio sinistro con supposta ferocia. Proprio come aveva immaginato il ragazzino, niente più di un biondino dallo sguardo arrabbiato che sembrava saperla lunga su chissà quale sua immaginaria cattiveria desiderosa di mostrarsi a qualcuno, scattò rapidamente indietro, leccandosi le labbra.
    Gli Dei lo perdonassero... era così simile alla se stessa di solo qualche anno prima che guardandolo in volto, per un attimo la kunoichi ebbe i brividi.

    "Uhhh Sembra che la puttanella abbia le unghie... Sarà divertente"



    Alzò gli occhi al cielo come una madre messa alle strette con la propria pazienza e poi annuì con rassegnazione, sventolandosi una mano di fronte al viso con sufficienza.
    Cresciuta da ninja realmente in grado di potersi permettere un linguaggio come quello e messa alla prova dalla forza di uomini capaci di distruggerla con un solo dito, Shizuka Kobayashi guardò il tentativo di quel pulcino di sembrare un grosso omone volgare e spaventoso come avrebbe potuto guardare al tentativo di una gallina di volare: con pietosa ironia.
    Non aveva assolutamente idea di chi quel tipo fosse e di cosa volesse da lei, ma non se ne curò troppo, un po' perché era evidente che non avrebbe risposto a nessuna domanda, un po' perché una persona come quella, incapace anche di cogliere di sorpresa qualcuno alle spalle, avrebbe potuto schiacciarla come un insetto. Analizzando altre possibilità, inoltre, anche se avesse riportato a qualcuno la sua presenza assieme ad “Atasuke Uchiha” presso il quartiere del ventaglio avrebbe riscosso poco stupore da parte di chiunque giacché non era una novità che i due fossero “amici”. Certo perché la storia reggesse doveva andarsene di lì prima che l'altro Atasuke riuscisse in qualche modo a strisciare fino all'antidoto.
    «A presto cucciolo, e buona fortuna con gli addestramenti.» Esclamò allora la kunoichi, sorridendo dolcemente, e si sarebbe a quel punto voltata per dirigersi verso l'uscita del clan se solo i suoi occhi, nel girare, non avessero incontrato la figura di Atasuke correre verso di lei.


    “Chiediti perché Kurotempi dovrebbe volere proprio te...
    ...a quanto pare sei arrivata proprio a toccare tutte le radici della vita sbagliata dello Shinobi.
    Perché non te ne vai, Shizuka? Perché, davvero, semplicemente non tradisci Konoha anziché cercare di proteggerla? Se non altro il villaggio rimarrebbe intero.
    Segui le orme di tuo fratello, concludi ciò che ha iniziato tua madre, fai quello che il tuo maestro fa ormai da anni, e vattene. Sparisci, Shizuka. Come amministratore del Villaggio della Foglia segnalerò il tuo tradimento solo tra una settimana, così da darti il tempo di correre il più lontano possibile...che ne dici?”




    Non era necessario che si fosse allenata così tanto per rendere la sua percezione pari a quella di un Jonin. I suoi addestramenti per anticipare i movimenti del nemico, per leggere le sue intenzioni nei piccoli micro-movimenti muscolari che anticipano l'azione reale, sarebbero stati inutili in quella circostanza. Fu talmente evidente quello che Atasuke Uchiha era intenzionato a fare che Shizuka Kobayashi, ritornando frontale rispetto allo Shinobi, si limitò a volgere la testa di lato, cosicché quando il ceffone arrivò il suo “compagno” non avesse nemmeno la preoccupazione di non sbagliare la mira.
    Immobile al suo posto, con il viso rigirato e nessuna espressione che potesse dare un nome ai suoi pensieri, la Principessa del Villaggio della Foglia subì il colpo passivamente, come un figlio punito dal genitore iracondo.
    Lo schiocco del colpo fu talmente forte che, da solo, bastò a cancellare la minaccia del guardiano delle mura al giovane biondino implume che a quanto pareva era una sua conoscenza, e fu così che il silenzio cadde pesantemente, come un sudario su una fredda scena di morte invernale.
    Atasuke era di fronte a lei, ansimante, tremante di rabbia. Da quella distanza poteva sentirne il respiro sul collo, il calore della sua mano ancora sul viso.
    Benché molti avrebbero esitato, Shizuka non si frenò dal voltarsi con lentezza verso colui che le sostava dinnanzi, conducendo i suoi impassibili occhi verdi in quelli corvini di lui. Questi, gelidi come l'inferno più scuro, sembravano lame affilate da un sentimento che, prima di quel momento, la ragazza non aveva mai visto nello shinobi. Qualcosa di simile alla rabbia, o persino all'ira.
    Cercò di non farlo, vista la circostanza, ma purtroppo non riuscì a trattenersi dall'abbozzare un sorriso divertito: a quanto pareva, allora, anche Atasuke Uchiha si arrabbiava sul serio.
    «Ho subito di peggio.» Disse la kunoichi a quel punto. «Potevi fare di meglio.» Aggiunse, ma sembrava più una domanda dubbiosa che una reale affermazione, come se dubitasse che quell'uomo sarebbe riuscito realmente a colpire con più forza. E non perché fosse di animo buono, ma perché, di forza, non ne avesse più di quella.

    “Tu, Shizuka, sei la rovina di chiunque ti circondi.
    Ti rendi conto di quanta sofferenza porti alle persone che ti stanno accanto?”



    […] Shizuka Kobayashi era la Principessa del Clan da cui traeva il nome. Un Clan che, dominando tutta l'economia di Konoha e gran parte di quella del resto delle terre conosciute, poteva permettersi tutto. Lei stessa non aveva sofferto la mancanza di niente, nella sua vita.
    Cresciuta con premura e amore nella comodità di decisioni prese da altri e nella ricchezza di poter ottenere qualsiasi cosa, persino la più folle, l'erede dei Kobayashi non aveva mai patito nessuna sofferenza.
    Tranne la solitudine.
    Essere la futura capoclan di una dinastia così potente rende una bambina l'oggetto di sguardi silenziosi, di calcolate e precise frasi, di manipolazioni gentili, intenzioni celate.
    Costretta nei viaggi mercantili con suo padre dall'età di tre anni, si era sentita nomade ed estranea nel suo stesso villaggio, in cui ritornava di rado e mai senza che chiunque la guardasse come un cristallo soffiato raro e spaventoso. Incapace di instaurare relazioni durature e sincere all'infuori della sua famiglia, la piccola principessina della stirpe della “K.” ricamata a filo d'oro aveva allora focalizzato tutta la sua attenzione sullo studio di ciò che sapeva avrebbe dovuto essere di sua pertinenza, sperando così di poter riscuotere un'approvazione che dipendesse solo dalle sue capacità e magari anche delle persone che si affiancassero a lei e che si impegnassero al suo fianco rendendola loro pari; ma anche in quel campo, benedetta da una memoria quasi spaventosa e da un'intelligenza arguta e acuta di gran lunga superiore di quella che una bimba della sua età avrebbe dovuto avere, non aveva mai avuto difficoltà ad eccellere in ogni nuovo corso, ogni nuova esperienza, ogni nuova prova.
    Molti avrebbero detto di lei che era una bambina annoiata da tutto, stanca, talmente viziata da aver perduto l'entusiasmo della sua miracolosa e privilegiata vita. La verità era che non riusciva a capire cosa avrebbe dovuto fare per comprendere. Non sapeva cosa avrebbe dovuto capire, ma era sicura che c'era qualcosa che le stava sfuggendo poiché non importava quanto bene danzasse, quanto la sua voce fosse melodiosa nel canto, quanto bene sapesse leggere la letteratura in caratteri cinesi o quanto prodigiose fossero le sue trattazioni da piccola e geniale mercante: si sentiva sempre fuori posto. Tanti anni dopo, quando quella piccola dai grandi occhioni verdi e le guance paffute era divenuta una donna adulta, il suo senso di disagio non era svanito.
    Si era resa una shinobi per dimostrare di poter fare tutto, di essere geniale in ogni campo, di essere in grado di vivere delle sue sole forze. E quello che era stato un capriccio le aveva offerto degli amici, un mondo in cui per quanto si impegnasse c'era chi era migliore di lei, in cui quando si presentava come Principessa sentiva ridersi in faccia, in cui finalmente aveva capito che quello che non comprendeva da piccola era perché avrebbe dovuto vivere una vita intera ubbidendo solo a ciò che qualcuno aveva programmato per lei.
    Poteva vivere la sua vita, esplorare il mondo, vedere realtà diverse e poi tornare a casa. Aveva imparato a capire, facendo quelle nuove esperienze che tutti l'avevano scoraggiata ad intraprendere, che amava realmente, e non per imposizione, essere la Principessa del suo Clan, e che non c'era niente che la appagasse come fare la mercante. Si era anche resa conto che amava il suo villaggio anche se questo non la conosceva, perché era il luogo in cui la sua famiglia viveva con serenità. Amava i cittadini che le sorridevano e anche quelli che la ignoravano o apparivano intimoriti dalla sua presenza ma che, se chiamati gentilmente, sapevano aprirsi e mostrarsi con sincerità.
    E amava le persone che la vita shinobi le aveva dato. Dato e poi tolto.
    Non importava, difatti, quanto duramente si impegnasse perché la storia di sempre non si ripetesse, le persone attorno a lei sparivano. Morivano. La rifiutavano. Sempre.
    Corrotta da una maledizione che molti avevano fino a quel momento creduto solo una vecchia leggenda, costretta per sempre a vivere sul filo che separava ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, costantemente messa alla prova dal fato che le dava e subito dopo le toglieva, e poi toglieva e toglieva ancora, Shizuka Kobayashi aveva creduto di aver sfidato troppo la fortuna che la vita le aveva dato, e per questo adesso era punita da qualcosa che non sapeva come gestire e che, per quanto avesse cercato di cambiare, alla fine la faceva sempre rimanere sola come quando era piccola.
    E in tutta questa storia, per inciso e come se non bastasse, non c'era assolutamente niente di nuovo o incredibile, perché lei, alla fine, non era nient'altro che una persona qualsiasi, una canzone già cantata, un dipinto già rimirato: una Principessa che lotta contro il suo destino e cerca di dimostrare di poter vivere un'altra vita, cadendo poi in disgrazia... solo che per lei non ci sarebbe stato nessun lieto fine.
    Nella sua vita aveva solo due persone che bilanciavano la sua piccola e pudica realtà interiore, la stessa che sapeva l'avrebbe accompagnata lentamente al suo spegnimento: Raizen e Atasuke.
    Il primo era colui che aveva squarciato con violenza le sete che avvolgevano la sua visuale ristretta, offrendole agli occhi il mondo che poteva esplorare, le possibilità che poteva cogliere, i limiti che doveva infrangere. Era il suo principio e la sua fine. Il mentore di ciò che significava vivere la propria vita semplicemente per la gioia di poterlo fare.
    Il secondo... beh, era l'equilibrio che non aveva mai avuto. Candido come un bocciolo, giusto tanto da risultare ridicolo, fedele ai suoi principi e alla giustizia comune tanto da essere irritante, Atasuke rappresentava per Shizuka tutto ciò che di corretto e pulito esisteva al mondo.
    Era così bianco, così sincero... e non importava quanto in basso fosse sprofondato o che tipo di oscurità avrebbe visto: lui sarebbe stato un fiocco di neve in una palude di morte. La luce nella tempesta.
    Se avesse pianto, lui l'avrebbe ascoltata. Se ne avesse chiamato il nome, lui sarebbe arrivato. Come la prima volta che si erano incontrati, quando decise di credere in lei –che “non poteva essere così cattiva come diceva se aveva rischiato la morte pur di riportarlo a casa sano e salvo”– senza chiederle nulla, Shizuka sapeva che Atasuke era quel genere di persona che amava il prossimo incondizionatamente e che cerca di comprendere le ragioni reali di qualsiasi verità andando oltre la realtà apparente.
    Era un tesoro prezioso, una stola di pregiata seta candida che in qualche modo lei si sentiva di dover tutelare da tutte quelle cose brutte che esistevano al mondo. Anche da lei stessa.
    Benché fosse uno Shinobi era rimasto così puro che non poteva permettere ad un abbietto rigurgito quale era lei di contaminarlo. Questo aveva sempre pensato, eppure, egoisticamente, lo aveva sempre continuato a cercare, a infastidire, a mettere alla prova.
    Fino a quel momento.

    "Quando cazzo lo capirai che non posso continuare a proteggerti se continui così ardentemente a cercare di distruggerti e di distruggere tutto ciò che hai intorno a te!?"



    Sorrise, e adesso appariva sinceramente stupita.
    Quindi era lui che credeva di proteggere lei? E da cosa, precisamente?

    "Quando capirai che le tue azioni hanno delle ripercussioni sulle persone e su ciò che ti circonda?"



    Guardò Sasori ancora imbambolato accanto a lei. Ancora sottoforma di Henge.
    Torna normale, stupido, ormai la copertura è saltata, non vedi?

    "Ma non pensi che se continui con questi stupidi e teatrali colpi di scena non puoi fare altro che attirare altre sventure su di te?"



    Che tipo di percezione aveva Atasuke di lei?
    Quella, probabilmente, che lei le aveva sempre dato: nessuna.
    Non le aveva mai raccontato niente di sé, non si era mai rivelata, mai scomposta. Aveva semplicemente lasciato che quell'uomo, perché era un uomo e non un ragazzo, non un coglioncello, interpretasse i suoi comportamenti e le sue parole a modo proprio.
    Una “teatrale” e “stupida” ragazzina viziata, figlia di un privilegio che probabilmente non meritava e che certamente non sapeva gestire.
    Una sciocca, sciocca bambinetta urlante.

    "Hai mai provato a pensare quanto tu mi abbia rovinato la vita con le tue azioni da quando ci siamo conosciuti? Ci hai mai pensato?"

    “Tu, Shizuka, sei la rovina di chiunque ti circondi.
    Ti rendi conto di quanta sofferenza porti alle persone che ti stanno accanto?
    Riesci a capire che anche il tuo tentativo più buono si trasforma nella disgrazia di un intero villaggio? Sei esattamente come il tuo maestro: l'ultimo appannaggio della corruzione dell'uomo, troppo deteriorata per essere ripristinata. Un buco in un tessuto altrimenti perfetto.”



    Tacque.
    Ferma nel punto che aveva fatto proprio, un passo avanti a Sasori, di cui sembrava porsi quasi a scudo, la kunoichi accolse quelle parole in silenzio totale.
    I suoi occhi verdi per un attimo si mossero con nervosismo, vagando dalla bocca del suo interlocutore fino al suo mento, poi il torace e infine il suolo, per poi subito rialzarsi nel tradire una sorta di smarrimento che assumeva i connotati dell'incomprensione, quasi la ragazza non capisse ciò che le era stato appena detto.
    Esitò. Si mosse sul posto. E solo a quel punto aprì la bocca, che si richiuse un secondo dopo nel silenzio.
    La fronte si aggrondò, il piccolo naso si arricciò e infine le sue labbra, dipinte con un rossetto neutro che ne valorizzava il naturale colorito scarlatto, si piegarono verso il basso. Sembrava una bambina appena colta a commettere un errore troppo grave per essere perdonato e, d'improvviso accorgendosi di provare davvero quella sensazione, la ragazza indietreggiò.
    «Io non...» Si mangiò le sue stesse parole, e di nuovo corrugò le sopracciglia in una maschera di incomprensione. «Io non ti ho mai chiesto di starmi accanto.» Disse a quel punto, e si rese conto che non lo aveva mai fatto davvero. Non gli aveva mai detto quanto in verità necessitasse di qualcuno vicino che non sparisse da qualche parte, prima o poi. «Non ti ho mai chiesto di rovinare la tua vita a causa mia.» Per la verità era proprio quello che aveva sempre cercato di evitare che accadesse. Come per Raizen, Atasuke era il suo piccolo tesoro, che lei riponeva gelosamente in uno scrigno che custodiva nel modo che riteneva migliore.
    Tacque nuovamente, e si rese allora conto che non sapeva cosa dire. Probabilmente non c'era molto altro da aggiungere.

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    «Da cosa pensi di “salvarmi”? Da cosa sei sicuro di tutelarmi?» Con suo sommo stupore le parole le salirono alla bocca da sole. «Da me stessa?» Sentiva un forte prurito al naso che le saliva lungo il setto e arrivava fino agli occhi, stuzzicati tanto da farsi umidi, ma si impose comunque di ridere. «Credi davvero...» Esitò. «...di poter combattere tutto il male del mondo? Di poter “impedire” ogni sorta di aberrazione?» Non seppe nemmeno perché indicò Sasori. «Se avessi saputo che intendono sigillare il suo Sharingan “non lo avresti permesso”? Quanto in alto ti credi di essere?» Lentamente la voce iniziava ad assumere una sfumatura di rabbia. Di tradito e risentito rancore. «Sei solo un volgare genin!» Esplose con rabbia subito dopo. «Un guardiano, niente più del cane di un Hokage che non c'è più, ma questo, ops, tu non lo sai, perché sei troppo impegnato a seguire la tua morale pulita e retta che non hai mai guardato dentro lo schifo che c'è in giro!» I suoi occhi tremarono e poi vacillarono, facendosi ancora più umidi, ma l'espressione che la kunoichi aveva era più simile alla rabbia che al grande e profondo dolore. «Credi davvero di poter sapere tutte le ingiustizie del mondo prima che vengano commesse e poi agire per impedirle? Credi davvero che qualcuno ti avrebbe detto, a te, uno Shinobi innocente che considera la sua innata una gioia e un onore, quanto in basso può cadere un creatore, quanto orrore è in grado di creare e quanta poca voglia Palazzo Uchiha abbia di accollarsi questa responsabilità?!» Si girò verso Sasori. «E tu, ti credi sano, non in pericolo, pensi davvero che la tua situazione non sia così grave... ma arriverà il momento in cui le conseguenze della tua esperienza si manifesteranno nei tuoi Genjutsu, e allora vedrai il mondo con gli occhi di chi sei diventato e ne diverrai vittima!» Esitò ancora una volta portandosi istintivamente una mano ad indicarsi il petto, come se stesse per aggiungere qualcosa, ma non lo fece. «Per cosa sei così intontito...» Riprese dopo una piccola pausa, e in modo imprevisto abbassò la testa. «...non vedi che hai un amico qui che è pronto ad impedire che ti succeda il peggio?»
    ...Perché Raizen l'aveva mandata lì? Cosa si aspettava che facesse? Che mostrasse a quel ragazzino come non sprofondare nell'inferno, dove era finita lei per lo stesso motivo per cui si trovava lì in quel momento: la degenerazione di una Genkai Kekkei?
    Sorrise, chiudendo gli occhi che avvertì ormai davvero troppo umidi. Il naso sembrava colarle, e lei cercò impercettibilmente di tirare su senza farsi sentire. Adesso si che si sentiva una bambina.
    «Ho sbagliato a venire qui.» Sentenziò alla fine, e scosse la testa. «Non avrei mai dovuto accettare questo incarico ed intrufolarmi al quartiere per la salvezza di un volgare Uchiha.» In effetti il solo pensare di aver accettato un ruolo come quello, l'aiuto di un Uchiha, era paradossale. Non aveva motivi per rivolgersi cortesemente a nessuno dei membri di quel Clan, neanche a quelli che non la conoscevano e con cui, forse, se avesse iniziato diversamente, si sarebbe potuta avvicinare... cosicché un giorno, prima o poi, non fosse più stata “la bastarda del Clan” ma una come tanti. «Ho sbagliato ad avvelenarvi e a dire tutto quello che ho detto. Immagino che adesso dovrei chiedervi di dimenticarvi tutto, ma non credo sia possibile. Valutate perciò con discrezione l'utilizzo delle vostre nuove informazioni.» Si trattenne dal passarsi una mano sugli occhi, e dopo un secondo di esitazione, si voltò portando lo sguardo su Atasuke. «Non fare rapporto. Il fatto che sia riuscita ad entrare in un'abitazione civile con te nei paraggi, ad avvelenarti e a far abbaiare insensatamente il tuo canino mentre mi portavo via uno Shinobi accademico, dubito gioverebbe alla tua reputazione.» E così dicendo sorrise, ed era un sorriso sincero. I lunghi capelli le ricaddero di lato mentre la testa si piegava verso una spalla e lei faceva spallucce. «Dì semplicemente che volevo conoscere il sopravvissuto di cui mi zio mi ha parlato.» E rivolgendosi a Sasori: «Mio zio Isamu mi ha davvero raccontato di te e di tuo padre.» Per quanto assurdo potesse sembrare che uno dei pezzi grossi della Polizia di Konoha si soffermasse a discutere con la nipote di quel genere di futilità troppo simili a chiacchericci femminili. «Il ragazzo ha bisogno di un aiuto, ma a ben pensarci dubito di essere la persona più indicata per darglielo. Un tipo candido come te saprà sicuramente indirizzarlo meglio.» E a quel punto, forse con grande stupore di entrambi i due ascoltatori, la kunoichi si inchinò: la schiena dritta, gli occhi chiusi e le mani aggraziatamente raccolte in grembo sembravano suggerire un'educazione persino in quel semplice gesto. «Con permesso.»
    Non avrebbe detto nient'altro. Aveva già parlato troppo.
    Tipicamente in stile Raizen Ikigami, che era stato quello di Jotaro Jaku e ora il suo, Shizuka Kobayashi si voltò e così com'era arrivata, senza introduzioni né spiegazioni, prese ad andarsene.
    Sembrava quasi non aver fatto assolutamente niente di male, come se dopo una breve chiaccherata avesse deciso di tornare a casa. E fu proprio dove si diresse, mentre i suoi piedi iniziavano a muoversi sempre più velocemente e lei iniziava a correre.


    Dietro di lei, un fruscio rapido e silenzioso si rivelò dal nulla.
    «Oh.» Gemette la kunoichi. «Puoi anche smetterla di seguirmi, ora.»

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  8. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    ~Errori e Perdono~


    Quella volta Atasuke forse aveva sbagliato. Forse era stato fin troppo duro con Shizuka o forse aveva solo fatto quello che andava fatto da tempo. In ogni modo non si sentiva bene. Vedendo come la ragazza rimase titubante, con le lacrime agli occhi, seppur cercasse in ogni modo di sforzarsi di mascherarlo, non poteva ignorare il nodo alla gola che si sentiva stringere. Forse aveva esagerato seppur facendo la cosa giusta.
    Ascoltò con attenzione le sue parole e rimase in silenzio. Ad ogni parola che scorreva portata nel vento il suo sguardo duro si affievoliva, riempiendosi forse di tenerezza, forse di commozione.

    "Quanto in alto ti credi di essere?"

    °Abbastanza da poter camminare a testa alta°


    Avrebbe voluto dirle quelle parole, ma quel nodo che sentiva alla gola non gli permetteva di esprimersi. Tacque. Non disse nulla e rimase in religioso silenzio ad udire lo sfogo di Shizuka.

    "Ho sbagliato a venire qui."

    °Non hai sbagliato, sai che sei la benvenuta...°

    "Non avrei mai dovuto accettare questo incarico ed intrufolarmi al quartiere per la salvezza di un volgare Uchiha."


    «S-Shizuka»


    Lo sguardo di Atasuke era ormai completamente svuotato dall'ira che provava fino a pochi istanti prima. Ora, inspiegabilmente nei suoi occhi c'era solo più posto per la compassione, mentre la sua voce tremolate iniziava appena a riaffiorare con grande sforzo.

    "Il ragazzo ha bisogno di un aiuto, ma a ben pensarci dubito di essere la persona più indicata per darglielo. Un tipo candido come te saprà sicuramente indirizzarlo meglio."

    «Shizuka... sai anche tu che non è vero»


    Chiunque avrebbe trovato a dir poco beffardo il destino. Era incredibile come in un lampo la follia della ragazza divenne tristezza mentre la furia di Atasuke si tramutò in compassione. Se qualcuno avesse osservato la scena dall'esterno certamente si sarebbe come minimo aspettato uno scontro mortale dopo quello strano susseguirsi di azioni, eppure... Eppure tutto era diverso, ma per chi conosceva bene quei due, nulla era più normale di quanto già non stesse accadendo.

    "Con permesso."

    «Shizuka!»


    Ella iniziò ad andarsene prima con passo lento, poi accellerando sempre di più.
    Atasuke rimase impietrito a fissarla, quasi come se non sapesse che cosa fare, come se non avesse la più pallida idea di che cosa avrebbe dovuto fare.

    "Oh. Puoi anche smetterla di seguirmi, ora."

    °Stupida°


    Non potè pensare ad altro nell'udire quelle parole. E senza pensare ad altro, si ritrovò a correrle silenziosamente dietro, con un passo decisamente più rapido. Non sapeva perchè lo stesse facendo, ne aveva idea di che cosa avrebbe fatto una volta raggiunta. Sapeva solo che lo stava facendo e non poteva fare a meno di farlo.
    Si lasciò alle spalle tutto. Sasori, Sugo, l'avvelenamento, la discussione, la rabbia, tutto. In quel momento non gli importava più di nulla. Solo lei era al centro dei suoi pensieri.
    Caso strano. Era già la seconda volta che si ritrovava a pensare a lei piuttosto che a ciò che lo circondava, ma in fondo... Neppure quello lo interessava.
    Una volta raggiunta la prese per la spalla destra, strattonandola dolcemente ma con decisione per farla fermare e per cingerla a se con il braccio destro che la teneva attorno alla vita con delicatezza.
    Avvicinò le sue labba all'orecchio di lei iniziando a sussurrarle parole con un tono dolce e delicato.

    «Shizuka... Hai ragione, non... Non mi hai mai chiesto di proteggerti, tuttavia, non posso fare a meno di farlo... Non posso fare a meno di volerti proteggere, non posso fare a meno di pensare a te... Perfino contro Sinji Akuma nel deserto dell'Anauroch non ho potuto non pensare a te e non posso fare a meno di te, di tutte le tue buone intenzioni, della tua irriverenza dei tuoi pregi e dei tuoi difetti»


    La sua voce tremava, per quanto cercasse di darsi un contegno era al limite e non potè trattenere una calda lacrima che correva lungo il viso rigandogli la guancia.
    Delicatamente la mano lasciò la presa dalla spalla di lei, portandosi al mento di Shizuka mentre con l'indice le voltava teneramente il viso per poterla guardare negli occhi. Era quasi incredibile quanto i volti dei due in quel momento fossero vicini. Atasuke poteva percepirne il fiato caldo ad ogni singolo respiro ed anche lei poteva sentire il suo respiro calmo.

    «Shizuka... Se solo me lo permettessi, insieme, noi potremmo... ecco noi...»


    Non riusciva a terminare la frase, in parte perchè non sapeva esattamente nemmeno lui che cosa stesse cercando di dire, ma soprattutto perchè il suo corpo aveva smesso di agire secondo logica. A stento tratteneva le mani dal tremare mentre il suo cuore sembrava essere andato troppo su di giri per accettare un qualsivoglia comando.
    La spinse leggermente con il braccio per farla voltare completamente verso di lui mentre con la sinistra continuava a carezzarle il viso mentre il suo capo si chinava leggermente avvicinandosi ulteriormente arrivando ormai a pochissimi centimentri. Poteva specchiarsi negli occhi di lei ed a stento ricordava di averli mai trovati tanto belli.

    «Shizuka...»


    Se ella non lo avesse fermato o lo avesse assecondato, Atasuke non si sarebbe più fermato dando (finalmente?) sfogo alle sue emozioni inclinando appena il capo e poggiando delicatamentele sue labbra su quelle di lei, concendendosi un bacio che da troppo tempo stava trattenendo mentre la mano scivolava dolcemente dietro alla nuca di lei tenendola stretta a se.
    Solo dopo alcuni istanti, quando fu in grado di staccarsi da lei, quasi tremolante riprese a parlare.

    «Vieni con me, affrontiamo questa sfida insieme»


    Concluse sorridendo ed accennando palesemente a Sasori che forse li stava ancora raggiungendo o forse li aveva già raggiunti da tempo. In fondo, ad Atasuke non importava più di null'altro.

    Se invece lo avesse fermato Atasuke si sarebbe bloccato, irrigidendosi per poi lasciare la presa sulla ragazza ed indietreggiare di alcuni passi.

    «E-Ecco, io... Volevo solo dirti che... Voglio aiutarti e voglio che insieme affrontiamo questa sfida, non per me, non per te, non per Raizen, Non per il clan, non per il Kage, i suoi amministratoti o per il villaggio, ma per Sasori»


    Omise volontariamente il cognome per sottolineare che era Sasori al centro della questione non un Uchiha o Sasori l'Uchiha. Solo Sasori.
     
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  9. Sasori Uchiha
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    La Colazione Prima di Tutto



    Stava osservando la situazione dall'esterno. Da come si stavano comportando i due, lo scontro era oramai imminente. Ma con suo grande stupore, l'ira di Atasuke improvvisamente cessò, mentre Shizuka improvvisamente divenne triste, da folle scriteriata qual' era. Non ci stava capendo molto. Era tutto alquanto strano. Atasuke in realtà non lo conosceva da molto tempo, ma ci si trovava bene in sua compagnia. Della ragazza non sapeva assolutamente nulla a parte la visita improvvisa. Ma i due evidentemente dovevano conoscersi molto bene e di certo non ci voleva un genio per capirlo.



    Se la mettete così non ho altra scelta



    Atasuke iniziò a rincorrere la ragazza che stava iniziando a fuggire. Sasori rimase lì a godersi la scena. Per fortuna del ragazzo la riuscì a raggiungere. Non c'era più alcun dubbio, c'era del tenero tra i due e questo anche un orbo poteva vederlo. Sasori oggettivamente si sentì di troppo. Era contento per Atasuke, evidentemente avevano un bel passato a vedere il rapporto che c'era tra loro due. Non intendeva di certo rovinare quel quadretto. Quindi indipendentemente da come fosse andata la situazione tra i due avrebbe soltanto detto ai due:



    Mi sono dimenticato di fare colazione, poi non posso andare in giro vestito così ! Ci vediamo tra una decina di minuti al massimo !



    Non avrebbe sentito alcuna risposta, si sarebbe soltanto voltato e avrebbe poi iniziato a correre al massimo della sua velocità in direzione di casa sua, trangugiò i mochi rimanenti e si lavò di nuovo i denti e si cambiò d'abito. Si vestì come al solito, quando non era impegnato in missioni accademiche e sinceramente quel look era davvero spettacolare. Dopo di che Scese le scale, non tralasciò di lasciare da mangiare al gattone visto che di suo padre non si fidava poi molto, almeno per quel semplice ma essenziale compito da svolgere. Adesso poteva tornare dai due. Era curioso di sapere come sarebbe andata a finire. Quindi si avvicinò ai due dicendo:



    Eccomi sono di ritorno ! Scusate il ritardo ma avevo fame !In ogni caso non sono pazzo ! Voglio soltanto togliermi alcune soddisfazioni la prigionia mi ha consentito di aprire gli occhi su tanti errori che feci in passato. Non sono affatto pericoloso. Vi sembro pericoloso per caso ?



    Una volta che aveva chiarito, la propria situazione,si guardò ingenuamente attorno fermandosi prima su Atasuke e poi su Shizuka, dopo di che con aria innocente disse:



    Ed adesso che si fa?

     
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    R E V O L U T I O N:
    There is no such thing as accident; it is fate misnamed.

    Shizuka Kobayashi's accidents.




    divisore





    Come spesso accadeva quando qualcosa la feriva mortalmente, Shizuka Kobayashi si trovava in quello stato confusionale molto simile alla mortificazione di un bambino, che preferisce negare la situazione piuttosto che accettarla. Vittima di una serie di perdite molto superiore a quella che qualsiasi fato avrebbe mai dovuto infliggere ad una sola persona, la ragazza era arrivata ad un punto mentale per cui il tradimento o il rifiuto di qualsiasi altra persona per lei importante potesse divenire un motivo valido per sparire realmente, una volta, per tutte, da Konoha, dedicandosi ad una vita di silenzio che, forse, avrebbe potuto con gli anni lenire il suo cuore stanco.
    Il rifiuto di Atasuke Uchiha era stato un passo sin troppo votato in quella direzione.
    Quando si allontanò dal Quartiere Uchiha si sentì una ragazzina sciocca. La sua fuga, intrapresa correndo come una femminuccia in lacrime, la imbarazzava. Provava vergogna per se stessa e per la sua incapacità di sistemare le cose prima di andarsene, come avrebbe fatto qualcuno più maturo di lei, ma per quanto non volesse accettarlo, si sentiva ferita dalle parole del ragazzo cui teneva così tanto, ferita e mortificata abbastanza da non riuscire a continuare la disquisizione cui aveva posto allora fine.
    Accanto a lei l'ombra silenziosa, che si rifletteva sul suolo ad intermittenza incalzante senza che nessun rumore o fruscio la accompagnasse, non accennava a smettere di seguirla, e se di tanto in tanto si fermava divertita nelle proiezioni a terra degli alberi o degli edifici attraverso i quali la Principessa stava disperatamente correndo in direzione del suo Clan, quasi a voler dare lei un vantaggio che aumentasse il divertimento della caccia, non accennò mai a porre fine alla sua intenzione. Un dettaglio di cui Shizuka si accorse con disperazione.
    Era sempre stato lì. Sempre. E lei non se n'era accorta.
    Una simile recita contesa tra il melodrammatico, il pietoso e il teatrale, proprio di fronte a lui...
    Impallidendo, la kunoichi deglutì e a quel punto la vergogna per se stessa fu tale che gli occhi della poveretta si riempirono di lacrime come una sorgente appena nata.
    Erano lacrime di vergogna e di rabbia, le sue: rabbia per se stessa, per il suo testardo e ostinato sentimento di attaccamento verso delle persone che sperava non la tradissero mai ma che, ne era conscia, potevano abbandonarla. Raizen. Atasuke. I membri del suo Clan.
    Era arrabbiata con se stessa per la situazione imbarazzante in cui si era messa e per il comportamento dalle tinte tutte rosa che aveva adottato. Vittima della sua stessa educazione da Principessa, che la voleva aggraziata, elegante e femminile, era riuscita a tirare fuori quella sua inclinazione, invero innata, proprio in un momento come quello.
    Davanti ad Atasuke. Davanti ad un dannato Uchiha pressocché sconosciuto come Sasori. Davanti a lui.
    Era pallida come un cadavere. Pallida e sconcertata quando una mano la bloccò e lei, sentendo la presa delle dita solide e nerborute sulla sua spalla, invero più piccola e delicata di quello che si sarebbe potuto pensare, trasalì talmente tanto che stava per cadere carponi a terra...
    ...Adesso non sentiva più nemmeno le presenze altrui e cadeva correndo! Quanto poteva essere caduta in basso in meno di qualche ora?!
    Inutile dire, però, che quando si voltò e si trovò di fronte Atasuke, la ragazza era talmente sconcertata che, suo malgrado, non riuscì a trattenersi dal gemere come un cucciolo. Perché l'aveva seguita? Cosa diavolo voleva, ora? Rincarare la dose?
    Era ancora stordita e incredula quando sentì la mano di lui che scivolava silenziosa dietro la sua schiena per trarla più vicina, un gesto cui la kunoichi, aggrottando la fronte in un'espressione spiazzata –non avvezza a quel tipo di comportamenti, che avrebbe persino potuto definire intraprendenti, da parte di un tipo come quello– non si oppose. Stava per aprire bocca e chiedere cosa volesse, cosa volesse ancora, quando improvvisamente lui si avvicinò e prima che lei potesse anche solo porre un braccio a separarli le labbra di Atasuke si posarono sul suo orecchio. Poteva sentire il calore di queste sul suo lobo, il profumo di pelle fresca e vento dello Shinobi sul suo volto, e quando la bocca di lui cominciò a muoversi, disegnando forme e geometrie sul suo orecchio, Shizuka Kobayashi –la Principessa più famosa di tutte le terre del fuoco e attualmente anche la più ricercata– cadde vittima di un sentimento di totale, spiazzante e terribile... imbarazzo.


    Shizuka... Hai ragione, non... Non mi hai mai chiesto di proteggerti, tuttavia, non posso fare a meno di farlo... Non posso fare a meno di volerti proteggere, non posso fare a meno di pensare a te... Perfino contro Sinji Akuma nel deserto dell'Anauroch non ho potuto non pensare a te e non posso fare a meno di te, di tutte le tue buone intenzioni, della tua irriverenza dei tuoi pregi e dei tuoi difetti




    Contro ogni sua più lungimirante previsione, Atasuke Uchiha sembrava tutt'altro che arrabbiato nei suoi confronti, ma anzi contrito e dispiaciuto. Ferito almeno quanto lei.
    Parlava a bassa voce, sussurrandole quelle parole all'orecchio come se tutto dovesse rimanere parte di un segreto che solo loro due avrebbero dovuto condividere e lei, per un istante, rimase talmente colpita da quel comportamento che non poté fare a meno di cercare lo sguardo dell'interlocutore, sperando di trovare lì, con quella sua capacità peculiare di interpretare le persone come uno specchio d'acqua, ciò che egli stava pensando.
    ...Perché dirle quelle cose dopo quanto detto poco prima? Cosa voleva, precisamente?
    Aveva creduto di essere stata rincorsa per terminare laddove lei aveva imposto una fine, probabilmente perché era quello che lei stessa avrebbe fatto in quel momento, e trovarsi a fronteggiare un discorso come quello, che cercò di interpretare senza risultato, la smarrì.
    Non ebbe però il tempo di dare una risposta ai suoi interrogativi, di sistemare l'ordine della sua mente secondo un significato apprezzabile, che Atasuke portò una mano al suo mento, alzandolo e facendo in modo che si avvicinasse al suo abbastanza perché lei sentisse il respiro rotto di lui accarezzarle i lineamenti.
    C'era qualcosa di... strano, in quella situazione.
    Era sicura che si stava perdendo un qualche dettaglio dello svolgersi degli eventi.


    Shizuka... Se solo me lo permettessi, insieme, noi potremmo... ecco noi...




    Si interruppe e lei, a quel punto, a dispetto di ogni più ragionevole e comprensibile reazione, arrossì talmente violentemente che le sue orecchie divennero rosse come fuoco vivo. Era talmente rossa che se qualcuno le avesse messo una mano sul volto, probabilmente si sarebbe ustionato. Ma Atasuke Uchiha fece addirittura di meglio, perché non si limitò a pensare di toccare il viso della Principessa dei Kobayashi; di punto in bianco, come fosse la cosa più naturale del mondo da fare in quel momento, si abbassò verso di lei. Erano già abbastanza vicini da togliere ogni dubbio sulle intenzioni del ragazzo e la kunoichi, da rossa che era, in una frazione di secondo divenne tanto pallida da dare l'impressione di star per morire. Inconsciamente reclinò leggermente la testa all'indietro.


    Ehi... ehi, ehi, ehi.

    Fermi tutti.
    Cosa stava succendo?
    Cosa maledizione stava facendo?



    Improvvisamente la sua mente si fece bianca e Shizuka Kobayashi, contrariamente a quello che molte altre sue coetanee avrebbero fatto in una circostanza simile, cadde vittima di una sorta di goffo e stordito tunnel di immagini e pensieri sconclusionati a loro volta preda di una sorta di follia momentanea che indusse tutti i suoi ragionamenti a concretizzarsi in nient'altro che nell'immagini a rapida successione di un martello, un albero, un paio di calzini rosa e una torta.
    Tutte cose molto utili in un momento simile, non c'era da che dire.

    COSA STAVA FACENDO?!

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    […] Shizuka era una kunoichi, e prima di questo era un'intrattenitrice.
    Entrata nel mondo Shinobi era stata educata a fare ciò che un uomo non avrebbe mai potuto fare: sedurre e usare il suo corpo al pari di un'arma.
    Durante i suoi addestramenti al quartiere dei piaceri, era stata costretta a baciare svariati uomini per raggiungere un livello tale di bravura da indurre chi le stava di fronte ad eccitarsi senza che lei neanche lo toccasse, e si poteva dunque dire che era una baciatrice o, più generalmente, un'amante eccezionale.
    Ma quello era tutto un altro paio di maniche.
    Non c'entrava un tubo essere bravi in quel genere di cose, quello che stava provando a baciarla era Atasuke!!

    Atasuke.

    Aveva cercato di assassinarlo la prima volta che l'aveva conosciuto.

    Una volta gli aveva rovesciato per sbaglio una teiera di tè verde bollente addosso quando lui aveva ventilato la possibilità che rimanesse a dormire a casa sua vista l'ora tarda e la nevicata terribile in corso.

    Aveva sbattuto la testa allo stipite di una porta mentre si girava a guardarlo cambiarsi la parte superiore della divisa ninja (niente di eccezionale, ovviamente lo avrebbe fatto per qualsiasi uomo Uchiha giacché non era una novità il suo debole per la bellezza dei membri di quel Clan) e lui per tutta risposta era caduto dalle scale spaventandosi di trovarsela lì, in casa sua, come al solito entrata dalla finestra e di nascosto.

    Era persino riuscita a minacciarlo di morte con un mochi addentato, in assenza di un qualsiasi oggetto contundente, quando lo aveva incontrato per caso presso i terreni di allenamento comuni del villaggio e lui, credendo che quel cosino bianco fosse chissà quale pericolosa arma, era caduto nel buco alle sue spalle che lei aveva scavato per il suo allenamento, quasi aprendosi la testa in due.

    Senza contare quella volta che gli aveva rotto il cancellino di casa con un pugno invischiato di chakra quando, nell'andare a fargli visita, lo aveva ritrovato avvinghiato ad una ragazzina brutta e antipatica che lui aveva assicurato essere solo la sua vicina di casa.
    Vicina di casa un cavolo. Sarebbero dovuti morire entrambi quel giorno.

    Atasuke.

    Era drogato. Non era un antidoto quello che gli aveva dato, ma droga. Droga allo stato puro.
    Impallidi, se possibile più di quanto già non fosse, e pensò ai modi in cui Norio l'avrebbe condannata a sofferenze perpetue per quell'errore. Aveva avvelenato un cittadino comune.
    Tradimento! Reietta! Sarebbe diventata una Nukenin!

    TRADIMENTO!

    «A-a-a-a-atasuke»
    Gemette con una voce molto simile ad un fischietto infilato in un sacchetto di carta, e il solo pronunciare quel nome, contro ogni sua previsione, la fece arrossire di nuovo, da capo, e con più violenza. «Cerchiamo di mantenere la cadmdspèasakajsòò...» Non sapeva neanche cosa stesse dicendo ma non se ne preoccupò perché la sua lingua si inceppò come un elastico rotto e le si arrotolò in bocca.
    Beh, non che avesse molta importanza, perché sembrava che qualsiasi cosa avrebbe detto lui non si sarebbe fermato. Quel caleidoscopio vorticoso di pensieri sconclusionati, durato appena qualche secondo, era stato fatale perché aveva permesso allo Shinobi di avvicinarsi abbastanza da permettere alle sue labbra di sfiorare le sue.
    Le sfiorò. Le labbra di Atasuke Uchiha sfiorarono quelle di Shizuka Kobayashi e lei, ormai completamente incapace anche solamente di capire se fosse giorno o notte o in quale nazione si trovasse, si scoprì a pensare che queste fossero più morbide di quello che aveva immaginato (non che lo avesse immaginato spesso, ovviamente) e che sapessero di limone, come se avesse mangiato qualcosa di simile poco prima di incontrarla. Un sapore dolce e aspro allo stesso tempo dunque che, in un certo senso, poteva persino dire...

    Tonk.

    Qualcosa cadde improvvisamente in terra. Qualcosa di pesante, probabilmente, e contenente altri oggetti, come suggerì il rumore, simile a delle scatole che rotolavano in più direzioni, che seguì subito dopo.
    Era talmente stordita, rossa e goffa, che per un istante non capì assolutamente cosa stesse succedendo. Almeno fino a quando quella voce, QUELLA voce, serpeggiò come un serpente dalle spire aperte fino al suo orecchio.

    «......Ojou-sama?»

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    Se c'era un modo per impallidire abbastanza da diventare trasparente e poi farsi nuovamente di carne Shizuka Kobayashi lo inventò in quel preciso istante, diventando dunque, a buon ragione, la più portentosa kunoichi esistente.
    Fu talmente rapida a scostare da sé Atasuke con una spinta, che chi avesse assistito alla scena avrebbe probabilmente pensato fosse stato lui a indietreggiare. Con gli occhi sgranati e la bocca ancora tremante, la Principessa dei Kobayashi iniziò insensatamente a spolverare le spalle dello Shinobi prima di voltarsi verso colei che l'aveva chiamata e di cui si assicurò accuratamente di non incontrare lo sguardo. Non che fosse necessario. Gli occhi blu, elettrici e glaciali, di Ritsuko Aoki, la stavano già trapassando da parte a parte in modo abbastanza esaustivo.
    «R-r-ritsuko!» Esclamò con finto stupore la kunoichi, sorridendo. Il sorriso venne grottescamente ricambiato in un secondo.
    «O-o-ojou-sama!» Rispose la Kumori, scimmiottando con sarcasmo la balbuzie della sua signora. «C-c-cosa diavolo state facendo, in mezzo di strada e in pieno giorno?!» Domandò e prima di ricevere una risposta i suoi occhi si spostarono in quelli di Atasuke, che fulminò con una dose di ira tale che se gli sguardi avessero potuto uccidere, il ragazzo sarebbe morto di lì a pochi istanti.
    Visto che le disgrazie non vengono mai da sole, e visto che gli Uchiha non godevano mai di una buona tempistica in niente che non fosse il campo di combattimento, Sasori arrivò proprio in quel momento. Pinto e lindo, con i denti lavati, i vestiti cambiati, e un buon profumo sulla pelle, lo Shinobi degli Uchiha arrivò di corsa, sventolando una mano come un amicone dopo un breve assentarsi.


    Eccomi sono di ritorno ! Scusate il ritardo ma avevo fame !In ogni caso non sono pazzo ! Voglio soltanto togliermi alcune soddisfazioni la prigionia mi ha consentito di aprire gli occhi su tanti errori che feci in passato. Non sono affatto pericoloso. Vi sembro pericoloso per caso ?




    […] Aveva fame. Lui aveva fame.
    Mentre lei, che si poteva dire avesse rischiato la sua vita per lui (e dunque il debito che il ragazzo aveva nei suoi confronti era piuttosto ingente), veniva scossa come un frullatore in mezzo di strada da qualcosa che non sapeva nemmeno cosa fosse ma anche ancora le faceva girare la testa, mentre la quarta guerra mondiale stava per scoppiare sottoforma di barattoli di miso e cetriolini sott'olio che rotolavano in terra, e mentre tutto andava completamente e disastrosamente a rotoli...
    … lui mangiava. Mangiava perché aveva fame.
    Mangiava.
    Lo avrebbe ingozzato di cartabombe se ne avesse avuto modo! Maledetto stupido coso! Testa con i capelli ad anatra! Traditore del suo stesso sangue!
    «Voglio morire.» Gemette la kunoichi, guardando Sasori con orrore, ma non fece in tempo ad aggiungere altro che una seconda cosa pesante cadde a terra.
    Ritsuko, ferma a qualche metro dal trio, vestita del suo kimono gessato verde acqua munito di un grazioso grembiulino bianco ricamato e con pizzo, aveva appena lasciato cadere a terra il secondo sacchetto della spesa che teneva in mano –e da cui fuoriuscirono due merluzzi morti e uno sgombro (pessimo auspicio)– mentre i suoi occhi si portavano su Sasori, che squadrò dalla testa ai piedi con disgusto.
    «...Addirittura due?!» Esclamò shockata la giovane donna, e le sue mani si arcuarono come artigli di falco pronti a colpire. Un po' quello che Shizuka temette potesse davvero succedere, giacché la sua amica d'infanzia avanzò a passo spedito verso i due Shinobi, e prima che lei potesse porsi in mezzo, aveva già puntato il suo minaccioso dito indice accusatore al volto di entrambi. «Villani e screanzati figli di una maleducazione ormai divenuta cancro!» Ruggì la kumori, furibonda. «Ma cosa diavolo state facendo, siete forse usciti di senno?!» Strillò, e rivolgendosi a Sasori: «E tu chi diavolo saresti?! Ragazzino, ti conviene portare rispetto e porre i giusti titoli onorifici se non vuoi che gli occhi da te appena aperti ti vengano cavati! Credi di non essere pericoloso?!» Rise, portandosi le mani sui fianchi e alzando lo sguardo al cielo con teatralità. «Lupo bugiardo e ipocrita! Sei pericoloso come ogni altro sudicio uomo!»
    «Emh, credo che tu abbia un attimo mal intepretato la situazione, Ricchan...»
    Cercò debolmente di intervenire Shizuka, alzando un ditino tremante come a voler prendere la parola. Le risposero due dardeggianti occhi blu che, per un istante, la fecero indietreggiare pericolosamente fino al lunghissimo muro di cinta bianco panna che si trovava alle sue spalle, e che sembrava tutelare una proprietà anche troppo grande.
    «E' “Ritsuko-san” per voi, Ojou-sama.» Sibilò la donna.
    «Ritsuko-san.» Ripeté devota Shizuka, pallida come un cadavere. Era incredibile come la ragazza avesse cambiato completamente la sua indole, perdendo di punto in bianco la sua sfrenata e strafottente vena di sufficienza. Ma soprattutto era stupefacente come quella donna avesse messo a tacere tutti i presenti.
    Per la verità Ritsuko Aoki, più che donna, era coetanea di Shizuka, come ci si sarebbe aspettati da due ragazze cresciute insieme sin da neonate, una ventenne dunque la cui semplice bellezza, caratterizzata da splendidi capelli rosso fuoco tagliati a caschetto, profondi occhi blu come l'oceano e una carnagione leggermente abbronzata dal sole, veniva in parte ridotta dall'austerità del suo comportamento intransigente, che la rendevano l'unica in grado di mettere a tacere una personalità come quella della Principessa di Konoha, ma anche uomini come Raizen Ikigami o, persino, grandi Daimyo.
    Era severa, anche troppo per essere una semplice subordinata, e il suo polso fermo sembrava essere proteso tutto verso un unico scopo: la salvezza e la felicità della sua sola e amata Signora.
    «E tu...» La lentezza con cui Ritsuko portò il suo sguardo su Atasuke fu talmente agghiacciante che fu Shizuka a deglutire per lui. «...sudicio e volgare uomo privo di intelletto e pudore.» Erano spariti del tutto i titoli onorifici o il rispetto che in passato erano stati offerti, anche se con ostentata ironia. «Sei nato cento vite in anticipo perché tu possa permetterti anche solo di rivolgere la parola alla nobile e famosa Principessa del ricco Clan Kobayashi senza strisciare al suolo mangiando terra!» Schioccò come una frusta. «Non hai lignaggio né nobiltà per poterti permettere nemmeno di guardarla da lontano... e tu hai osato, hai osat-... osat-...» Non sembrava in grado di finire la frase. Il suo volto si contrasse in un'espressione di tale disgusto che la Kumori fu costretta a portarsi una mano tremante di fronte agli occhi per ritrovare la calma. «Hai toccato il fondo dell'inferno, ragazzino.» Sibilò dopo un breve istante di silenzio, come se avesse deciso che dire a voce alta il reato di quel verme fosse troppo per chiunque, tantomeno per lei. I suoi occhi blu bruciarono e la rabbia che li bagnò fu talmente grande e così violenta che per un istante ella parve sul punto di colpire il suo interlocutore.
    A quel punto, però, accadde qualcosa di strano. Il vento parve alzarsi, debolmente, silenziosamente, talmente poco da scuotere appena i capelli dei presenti, e quando svanì, correndo più avanti, una moneta da cento ryo era stampata sulla fronte di Atasuke Uchiha. Appiccicata alla pelle del giovane, che togliendosela si sarebbe reso conto del rossore e forte bruciore che avvertiva in quella parte del volto, la moneta sembrava come piovuta dal cielo.
    Nessuno avrebbe fatto in tempo a vedere, per un secondo, il braccio della sottoposta ritrarsi silenziosamente verso il fianco corrispettivo.
    «“La Principessa e i lupi” è una storia che non mi piace... meritereste la pena di morte entrambi per aver tentato di approcciare Shizuka Hime-sama in questo modo...» Avrebbe ringhiato Ritsuko, tremante di rabbia. «...e non è detto che non accada, perché adesso andremo tutti a Magione Kobayashi e sarà Toshiro-dono a decidere della vostra vita e della vostra morte.»
    Mettere in mano di suo padre la vita di due uomini in età da marito, che per disgrazia erano stati trovati in mezzo di strada con lei mentre uno dei due l'aveva praticamente baciata, significava ordinare a tre carpentieri di iniziare a costruire un baldacchino nella piazza principale di Konoha. Beh, non che potesse davvero ucciderli, ma controllando tutta l'economia di konoha e gran parte di quella delle Terre del Fuoco, avrebbe potuto costringere i due poveracci ad andare a suna per comprarsi un qualsiasi bene di prima necessità.
    Impallidì gravemente.
    «R-ritsuko non mi sembra il caso di coinvolgere Otou-sama... e poi non era in viaggio al paese del riso?» Cinguettò Shizuka, mentre sudava copiosamente.
    «Sta tornando.» Ghignò l'altra, reclinando la testa all'indietro con soddisfazione.
    «P-perché non risolviamo la faccenda tra noi?»


    «...E perché non andare alla magione, invece?
    Si dice che Villa Kobayashi sia talmente grande che il vostro territorio risulti più esteso dell'intero Clan Hyuga. Avete nei vostri giardini laghi e archi da far invidia al tempio di Izumo, e le vostre proprietà occupano tutta la zona verde dell'estremo ovest di Konoha... non ci sono mai entrato, ne sarei curioso!»




    Era alle loro spalle.
    Quando fosse arrivato, come e da dove era un incognita.
    Sasori e Atasuke se lo sarebbero semplicemente ritrovato alle spalle e voltandosi non avrebbero dovuto ricorrere ad un grosso sforzo di memoria per riconoscere nei lineamenti di quel trentenne Norio Uchiha, uno dei migliori medici chirurghi ed esperto in veleni della loro dinastia, responsabile della sezione di rianimazione dell'ospedale di Konoha.
    Probabilmente sarebbero tutti rimasti sconvolti di quell'arrivo inaspettato. Tutti, tranne Ritsuko, che fu la sola a non trasalire o denotare stupore di nessun genere.
    «Ora voglio morire davvero.» Sentenziò Shizuka Kobayashi, facendosi terribilmente più pallida.
    «Ci sarà tempo anche per questo.» Rispose Ritsuko.
    «Hai finito di fare teatro in mezzo al Villaggio, Shicchan?» Tubò l'uomo, socchiudendo gli occhi mentre si sarebbe avvicinato per mettere le braccia attorno a collo dei due Shinobi del suo stesso Clan. «Se non la smetti di cercare di sedurre tutti gli uomini Uchiha, le donne del Clan avranno di che cercare di ucciderti.» Disse, ammiccando.
    «Non mi pare di averti mai fatto nessuna avance.» Sibilò prontamente la kunoichi, che sapeva sempre e puntualmente cosa volesse davvero intendere quel tipo disgustoso.
    «No, beh certo, sono un tradizionalista. E' sempre l'uomo che deve fare il primo passo.» E così dicendo avrebbe cercato di stringere Atasuke a sé, facendogli l'occhiolino. «Bravo.» Avrebbe detto, sorridendo. Poi, assolutamente senza senso, avrebbe fatto lo stesso con Sasori. «Bel lavoro.» Avrebbe aggiunto guardando quest'ultimo. Nessuno dovette voltarsi verso Ritsuko per indovinare il suo sguardo d'astio che si focalizzava anche sul povero Sasori, che trapassò da parte a parte con il suo odio raggelante.
    «Norio dacci un taglio, ti avevo detto che potevi smettere di seguirmi!» Ruggì la kunoichi, balzando in piedi in un bagno di sudore. L'aura di Ritsuko cominciava a diventare simile a quella di un Jinchuuriki. O di un mostro. O di un ibrido di entrambi. E se non avesse voluto che la sua amica prendesse a sputare fuoco, piangere acido e spalancare voragini nel terreno, era meglio che trovasse subito un modo per mettere a tacere quell'idiota del suo maestro.
    «Avevi un turno in ospedale, oggi.» Si limitò a rispondere l'altro. «Lo hai scambiato con Karumi perché tu potessi fare questo spettacolino oggi e lei potesse uscire con il suo fidanzato domani, credi che possa accettare una mancanza di professionalità tale?» E così dicendo fece roteare gli occhi al cielo. «Karumi vuole fare l'infermiera, e tu sei un medico chirurgo specializzato in campo di battaglia, una situazione un po' diversa a quanto ritengo, credi perciò che ti possa permettere di fare come ti pare? Ovviamente no, e visto che non mi chiamo Atasuke...» Ammiccò al ragazzo con sarcasmo, fingendo uno sguardo da romanticone. «...devo fare rapporto a Isamu-dono spiegandogli che hai saltato la tua pratica per amoreggiare con ben due uomini!»
    Ritsuko stava ormai crepando il suolo.
    «A Ojii-sama...?» Sussurrò con voce rotta Shizuka, che adesso era talmente sudata da sembrare di essere appena uscita da sotto la doccia.
    «Sarà divertente, dai... andiamo tutti a prendere il tè a magione Kobayashi! Avrete l'onore e il piacere di conoscere il più potente Clan non Shinobi delle Terre del Fuoco!!»

    E così dicendo, baldanzoso al pari di Ritsuko, seppur per motivi diversi, Norio Uchiha si diresse verso il luogo annunciato... che con grande sconvolgimento Sasori e Atasuke vrebbero capito essere quello racchiuso all'interno dell'infinita cinta muraria che avevano alla loro destra.



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  11. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    ~Processo?~


    Splendido. Quello forse poteva essere un'aggettivo degno del momento che Atasuke potè finalmente vivere, anche se forse "splendido" non era sufficente a descrivere quel turbinio di emozioni in cui si sentì persino il chakra ribollire mentre vorticoso ruotava nel suo corpo. Se avesse dovuto narrare quel momento non sapeva se fosse durato un'istante o addirittura un secolo. Tuttavia, tutte le cose belle, sfortunatamente devono finire. E quella terminò forse nel peggiore dei modi, o comunque alla presenza delle peggiori persone.
    Udì come una scatola che cadeva a terra poco prima di sentirsi spingere via da Shizuka che in un'attimo gli spolverò l'abito come a cercare di dissimulare ciò che era accaduto.

    °Ma che...°


    Fu l'unico pensiero che riuscì ad avere, prima di cogliere, a malincuore, ciò che stava accadendo. Ritsuko li aveva visti e come al solito stava facendo una delle sue tante scenate.
    Inutile dire che alla sua occhiataccia piena d'odio Atasuke rispose con uno sguardo che era l'esatto opposto. Uno sguardo di indifferenza, dato che in effetti nulla gli importava dell'opinione di quella squilibrata.
    A rovinare ulteriormente la situazione, ci pensò Sasori che con sciocca innocenza si degnò di raggiungerli dopo essersi dato una sistemata.

    "Eccomi sono di ritorno ! Scusate il ritardo ma avevo fame !In ogni caso non sono pazzo ! Voglio soltanto togliermi alcune soddisfazioni la prigionia mi ha consentito di aprire gli occhi su tanti errori che feci in passato. Non sono affatto pericoloso. Vi sembro pericoloso per caso ?"


    A quelle parole, Atasuke non potè evitare di voltarsi verso Sasori. Il suo sguardo era cristallino ed eloquente. Se c'era una pessima entrata in scena in un pessimo momento con una pessima esclamazione, ebbene, questo era il caso.

    "Ed adesso che si fa?"

    °Se non migliori le tue uscite... Qui si fa una brutta fine°


    Pensò sconsolato facendo spallucce e riportando lo sguardo su Ritsuko che come al solito stava esagerando su tutta la linea, anche se in questo caso probabilmente aveva esagerato anche troppo.

    "...Addirittura due?!"

    °Per una volta nella vita pensare prima di giudicare mai eh?°

    «Ritsuko, vedo che come al solito stai travisando»


    Non ebbe il tempo di aggiungere altro ed ecco che Ritsuko come suo solito partì in un'inutile valangata di insulti, come se insultando tutti i presenti potesse in qualche modo cambiare ciò che era accaduto.

    "E tu... sudicio e volgare uomo privo di intelletto e pudore. Sei nato cento vite in anticipo perché tu possa permetterti anche solo di rivolgere la parola alla nobile e famosa Principessa del ricco Clan Kobayashi senza strisciare al suolo mangiando terra! Non hai lignaggio né nobiltà per poterti permettere nemmeno di guardarla da lontano... e tu hai osato, hai osat-... osat-... Hai toccato il fondo dell'inferno, ragazzino. "


    A stento Atasuke trattenne una risata che comunque riuscì ad uscire sottoforma di ghigno in faccia a Ritsuko.

    «Ricchan... E non ti azzardare a dirmi come devo chiamarti, ringrazia che abbia almeno la decenza di chiamarti per nome e non con l'appellativo che meriteresti dopo una tale sgraziata serie di insulti gratuiti...»


    Il suo sguardo non era furente, tuttavia era serio e determinato. Non avrebbe permesso in alcun modo a Ritsuko di mettergli i piedi in testa.

    «Prima che tu possa anche solo pensare di potermi insultare, beh, dovresti come minimo campare altre duecento vite e dovresti lavarti la bocca con il sapone... Inoltre, mia cara... Tu non hai la minima idea di che cosa sia l'inferno»


    Aveva quasi uno sguardo di sfida. Ignorava il livello di abilità di Ritsuko nel combattimento, tuttavia era pienamente certo delle proprie capacità, ma soprattutto sapeva il ruolo che in quel momento, volente o nolente, ricopriva e sapeva che la folle anche volendo non avrebbe potuto alzare un dito su di lei. Seppur Genin, Atasuke era invischiato in cose fin troppo grosse, anche per il clan Kobayashi.
    Egli riuscì a vedere il repentino movimento del braccio della sottoposta, tuttavia decise comunque di rimanere fermo, impassibile, lasciandosi colpire, come se in qualche modo così facendo avrebbe lasciato che Ritsuko potesse sbollire la sua furia.
    Nello stesso tempo però vide anche Sougo che sbucava alle spalle della stessa, evidentemente intenzionato a partecipare anche lui a quella discussione.

    "“La Principessa e i lupi” è una storia che non mi piace... meritereste la pena di morte entrambi per aver tentato di approcciare Shizuka Hime-sama in questo modo...e non è detto che non accada, perché adesso andremo tutti a Magione Kobayashi e sarà Toshiro-dono a decidere della vostra vita e della vostra morte. "

    "Oi, Atasuke-kun... Quando pensa di stare zitta questa cagna? Son due ore che continua a vomitare stronzate... Come fai a sopportarla ancora?"


    Con completa nonchalance Sougo si era rivelato, spada alla mano, ed atteggiandosi come al solito e rendendosi non meno odioso di Ritsuko.

    «Ben arrivato Sougo... Fortuna che ti avevo detto di tornartene a lavorare»


    Rise facendo un passo avanti, portandosi dinnanzi a shizuka, quasi come per volerla proteggere. Egli aveva compreso che la situazione non era delle più rosee e sapeva che come lui aveva provocato quel casino lui doveva risolverlo, ma senza mai piegare la sua anima. Lanciò quindi una prima occhiata di rassicurazione alle sue spalle verso Shizuka e poi un'altra occhiata, decidamente dura a Ritsuko togliendosi la monetina dalla fronte ed iniziando a giocarci facendosela saltellae tra le dita.

    «Immagino che dovrei ringraziarti per questa... Cos'è? Una sorta di "guanto di sfida"? Oppure pensi che io possa essere comprato solo da questa moneta? Mh? In entrambi i casi... Mi spiace, ma non mi interessa...»


    Si lasciò scorrere la moneta tra le dita per poi lanciarla con il pollice proprio ai piedi di Ritsuko.

    «Tienila... Considerala un regalo da parte mia... Potresti comprartici un po di buone maniere»


    La derise senza mai distogliere lo sguardo ne cedendo il suo tono calmo e sicuro di se. Non sarebbe fuggito, anche a costo di venire sbranato, lui non si sarebbe mosso di li. Avrebbe poi voluto ignorare le parole di Shizuka che pareva quasi implorare Ristuko di avere pietà nei loro confronti, tuttavia non potè farlo. Che forse quel tal Kobayashi avesse tanto potere? Difficile a dirlo, tuttavia, Atasuke non aveva intenzione di cedere e non avrebbe ceduto neppure dinnanzi ai quattro Kage riuniti.
    Tuttavia, un'altra voce comparve alle loro spalle, una voce che non ricordava chiaramente, tuttavia ua voce che sembrava quasi saperla lunga su tutta la questione.
    Tralaciando lo stupore che colse Atasuke nel vedere quell'uomo intento a comportarsi in maniera particolarmente strana ed il velato fastidio che provò nel sentirsi tirare via, Atasuke però non potè reggere oltre quando anche quest'ultimo sparò l'ennesima boiata delle giornata.

    "devo fare rapporto a Isamu-dono spiegandogli che hai saltato la tua pratica per amoreggiare con ben due uomini!"

    °Quando la finiranno questi idioti di parlare prima di pensare?°

    «Norio-sama... Perdonatemi, ma devo correggervi... Tutto questo continua ad essere un'equivoco, anche se nessuno sembra abbastanza intenzionato a guardarsi intorno per vederlo...»


    lanciò un'altra occhiata a Ritsuko, che a quel punto si poteva dire che era letteralmente ad un passo dall'esplodere.

    «Detto questo, Ne Shizuka ne Sasori sono colpevoli di nulla. Se c'è stato qualcuno che ha "amoreggiato" con qualcun'altro, quello sono io... Quindi lasciate pure stare Sasori che è solo rimasto coinvolto per caso e non ne può nulla. Allo stesso modo neppure Shizuka è colpevole di nulla. Se proprio dovete trovare un "colpevole" ebbene quello sono io»


    Tuttavia sembrò quasi che non avesse aperto bocca. Tutto ciò che disse parve venire ampiamente ignorato, o almeno da quel tal Norio, il quale, beffardamente si fece strada senza aspettare nulla o nessuno.

    "Sarà divertente, dai... andiamo tutti a prendere il tè a magione Kobayashi! Avrete l'onore e il piacere di conoscere il più potente Clan non Shinobi delle Terre del Fuoco!!"


    A quelle parole Atasuke quasi non credette. Possibile finire in una situazione tanto strana? Ora capiva in parte come mai Shizuka fosse tanto particolare nei suoi modi.
    Prima di partire, tuttavia, rimase un'attimo fermo, rivolgendosi ancora una volta a Shizuka che con tenerezza trattenne per la mano.

    «Shizuka... Non ti preoccupare, non è accaduto nulla di male»


    La sua era calda e rassicurante mentre la sua stretta era forte e sicura ma sempre delicata.

    «Qualunque cosa accada, io sarò sempre li, al tuo fianco, pronto a proteggerti»


    Non aggiunse altro, ad eccezione di una lieve carezza sulla sua guancia, poi, si incamminò verso il suo e probabilmente il loro destino, facendo cenno a Sougo di seguirli.
    Non sapeva come mai, ma dopo quell'istante fugace, dopo quello sfiorarsi delle labbra, Atasuke sentiva in se una forza che non aveva ancora sentito. Una sicurezza che lo faceva avanzare ancora più eretto di quanto già non lo fosse abitualmente.

     
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  12. Sasori Uchiha
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    A pancia piena



    Evidentemente aveva interrotto qualcosa. Non era nelle sue intenzioni, ma il danno era stato fatto quindi con aria imbarazzata, rimase a suo posto abbastanza immobile. Non capì però chi fosse l'altra persona presente. Un certo Ritsuko. Non sapeva chi fosse. In generale non avrebbe rivolto la parola a nessuno in quei frangenti cercando di capire qualcosa sulla situazione. Osservando la scena dall'esterno sembrava che ci fosse dell'attrito tra Ritsuko e Atasuke. Mentre stava facendo tutti quei ragionamenti, Sasori venne chiamato in causa proprio da quel Ritsuko. Non si poteva mai stare tranquilli a quanto pare. Non conoscendolo, forse la migliore cosa sarebbe stata di mantenere una certa neutralità e rispetto:



    Ci deve essere un equivoco, ma vedo che non le interessa, quindi non ho nient'altro da dire



    La situazione non era delle migliori. Forse quella mattina sarebbe stato meglio rimanere a casa sotto il piumone e non uscire almeno fino alle dieci. Una vera seccatura quando si viene chiamati in causa senza una ragione plausibile. Inoltre non conosceva quel Ritsuko e non sapeva inoltre cosa diavolo fosse successo in sua assenza. Quindi rimase abbastanza infastidito della situazione ma in silenzio. Avrebbe osservato cosa sarebbe successo.



    [...]



    Si arrivò quindi ad una sorta di scontro, se così si può chiamare con la comparsa di un altra persona, un certo Sougo. Sasori non capì assolutamente nulla, ma vista la situazione abbastanza delicata preferì tacere, per poi chiedere il necessario per capire chi erano quelle due persone e cosa diavolo volevano e se fossero collegati ad Atasuke e Shizuka in qualche modo. Ma era nettamente infastidito e annoiato. Questo Sougo a differenza di quell'altro si presentò a spada sguainata.



    Bel biglietto da visita complimenti !



    La situazione era nettamente degenerata. Sasori era davvero annoiato, sempre le solite storie. Sempre i soliti atteggiamenti da bulli. Ma quando cambierà mai la gente ? Che bisogno c'è di tutta questa ira, quando basterebbe chiarire in maniera civile, ma questo era il mondo degli shinobi. Ma si rese conto che come in tutte le faccende, l'equilibrio era la risposta ad ogni cosa.



    Era molto meglio stare a casa, decisamente



    Una voce si aggiunse alla conversazione, ma a quel punto Sasori abbastanza infastidito di tutto quanto era accaduto in precedenza disse:



    Non vorrei essere maleducato, ma vorrei sapere chi siete, visto che non vi conosco e non vi ho mai visto.Vorrei precisare che in questa storia, non c'entro nulla. Quindi a questo punto, mi presento, sono Sasori Uchiha ed ho il piacere di parlare con ?

    Aspettava una risposta da parte di tutta la congrega dei senzanome. Sì perchè se una cosa gli dava fastidio era non sapere chi diavolo fossero. Successivamente Atasuke cercò di spiegare quanto accaduto. Al solito anche quella dichiarazione sembrò cadere nel nulla in quanto nessuno sembrò realmente interessato. Norio o come si chiamava propose di andare a prendere il thè alla magione Kobayashi. Non gli piaceva affatto il discorso, ma oramai era in ballo, quindi quello che poteva fare era andare insieme ad Atasuke e Shizuka. Oggettivamente sembrava che nessuno si interessasse a lui per sua fortuna. In questo modo poteva valutare bene la situazione durante il viaggio.

     
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    Ciò che evitò a Shizuka Kobayashi di colpire in pieno viso Atasuke Uchiha, schiantandolo con violenza alla parete della casa che vi era dietro di lui, fu la rabbia ancora maggiore nei confronti di Sasori Uchiha, che anche in quel caso si era trattenuta dal prendere a ceffoni un numero indefinito di volte sostanzialmente perché quel pulcino implume che continuava a rispondere al nome orribile di Sougo stava per essere spezzato in due da Ritsuko. Un problema ahimé piuttosto grave, giacché non le risultava che la legge di Konoha accettasse l'omicidio tra concittadini.

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    «Ascolta, non sono una bambina di dieci anni, sono una kunoichi, ho più esperienza con gli uomini di quanti tu possa averne mai avuta con una singola fantasia sul sesso opposto.» Ringhiò furibonda Shizuka, rivolgendosi ad Atasuke. Dire quelle parole non fu un reale problema, ma ammettere che nonostante quella verità lui fosse comunque riuscito a farle quello che le aveva fatto, fu un affronto abbastanza serio al suo orgoglio. Arrossì. «Il tuo essere sdolcinato mi dà fastidio, mi imbarazza, mi mette a disagio, e dacci un taglio anche con le lacrime, le ostentazioni d'affetto, le frasi melense e qualsiasi altra cosa ti esuli dall'essere un mio semplice conoscente.» Abbaiò con rabbia. «Se il mio corpo ti interessa mettiti in fila, ci sono Shinobi che mi denudano ad ogni fottuta missione, e ti posso garantire che al pari tuo ne sono particolarmente compiaciuti!» Aggiunse in un sibilo. Non doveva pensare troppo in grande perché il volto di Raizen le comparisse in mente. La capacità del Jinchuuriki di farla rimanere nuda era infatti assolutamente “magica”. «E tu...» Ringhiò ancora, con ira se possibile maggiore, guardando Sasori. «...sei un passivo aggressivo o semplicemente non hai i coglioni di capire da solo cosa cazzo ti sta succedendo attorno? Abbozzala di essere imbambolato, stupito, offeso, annoiato o gli Dei solo sanno cos'altro. Reagisci agli stimoli che il mondo ti offre oppure spaccati la testa in due da solo e muori.» Fece roteare gli occhi al cielo. «Mi pare che quel deficiente di Raizen non abbia ben afferrato qual è il tuo reale problema: non è il tuo cervello, è il tuo carattere.»
    «Shicchan ti verranno le rughe presto se–...»
    Il braccio di Norio non fece in tempo a cingere il fianco della kunoichi che il dito indice e il medio di lei, uniti, stavano già serpeggiando verso il suo volto. In pochi tra i presenti sarebbero riusciti a notarlo, ma quello della ragazza non era un gesto causale, puntava piuttosto in un punto preciso. Un punto che il Jonin degli Uchiha evitò che raggiungesse bloccando la mano dell'allieva a pochi millimetri dal suo collo, sorridendo ironico. «Ahi, ahi, Shicchan... stai calma, respira profondamente, non vorrai perdere il controllo, immagino.» Insinuò, baciando le dita della ragazza con dolcezza e lentezza agghiaccianti. Quelle parole si dispersero come cerchi in un lago in cui era appena stato gettato un sasso, e il suono che provocarono fu tale che, alle sue spalle, Ritsuko Aoki si irrigidì.
    Fermando il suo incedere la Kumori sembrò trattenere per un istante il respiro, poi, lentamente, si voltò: i suoi occhi azzurri adesso erano lo specchio di qualcosa di orribile. Qualcosa che, per un istante, smarrì persino la stessa Principessa.
    «Tu, maledetto...» Sibilò, gelida. «...non vorrai che i tuoi preziosi occhi cadano al suolo e tu, per errore, li calpesti.»
    «No di certo, mia cara di cui non ricordo il nome.»
    Rise Norio Uchiha.
    Ciò che rendeva disgustoso un uomo come lui era la totale imprevedibilità del suo comportamento, le stilettate di puro veleno che riusciva a lanciare tra un sorriso e una battuta. La sua genuina capacità di distruggere in un solo attimo un intero castello di realtà e menzogne. Eppure Shizuka non sembrava prestarci troppa attenzione, come se avesse imparato a scendere a patti con quel tipo di carattere. E non perché egli fosse il suo maestro, quanto piuttosto perché quell'uomo deteneva il sapere che lei agognava, e la capacità, non rilevante o trascurabile, di fare qualcosa in cui nessuno a Konoha sembrava esperto: uccidere senza lottare.


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    Magione Kobayashi era la costruzione più grande che sicuramente Atasuke e Sasori avessero mai visto.
    Costruita secondo tradizione giapponese, abbracciava realmente tutta la zona verde di Konoha, giacché come scoprirono i due Shinobi Uchiha il muro di cinta bianco panna che era fino a quel momento scivolato alla loro sinistra era solo quello di un lato della proprietà del grande Casato di cui Shizuka pareva essere l'unica erede.
    Anche solo l'entrata principale, a cui si accedeva passando sotto un grande arco in legno lavorato a mano in cui troneggiava il nome di quella dinastia, risultava incredibile nell'affacciarsi su un giardino minimale che, da quello che si poteva sbirciare allungando lo sguardo, doveva essere solo l'anticamera del vero parco; e il cui pavimento, mattonellato di grandi quadrati di marmo bianco, conduceva all'accesso principale dell'edificio dai tetti spioventi e la pedana rialzata, cui si saliva tramite tre gradini in pietra. Lì sopra, compostamente seduta in ginocchio, una donna dai mossi capelli corvini e il naso picchiettato di lentiggini, sembrava attendere pazientemente qualcosa o qualcuno mentre osservava il cielo terso con le guance arrossate per il freddo dell'inverno.
    «Mayuko.» Chiamò senza esitazione Ritsuko Aoki, avanzando oltre il gruppo. La donna si voltò immediatamente, e il suo viso si illuminò in un sorriso. «Ritsuko-san!» Disse con affetto, ma poi parve irrigidirsi. Improvvisamente, e prima che il restante gruppo raggiungesse la baldanzosa rossa, la domestica si era già inchinata talmente profondamente che la sua fronte toccò il pavimento in legno su cui sedeva. «Okaerinasai Shizuka Hime-sama, è mio piacere ed estremo onore essere io ad accogliere il vostro ritorno a casa. Chiedo umilmente perdono per la scarsa preparazione, non degna di voi, lasciate che possa rimediare alla mia negligenza provvedendo immediatamente.»
    «Non farti tutti questi problemi, Mayuko.» Si limitò a tagliare corto Shizuka, ignorando lo sguardo di ostentato stupore che Norio continuava a puntarle addosso. La sua bocca spalancata in quel modo teatrale le dava la voglia di spaccargli tutti i denti. «Invece di preoccuparti per me sii così gentile da organizzare un benvenuto decoroso per questi ospiti che mi accompagnano.» Continuò la ragazza, portandosi una mano alla testa ed accennando ad un sorriso che, se non fosse stato troppo folle da pensare, poteva addirittura sembrare imbarazzato. «Mi dispiace non averti avvertito.»
    Di fronte a lei la domestica, pur senza alzare la testa dal suolo, sembrò sorridere con dolcezza.
    «La mia signora non deve scusarsi di niente.» E riportandosi finalmente in eretta postura non esitò a battere le mani tre volte. «La qui presente Mayuko ubbidirà con piacere ai vostri desideri finché gli Dei glielo permetteranno.»
    Prima che Sasori, Atasuke o lo stesso Norio potessero a quel punto fare o dire qualsiasi cosa, sei domestiche, vestite allo stesso modo di colei che rispondeva al nome di Mayuko, accorsero presso l'entrata principale con agitata velocità, inchinandosi poi profondamente. Solo a quel punto Ritsuko Aoki, spostandosi verso sinistra, parve riacquistare il contegno del suo ruolo e lasciò dunque che fosse Shizuka a salire sulla pedana per prima.
    «Buon pomeriggio.» Disse lei con semplicità, sorridendo alle ragazze, e queste, chi trasalendo e chi sorridendo con emozione, si inchinarono maggiormente.
    «Okaerinasai Shizuka Hime-sama, ci auguriamo che la vostra giornata sia stata produttiva.» Rispose una di loro, la prima della fila, mentre Mayuko si sbrigava a slacciare gli stivali della kunoichi, che prese con sé con attenzione quasi ridicola.
    «Produttiva non saprei, ma spero di arrivare viva a vederne la fine.» Sorrise educatamente la Principessa, prendendo ad avanzare nel corridoio di inchini. «Questi signori sono miei ospiti, preparate la Sala dei Salici nell'Ala Est della magione e fateli accomodare. Trattateli come i pregevoli Shinobi che sono...» Non aveva ancora finito di impartire ordini che tre domestiche si discostarono dalla fila e si portarono di fronte ai tre uomini, cui si inchinarono nuovamente, inginocchiandosi poi subito a terra: non ci voleva un grande sforzo per capire che intendevano togliere loro le scarpe, proprio come era appena stato fatto alla stessa Shizuka. «...Mio padre è tornato?» Domandò poi ella stessa, rivolgendosi alla prima delle cameriere che si trovò di fronte. Questa, una ragazzina che non sembrava dimostrare più di quindici anni, trasalì alla domanda inaspettata, e stringendosi le mani al petto, scosse la testa.
    «No, Principessa. Il Padrone non ha ancora fatto ritorno.» Quella frase bastò perché Shizuka si girasse a fissare Ritsuko, cui sorrise con compiaciuto sarcasmo mentre lei avanzava sulla pedana, superando con smaccata strafottenza gli ospiti della sua stessa signora. Avvicinandosi alla ragazzina, cui mollò in mano i sacchetti della spesa, la Kumori si mise a braccia conserte, sorridendo.
    «...Ma Heiko-sama è in casa, non è vero?» Chiese a quel punto con melensa dolcezza, e la ragazzina –le cui braccia avevano ceduto verso il pavimento sotto il peso di quei sacchetti– annuì velocemente.
    «Si, Ritsuko-san, la Signora si trova presso la Sala dei Ricevimenti dell'Ala Nord in compagnia di Isamu Uchiha-sama che è giunto questa mattina per incontrare il capoclan, non sapendo della sua dipartita di ieri notte.» Annaspò come un pesciolino, avvampando di fatica nel tentativo di alzare i sacchetti da terra. Era talmente rossa che per un attimo i suoi bei capelli color del grano parvero sbiadire e le sue braccia tremarono talmente tanto che quando, improvvisamente, sentì i sacchetti venirle tolti di mano, non ebbe neanche la forza di opporsi, sospirando piuttosto con evidente sollievo. Un sollievo che durò assai poco quando però si rese conto che ad essersi assunta quel fardello era proprio la sua padrona, la donna che era stata assunta per servire.
    «SHIZUKA HIME-SAMA!» Strillò disperata la domestica, cambiando velocemente colore in volto da bianco a rosso e da rosso a bianco in così poco tempo che, per un attimo, la kunoichi la paragonò ad un adorabile lampeggiante.
    «Sei nuova, qui, vero?» Domandò comunque lei senza rabbia, sorridendo e tirandosi le borse su una spalla senza nessuna fatica. «Mh... Chiasa, giusto?» Di fronte a lei la ragazzina parve sconvolta del fatto che la sua padrona ricordasse il suo nome. «Non affaticarti troppo, se non ce la fai a fare qualcosa dillo e chiedi aiuto. Nessuno ti giudicherà per questo. Hai tutto il tempo del mondo per imparare, accetta perciò con gratitudine la gentilezza altrui, compresa la mia.» Disse, posando la sua mano libera sulla testa della piccola, cui sorrise divertita. «Ah, e un'altra cosa.» Aggiunse, ironica. «Non mi chiamo Principessa, ma Shizuka. Amo particolarmente il mio nome perciò sii così cortese da rivolgerti a me con quello.»

    [...] Non era necessario farlo presente, poiché era tutto molto evidente: il corpo domestici amava la sua Signora.
    Completamente diversa dalla donna che si presentava essere nelle vie del villaggio o nelle occasioni in cui la sua veste Shinobi era l'unica che poteva permettersi di sfruttare, Shizuka Kobayashi era una padrona gentile e affettuosa, attenta alle esigenze di chi la serviva, come si poteva notare dalle espressioni delle domestiche, che pur intente a togliere i calzari agli ospiti o a svolgere altre mansioni -togliendo alla Principessa i sacchetti che si era accollata, per esempio- non smettevano di sorridere.
    «Questo non...» Cercò di esordire la ragazzina, arrossendo imbarazzata, ma non ebbe il tempo di finire la frase che qualcuno si affacciò nel corridoio. Un'altra donna.
    A differenza delle presenti indossava un kimono più elaborato, più simile cioè a quello di Ritsuko, ed era più adulta rispetto alla media di domestiche presenti, circa sui quarant'anni: i capelli color paglia raccolti in una crocchia impeccabile le davano l'aspetto intransigente di una governante troppo severa.
    «Shizuka no Kimi.» “no Kimi” era un termine storico sin troppo altisonante per un contesto come quello, usato per rivolgersi alle grandi principesse o principi di dinastie importanti. E come ci si sarebbe potuti immaginare, quel genere di appellativo non sembrava essere particolarmente apprezzato dalla chiamata in causa, che non si preoccupò di dimostrarlo facendo roteare gli occhi al cielo, irritata. «Vostra madre, la nobile Heiko-sama, desidera la vostra immediata presenza presso la Sala dei Ricevimenti.»
    «Come diavolo ha fatto a capire che ero già arrivata?!»
    Gemette allibita la kunoichi, iniziando ad impallidire: l'idea di condurre quei tre coglioni nella sua ala di palazzo per non far incontrare loro nessuno sembrava già cominciare ad allontanarsi (e lei era tornata da appena dieci minuti, il che presagiva possibilità infinite per il futuro, e nessuna di queste piacevoli). Deglutendo rumorosamente, cercò di ovviare comunque al problema. «Beh dille che ho ospiti e non posso andare ora.» Ordinò, cercando di ostentare severità.
    Di fronte a lei, uno sguardo completamente impassibile.
    «La Signora vostra madre aveva immaginato avreste risposto così.» Si limitò a rispondere la donna. «Mi ha detto perciò di ripetere testuali parole.» E il fatto che si stesse inchinando in segno di scuse, schiarendosi poi la voce, non prometteva niente di buono. «“Non azzardarti a rispondermi in questo modo, stolta ragazzina, ti romperò entrambe le gambe prima che tu abbia il tempo di arrivare alla fine del muro di cinta. Vieni immediatamente qui e porgi le scuse a tuo zio per la tua mancanza di acume che ti rende la mocciosa che sei, prima che te le strappi personalmente di bocca.”» Schiarendosi ancora una volta la voce, la donna si inchinò nuovamente.
    ...Beh, non che nessuno se ne accorse poi troppo, visto quanto aveva cominciato a sudare Shizuka, divenuta improvvisamente l'oggetto dell'attenzione di tutti. In effetti era diventata talmente pallida e la sua espressione tradiva un così inquietante orrore che non si curò nemmeno di zittire Norio, il quale fischiò entusiasta, battendo le mani per quell'ordine “splendido e magistrale”.
    Immobile nel punto che aveva fatto suo, Shizuka Kobayashi rivide molti momenti della sua vita, alcuni più belli o brutti di altri, e dopo un'attenta valutazione (che durò meno di un mezzo secondo) in cui tentò di immaginare se le sarebbe o meno piaciuto poter continuare a vivere, si girò verso i presenti con un sorriso tremante sul volto. Era davvero sudata, ora. Cioè, davvero tanto.
    «Sono sicura che mia madre sarà lieta di avere degli ospiti!» La voce le uscì di bocca più strozzata di quello che era mai capitato in presenza di tutti e tre i ninja. «S-se volete seguirmi!» Aggiunse meccanicamente, mentre Ritsuko Aoki si illuminava di gioia passando di fronte ad Atasuke e Sasori, che guardò con evidente gioia sadica.
    Un altro presagio, assieme ai due merluzzi e lo sgombro, che non suggerivano niente di positivo.

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    […] Sasori, Atasuke e Norio vennero dunque condotti in direzione della Sala dei Ricevimenti.
    Come forse si erano già immaginati, Magione Kobayashi era davvero enorme: i giardini, che circondavano l'incredibile edificio e di fronte ai quali loro passarono nell'attraversare lunghi corridoi di legno lucido e immacolato, erano grandi come parchi di templi shintoisti. Laghi circondati di pietre dalle forme circolari ospitavano carpe e splendide statue di Aironi in procinto di spiccare il volo. Una figura, quella, che ricomparve in diversi punti: nelle porte scorrevoli di riso di una serie infinite di stanze, per esempio, o nelle grandi lanterne appese nei punti di unione tra più corridoi, che come venne spiegato loro da Mayuko –chiaramente una domestica più esperta e gerarchicamente più in alto delle altre– collegava la rosa dei venti del palazzo. L'Ala Est era quella di esclusiva proprietà della Principessa.
    Era talmente incredibile quel luogo che non sembrava neanche di trovarsi a Konoha. Come fosse una fiaba tradizionale, sembrava infatti di essere stati gettati senza preavviso nella trama di una storia d'altri tempi, in cui domestiche –intente a correre da una parte all'altra con vassoi di legno, si inchinavano al passaggio degli ospiti; o dove garzoni scivolavano da una parte all'altra della magione affaccendandosi nei loro impegni–.
    Era incredibile, certo, eppure Shizuka sembrava completamente a suo agio lì dentro, come se non avesse mai visto niente di più normale di tutto quello. A ben pensarci, in effetti, non sembrava essere abituata a nessun altro luogo più che a quello.
    «Un momento, prego.» Disse la donna che aveva annunciato alla kunoichi il volere della madre, e inchinandosi dietro una grande porta scorrevole di riso a doppia anta, si inchinò. «Heiko-sama, Shizuka no Kimi è arrivata. Vi sono tre ospiti, con lei.»
    Per un istante, il silenzio.

    «Falli entrare, Ayako.»



    La voce che sarebbe giunta alle orecchie dei presenti era quieta, pacata, educata alla dizione perfetta. Un dettaglio che i presenti avrebbero notato, ma che con ogni probabilità avrebbero dimenticato istantaneamente quando la porta venne aperta e il loro sguardo si sarebbe affacciato all'interno di un'enorme sala di un tenue verde. Lì, seduta capotavola di un lunghissimo tavolo di legno massello, circondata da un eleganza semplice e sobria, sedeva una donna.
    I lunghissimi capelli corvini, lisci e brillanti, erano intrecciati di nastri di pura seta e pendagli di vero oro i quali tintinnavano dolcemente ad ogni impercettibile movimento di quella creatura la cui umanità avrebbe benissimo potuto esser messa in dubbio: non vi era niente di comprensibile in una bellezza come quella, niente che una mente normale potesse accettare. Il volto perfettamente ovale dalla carnagione color della luna della donna, era illuminato da splendidi occhi neri dal taglio affilato e una bocca carnosa e rubiconda simile ad un cuore che, assieme alle mani affusolate e al fisico snello come quello di un giunco, avvolto in un kimono azzurro di puro broccato ricamato a mano, davano di lei l'impressione di una Mononoke, una di quelle creature celesti che l'uomo aveva fantasticato per secoli di poter incontrare, proiettando le proprie fantasie in racconti destinati a trascendere il tempo...
    Era bellissima. Bella oltre ogni immaginazione.
    «Shizuka!» La voce che parlò era maschile e i presenti, volgendosi, l'avrebbero ricondotta all'uomo che sedeva accanto alla Dea. Era una presenza longilinea e snella, ma sotto al semplice kimono maschile viola dall'obi argenteo che indossava, si poteva indovinare un fisico atletico e asciutto. Non vi era niente, nel suo aspetto più vissuto e anziano, che riuscisse a non farlo sfigurare in presenza della sua interlocutrice... se non lo stesso taglio degli occhi, pressoché identico.
    «Isamu Ojii-sama!» Gemette la chiamata in causa, impallidendo più di quanto già non fosse. E non era un'impresa facile.
    «...Norio?!» Chiamò lui, stupito, guardando il Jonin alle spalle della nipote che salutava con sfacciata confidenza i due occupanti della sala.
    «Isamu-dono?!» Rispose l'altro, adesso fingendosi shockato nel portarsi una mano di fronte alla bocca.
    «Atasuke!» Proruppe nuovamente il capo della Polizia di Konoha, rivolgendosi ora all'altro Shinobi del suo Clan, cui rivolse uno sguardo davvero allibito.
    «Tatsuya!» Esclamò di punto in bianco Shizuka, e così dicendo allungò un braccio nel tentativo di abbracciare Sasori, conducendolo quanto più di vicino a lei sarebbe stata in grado di fare. Il motivo fu presto evidente quando un kunai nuovo di pacca si piantò nello stipite della porta al lato sinistro del volto del Chunin. A giudicare dalle condizioni del legno, bucato e graffiato in più punti, non sembrava essere un benvenuto nuovo, quello.
    «Onee-san!» Rispose subito una vocina allegra, prima che da dietro una cassettiera posta al lato sinistro della stanza sbucasse un ragazzino dalla zazzera corvina tutta scompigliata e gli occhioni neri. Non poteva avere più di sei o sette anni.
    «Sasori Uchiha?!» Strillò Isamu, balzando in piedi a quel punto completamente ed evidentemente sconvolto. Era talmente palese che non sapeva cosa stesse accadendo che per un attimo si sarebbe pensato la testa potesse esplodergli.
    «...Uchiha?» Ripeté la Mononoke dai capelli corvini, e finalmente si degnò di voltarsi a prestare attenzione agli ospiti di quella che, a quanto pareva, era sua figlia.
    Vi era qualcosa in lei... il modo di socchiudere gli occhi, o di arricciare la carnosa bocca in un sorriso che sembrava più un ghigno di puro e semplice sarcasmo, che ricordava vagamente qualcuno...
    «Tatsuya!» Abbaiò subito dopo sempre Isamu, fulminando con occhi dardeggianti il bambino di poco prima, che si era appena gettato addosso a Shizuka, infilando la faccia nel suo seno e stringendo il busto della giovane kunoichi, di cui palpò indebitamente anche il sedere.
    «T-tatsuya!» Richiamò la diretta interessata, trasalendo.
    «Shizuka!» Esclamò Norio Uchiha, ora con evidente interesse, ammiccando al bambino che sembrava più che felice di poter “riabbracciare” la sua “onee-san”.
    «Norio!» Ruggì lei, cercando di far smettere il Jonin di applaudire con gaudio.
    E arrivati a quel punto Isamu aveva già fatto due passi avanti, chiaramente pronto a tirare un ceffone tra capo e collo a quel mocciosetto privo di pudore, quando improvvisamente un rumore secco, simile ad un pugno che impattava su una superficie rigida, fece bloccare tutti i presenti.
    Alle spalle di tutti, la Mononoke era adesso in piedi. Il suo volto, ora, aveva un'espressione completamente diversa... conosciuta per la verità.
    Già. In effetti c'era proprio qualcosa, nel modo in cui fece schioccare la lingua e indicò i presenti con palese disgusto e sufficiente irritazione, che ricordava qualcuno. Qualcuno.
    «Ora basta, avete intenzione di continuare ancora per molto?!» Sibilò.
    «Già, questa gag non è più divertente.» Acconsentì Norio, mentre la Padrona si volgeva a guardarlo con schifato stupore, quasi non fosse abituata a sentirsi rispondere in quel modo.
    «Norio... chiudi immediatamente la bocca, o ti strappo la lingua.» Serpeggiò immediatamente Shizuka, socchiudendo gli occhi in un'espressione agghiacciante.

    […] Ah, ecco chi ricordava.
    Quella donna aveva un carattere molto, molto simile... a quello di Shizuka.

    «Tu taci.» Intervenne la mononoke, inarcando un sopracciglio nel rivolgersi alla figlia.
    «Come, prego?» Rispose senza pensarci questa, ma quando incontrò lo sguardo della madre parve pentirsi amaramente della svista nel coro di voci. Ritornò in una frazione di secondo pallida come un cadavere.
    «Onee-chan, ti ho aspettato a lungo, quando pensavi di arrivare?» Intervenne fortunatamente il bambino, che fermò quel breve secondo di stasi in cui sembrava che la donna fosse sul punto di lanciare il tavolo in faccia alla figlia.
    «Ah, scusami Tatsuya... ho portato dei compagni. Non sapevo fossi a casa, altrimenti sarei rincasata prima.» Rispose la Principessa, cercando di lasciarsi alle spalle i brividi freddi lungo la schiena per lasciar posto ad un adorabile sorriso. Di fronte a lei il bambino si calò leggermente di lato, squadrando in un attimo dalla testa ai piedi i tre Shinobi.
    Anche in lui c'era qualcosa... qualcosa di simile a qualcuno... il modo in cui soppesava con svenevole sufficienza soprattutto i due giovani ninja, Atasuke e Sasori, aveva un che di conosciuto...
    «Ah.» Disse, stringendosi con più convinzione al seno della kunoichi. «Sarebbero “compagni” Sorrise, e se non fosse stato agghiacciante attribuire a quell'espressione dell'ironia era esattamente ciò che sarebbe successo nel rendersi conto che aveva calcato la voce sull'ultima parola. Appoggiando la testa sul petto della ragazza e sospirando, il bambino fece spallucce dopo aver lanciato un'ultima occhiata ai due. Pareva aver deciso che non meritassero più attenzione. «Oggi sei libera? Puoi allenarmi in quel Katon che sei così brava a fare?» Esclamò, riacquistando in un secondo una gioia e innocenza sconcertanti.
    «Tatsuya, ti ho già ripetuto che partiremo da qualcosa di più semplice. Hai finito la tabella che ho stilato per te, quella che ho lasciato a Ojii-sama la scorsa settimana?»

    […] Ah, ma certo. Shizuka era la sua maestra. Ed erano cugini, a quanto pareva.
    Già. Si spiegavano molte cose, ora.

    «Norio perché sei qui?!» Stava intanto chiedendo il poliziotto, avvicinandosi al Jonin medico, cui strinse la mano con vigore. «Shizuka ha combinato qualche pasticcio?»
    «Nulla più che saltare pratica in ospedale per amoreggiare con questi due bell'imbusti per le vie del villaggio.»


    Silenzio.
    Di punto in bianco, Heiko alzò di scatto la testa, ritrovando un subitaneo interesse per quella conversazione che aveva accantonato nel ritornare a sorseggiare il suo tè.

    «...Come, scusa?» Mormorò Isamu con un timbro di voce molto più basso rispetto a quello usuale. I suoi occhi serpeggiarono come due vipere prima su Atasuke e poi su Sasori.
    «E' UNA MENZOGNA!» Strillò subito Shizuka, mentre il bambino guardava shockato e incredulo i due (senza lasciare però il seno della cugina, cui rimase avvinghiato come una scimmia). «POTESSI DIVENTARE SUORA DEL TEMPIO DI IZUMO DOMANI!»
    «Preparo le valigie della Principessa.»
    Intervenne Ritsuko Aoki, che nel mentre si era mantenuta in disparte tutto quel tempo e che non sembrava aver fatto altro che attendere il momento in cui intervenire con precisione per colpire il suo bersaglio. Quel commento, che non passò certo ignorato visto il tono di voce altissimo con cui venne emanato, bastò perché Heiko la Mononoke sorrise con improvvisa e raggiante gioia.
    «Ma come, Shicchan?» Ghignò Norio, affiancandosi ad un progressivamente più irritato Isamu. «Mi pareva di averti sentito dire che finalmente hai trovato l'amore, e che adesso non vedi l'ora di organizzare il matrimonio...»

    «....Quale matrimonio...?»



    Sarebbe stato bello. Si. Che tutto andasse bene, che tutti si ritrovassero o incontrassero per la prima volta con gioia.
    Sarebbe stato splendido se lei non fosse stata esiliata come sacerdotessa eremita in cima al cucuzzolo di un monte. O che Atasuke e Sasori non fossero stati impiccati in piazza. O che Norio fosse morto di lì a due secondi.
    ...Ma quando un alto uomo dagli ispidi capelli castani e i grandi occhi verdi, vestito di un ricco e splendido kimono blu notte dall'obi intessuto di fili in puro oro, le cui massicce spalle erano coperte con un largo haori su cui campeggiava l'immagine di uno splendido Airone, lasciò cadere a terra un orsacchiotto di tessuto rosa e due rose bianche, Shizuka Kobayashi sbiancò e lo comprese.
    Comprese che la montagna, dopotutto, non era così male.
    A lei, del resto, era sempre piaciuta.


    shizukashockkissimo

    «O-okaerinasai, Otou-sama...»

    Era Toshiro Kobayashi.




    divisore




     
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  14. Asgharel
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    Narrato

    °Pensato°
    «Parlato»
    "Parlato" (altri)
    -Citazioni-


    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    ~Arrivo a Villa Kobayashi~


    Come quasi c'era da aspettarsi, alla fine Shizuka esplose inveendo u po verso tutti, anche se, in vero, Atasuke si sentì colpito solo dalle parole che ricevette direttamente. Possibile che il suo modo di comportarsi la infastidisse? Possibile che avesse esagerato? Certo non ci era propriamente andato con i piedi di piombo in quell'occasione, tuttavia sapeva di non poterci fare nulla. Quella era la sua natura e difficilmente poteva diventare diverso, salvo forse indossando una maschera. Una sorta di maschera con un'altra personalità, una maschera che ne celasse il vero io. Rimuginando su questo ed ascoltando le irose parole che volavano, Atasuke decise però di rimanere fedele alla propria natura. In fondo quella non era un'occasione valida per svelare la propria maschera. Quella era solo un piccolo dono per i suoi nemici.

    «Come al solito non hai capito nulla... Ma se è questo che vuoi... Ebbene ti accontenterò»


    Uno dei suoi soliti sorrisi si dipinse sul suo volto, quasi come a schernire tutta quella serie di insulti che aveva lanciato a vuoto, anche se la sua voce tradiva un filo di amarezza. Certo era innegabile che Shizuka gli piacesse, ma non era il suo corpo ciò che Atasuke voleva, ma evidentemente la ragazza era troppo cieca per capirlo.
    Osservò in silenzio tutto il resto della discussione. In fondo sapeva che era inutile cercare di calmare le acque. Il dado era tratto e l'unico modo per uscirne era seguire la corrente. Quella strana corrente che Atasuke seguiva in ogni missione, in ogni combattimento. Un flusso che finora non lo aveva mai tradito.
    Nel trambusto scatenatosi arretrò di alcuni passi facendo segno a Sougo di raggiungerlo. Ordine che il biondino non esitò ad eseguire rinfoderando la sua lama.

    «Sougo, fai rientro immediato al punto di controllo delta. Prepara i moduli che oggi dovrò stilare un lungo rapporto»

    "Ma... Atasuke mi pareva di aver capito..."

    «Mi pare evidente che hai capito male»


    "Non posso lasciarti andare là dentro da solo!"


    Rimase quasi stupito della risposta. In effetti mai si sarebbe aspettato tanta carineria da parte di Sougo, il quale forse, più di ogni altro voleva vederlo morto. O almeno questo era il pensiero che gli balenava nella testa ogni volta che lo sentiva contare i suoi cadaveri per addormentarsi. Ebbe un tremito a quel pensiero e si diede da fare nello scacciarlo rapidamente dalla sua mente.

    «Sougo, non temere, non corro rischi a villa Kobayashi, inoltre, considera la mia richiesta come l'ordine ufficiale che è. Siamo intesi? Là dentro non mi serviresti a nulla e semmai qualcuno fosse così idiota da provare a farmi fuori, là dentro tu creperesti solo qualche istante dopo. Fuori, invece, saresti la chiave per incastrarli tutti. Rientra immediatamente!»


    Non dovette aggiungere altro. Sougo, seppure con una smorfia, fece un cenno di assenso con il capo e partì abbandonando il gruppo. C'era da sperare che almeno quella volta avrebbe eseguito gli ordini anzichè fare di testa sua.
    A quel punto Atasuke riportò la sua concentrazione sul marasma che si era formato.

    «Bene... Vogliamo andare allora? O pensiamo di rimanere qui per tutta la giornata?»

    °E vediamo di chiudere questo malinteso una volta per tutte°


    Domandò in tono quasi colloquiale, anche se non mancò di lanciare un piccolo sguardo di sfida prima a Ritsuko e poi uno d'intesa s Shizuka lasciando chiaramente intendere i suoi pensieri ed il suo obbiettivo.
    Lasciò avanzare prima le padrone di casa e Norio, trattenendo appena Sasori in modo da potergli parlare con la dovuta calma e riservatezza.

    «Preparati, perchè di qui in poi temo sarà anche peggio...»


    Aprì il discorso in tono scherzoso concedendosi una pacca sulla spalla del compagno.

    «Comunque non ti preoccupare, can che abbaia non morde e per quanto conosco Shizuka possiamo stare tranquilli che non ci darà problemi... Sappi solo che è un pelo isterica, specialmente quando è sotto pressione. Tuttavia, fidati di me, per qualunque cosa fidati che so come uscirne senza troppi casini. Cerca solo di stare attento ad ogni tua mossa, ma specialmente a cosa dici... Predila un po come una missione diplomatica... Tipo quella a Kumo, solo che non abbiamo Genma in mezzo alle palle»


    Scherzò con il compare prima di strizzargli l'occhio e balzando davanti a lui per raggiungere rapidamente l'ingresso della villa. In quella posizione Sasori avrebbe avuto modo di notare che Atasuke non portava, come suo solito, lo stemma Uchiha su quell'abito, bensì una ricamatura dorata che rappresentava le tre tomoe dello sharingan. Che fosse un'altro segno dei suoi cambiamenti?

    [...]


    Una volta varcati i cancelli della villa Atasuke si gardò intorno, quasi estasiato. Doveva ammettere che quello era un signor giardino, anche se, nel suo piccolo, preferiva quello di casa sua, certamente molto meno ampio e meno curato a causa del poco tempo a disposizione, ma nel suo piccolo poteva apprezzarne tutti i minimi dettagli, mentre già sapeva che di quell'immensità poteva solo perdersi una tonnellata di quei dettagli di cui solitamente si beava.
    Rimase altrettanto stupito dall'opulenza che quella casa nella sua maestosità e nei suoi servigi si mostrava, tuttavia non ne rimase piacevolmente colpito. In un certo senso sapeva che una qualsiasi persona sarebbe stata estremamente lieta nel ricevere tane attenzioni. Lui invece si sentiva quasi a disagio, fuori luogo. Ormai era chiaro: Preferiva di gran lunga i posti decisamente più rustici e meno sfarzosi.
    Rimase adirittura stupefatto quando vide che una serva gli si avvicinava con il chiaro intento di aiutarlo a rimuovere gli stivali. Certo non aveva problemi in quell'usanza, tuttavia percepì come una forma di fastidio nel ricevere quelle attenzioni quasi asfissianti.

    °Non capisco come mai tutto questo servilismo mi dia così fastidio... Che sia per questo che Shizuka non riesce a sopportare i miei modi?°


    Si chiese mentre si slacciava le cinghie che tenevano chiusi i suoi stivali rimuovendoli per poi consegnarli alla serva che li rispose.
    Ad un tratto il suo orecchio captò una frase, detta da una delle serve in risposta alla perfida Ritsuko, la quale certamente puntava ancora a fregarli tutti con qualche trabocchetto dei suoi.

    "Si, Ritsuko-san, la Signora si trova presso la Sala dei Ricevimenti dell'Ala Nord in compagnia di Isamu Uchiha-sama che è giunto questa mattina per incontrare il capoclan, non sapendo della sua dipartita di ieri notte."

    °Dunque Isamu-dono è già qui... Forse allora c'è una buona possibilità di uscirne°


    A stento Atasuke trattenne un'altro sorriso nel pensare alla sua possibilità di fuga e sottovoce rivelò parte del suo piano a Sasori stando bene attento a non farsi sentire da altre orecchie indiscrete, come quelle di Norio.

    «Ottimo, se Isamu Uchiha è qui possiamo uscirne senza grossi problemi... Tu evita solo in ogni modo di rivelare quanto accaduto stamattina, d'accordo?»


    Fece poi un cenno al compare con sguardo serio. Da quell'informazione sarebbe dipeso gran parte del loro futuro in quella villa e Sasori non doveva infrangerlo in alcun modo.
    Vide poi la cura e l'amorevolezza di Shizuka che si riversava su una delle serve, evidentemente nuova, ed Atasuke non potè non sorridere. Ancora una volta ella gli stava dimostrando che c'era una luce di bontà in lei, per quanto non volesse ammetterlo.
    Inutile dire che quando udì il messaggio da parte della madre di Shizuka, Atasuke non potè evitare di sorridere ancora uan volta al pensiero di come quella donna assomigliasse nei modi alla figlia.

    «Certo che se queste sono le premesse, non vedo come potremmo non accettare l'"invito", vero Shizuka-hime?»


    Le disse per cercare di stemperare i toni, anche se effettivamente si rese conto poco dopo che a nulla erano servite le sue parole. Shizuka era estremamente sudata e la voce tremante poteva significare solo due cose: Un'enorme febbre da cavallo o un'enorme paura di ciò che li attendeva.
    Atasuke però immaginando che non si trattasse di un problema "medico" si convinse della seconda opzione e le lanciò uno sguardo rassicurante, come a cercare di dirle di non preoccuparsi. Sapeva bene che dopo la sfuriata di poco prima probabilmente non sarebbe servito a nulla, tuttavia, era nella sua natura cercare di rincuorare le persone a lui care e non poteva resistere a quell'impulso naturale.

    "Sono sicura che mia madre sarà lieta di avere degli ospiti! S-se volete seguirmi!"


    A quelle parole Atasuke rispose con un'inchino ed un sorriso. Si poteva quasi dire che si divertisse a vivere quell'assurda situazione in cui si erano cacciati.
    Con altrettanto divertimento vide Ritsuko passargli dinnanzi lanciando occhiate di sadica gioia. A quello sguardo Atasuke non seppe resistere e rispose con un brevissimo flash dando appena il tempo a Ritsuko di notare i suoi occhi cremisi solcati dalle nere tomoe. Se esisteva un segno di sfida universale, quello di certo era uno dei più inequivocabili.
    Poi, richiuse nuovamente gli occhi e quando li riaprì le sue iridi erano tornate nere come gli abiti che indossava.

    [...]


    Inutile dire che quando entrarono nella stanza si scatenò una sorta di assurdo putiferio avviato da quella che era evidentemente la madre di Shizuka in compagnia di Norio Uchiha.
    Per un'attimo si poteva dire che quella scena fù assurda e strana allo stesso tempo. Da un lato riconobbe la bellezza della madre di Shizuka e si perse nei suoi pensieri notando i piccoli dettagli che Shizuka aveva ereditato. Dall'altro non poteva togliersi dalla testa di aver già visto quel volto, come se già la conoscesse, forse anche solo per fama.

    "Atasuke!"


    Quando udì il proprio nome si riebbe, rendendosi conto del putiferio che si stava scatenando tutt'attorno a loro. Come d'istinto portò la mano verso l'elsa della sua Katana vedendo un kunai partire da dietro ad una cassettiera sfrecciando a pochi centimetri dal suo volto in direzione verso la testa di Sasori.

    °Certo che qui dentro accadono cose assai strane°


    Pensò tra se riconoscendo Tatsuya, il figlio di Norio che evidentemente aveva iniziato anche lui a praticare l'arte ninja, anche se i metodi e l'irruenza andavano parecchio rivisti.
    Alla fine addirittura la donna parve intervenire, schiantando con violenza un pugno sulla parete alle loro spalle. Segno che anche la pazienza doveva essere un tratto genetico ereditato dalla madre.

    °Ottimo, non abbiamo neppure cominciato e già la situazione è tragica...°


    Pensò tra se mentre vedeva che tutto pareva andare a rotoli. Da una parte shizuka pareva venir monopolizzata dal cuginetto, dall'altra parte Norio sembrava pienamente intenzionato a rovinare la giornata a tutti. Nel dubbio, Atasuke decise di intervenire, anche se la cosa sembrò nuovamente svanire nel nulla.

    «Norio-sama, la smetta di ripetere questa menzogna, direi che non è un'argomento su cui scherzare questo!»


    Era serio nel tono, tuttavia la sua serietà probabilmente non era sufficiente a porre una fine a quella specie di marasma incontrollato.
    Di li a poco però fece la sua comparsa un'altro attore, quello che forse era tra i più pericolosi in quella scena o forse quello che poteva in qualche modo diventare la loro salvezza.
    Il padre di Shizuka era entrato in campo e lo aveva fatto in uno dei peggiori momenti possibili.

     
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  15. Sasori Uchiha
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    Residenza Kobayashi



    La ragazza si era alterata. Ma di certo non era affatto intimorito o spaventato da quella reazione. In fondo nella sua vita, ne aveva vista di gente alterata sicuramente più pericolosa di quella ragazza. E poi andiamo, era appena uscito da una situazione complessa, difficile come quella di essere stato catturato in una missione, non sarebbero bastate quattro urla a farlo rabbrividire. Nella sana incoscienza della gioventù, non si curò minimamente di quella ragazza, chi fosse, quanto fosse pericolosa, chi fossero i suoi legami, le sue radici. Si sarebbe lasciato alle spalle quella serie di domande che ogni dannata volta riecheggiavano nella sua testa prima di compiere qualsiasi azione. Già, perchè quando venne liberato da quel buco nero, da quello stato di calma assoluto da quell'oblio, non aveva desiderato altro che pagare con la stessa moneta e a tempo debito, tutti i suoi detrattori. Non voleva di certo diventare padrone del mondo, signore della guerra oppure un pazzo psicopatico. Voleva essere semplicemente considerato pericoloso al pari di ogni altro shinobi che si aggirava in quelle terre. Non gli andava a genio il fatto di essere ogni volta ignorato, solo perchè poco appariscente, un po' solista ed un po' folle. Era la volta di far vedere cosa significava per lui quella seconda opportunità. Era troppo ghiotta come occasione e di certo non poteva lasciarsela scappare, proprio adesso che era a portata di mano, proprio ora che aveva modo di dimostrare al mondo la sua presenza, come shinobi completo o quanto meno consapevole dei suoi mezzi della sua forza. Questa volta al contrario di tante altre non avrebbe esitato e non avrebbe dato alcun cenno a retrocedere, si sarebbe comportato in modo spietato, sconsiderato spavaldo e strafottente, perchè in realtà questa era la sua vera natura, che ogni volta doveva essere ritrattata per una più semplice ma anche piacevole invisibilità. Perchè doveva svelare a tutti, chi è e cosa è capace di fare quando in realtà basterebbe talmente poco per plasmare la realtà a proprio pacimento?
    Era una domanda su cui si basava l'essenza di uno shinobi e per lui era necessario almeno per questa volta di esser capace di dimostrare che lui era lì e di gridare al mondo intero la sua esistenza. Perchè adesso si sentiva pronto a mostrare le sue carte, a mostrare che anche lui era in grado di non farsi problemi di fronte alle avversità e alle difficoltà che anche un semplice colloquio comportava. Si era stufato di ogni singola etichetta, di ogni singolo giudizio. Questa volta avrebbe mostrato la sua essenza, la sua verità ai suoi compagni. Era questo, quello che la folle della sua compagna voleva, giusto ? A richiesta, si risponde, ma la sua risposta sarà a suo modo. Non gli sarebbe importato nulla riguardo alle conseguenze, non si sarebbe di certo curato se quella ragazza per lo shock si sarebbe messa ad urlare piangere e dimenarsi. Normalmente non si sarebbe neanche mai sognato di reagire, ma dal momento che ad essere buoni, si paga sempre dazio, beh, oggi per lui era giorno di paga, era il giorno del riscatto era il giorno di poter riscuotere gli interessi. è chiaro che non possiamo piacere a tutti, altrimenti avremmo una esistenza molto serena, tranquilla, quasi senza ostacoli, senza barriere, senza confini. Allora dove sarebbe il divertimento ? Questa volta si sarebbe divertito lui e non a causa degli altri ma a causa di ciò che era realmente in grado di fare. Con la dialettica si cerca sempre di cercare di evitare qualcosa che possa generare astio, abiguità oppure anche solo una ostilità a prescindere dal contenuto del pensiero. Ma questa volta non avrebbe fatto altro che agire, senza dialogo. Perchè in precedenza aveva parlato, in precedenza aveva espresso il suo punto di vista, ma era come gettare al vento le parole. Quindi il momento delle parole è finito. La sua pazienza di solito sufficiente a rispettare ogni accordo, ogni legge, ogni patto di civile convivenza di civile cooperazione, ma questa volta era diverso era seriamente infastidito. Chiaramente questo era quello che si era ripromesso una volta varcata la soglia di quella cella ed ogni giorno vi aveva riflettuto nella calma della sua stanza, in quei giorni, neri come la notte. Aveva passato dei momenti non facili di prigionia, quando ti venivano a prelevare, senza avere possibilità di scampo, senza nessun appiglio per evitare il supplizio, quello che poteva essere semplicemente sintetizzato con la parola inferno. Quello era il solo ed unico inferno che conosceva e che l'aveva plasmato nel tempo e che con il tempo è riuscito ad assorbirne la forza ed il violento impatto che esso aveva verso un nemico, visto che ne aveva preso la consapevolezza e ricevuto in cambio i dovuti oneri e dannazioni. Ma cosa voleva saperne quella ragazza. Lui aveva avuto un percorso diverso dalla normalità. Dall'anonimato, dagli shinobi felici e contenti. Lui aveva scelto la strada più tortuosa, quella del duro lavoro, non quella più semplice e veloce. Ma questo era un altro discorso. Quello che contava è che se anche lei ne aveva varcato la soglia del baratro, allora avrebbe capito il messaggio che quel ragazzo stava per mostrargli. Altrimenti era semplicemente una manipolatrice, una affascinante manipolatrice. Ma anche questo non importava al ragazzo. Era serio, determinato ma ascoltò senza battere ciglio le critiche che quella estranea gli aveva rivolto.



    Guardami maledetta puttana !



    Mentre parlava, il nero dei suoi occhi avrebbe lasciato ad un rosso intenso dello sharingan e senza perdere tempo avrebbe incrociato lo sguardo della sua interlocutrice, gli avrebbe mostrato nella sua mente, il mondo a lei destinato a quella pazza senza fede. In quel mondo illusorio da lui creato, come esatta replica della realtà si sarebbe avvicinato ad Atasuke, chiedondogli di volergli parlare, ma l'Atasuke illusorio avrebbe in realtà ricevuto un colpo di katana a vibrare per recidere la testa dal corpo. Essendo questa realtà comandata dalla mente di Sasori avrebbe preso la testa recisa e con un calcio l'avrebbe mandata come messaggio alla sua compagna di squadra. Una volta che la testa fosse rotolata ai piedi della ragazza, il genjutsu sarebbe stato rilasciato. Facendo ritornare entrambi alla realtà, il rosso sangue, tornò il nero profondo degli occhi di Sasori, mentre Atasuke era ovviamente illeso e vicino alla ragazza, esattamente come se lo ricordava. In totale l'illusione sarebbe durata al massimo un secondo. Se Shizuka era brava non solo a parole avrebbe capito il messaggio non scritto che il ragazzo con quella visione voleva indicarle. Ma non sapeva se era in grado di interpretare un messaggio di quel tipo, chissà se ne era in grado, fino adesso non aveva fatto altro che starnazzare. A quel punto avrebbe parlato con espressione seria:



    Adesso hai capito oppure te lo devo anche spiegare ?



    [...]



    Atasuke prima di partire, confortò Sasori riguardo alla situazione equivoca che si era venuta a creare dicendo di avere un piano per uscirne in maniera pulita, senza avere altri problemi. Meno male perchè Sasori ne aveva fin sopra le scatole di quella faccenda. Per fortuna al contrario dell'altra missione fatta con Atasuke, non avevano più Genma in mezzo alle scatole. Se l'avesse dovuto rivedere in quella situazione l'avrebbe mandato a salutare il creatore prima del tempo a lui riservato. Nonostante le attenzioni di Atasuke, Sasori era visibilmente infastidito e irratato. Questa volta non gli sarebbe passata così in fretta come le altre volte. Ma nonostante ciò scherzò di buon grado con il compagno fidato. Finalmente il gruppo arrivò a destinazione alla magione Kobayashi, era davvero una delle proprietà più grandi che fino ad ora il ragazzo avesse visto. Ma non rimase stupito più di tanto anche se oggettivamente era abbastanza imponente. Infatti per sua fortuna non era mai stato una persona megalomane, quindi non era invidioso di tanta ricchezza, nè tanto meno della vita in quelle mura. Preferiva la vita semplice ma dignitosa libera da schemi e preconcetti. In cui effettivamente la fiducia reciproca era la base di ogni rapporto di coppia. Ma quei pensieri che gli ronzavano in testa in quegli istanti, non erano figli di ciò che vedeva, quindi preferì abbandonarli e vedere dove diavolo erano finiti. Non sembrava neanche di essere vicino a Konoha, al villaggio per quanto differente era il paesaggio intorno a lui.



    Servirebbe una mappa per girare qua dentro con tanto di vi trovate qui con un bel segnalino rosso.



    Mentre stava riflettendo, una serva arrivò per slacciargli le calzature. Si sentì leggermente imbarazzato, da tanto servilismo. Non era necessario che una serva gli levasse le calzature. Guardando in direzione di Atasuke, anche lui sembrava a disagio di fronte a tale trattamento. Mentre si curava di Atasuke, arrivò alle sue orecchie la comunicazione che Isamu era presente. Sembrava che fosse il loro lasciapassare per risolvere la faccenda senza troppi prolemi.



    Mi sono veramente stufato di questa storia



    Sasori annuì alla richiesta del suo compagno. Nel frattempo avanzando nella struttura per andare a raggiungere la famosa ala est, il gruppo venne intercettato da una serva, che li invitava la cospetto della padrona di casa. Anzi in realtà non era un invito era un vero e proprio ordine. Sasori comprese l' urgenza dell'incontro visti i toni del messaggio riportato.



    La ragazza ha pane per i suoi denti



    Dal modo in cui comunicò con loro, dedusse che avesse un certo timore di quella che con ogni probabilità era la padrona di quella casa, nonchè madre della ragazza. Sasori chiaramente avrebbe assecondato gli inchini ed ogni usanza che l'etichetta richiedeva, senza mostrare alcun comportamento non consono a quell'ambiente. Era educato ed abituato a quegli ambienti per quanto non li preferiva di certo alla vita che conduceva in casa sua, con suo padre. Quindi il gruppo arrivò nella stanza dove c'era probabilmente la famiglia della ragazza al gran completo. Era arrivato il momento di chiarire quella faccenda una volta per tutte, in un modo o nell'altro.



    [...]



    Entrando nella stanza, notò soltanto un volto familiare, Isamu. Questo lo chiamò per nome e cognome, il ragazzo per rispetto distolse lo sguardo da lui, perdendosi in dettaglio della parete. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, in fondo tutto era nella mani di Atasuke. Si iniziò a guardare in giro, come per vedere a che punto fossero della commedia, vedendo Shizuka porgergli una mano, Sasori si spostò in sua direzione. Sentì una sorta di sibilo e vide un kunai piantarsi su uno stipite già logoro. Osservandolo Sasori dedusse che non erano ospitali quanto volessero far credere, o almeno era l'idea che gli era venuta in mente osservando quello stipite. La madre di Shizuka, come la figlia, sembrava come carattere tale e quale alla figlia. Adesso si spiegavano tante cose. Ad ogni modo la situazione, sembrava essere degenerata prima ancora di iniziare. Sperava che Atasuke avesse un piano migliore o per lo meno che il suo piano dovesse ancora iniziare perchè se quelle erano le premesse, di certo non c'era da stare allegri. Inoltre Shizuka sembra assorta in tutt'altra faccenda, quello che aveva capito chiamarsi Norio, aveva deciso di rompere le uova nel paniere ai due poveri ragazzi prima ancora di poter chiarire la situazione che con il tempo non aveva fatto altro che peggiorare. Ma nonostante il parapiglia che si era scatenato, Atasuke decise ugualmente di fare la sua mossa. Parlava seriamente, sperava Sasori che la sua serietà fosse sufficiente a placare gli animi anche se ne dubitava fortemente. Un'altra figura stava per entrare in scena. Sperava che potesse contribuire alla loro causa e porre fine a quel gioco degli equivoci, che si era venuto a creare e che gli stava fortemente sui nervi.

     
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