Nuvole Rosso Cremisi

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    PROBLEMS

    Power is always dangerous.
    Power attracts the worst and corrupts the best.




    Era sinceramente la prima volta che nel tentativo di estrarre un ricordo qualcuno glielo commentasse. Si chiese come fosse possibile e per un attimo esitò sulla possibilità che il suo blando tentativo di applicare una maggior estensione alla sua tecnica potesse causare questo genere di reazione. Era plausibile ritenere che dovesse studiare meglio quel genere di ampliamento, ma era anche ovvio che non fosse quello il momento.
    Di tutte le domande che fece, se ne vide ricevere indietro molte, troppe, ma immaginò che avrebbe potuto farsi bastare quello che aveva. Doveva.

    Raikage –il vecchio era vivo?
    Il vecchio Raikage è morto e stecchito.


    Era solo un paio di occhi dalla parte delle fila dei Cremisi che, di fronte al popolo, assisteva alla morte del Raikage. Su di un palco in legno scricchiolante sopraelevato, seguendo dictat antichi più di una vita, era stato giustiziato di fronte alla gente che aveva fino a quel momento guidato, ed era morto in nome di qualcosa che veniva dichiarato come un futuro migliore. Un domani all'insegna della libertà e dell'indipendenza.
    L'uomo di cui era gli occhi vibrava come una corda ad ogni frase che il boia urlava al popolo, vivendo con traboccante eccitazione quelle parole. Era accecato dalla sua causa. Viveva per questa. Era il verbo. La verità assoluta. La salvezza.

    Dov'era e chi era costui?
    A si trova a Kumogakure, al sicuro. È il nostro Capo, a lui dobbiamo la nostra vita e la nostra fedeltà. Lui è uno dei Pilastri Cremisi.


    Il percorso per arrivare al luogo in cui il Capo si trovava era elaborato. C'erano delle cose da sapere, per arrivare. Cose da saper fare. Cose da saper dire.
    Lui non ci poteva mai andare da solo. Sempre in due. Si sorvegliavano a vicenda, per essere sicuri.
    Mentre avanzava nel corridoio le ricordava tutte e le applicava volta per volta. Svoltando il primo angolo e proseguendo, le ripassò per essere sicuro di non sbagliare. E persino quando girò l'ultimo degli angoli del percorso intrapreso e si portò di fronte alla porta presidiata da due guardie con le maschere di quel colore che tanto venerava, si ripeté tutto. Quando parlò per meritarsi l'accesso, dunque, non sbagliò. L'altro compagno lo sorvegliava, pago.
    Ogni forma di timore svanì quando la porta si aprì e il volto di "A" riempì i suoi occhi.
    Lui parlava sempre in modo convincente, suadente. Era miele colante. Oro brillante. E lui lo venerava sopra ogni altra cosa perché sapeva che era il Giusto e il Buono. Tutti i Pilastri, lo erano.
    I Pilastri, l'ordine sopra il caos. Tutti li conoscevano di viso, anche lui, ma a pochi era concesso avvicinarli di persona. Rammentò con un tremore interno la volta in cui Kumo fu presa. Erano tutti lì. Erano il domani.
    E lui voleva esserne parte.
    Studiò come sempre ogni dettaglio del suo viso, registrandolo dentro di sé come si poteva registrare l'immagine rappresentativa di un Dio a cui si è devoti. Memorizzò tutto, i lineamenti, la voce, persino il modo in cui era solito intrecciare le dita sul tavolo cui era seduto, ondeggiando i palmi congiunti mentre parlava. Mentre gli dava il suo nuovo ordine.
    Il Cremisi era il verbo. La verità assoluta. La salvezza.

    Che tipo di situazione era quella in corso a Kumo, com'era cioè strutturata e che tipo di energie vi erano in gioco? Una rivoluzione, forse?
    Il Vecchio Regime della Nuvola è stato rimpiazzato. Kumo ora è governata da noi. Loro non sapevano di noi, li abbiamo sorpresi, colpiti mentre si credevano forti ed abbiamo preso il potere.


    La guerra era stata lampo. Improvvisa e impietosa. Inattesa.
    Nessuno attendeva una rivoluzione come quella, perché di rivoluzione si parlava, e cioè la cosa più giusta che potesse capitare a quel Paese da troppo tempo fuori dalla scacchiera delle cose che contavano. L'accademia li aveva tagliati fuori, loro, il glorioso Villaggio della Nuvola, ma avevano sbagliato perché loro non erano inferiori a nessuno! Perché non avevano mai preteso? Mai voluto niente?
    Era tutto sbagliato, e lui lo sapeva. Poteva ancora ricordare il modo in cui era rimasto abbagliato dalla magnificenza di quelle persone e di quella causa. Amava Kumo. Sarebbe morto per Kumo. Per ciò che era giusto.
    Erano deboli. Si credevano potenti. Loro avevano dimostrato che si sbagliavano.
    C'erano grandi progetti per il domani. Grandi possibilità. Finalmente non sarebbero più stati il limite estremo di una mappa dimenticata.
    Urlò, come molti altri, tutti, ricoperto di sangue non suo e di sudore invece suo, di fronte alle figure di uomini che si issavano sopra gli altri annunciando cosa sarebbe successo. Avevano combattuto al loro fianco. Erano loro i Grandi. Erano loro i Pilastri.
    Il Cremisi era il verbo. La verità assoluta. La salvezza.

    E se si, da chi era stata incentivata?
    Da noi. Noi siamo i Cremisi.


    Molte persone ancora non capivano. Non comprendevano il Verbo. Lo aveva capito guardando gli occhi di chi era stato allontanato, quando la muraglia attorno a Kumo era stata eretta. C'era incredulità, in quegli sguardi. Paura. Persino rabbia, spesso troppo timorosa per farsi ruggente, però.
    Erano ottusi. Ma avrebbero capito. Tutti capivano, prima o poi.
    Sorrideva mentre lavorava per la sua causa, per i suoi compagni. I Pilastri volevano che Kumo fosse protetta in poco tempo, e loro dovevano riuscirci.
    Era stato detto loro di non chiedere perché dovesse essere protetta. E da chi.
    Loro non lo avrebbero chiesto.
    Questo perché il Cremisi era il verbo. La verità assoluta. La salvezza.
    E nessuno chiede perché è stato salvato.

    “Lascia perdere tutto, le mie copie hanno scoperto che possiedono una specie di autodistruzione, prima che si attivi la sua fuggiamo, attirerebbe troppa attenzione. Prendi i ricordi che ti ho detto e lasciamo tutto come concordato prima.”



    La voce di Raizen giunse lei da una realtà molto distante, quasi non sua, ma Shizuka vi si aggrappò con una disperazione dettata dalla paura. Quando i suoi occhi si girarono in quelli del Jonin, la sua mano sinistra stava già estraendo qualcosa: su quattro delle cinque dita, c'era un filo di chakra color ocra sbiadito che lei, deglutendo, alzò verso il Jinchuuriki. Quando questo si fosse abbassato, lei avrebbe apposto i ricordi. Non aveva bisogno di averli personalmente, del resto aveva già visto. E quello che aveva visto e sentito, le era bastato.
    «La situazione è più compromessa di quello che potevamo immaginare.» Si limitò a dire mentre i ricordi della guardia attecchivano in Raizen e lei si sbrigava ad assicurarsi che la mente di questa non rammentasse niente dell'interrogazione. Lo ripulì come era stato inizialmente pattuito, poi, rapidamente, si alzò. Sembrava tesa come una corda di Koto, ma riuscì a seguire la Volpe dentro i confini, mediante le sostituzioni, senza darlo a vedere.
    Quando furono dentro, però, ebbe come la netta sensazione che la paura la pervadesse. Ora non potevano più uscire... quel pensiero le mozzò il respiro per un istante.

    “Temo che non siano benvoluti come appare, o meglio, penso che ci siano dei dissidenti da qualche parte, le guardie che sono morte dall’altra parte pare che volessero denunciare la loro presenza più che nasconderla. Spero non siano sufficientemente pazzi da aver creato una setta che si immola prima di crepare. Il termine della loro frase poteva essere o “grandi” o “arrivati”.
    Se hai preso qualche ricordo dell’arruolamento del tizio magari possiamo sapere se gli sono stati fatti dei soprusi.”



    «Vivono per la loro causa. Sono pronti a morire in qualsiasi momento e in qualsiasi modo. Non ho mai visto niente del genere.» Ammise la piccola Chunin, scuotendo la testa. «Non ho potuto prendere niente circa l'arruolamento, non ho capito se sono loro che scelgono o se ci si può candidare “liberamente”, diciamo.» Spiegò, correndo. Tenere il passo di Raizen era sempre un po' problematico, anche se si attaccava alla sua divisa. Maledì la loro differenza di abilità ancora una volta, come sempre sperando che fosse l'ultima. «Sicuramente non sono ben visti da molti, ma è impossibile credere che non abbiano sostenitori. Non si ordisce niente di queste proporzioni senza qualcuno che appoggia la tua causa.» Esitò mentre ascoltava poi le parole del Jinchuuriki, e scosse la testa. «Aspettiamo a dare un nome a ciò che siamo, vediamo come i Cremisi tengono il villaggio. Dobbiamo poter essere ciò che ci porta maggior vantaggio. Ci sono state rivoluzioni, nella storia, in cui il popolo fu tenuto in condizioni eccellenti per avere da questo tutto l'appoggio possibile. Kumo non è mai stata debole, prima di questo momento non se la passava male, è logico pensare che il passo da buono a cattivo non possa essere così grande senza stimolare una rivolta interna. Se ancora nessuno ha fatto o detto niente, i casi sono due: o i Cremisi hanno davvero una risorsa militare tale da poter rovesciare un Paese di Shinobi da soli, oppure questi non hanno capito che sta succedendo.» Disse il suo parere, ma eseguì anche lei la sua Henge. «Vedremo come definirci a seconda di ciò che il caso ci porterà, saremo ciò che sarà più giusto essere.» Aveva studiato di rivoluzioni illuminate in cui il popolo viveva nell'ignoranza, in una sorta di bambagia folle creata dalle illusioni di oratori sin troppo eccellenti, in grado di rendere tutti incapaci di comprendere la gravità della circostanza. Ma dopo che ebbe dato lezioni al suo compagno anche su quello, non esitò a infilarsi nel pagliaio che egli trovò.
    Si buttò sul mucchio di paglia, coprendosi con la stessa e raggomitolandosi accanto a Raizen alla ricerca di calore. L'arrivo di Kubomi fu, inaspettatamente, un balsamo alle sue preoccupazioni. Il piccolo draghetto aveva un effetto calmante incredibile per lei.
    «Grazie, Kubomi.» Sussurrò la Principessa, accarezzando il piccino con un sorriso.
    Si addormentò così, con una mano sul dorso del drago e la testa adagiata sulle gambe di Raizen. Quando dormiva, almeno, non sembrava essere così arrabbiata.
     
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