Il Massacro della Felce

Paese dell'Erba - Kusa no Kuni

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    P R I O R I T Y

    The key is not to prioritize what's on your schedule, but to schedule your priorities.




    Kai Miura era un Chunin dell'Erba.
    Il suo Paese di nascita era piccolo e non molto ricco. Il suo passato era fatto di continue conquiste e contese da parte dai due grandi giganti che lo circondavano, Terra e Fuoco, e solo da dopo l'ultima grande guerra era riuscito ad acquistare una sua salda indipendenza politica allevando consiglieri e diplomatici dall'intelligenza acuta e dalla mente lungimirante...
    ...eppure, ancora, diventare Shinobi in quel paese non era una scelta dettata dal bisogno, ma dal forte patriottismo. Nessuno, al Paese dell'Erba, diventava ninja per guadagnare molti soldi e scalare la vetta, ma lo faceva solamente per il desiderio forte di proteggere la popolazione, perlopiù contadini o allevatori, e continuare a tenere in piedi i confini perché questi non cedessero mai e non dessero dunque l'opportunità ai colossi politici del mondo di proporre un inglobamento che non era voluto. Benché poveri e negli anni passati sottovalutati, i cittadini del Paese dell'Erba erano infatti persone forti e risolute, guidate da quel genere di spirito di indipendenza che nasce dalla sottomissione ad un potere più forte. Con fatica e inarrestabile tenacia erano riusciti a costruire una loro individualità come popolo e nazione e nonostante fossero consci delle loro mancanze –in nome delle quali accettavano missioni spesso indecorose e agivano in nome della grande Accademia molto più di qualsiasi altro Paese che poteva rifiutarsi di farlo– non avevano mai guardato a se stessi con disprezzo o commiserazione. Si stimavano come solo chi si è cercato per molto tempo, infine trovandosi con gioia, poteva fare.
    E Kai Miura non era da meno.
    Si era iscritto all'accademia ninja per il desiderio di proteggere i suoi genitori e la sua piccola sorellina, e finalmente era arrivato il momento di far valere ciò per cui si era così strenuamente allenato. Non era uno stupido e capiva che il suo opponente era più potente di lui, ma come ogni Shinobi dell'Erba non compì neanche un passo indietro di fronte al pericolo ed estrasse la sua katana con gli occhi dardeggianti di chi è pronto a morire per il bene della sua gente. Nonostante ciò non aveva intenzione di morire, o di farlo senza essere riuscito a facilitare il lavoro a chi lo avrebbe di certo seguito a breve.
    Nessuno, per quanto Shinobi, è mai veramente pronto a morire. Non esiste un addestramento vero che permetta di essere preparati ad una cosa del genere. Si parte in missione con l'intenzione di tornare, di fare tutto il possibile per riuscirci...
    ...ma quando la mano del Flagello si serrò attorno al suo collo, sollevandolo da terra quel tanto che permise ai tacchi dei suoi piedi di pestare il vuoto, il ragazzo abbassò lo sguardo.
    Che schifo. Era il peggiore degli scenari, quello.
    Per un istante pensò a tutti gli insegnamenti ricevuti fino a quel momento, poi al volto di sua madre e suo padre, all'espressione di corrugata irritazione che sua sorella gli rivolgeva ogni volta che partiva per una missione che non avrebbe fruttato alla sua famiglia nient'altro che due forme di formaggio stagionato e un coscio di capretto. Sorrise tra sé e sé, stringendo l'impugnatura della sua katana. A cosa si doveva pensare in un momento come quello?
    Riaprì gli occhi e guardò in faccia il suo aguzzino. Non era importante a cosa, pensò scorgendo negli occhi dell'uomo l'eccitazione di un assassino, l'importante era fare ciò che era giusto. Sempre.
    Fu solo un istante: quando sentì le dita dello straniero apporre una maggiore pressione sul suo collo, lo Shinobi strinse la mano sull'elsa della sua katana e impastò chakra [S&M tra I/II SA avversario: subisce presa, attacca, subisce rottura; Impasto: Velocità +4], poi compì l'unico gesto che ancora poteva permettersi con facilità, giacché si era allenato molto per poter gestire una spada come la sua, che solo dal grado chunin era infine stato capace di maneggiare con fiducia: fece salire la lama della sua spada dal basso verso l'alto, cercando di trapassare la gola dell’avversario sotto la mascella con abbastanza forza da opporsi anche ad eventuali ostacoli sufficientemente morbidi da essere trapassati, come la carne della disperata difesa apportata da una mano. Attaccava con un unico obiettivo: trapassasse la gola, il cervello e sbucare all'esterno del cranio.
    Un attacco potente, dettato dalla rabbia, dalla paura e dalla determinazione che il suo sangue urlava a gran voce. Sarebbe morto lì, sicuramente, ma non interessava lui quanto il poter sperare di essere riuscito nella sua intenzione.

    “Ammirevole.” avrebbe pensato Shizuka Kobayashi quale che fossero state le conseguenze, affilando lo sguardo dalla chiazza di oscurità in cui si nascondeva con placida tranquillità, come se quell'elemento le appartenesse più di qualunque altro. Che morisse o sopravvivesse era infatti raro trovare un ninja così pronto al sacrificio per il proprio popolo. “...ma il sacrificio porta via sempre più di quello che dimostra.”
    Il mantello verde notte della kunoichi della Foglia sembrava l'ombra di una vegetazione ricca anche quando lei alzò la testa incappucciata verso i due bambini. I piccoli, terrorizzati abbastanza da tremare in modo visibile persino da quella distanza, continuavano a urlare, forse per attirare l'attenzione di quel ninja di cui riconoscevano il coprifronte e forse addirittura il volto. Dietro quei due, nascosti tra le palizzate rotte di alcuni cancelli in legno rotti, facevano capolino i visetti di altri piccini, meno coraggiosi dei primi. Eppure allo stesso modo tutti urlavano, piangevano, tremavano...
    ...tremavano come le mani della donna del Fuoco, che chiudendo gli occhi impose al suo viso di abbassarsi.

    “Quanti morti?”
    “Shizuka, sei sicura di...”
    “Quanti morti?”

    “(...) Ottanta... trentotto adulti e... quarantadue bambini...
    ...Shizuka non potevi prevedere. Anche se avessi continuato ad ubbidire a quel folle nessuno può confermare che non avrebbe fatto esplodere quella scuol–...”

    “Ho capito. Lascia qui la lista e lasciami.”

    “Shizuka...”

    “Lasciami.”


    Ma lei avrebbe potuto difendersi da quel folle. Si era difesa, alla fine. Quei bambini, invece, non avevano avuto modo di comprendere neanche cosa stava accadendo. Loro, come quelli del suo villaggio, quelli che lei aveva ucciso con un suo errore.
    Non era importato quante volte si fosse inchinata di fronte alle famiglie cui aveva rubato un figlio o una figlia, un marito o una moglie, una sorella o un fratello... la sua schiena doleva, ma il suo cuore non smetteva di seccare.
    Quella volta aveva sperato di provare dolore e non la totale, alienante ed estraniante neutralità dei sentimenti, che aveva guidato la sua mente all'oblio, lasciandola inerme, un guscio di carne vuota, per mesi. Avrebbe preferito annegare nel dolore o nella paura, piuttosto che nel nulla.
    Chiuse gli occhi. Istintivamente la donna si portò una mano alla spalla, facendo poi scivolare le dita fino all'ombelico. Un secondo dopo sapeva già cosa fare.

    Che il Flagello Immortale avesse ricevuto il colpo azzardato lui da Kai Miura o avesse preferito lasciarlo andare per continuare la lotta, non era rilevante. Continuava e avrebbe continuato ad essere impegnato su qualcun altro. Un'occasione ghiotta che la kunoichi avrebbe colto per scivolare tra l'erba alta, muovendosi nell'ombra chinata abbastanza da toccare con le mani il terreno. Solo quando si fosse portata in linea d'aria con i due bambini la donna avrebbe ricercato con gli occhi la scena, e aspettando il momento opportuno sarebbe scattata avanti.
    La luce della luna l'avrebbe bagnata come sangue d'argento, e a quel punto lei sapeva che se quel folle omicida l'avesse vista a poco sarebbero valse le sue scusanti sull'essere una semplice viandante, eppure si conosceva abbastanza bene da non rimanere stupita quando si accorse di non curarsene. Piombò addosso ai bambini come un corvo, e con rapidità silenziosa prese ognuno sotto ad un braccio, trascinandoli poi nel primo cespuglio dall'altra parte della strada.
    «Silenzio.» Avrebbe detto rapidamente la kunoichi, tenendo ogni suo senso in allerta. Sapeva di avere i secondi contati e non intendeva sprecarli. «State calmi, sono qui per voi.» Una mano alzata di scatto avrebbe fermato ogni replica da parte dei piccoli. Con suo enorme stupore il maschietto [Energia Gialla] tappò la bocca alla sorellina, guardandola con istantanea concentrazione. «Sono una Shinobi accademica.» Disse, ma non aveva nessun coprifronte che lo dimostrasse. Shizuka aveva smesso di portarlo da anni. Forte della convinzione che una placca in metallo si può rigare ma la pelle, benché strappata, lascia un segno, si diceva che si fosse tatuata a fuoco un simbolo che attestasse la sua fedeltà al suo Paese da qualche parte sul suo corpo, ma nessuno aveva mai avuto tanto ardore o fortuna da scoprire dove... «Dovete scappare a Nord. Villaggio dell'Agrifoglio. Seguite la strada sterrata. Correte. Laggiù chiedete di Shin Takayumi, è un mio informatore.» E a quel punto la kunoichi serrò le labbra.
    Arrivati a quel punto la sua priorità doveva cambiare: si fottesse il costruttore, gli avrebbe strappato la lingua una volta trovato, ma fino a quel momento doveva supportare l'Erba e prendere informazioni su quel pazzo. Avvertire i confini, ma soprattutto avvertire Konoha. Nessuno con un minimo di cervello si sarebbe mai aggirato da solo in terra straniera uccidendo persone senza criteri e senza un piano, ma soprattutto nessuno avrebbe arrecato un simile quantitativo di danni ad un paese così piccolo alleato all'accademia senza poi continuare a marciare altrove...e quell'altrove era ovunque. I confini dovevano reggere, o il Fuoco avrebbe potuto pagare di nuovo le conseguenze della sua incuranza.
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    «Descrivi a Shin l'uomo che ha fatto tutto questo.» Non esisteva nessuno Shinobi che, per quanto bravo, avrebbe potuto radere al suolo un villaggio di ninja senza mostrare il suo volto almeno una volta, a buon ragione a chi aveva risparmiato. Il piccolo difatti annuì, rassicurandola. «Dì che risparmia i bambini, ma non gli adulti.» Il viso del maschietto si tese in una smorfia a quelle parole, e due grosse lacrime fecero capolino dai suoi occhioni neri. La donna, stringendo i denti, gli posò dolcemente una mano sul viso, sperando di tranquillizzarlo. «Non segue un ordine, ma sta cercando qualcosa.»
    «Hayate.»
    Disse il piccino, gemendo. Kotone le si strinse al petto.
    «Dillo. Dì tutto.» Chi cazzo era Hayate? Gli Dei la maledicessero, ma gli psicopatici tutti lei li trovava? «Poi ripeti quest'ordine e dì che la Volpe deve sapere: “cinque, uno, otto, otto, due.” e ordina di sbrigarsi perché il legno non ha radici e spesso è spostato dal vento.» Il piccino la guardò, e la kunoichi provò un certo sollievo nel notare nel suo sguardo uno stupore misto a curiosità che non sembrava aver cancellato del tutto il suo essere un bambino con un futuro davanti. Sorridendo la donna annuì. «Se ci sono altri come voi, prendili. Qui ci penso io.» E così dicendo ordinò al piccolo di correre nell'erba alta. Un urlo di lui indusse un gruppo di piccoli, circa quattordici, ad uscire dal limitare degli ormai inutili cancelli di protezione del villaggio e correre dietro all'amico.

    Rimanendo quatta la ragazza aspettò che i piccoli fossero abbastanza lontani da non vedere più i movimenti dell'erba che si spostava sotto i loro goffi movimenti. Non era niente che una sua corsa, e molto più probabilmente una corsa di quella bestia umana, non avrebbe potuto raggiungere e finire... ma era lì per impedirlo.
    Girandosi pregò che lo Shinobi dell'Erba fosse ancora vivo. Due era meglio di uno, alla fine.

    “Qui ci penso io.” Bei paroloni, Shizuka Kobayashi, davvero bei paroloni. Ora cerca di sopravvivere, invece di fare la figa.


    Edited by Arashi Hime - 8/4/2015, 23:06
     
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