Isamashii koi no densetsu

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  1. Arashi Hime
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    Re Dragone

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    «Sei un bambino, Raizen Ikigami.»



    Scuotendo la testa, ancora seduto sul pavimento di bamboo bianco finemente intrecciato della Prima Sala di Palazzo Kayoutei, il Re Dragone Kazutoshi Murasaki ghignò, estasiato da ciò che i suoi occhi vedevano e ciò che la sua mente percepiva. Il suo volto, una geografia di indecifrabili pensieri, si stirò in un'espressione compiaciuta, benché ancora una volta quale fosse il motivo di tanta soddisfazione non fu dato saperlo.

    «Sei ancora troppo ingenuo, la tua concezione di politica e amministrazione non ha basi solide. Ti muovi nella giusta direzione, ma lo fai più per l'istinto che nasce da ciò che hai sperimentato durante la tua vita piuttosto che per una reale preparazione, come un cucciolo appena nato ancora cieco che cerca le mammelle della cagna che l'ha messo al mondo.»



    Disse, inarcando un sopracciglio.
    I suoi occhi blu brillavano di quel tipo di attenzione che nasce dalla valutazione, dallo scrutare il proprio opponente sino alle profondità più intime della mente e della coscienza. Ed era giusto parlare di opponente, perché quella conversazione aveva cessato di essere un'affabile incontro di ideali da molto tempo ormai. Era una schermaglia giocata sulla scacchiera dell'intelligenza e della pianificazione, quella, un raffinato ed estatico duello di personalità ed ego contrastanti.
    E sembrava che qualcuno fosse appena riuscito a compiere lo scacco decisivo, ponendo fine alla partita.

    «Non sai mentire, né recitare una parte. Ci stai provando dall'inizio di questa riunione, ma ai miei occhi non sei né posato né elegante come avresti voluto essere. Indossi ancora la tua divisa, il tuo coprifronte e imponi alla tua bocca di non divenire fauci dandoti un autocontrollo che non ti è proprio.»



    Pronunciare quelle parole sembrò, se possibile, divertirlo ancora di più; quasi l'idea di essersi trovato fino a quel momento di fronte alla sicurezza che quel pessimo spettacolo avesse riscosso il risultato sperato, procurasse lui uno sconfinato senso di indulgenza.
    Sporgendosi leggermente in avanti, il Signore di Palazzo Kayoutei si limitò a posare il dito indice della mano sinistra sul pavimento, battendolo sopra con ritmica insistenza. Ancora una volta il suolo risuonò a vuoto.

    «La diplomazia non ti è consona. La gentilezza non è tua alleata. Non hai ricevuto un'educazione dotta. Sei un uomo rude, graffiante e poco incline alla cortesia gratuita, irritante persino quando desideri essere accondiscendente. Parli solo quando conosci l'argomento, e questo ti fa onore, ma la tua sicurezza spesso vela i tuoi occhi. Sei sicuro di detenere alcune verità, e tali verità non sembrano poter essere scalfite da nessuno. Sei restio, in altre parole, a cambiare il tuo punto di vista.»



    Affermò con semplicità, come se stesse profusendo complimenti e non accuse dirette ad inchiodare il Jonin al suolo...
    ...lo stesso suolo che improvvisamente iniziò a vacillare, a muoversi come onde animate dal flusso di un mare in tempesta.
    Prima ancora che Raizen potesse avere il tempo di rendersi conto che non era stato il Daimyo a fare niente, ma che stava succedendo qualcos'altro –qualcosa che, con orrore, non avrebbe saputo identificare–, il Re Dragone batté un'altra volta l'indice sul pavimento, e questo cessò immediatamente di muoversi.

    «Dai per scontate troppe cose, e non lo fai perché la tua mente risulta incapace di valutarle, ma perché godi ancora di quell'intraprendenza e irruenza cieca, ma tipicamente giovanile, che ti fa credere di essere in grado di poter risolvere tutto nei tempi e nei modi da te decisi; una sicurezza che io, invece, ho abbandonato da molti anni. Da quando ho capito che per quanto un atteggiamento simile possa "creare", è in grado anche di "distruggere".»



    Sorrise, e a quel punto mosse leggermente la testa in avanti. Non era un inchino, come quelle non erano osservazioni. Era un assenso all'inesperienza del suo interlocutore. E le sue parole erano sentenze.

    «Guardo al tuo carattere tumultuoso e alla tua inesperienza febbricitante come un adulto guarda ad un bambino: con paziente attesa. E' compito di noi adulti guidare il passo di voi bimbi, indicandovi la strada che è giusto intraprendiate perché possiate crescere in modo retto e integro, divenendo così, a vostra volta, gli educatori della generazione del futuro.»



    E così dicendo sorrise, affilando lo sguardo. Lo stesso dito che aveva scosso le fondamenta del suo castello si alzò ora lentamente dal suolo che ne accoglieva il suo peso, portandosi con flemma sulla figura del Colosso della Foglia.

    «Non è dell'adulto annichilire il bambino, ma è dell'insegnante essere severo con un allievo che denota un certo talento. La propensione all'eccellenza è un dono che deve essere smussato, raffinato e lustrato; ma soprattutto supportato.»



    A quel punto, abbassando leggermente la testa, il maestoso Re Dragone del Fuoco sbatté un pugno sul pavimento di fronte a sé, e facendo leva su un solo braccio si tirò in piedi.
    Il suo fisico mastodontico e la sua altezza intimidente sovrastarono Raizen persino da quella distanza, azzerando lo spazio che divideva i due opponenti come la bocca di una bestia che aveva finalmente aperto le sue fauci e aveva fatto sua la preda che aveva puntato da molto tempo.
    Quella spiazzante sensazione parve non essere che accentuata nei suoi dettagli animaleschi quando il Daimyo, sorridendo ancora una volta, si passò la lingua sulle labbra bruciate dal sole.

    «Incontrerai nella tua vita persone che ti accuseranno di tutti i mali, quelli del tuo Villaggio come primi, e di tutti i restanti come diretta conseguenza. Non perché tu ne sia sempre davvero colpevole, ma perché l'uomo tende a creare una vittima laddove l'orrore è troppo vasto per essere compreso e accettato.» Disse, aprendo il braccio sinistro. «Molte altre persone, invece, ti lusingheranno. Cercheranno in te una breccia, una fessura dalla quale entrare e in cui aprire i propri interessi per poterti distruggere dall'interno, tentando di sfruttare ciò che sei e ciò che rappresenti per i propri scopi. Ti verranno proposte verità false, la tua mente sarà indotta al dubbio e molte volte sarai costretto a fermarti per chiederti chi sei e dove ti stai dirigendo, ma soprattutto dove stai conducendo il tuo popolo.» Continuò, aprendo il braccio destro.

    Poi, improvvisamente, Kazutoshi Murasaki sbatté ambo le mani le une contro le altre.

    «Ecco perché un Capo non è mai solo. Nessuno può essere tutto, Raizen Ikigami, tantomeno tu. Nessuno. Nemmeno io sono capace di guidare un Paese senza l'appoggio delle persone che ho scelto come le radici del mio essere... del resto, non sono mai stato bravo in diplomazia, e se avessi voluto fare bella figura, oggi, avrei fatto venire qui mio figlio Shigeru, o Akihiko.» Digrignò i denti, snudandoli come una bestia paga della propria caccia...e del proprio pasto. «Ma nessuno dei due ha i poteri che ho io.» E ponendosi a braccia conserte, reclinò leggermente la testa all'indietro. I tendini e i muscoli del suo collo si gonfiarono dell'atto, dando quasi l'impressione che quell'uomo stesse aumentando di stazza.

    «Il tuo amore per Konohagakure è sincero. La tua indole indomabile è ciò che serve al Fuoco per riprendersi dalla crisi nata da un perdurato periodo di oscurità. Vedo in te il desiderio di cambiare le cose non per vantaggio personale ma per devozione nei confronti di qualcosa che non hai mai avuto prima di ora, e che adesso chiami a buon diritto “casa”.
    La tua potenza è un vessillo che si alzerà alto nei cieli della Foglia e che arderà della fiamma sacra che per secoli ha protetto queste Terre infondendo in esse la fecondità e il successo che solo dal fuoco può nascere, poiché il fuoco incenerisce, ma dalla cenere nasce la vita.»



    Un piede sbatté a terra.

    «Io, Kazutoshi Murasaki, Daimyo del potente Paese del Fuoco, ultimo esponente della gloriosa dinastia del Drago e della Magnolia...»



    Un ghigno divertito.

    «...dò la mia approvazione a Raizen Ikigami, il Gigante del Villaggio della Foglia.
    Da oggi e fino al giorno di una sua parola contraria, egli verrà conosciuto come il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato. La sua parola sarà legge, la sua mano lo scudo e la sua mente la lama per il popolo che guiderà e proteggerà.»



    Un paio di occhi blu come il cielo, profondi come l'oceano, affilati come un veleno.

    «La famiglia Murasaki supporterà l'Hokage e l'Hokage rispetterà l'emblema dei Signori del Fuoco, cosicché la pace e l'armonia vengano mantenute, la giustizia perseguita e la prosperità protetta. Possa questo patto di fiducia e rispetto non cessare mai, protrarsi nel tempo e rinnovarsi con gioia come un germoglio rinnova di vita la terra che chiamiamo casa.»



    E a quel punto il silenzio cadde.
    Il Re Dragone del Paese del Fuoco, dopo aver sostenuto lo sguardo dell'uomo che sedeva ancora di fronte a lui, si trattenne qualche istante prima di inarcare un sopracciglio. Il suo volto, mappamondo di emozioni sciolte nel cristallo dell'irrealtà e dell'incredulità che nasce da ciò che è imprevedibile, si ammorbidì in un sorriso sornione.

    «Beh? Cosa ti aspettavi, Raizen Ikigami? Un bacio sulla guancia e un bel mazzetto di fiori?» Domandò il Re Dragone, sghignazzando. «Spero che quell'espressione che ti sei stampato in faccia non sia per il bacio sulla guancia... non sono nemmeno sicuro di volertelo dare lì, figurarsi altrove.» Insinuò con quel tipo di ironia che lo Shinobi della Foglia avrebbe subito riconosciuto più per istinto che per consapevolezza: erano le parole di un soldato, quelle, non più di un Daimyo. «Seriamente, voi bambini mi fate ridere, siete così adorabili persino nel vostro essere ottusi e irritanti. Ah...» Mormorò, abbassando un ginocchio al suolo per poi lentamente lasciarsi cadere di nuovo a terra con apparente fatica. Niente più che una recita, era ovvio: quel fisico non denotava il minimo segno del tempo e sembrava essere in grado di poter combattere ancora centinaia di battaglie. «...sto invecchiando.» Gemette infatti il Daimyo, teatrale, mentre riportava il suo sguardo in quello di Raizen, sogghignando. «Un vecchio burbero testardo, direi.» Aggiunse, afferrando l'ultima striscia essiccata di carne piccante dalla ciotola che sostava di fronte a lui e piazzandosela in bocca senza troppe formalità. La sua gestualità, il suo comportamento, stavano lentamente riacquistando quel tono marziale, e proprio per questo così rassicurante e comprensibile, degli inizi di quella riunione politica. «Infatti sto ancora aspettando, Raizen Ikigami, e penso continuerò a farlo finché non mi darai ciò che cerco: voglio qui i tuoi appoggi, quelli che hai decantato di avere come anime gemelle. Questi prodigiosi Shinobi, dove sono esattamente?» E guardando con aria sconsolata la ciotola ormai vuota di bocconcini speziati, il Daimyo incurvò le sopracciglia verso il basso. «Penso che avremo piacere di aspettarli giungere con altre due bottiglie di saké e magari qualcosa di più sostanzioso da mangiare, poiché come tu hai avuto la mia approvazione, anche loro devono passare per lo stesso vaglio...» Mormorò, assorto, prima di alzare di nuovo la voce «Hai sentito, Hakuya?» Disse infatti, alzando lo sguardo in un punto imprecisato della sala.... che, però, era ancora vuota. «Và a chiamare Susumu, subito.»

    [...] E ciò che Raizen Ikigami avrebbe trovato sconvolgente, arrivati a quel punto, non era la consapevolezza che quell'uomo lo aveva manipolato, gestito e preso in giro fino a quel momento, togliendo fuori da lui esattamente ciò che aveva voluto tirare fuori, pianificando la partita di quell'incontro in modo tale che tutte le pedine disposte sulla sua scacchiera si muovessero come desiderato, benché lui non si fosse neanche scomodato ad uscire dalla sua postazione; non fu l'improvvisa e incredula realizzazione che per tutto quel tempo aveva reagito semplicemente come quell'individuo si aspettava facesse, quasi fosse davvero un bambino che si limita a rispondere alle ramanzine di un adulto che cerca di insegnare lui qualcosa, e neanche il capire di trovarsi dentro il covo di un Drago Leggendario e di una progenie altrettanto terribile, di cui non aveva avvertito fino a quel momento né la presenza né le capacità...
    ...ma il fatto che appena un minuto dopo la porta scorrevole in fondo al Salone si aprisse dopo un flebile annuncio, e sull'uscio comparisse Susumu, prono in un inchino, che annunciò con il suo tono di voce flemmatico che ciò che era stato ordinato sarebbe arrivato a breve.


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