Isamashii koi no densetsu

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    Politica e Diplomazia

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    «Gli Dei ti benedicano.» Cinguettò ironicamente il Daimyo, e battendo una mano sulla gamba bloccò il ritirarsi delle cameriere, che come passerotti richiamati al nido volarono silenziosamente accanto al Signore del Palazzo, inchinandosi abbastanza perché la loro testa quasi toccasse le ginocchia. «Dite ad Aiko che non intendo mangiare un'altra pera sbucciata per i prossimi trent'anni, che spero davvero di potermi godere in piena salute. Questa roba la dia a Shingo, non a me.» Sghignazzò, e la sua voce baritonale risuonò nel suo ampio torace come la ripercussione di un grande tamburo. Nessuno avrebbe capito che il motivo per cui l'uomo rideva giaceva nell'immaginare l'espressione inorridita e altezzosa che la sua prima moglie, una nobile Principessa dell'Ovest, avrebbe elargito alle cameriere sapendo ciò che il suo Danna aveva detto di fronte ad un ospite. Non che fosse una novità, a dispetto di quello che ci si sarebbe aspettati da un uomo forgiato nei campi di battaglia, Kazutoshi Murasaki era attento alla sua numerosa famiglia da curarla senza che niente d'essa si sapesse in giro. Che agisse per estrema pudicizia o per un'incrollabile guardia, però, stava all'immaginazione altrui supporlo. «Portate quattro bottiglie di saké e della carne affumicata...e impedite a mia moglie di condirla con qualche salsa strana come fa di solito.» Puntualizzò, inarcando un sopracciglio.
    Annuendo quasi simultaneamente, come se si fossero tutte preventivamente accordate sul momento esatto in cui porgere l'ossequio, le cinque domestiche si spostarono a costeggiare le pareti della grande Sala e scivolando come spostate dal vento ne uscirono senza dire una sola parola. Tornarono circa cinque minuti dopo, portando su ambo le mani grandi vassoi di legno in cui ampie ciotole di porcellana erano ricolme di diversi tipi di carni secche –speziate, piccanti, aromatizzate e brasate– e bottigliette di creta bianca colme di sakè dall'odore pungente che vennero date in numero di due a ciascun uomo, assieme ad altrettante ciotole.
    Solo quando il corpo domestiche se ne fu andato, il Re Dragone intavolò il tipo di conversazione che immaginava il suo ospite desiderasse. Era abbastanza avvezzo alla sua posizione per sapere bene che uno dei Jonin del più potente Villaggio del suo Paese non avrebbe chiesto udienza a lui in persona se non per faccende che trascendevano qualche scaramuccia interna di poco conto. A dispetto di ciò cui si era preparato, tuttavia, l'uomo parve quasi stupito quando Raizen Ikigami pose l'argomento di trattazione. Sembrava essersi immaginato ben altro, e come dimostrò mentre spaccava con un gesto secco della mascella una spessa striscia di carne di cinghiale piccante, parve quasi sollevato.
    Sorrise, e ancora una volta il muso affilato di un lupo di sovrappose ai suoi lineamenti, conferendogli quel tipo di interesse astuto e quell'intelligenza imprevedibile che l'avevano reso l'incubo di molti opponenti.
    «Oh!» Esclamò, ma poi non fece molto più di questo.
    Seduto a gambe incrociate, il Daimyo del Paese del Fuoco finì di masticare con gusto il suo “leggero spuntino” accompagnandolo poi con una lunga sorsata di sakè freddo. Fu solo quando si portò tra i denti un altro filetto di carne secca che riportò il suo sguardo in quello di Raizen. Eppure anche stavolta non disse nulla.
    Facendo passare il bocconcino da un lato all'altro della bocca, il Re Dragone del Fuoco si grattò sotto l'irsuto mento, in cui una fitta ma rada barba castana incorniciava la sua mascella squadrata e il mento duro.
    «Cosa dovrei dire di preciso?» Disse improvvisamente, e quella domanda parve cadere dal cielo con una pesantezza che possedeva i connotati dell'irrealtà. Affilando lo sguardo il Daimyo sorrise, ma stavolta nella sua espressione non vi era traccia di quel genere di complicità maschile che fino a quel momento aveva offerto al suo ospite. «Raizen Ikigami, Konoha è il più potente Villaggio Shinobi del mio Paese. Guardo ad esso con una premura molto simile a quella che una femmina rivolge al proprio piccolo destinato a diventare imperatore: con attenzione ma rispetto.» Disse, battendo ritmicamente il nerboruto indice della mano destra sul ginocchio. «Ma non sta a me decidere la politica che la Foglia adotta. Fintanto che essa rispetta l'emblema del drago e della magnolia viola, non ho ragione di intromettermi. Il casato Murasaki combatte da centinaia di anni al fianco di voi Shinobi del Fuoco e vi supporta senza invadervi.» Ruppe con un colpo secco, simile alla cesoia di una bestia, la striscia di carne che stava mangiando, che si pose in bocca senza l'aiuto delle mani in modo più rozzo di quello che ci si sarebbe immaginati da un uomo che, al contrario, dimostrava una preparazione politico-diplomatica notevole, come pure una certa sensibilità sull'autonomia delle risorse esterne al suo dominio. «Sei venuto qui, Raizen Ikigami, ma non sono io il primo a cui devi chiedere approvazione.» Senza esitazione si pose in bocca un'altra striscia di carne con leggerezza. Sembrava non aver neanche toccato la punta della sazietà. «La prassi in queste circostanze è una sola, e viene rispettata da prima che i nostri progenitori venissero al mondo: è il concilio Shinobi del Villaggio a proporre all'amministrazione un Hokage...» Rimarcò quella parola, lanciando un'occhiata all'ospite, a cui sarebbe però parso di trovarsi di fronte ad una maschera dura e al contempo sarcastica. «...quando il nome supera le camere di consiglio viene proposto al Daimyo con una documentazione appropriata. A quel punto egli stesso conferisce con il candidato e ne decide la sorte, che a dispetto dell'immaginario non è sempre positiva. Il fatto che egli sieda di fronte al Signore del Fuoco non conferisce lui la sicurezza dell'elezione.»
    A quel punto cadde un grave silenzio che permase nella Sala fintanto che questa non venne soffocata dalla gravosità di un messaggio come quello che il Padrone di Kayoutei aveva chiaramente espresso: “Hai sbagliato”.
    Fu solo quando ebbe finito la sua prima ciotola di cibo che Kazutoshi Murasaki riprese a parlare.
    «Trovo lodevole il tuo interessamento al benessere di Konoha, Raizen Ikigami. Io stesso conosco la vostra situazione, e soprattutto dopo gli ultimi attacchi terroristici mi sento coinvolto emotivamente nella sorte del vostro Villaggio.» Disse, ma non puntualizzò il motivo per cui il futuro della Foglia dovesse essere una sua faccenda privata, preferendo piuttosto continuare. «Ma non posso issarmi sopra la politica conosciuta e rispettata e decidere autonomamente di una cosa tanto importante.» A quel punto scosse la testa, e bevve un altro sorso di sakè. Dal rumore che fece la bottiglia quando fu posata sul vassoio, fu evidente che fosse già vuota. A quanto pareva quell'uomo beveva e mangiava senza risentire minimamente delle conseguenze. «Mi dispiace, Raizen Ikigami, non posso aiutarti. Ci sono regole che neanche il mio rango può permettermi di ignorare.»

    E così dicendo, alzando i suoi affilati occhi blu come il mare dal vassoio pieno di vivande, il Daimyo guardò in faccia il Jonin, tacendo.

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