Isamashii koi no densetsu

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    Nuota Controcorrente







    Dalle mura in realtà non di diresse direttamente al daimyo, non poteva farlo.
    Per quanto la faccia di bronzo del Colosso fosse sufficientemente grande da poter oscurare il Sole c’erano cose che neanche lui poteva fare a cuor leggero.
    Necessitava di un lungo percorso di purificazione prima di quell’incontro, sia esteriore che interiore.
    La prima perché non poteva recarsi dalla più alta carica del paese conciato con la divisa da lavoro e la seconda perché doveva essere in pace col mondo esteriore, ogni sua fibra muscolare sarebbe stata alla prova, non tanto per la mera prestanza fisica, materia in cui ormai era laureato, bensì per via del risultato che ogni contrazione di quelle fibre avrebbe scaturito.
    Aveva commissionato alla sua preparazione un intera ala termale, dietro lauto pagamento gli venne infatti dedicata un attenzione che lui stesso non aveva mai avuto nei confronti del proprio corpo. Basandosi sulle altre persone che incontrava tutti i giorni non si reputava un uomo sporco, faceva la doccia a giorni alterni ed aveva la cura di lavarsi sempre dietro le orecchie, ma pareva che quel consiglio da mamma fosse alquanto superato nei ceti più alti a cui sedevano le persone di un certo rango.
    Aveva richiesto delle donne per quel compito, non che volesse unire l’utile al dilettevole, ma era convinto –a buona ragione, aveva sempre pensato- che le donne avessero istintivamente più cura e sapienza per quanto riguardava l’igiene personale. Ogni millimetro del suo corpo venne bagnato, strofinato col sapone e risciacquato, più di una volta, pareva che in quelle terme utilizzassero particolari saponi che avevano disperse delle sabbioline leviganti al loro interno utili a lisciare la pelle ben più di quanto una semplice spugna non potesse fare e con una delicatezza che lui stesso trovò piacevole, per quanto effemminato quel piacere potesse essere.
    Si limito a chiudere gli occhi, facendosi sballottolare qua e la dalle mani professionali delle donne, professionali a sufficienza da toccarlo senza quasi farsi sentire, tenendo i battiti del suo cuore su soglie ben inferiori al livello di eccitazione. Un talento non da poco a pensarci bene, visto che dovevano passare a stretto contatto parecchio tempo.
    Alla fine del trattamento la sua pelle era così liscia che toccando il suo stesso corpo aveva la sensazione di accarezzare una persona diversa, le sue stesse mani erano state private dei calli con ripetuti ammolli e svariati strumenti di taglio e levigatura di cui neanche conosceva o ipotizzava l’esistenza.
    Si guardò più di una volta dapprima direttamente, poi mediante l’utilizzo di uno specchio, c’era ancora del lavoro da fare, e non lo si poteva negare, ma quelle donne stavano quasi portando l’orologio indietro, cancellando ogni segno che il suo lavoro aveva impresso sul suo corpo. Restò in silenzio per dei lunghi secondi prima di sedersi stranito davanti al suo riflesso, sentiva la necessità di scusarsi con se stesso per ciò che era diventato: una macchina dedita alla guerra e così distante dalla vita da non riconoscersi più quando questa gli si ripresentava davanti indossandolo come vestito.
    Si era fatto del male, e per quanto difficile gli fosse ammetterlo forse quel comportamento faceva del male pure agli altri. Autismo emotivo autoindotto, così avrebbe chiamato ciò che il tempo aveva fatto alla sua capacità di far comprendere agli altri cosa pensava realmente, anche se forse era solo una conseguenza del mondo che lo circondava, una deformazione professionale impossibile da non acquisire. Era vittima di se stesso.
    Mentre rifletteva ad occhi chiusi gli vennero tagliate e pulite le unghie, ridimensionate le pellicine delle mani e dato quello che chiamavano impregnante, una sostanza dal colore acre che non lucidava le unghie come gli smalti, ma le rendeva naturalmente lucenti, una roba da frocetti che rendeva le sue mani simili a quelle degli imbrattacarte che tanto odiava.
    Il grosso del lavoro doveva ancora giungere, pareva che la sua pelle una volta levigata sembrasse troppo grassa, per cui avrebbero trovato una giusta lozione anche per quello e mille altri problemi che lui neanche sapeva d’avere.
    L’ultimo passaggio erano i suoi capelli, anni di incuria vennero trattati con una maestria che pareva fosse irradiata di pura magia, ogni singolo capello venne lisciato e nutrito di oli essenziali per poi essere accuratamente lavato con dell’acqua mediante la quale venne allineato a tutti gli altri, avevano un luogo speciale per quell’operazione, qualcosa di simile ad una sorgente in cima ad uno scivolo in cui dovevano essere disposti e pettinati i capelli, in modo che fosse l’acqua a stenderli. A trattamento finito i capelli avevano una forma, ricadendo dritti e perfetti lungo le spalle fino alla schiena.
    Mentre le pulitrici, così aveva scelto di chiamarle, si prendevano cura del corpo, le sarte si occupavano di misurargli il corpo per l’unico kimono da cerimonia che avesse mai indossato: nero nella fodera esterna, blu scuro in quella interna, fino al bianco del colletto. Un kimono comodo non troppo stretto che gli calzava come un guanto, molto più adatto ai suoi movimenti poco dediti all’etichetta a cui un kimono con delle perfette proporzioni classiche avrebbe litigato.
    Avrebbe indossato anche gli Hakama, pantaloni giganteschi che gli ricordavano quelli che indossava nella sua divisa ninja, anche se questi ultimi erano in scala decisamente ridotta e quelli appena indossati avevano un impercepibile trama ad esagoni che ne movimentava impercettibilmente la tessitura.
    Completò la vestizione con l’Haori, il capo più bello che i suoi occhi da cafone avessero mai visto, del tutto differente dagli abiti indossati fino a quel momento, semplici ed austeri detentori di una bellezza riscontrabile esclusivamente nelle pieghe perfette dei vestiti, possedeva un fine disegno in filigrana dorata che raffigurava un cielo cosparso di nuvole dorate solcate dalla storia della carpa che diventava re dragone.
    Fili così esili da diventare quasi indistinguibili da una certa distanza tra i tenui colori che animavano quel nero cielo.
    Aprì gli occhi solo a lavoro concluso, osservando la sua figura mentre cercava di abituarsi a quella visione, in modo da riuscire a muoversi bene sotto la sua nuova pelle, come un attore che studiava il copione.
    Diffidenza.
    Questo mostrava la faccia di Raizen mentre si guardava, non sembrava tanto se stesso quanto uno dei grandi generali del passato immortalati nella dura pietra, il suo volto rasato e riordinato appariva ora più simmetrico del solito conferendo alla sua espressione una durezza marziale che prima rivaleggiava con la sua fastidiosa ironia. Gonfiò il petto con un respiro muovendo il primo passo nell’indecisione, facendolo seguire dal secondo e in quello slancio di fiducia da un terzo ed un quarto in una camminata che scoprì fluente, i kimono maschili a quanto pareva erano nettamente più comodi dei femminili, almeno considerando dalla sua libertà di movimento e quella che palesava Shizuka.
    Si muoveva bene, ed anche lo specchio non la pensava in maniera poi tanto diversa a quanto pareva, non appariva ridicolo, anzi, seppur non fosse perfetto pareva che il suo corpo avesse un ancestrale attitudine a quegli abiti.
    Nel conto esoso di quella specie di SPA era compresa anche la piccola carrozza monoposto che gli avrebbe permesso di ultimare il viaggio senza rovinare i suoi abiti perfetti.
    Ciò che indossava prima venne accuratamente piegato e riposto in un pacchetto, che a confronto del vestiario attuale sembrava il fagotto di uno straccione.
    Quando la carrozza si fermò sapeva che l’aveva fatto perché giunta sulla soglia della magione del Daimyo, e la mole di pensieri che tratteneva fino a quel momento riuscì finalmente a demolire la diga faticosamente sostenuta fino a quel momento.
    Perché era li?
    Perché la carpa stava risalendo il fiume?
    Perché da così tanto tempo nuotava controcorrente?
    Il Colosso per Konoha aveva sempre nutrito sentimenti contrastanti, inizialmente vedendosi accolto da essa come un proprio figlio la sentì madre e non potè che volergli bene, ma col tempo arrivò alla sua adolescenza da ninja, reputando che le sue regole e quelle dell’accademia gli stessero fin troppo strette arrivando ad ambire l’azzeramento totale come nuove fondamenta per una nuova era.
    Ma era passato tanto tempo, e l’adolescenza era lontana, ora desiderava unicamente il bene della foglia, sopra ogni altra cosa. Era stufo di vedere il suo villaggio in mano a dei poveri inetti che occupavano la sedia più alta del villaggio con lo stesso spessore decisionale di un cartonato.
    Konoha stava lentamente morendo grazie a loro e lui voleva interrompere quella spirale discendente, ma aveva bisogno dell’autorità per farlo.
    E con essa sapeva bene che non poteva guadagnarsi il benvenuto dei cittadini, soltanto per via del cappello che avrebbe indossato, ma col tempo l’avrebbe guadagnato, o almeno così sperava, altrimenti si sarebbe limitato a trasformare Konoha nel più duro diamante presente nelle nazioni ninja.
    Aveva un obiettivo, e non avrebbe tradito ne la sua nazione ne se stesso.

    Sono Raizen Ikigami, sono qui per il mio appuntamento con Kazutoshi Murasaki-sama.

    Disse alla guardia senza alcun indugio.
    Quando e se fosse stato accompagnato all’interno si sarebbe guardato attorno cercando di capire come fosse strutturata la sicurezza di quel posto.



    Edited by F e n i x - 23/3/2015, 02:25
     
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    Palazzo Kayoutei

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    Palazzo Kayoutei era una delle più raffinate espressioni di ingegno architettonico del Paese del Fuoco.
    Articolato secondo una geometria dedalica di corridoi e stanze ad incastro mutabili in ampiezza e prospetto, la sua mappa seguiva il disegno di un'antica scacchiera di Go tradizionale, famosa per la difficoltà nel raggiungere la Sala del Daimyo, il quale, si diceva, non si poteva incontrare senza essere un abile stratega. In effetti pareva che chiunque si avventurasse presso quella magione senza la benedizione di un'intelligenza imprevedibile e un'arguzia ricca di scaltrezza, rischiasse di perdere tutto ciò che rendeva un uomo meritevole di tale appellativo: fama, dignità e potere...
    ...ma questo accadeva solamente per gli ospiti indesiderati, i quali, nella maggior parte dei casi, non avevano il tempo di comprendere il tranello dietro la geografia di quel Palazzo senza essere prima catturati dalle guardie di tutela e protezione. Addestrati personalmente dal Daimyo stesso, famoso combattente del Fuoco e veterano di combattimenti e intrighi politici, nessuno dei membri del corpo di guardia di Kayoutei era infatti carente d'abilità e dedizione. E questo, Raizen Ikigami, lo avrebbe capito solo dal modo in cui i due uomini che lo accolsero all'entrata del Palazzo ebbero modo di guardarlo.
    Immobili nelle loro leggere ma impenetrabili armature nere e rosse, in cui un drago si impennava ribelle stringendo in una zampa un fiore viola intatto, i due uomini batterono a terra la loro lancia quando il Jonin della Foglia si presentò al loro cospetto, lasciando poi che i loro occhi, la cui espressione sembrava quella di una fiera acuta e attenta, scivolassero su di lui, guardandolo in un modo che pareva attraversarlo; attraversare l'immagine ricercata e l'espressione equilibrata, fino a giungere, con invadenza, oltre tutto ciò. Diversi in colore e forma, in età ed esperienza, i due sguardi che lo Shinobi si sarebbe ritrovato a fronteggiare erano abbastanza caustici da dare in lui la sgradevole sensazione di non avere più nessun segreto... eppure bastarono pochi istanti perché l'espressione dei due guardiani cambiasse e si facesse d'improvviso diversa: gentile l'una, pacata l'altra.
    «Benvenuto a Palazzo Kayoutei, Raizen Ikigami-sama.» Disse la prima delle due guardie. Entrambe si inchinarono brevemente.
    «Susumu-sama sarà immediatamente da voi.» Affermò la seconda, e in effetti l'“immediatamente” di cui il guardiano parlava era abbastanza incalzante da non dare lui neanche il tempo di riportarsi in posizione marziale. Prima che entrambi i guardiani riacquistassero la loro postura frontale e ben eretta, con gli occhi puntati avanti e velati da quel tipo di stasi sospesa tipica forse del ruolo che ricoprivano, un uomo si delineò infatti sulla pedana rialzata da cui iniziava la conformazione del Palazzo. A separarlo da Raizen erano solo cinque metri di squadrate mattonelle di marmo nero di un'anticamera esterna considerevolmente ampia.
    «Con umiltà e sincero apprezzamento vi auguro il benvenuto presso Palazzo Kayoutei.»
    L'uomo indicato con il nome di Susumu non poteva apparentemente avere più di quarantaquattro anni. Alto e snello, vestito di un hakama scuro e austero, presentava una propensione caratteriale all'essenzialità già visibile nel sintetico e formale messaggio di benvenuto che aveva offerto, e che si confermò ulteriormente nel riverente inchino offerto all'ospite, privo però di quelle moine eleganti ma inutili in un certo senso tipiche di quel genere di etichetta.
    «Il Daimyo vi aspetta. Mi permetto di darvi le spalle, vi prego di seguirmi.» Disse a quel punto l'uomo, rialzando la testa e puntando i suoi occhi marroni in quelli scarlatti dell'interlocutore. Aveva un viso regolare dai lineamenti però affilati e, come si sarebbe presto accorto il Jonin, la completa e totale capacità di muoversi senza emettere il minimo rumore. Non sarebbe bastata tutta la percettività del mondo per avvertire una capacità tale.
    A dispetto della poco pregevole sensazione che un individuo del genere poteva forse offrire, Susumu si rivelò essere una guida premurosa, paziente delle tempistiche dell'ospite e attento a non condurre lo stesso presso i corridoi esterni che affacciavano sugli sconfinati giardini sempreverdi della magione, giacché la giornata poco soleggiata –in verità gravida di pioggia a meno che di un futuro e auspicato recupero– avrebbe probabilmente potuto arrecar fastidio. Attento, accurato e soprattutto esperto della geografia del palazzo abbastanza da guidare il Jonin, con una sapienza effettivamente prodigiosa, lungo una via in cui non incontrarono nessuna delle domestiche che si potevano però avvertir camminare nei corridoi subito paralleli, o precedenti, o laterali –e in cui dunque, a dispetto di una guardia ogni cinque metri, non furono mai disturbati– Susumu parlò poco, non si girò intorno quasi mai, ed ebbe ben cura di non chiedere le ragioni che inducevano quell'individuo a desiderare un'udienza al Signore del Paese del Fuoco. Non era niente di cui avrebbe dovuto curarsi, niente che il Daimyo stesso non potesse gestire da solo, e fu chiaro che i suoi pensieri fossero questi quando, fermandosi di fronte ad un'ampia porta scorrevole a doppio battente, l'uomo si inchinò nuovamente.
    «Raizen Ikigami-sama è qui, mio Signore ed unico Padrone.» Disse Susumu rimanendo immobile dietro le porte chiuse. Da dentro la sala che si apriva oltre queste ci fu un breve silenzio, un piccolo rumore e poi l'imporsi di una voce ampia e baritona, profonda come il gorgoglio di un drago.
    «Fallo entrare, Susumu.» E l'attendente, inchinandosi ancora una volta, si limitò a quel punto solo ad aprire uno dei due battenti, scivolando indietro e lasciando passo libero al Jonin della Foglia.

    Il salone che si sarebbe mostrato era grande abbastanza da contenere cento o più persone.
    Estesa in lunghezza e con un pavimento tatami di raro bamboo bianco, la sala presentava una ricchezza artistica raffinata e attenta molto diversa dall'austerità delle porte esterne, e che si esprimeva con dipinti su tela di riso di paesaggi naturali e raffigurazioni storiche tradizionali.
    Avanzando in linea retta, l'unica a disposizione, lo Shinobi di Konoha avrebbe potuto notare un affresco alla sua sinistra di un prospetto boschivo, grande abbastanza da coprire un intero muro, e due battenti di riso alla sua sinistra, altrettanto variopinti, che affacciavano però su un'altra stanza. Vuota.
    Il soffitto, aperto su due livelli, era a cassettoni, ognuno dei quali accoglieva il dipinto di un fiore e di una pianta, delineati ciascuno con una tale premura di dettagli da fa impallidire la realtà. Arabeschi in oro incisi a mano dividevano ciascuna opera e arricchivano le altre, ma il Jonin si sarebbe presto reso conto, arrivando a metà della lunga sala –in cui due porte aperte e altrettanto splendide spezzavano quella continuità frontale– che tutto ciò era niente in confronto all'ultima parte del Salone, lì dove si apriva la parte prettamente riservata al Daimyo, e in cui le pareti divise in raffigurazioni rettangolari e verticali, davano la più realistica impressione di trovarsi in un libro d'altri tempi.
    Eppure, in tutto quello sfarzo ostentato, Kazutoshi Murasaki sembrava fuori luogo.
    Alto abbastanza da poter rivaleggiare sguardo nello sguardo con lo stesso Raizen, il Daimyo del Fuoco si sarebbe rivelato imponente come il Re Dragone delle leggende, e massiccio come una montagna di marmo. Il torace ampio e i muscoli ben delineati a dispetto dell'età, sessanta o sessantacinque anni circa, si alzava e abbassava seguendo una catena di respiri profondi e ritmici, forse troppo marziali e tonanti per un kimono come quello indossato, di pura seta viola e dunque assai pregevole. Persino il volto, per quanto caratterizzato da un'espressione interessata e arguta, sembrava la rappresentazione di quello di un gigante: squadrato e dalla mascella scolpita, sopracciglia folte leggermente ricurve verso il basso, naso gibboso come se in passato fosse stato rotto e rimesso al suo posto con poca cura, e la carnagione bruciata dal vento e da lunghi anni passati all'esterno, davano di lui l'impressione di un uomo che avrebbe potuto fare tutto nella vita... tranne forse il ricco e nobile Signore.
    «Questa roba lascia sempre tutti con la tua espressione, la prima volta.» Disse improvvisamente l'uomo, e un sorriso che sembrava più il ghigno sarcastico di un lupo si dipinse sul suo volto; benché tuttavia non vi fosse malizia in quell'espressione, lo si sarebbe potuto capire dagli occhi, sempre che qualcuno avesse avuto il coraggio di guardarli, ovviamente... «Ho poco interesse in questa celebrazione, tutta roba che si distacca molto dalla concretezza che tanto apprezzo. Ad esempio, aver visto quanto brillano queste dannate pareti ti ha reso forse più ben disposto o più irritato nei confronti di me e di questa circostanza che il nostro fato ha ordito?» Chiese alzando una mano che gesticolò di fronte a sé. Ampia e nerboruta, cicatrizzata in più punti e callosa laddove si era costruita la leggenda di un maestro di lama senza pari, il Daimyo rise gutturalmente, sconquassando la quiete del luogo. «Direi di no. Non è che ora non affronteremo il motivo per cui sei qui e ci delizieremo a guardare i dipinti e commentare le sculture, o si?» Ironizzò, lanciando un'occhiata affilata al Jonin. Per quanto egli non avesse ancora avuto modo di presentarsi, pareva che il Signore del Palazzo avesse già capito che genere di individuo egli fosse, quasi fosse possibile riconoscersi tra uomini di valore. «A mio avviso un posto vale un altro fintanto che la compagnia è irreprensibile, ma quando hai un certo ruolo l'etichetta e tutta questa roba qui cominciano ad avere un peso... non curartene e accomodati, ti prego.» Disse, aprendo un palmo in direzione del cuscino piatto che sostava a qualche passo di distanza di fronte a Raizen. Mentre egli avesse avuto la premura di accomodarsi come gli era appena stato suggerito, la porta scorrevole in fondo alla sala si sarebbe di nuovo aperta silenziosamente, lasciando entrare quattro ragazze vestite tutte del medesimo kimono puntinato che, senza un rumore in più rispetto a quelli concessi, si sbrigarono a servire tè e frutta fresca già sbucciata e tagliata ai due uomini. «Preferivi del buon sake?» Domandò il Daimyo. Scevro dell'austerità molesta e ostentata di gran parte degli aristocratici sembrava non biasimare quella domanda, ma quasi riporvi dentro una certa aspettativa. «Quest'acqua calda che profuma di fiori ed erba piace un sacco alle donne, le mie due mogli non fanno che acquistarne in quantità irragionevoli, ma ho sempre difficoltà a ricordarmi perché dovrei berne di continuo come loro sostengono. Gli Dei siano clementi... sono ancora in perfetta salute.» A quel punto avrebbe guardato per un lungo istante la sua tazzina e la morbida frutta matura che gli era stata servita, quasi sperasse che il contenuto della pregiata porcellana dipinta a mano potesse mutare e il piatto riempirsi di qualcosa che prevedesse l'uso dei denti, ma qualora lo Shinobi non avesse desiderato un qualsiasi cambio non avrebbe ordinato alle domestiche di fermarsi.
    A dispetto di ciò che ci si sarebbe aspettati da un Signore tanto potente, infatti, Kazutoshi Murasaki era un uomo tranquillo e ben disposto verso il mondo come solo chi aveva in precedenza odiato quello stesso mondo poteva essere.
    Sopravvissuto ad innumerevoli complotti che avevano attentato alla sua giovinezza, era cresciuto in un campo d'addestramento mangiando carne secca e gallette di riso umide, e per quanto la morte dei suoi sei fratelli maggiori lo avesse scosso, infliggendogli quel genere di demotivazione verso l'umanità che l'adolescenza non può che acuire, non si era ritratto al suo dovere quando era stato investito, appena ventenne, del ruolo di Daimyo. Abituato a pensare da solo, ad andare contro ciò che era lecito considerare “giusto” pur di mantenere l'ordine e la giustizia che solo un uomo intelligente e retto come lui poteva vedere, aveva accettato le sue responsabilità con le spalle dritte e lo sguardo puntato in avanti, facendosi carico dei suoi rifiuti e delle sue promesse senza l'appoggio che gli sarebbe spettato.
    Era divenuto uno stratega per la sua stessa sopravvivenza, un lungimirante falco per quella delle sue spose e dei suoi figli, un contrattatore per la pace del suo Paese, uno spietato giustiziere per l'equilibrio di tutto questo insieme.
    Aveva visto la morte molte volte durante la sua vita, e non era necessario guardare la cicatrice scura che gli solcava la mascella destra dall'orecchio al mento per capirlo. Vi era qualcosa, nei suoi occhi azzurri come il mare, che ricordavano al suo interlocutore che posto orribile e spietato fosse il mondo in cui vivevano... e di quanto, dunque, fosse necessario mantenere la pace.
    Una pace di rispetto. Comprensione. Ascolto.
    Una pace costruita per il bene proprio e quello altrui. Una pace che mai nessuno avrebbe dovuto minare, e sulla quale nessuno avrebbe dovuto imporsi, proponendosi come il salvatore che non era...
    C'era questo e molto altro in Kazutoshi Murasaki, il Daimyo del Paese del Fuoco, e solo in quel momento Raizen Ikigami avrebbe capito che quello che aveva compreso era solo la punta di una profondità imprescrutabile che però finiva con l'aprirsi al cielo. Come fosse questo cielo, però, dipendeva probabilmente da lui.
    «Che sia ciò che sia, in ogni caso.» Disse infine il Signore del Palazzo, alzando lo sguardo in quello dell'interlocutore. «Raizen Ikigami. Hai chiesto udienza.» Affermò l'uomo, e così dicendo si batté una grande mano su un ginocchio. Era seduto a gambe incrociate, con la base del busto ben piazzata sul pavimento nudo e la schiena eretta di chi è abituato al suolo anziché alle piume. «Cosa ti induce a valicare metà del Paese per incontrarmi?» E ghignando aggiunse: «Spero non questi maledetti dipinti.» Ma era ovvio che non lo credesse.

    Anche se, capire davvero cosa egli pensasse, non sembrava essere possibile ad umana mente.

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    Uno scudo

    Una guida








    Immobile in posizione eretta il Colosso sosteneva lo sguardo indagatore delle due guardie, per quanto penetrante potesse essere non lo infastidiva, e tantomeno gli arrecava disagio. Certo, era ovvio che con le giuste abilità potessero addirittura dirgli cosa aveva mangiato il giorno precedente a pranzo e a che punto della digestione era, o ancor peggio svelare tutte le sue arti più nascoste, ma ormai, a quel punto non importava più, era quello il momento migliore per far vedere cosa realmente fosse.
    Tuttavia non riusciva comprendere al meglio quell’analisi così profonda, e seppe darsi unicamente due motivi, o erano al corrente della sue capacità e quindi erano intenti a verificarle, insieme quindi alla sua identità, oppure le stavano acquisendo in quel momento.
    Furono lunghi istanti che Raizen passò guardando i sofisticati disegni che gli abbellivano le armature, pur senza farsi sfuggire commenti o espressioni rivelatrici aveva un parere ben chiaro riguardo il fiore che stringeva il drago.

    Un drago effemminato che va a raccattare fiori?

    Nonostante i primi sguardi quasi inquietanti i due si mostrarono gentili, accogliendolo come un gradito ospite: tutto regolare.

    Attend…!

    La parola gli venne troncata a metà della lingua mentre girandosi alla ricerca di una possibile direzione da cui poteva giungere Susumu se lo ritrovò a pochi passi da se, non esternò nuovamente nessuna espressione, ma in una situazione più normale si sarebbe quantomeno scostato per la sorpresa dovuta alla silenziosità di quell’uomo.
    Il problema più grande è che non sapeva interagire con una simile accoglienza, gli era capitato qualche volta a casa di Shizuka di incontrare qualche sguattero che gli rivolgesse la parola a quel modo, ma in quei casi era sufficiente liquidarli con qualche parola rustica, cosa che qui non poteva ovviamente permettersi.

    Erm… la ringrazio la apprezzo anche io, cioè…

    No, non apprezzava lui, no di certo, apprezzava l’accoglienza, e il palazzo e la fastosità.

    …sono sinceramente onorato di essere qui.

    Aveva scopiazzato un po’ il format del suo interlocutore, non gli restava che un lieve inchino da fare, che portò i suoi capelli a ricadergli sul petto. Non era la migliore delle performance, ma quantomeno era riuscito a no far tingere i suoi abiti di rosso a pois gialli, e non sarebbe stato un evento poi troppo strano con tutta la ridicolaggine che stava accumulando.

    Non si preoccupi di questi dettagli, faccia pure strada.

    Quando si rialzò dal lieve inchino, un gesto di cortesia del tutto inusuale per la sua schiena, venne scortato per i lunghi corridoi del palazzo, una struttura per cui risultava riduttivo ogni termine che Raizen avesse nel suo vocabolario.
    Svoltarono più di una volta per i corridoi del palazzo, ma pur riuscendo a comporre una mappa disordinata di quel corridoio non riusciva a comprendere lo sviluppo delle eventuali stanze che si affacciavano o poggiavano su di esso.
    Era una struttura sicuramente curiosa, ma al suo interno poteva notare che nonostante fosse complesso comprenderne la partizione interna la struttura portante restava estremamente rigorosa e regolare.
    Niente pareva essere lasciato al caso, ed in tutti quei dettagli così normali per un simile ambiente, solamente una cosa stonava: Susumo. Si muoveva sicuro e preciso per la magione, come un ragno sulla ragnatela da lui forgiata, e come un ragno, non emetteva il minimo rumore, quasi fosse uno spettro, difficile accorgersi della sua presenza se fuori dal proprio campo visivo.
    Continuò ad osservarlo mentre si spostavano, certo di non essere visto poteva permettersi quell’accurata analisi. Anche se in un primo momento non ne scaturì nulla di rilevante.
    Dopo il dedalo di corridoi si fermarono finalmente dinnanzi ad una porta a cui susumu continuava a parlare come se fosse realmente al cospetto di qualcuno e non schermato dalla porta, uno di quei comportamenti che Raizen, forse per ostinazione, continuava a non capire.

    La ringrazio Susumu-sama.

    Disse con un nuovo inchino prima di scivolare dentro la stanza.
    Sentì dopo pochi passi la porta richiudersi alle sue spalle, anche se il suo cervello aveva deliberatamente scelto di tralasciare alcuni sensi per potersi concentrare al meglio sulla vista: la stanza era così riccamente decorata che era in grado di far venire il voltastomaco al Colosso, abituato all’ordinata austerità di una parete nuda ed in tinta unita non poteva che trovarsi smarrito di fronte a quell’affresco realizzato con tanta maestria.
    Si fece condurre per le stanze dal suo stesso sguardo, continuando a procedere in linea retta nel salone principale e lanciando solo di quando in quando sguardi alle stanze attigue, trovandole vuote.
    Giunto al cospetto di Kazutoshi ne fu quasi sbalordito, e non potè fare a meno di essere colpito da uno strano pensiero: se quell’individuo poteva essere un Daimyo, anche Raizen poteva esserlo.
    Esteticamente parlando.
    Giunto dinnanzi all’imponente figura si chinò in segno di rispetto, constatando che quell’uomo poteva rivaleggiare con lui quanto a costituzione, e per esperienza diretta sapeva che un simile corpo non poteva essere mantenuto con una vita sedentaria come si confaceva ai ricchi signori che amavano rinchiudersi nelle loro gigantesche tane, abbellendole di affreschi per illudersi che fossero all’aperto.

    Kazutoshi-sama, è un onore per me essere al suo cospetto.
    Le chiedo scusa sin da ora per le eventuali mancanze d’etichetta di cui potrei involontariamente essere fautore, ma non ho mai avuto la possibilità di apprenderle.


    Fece le sue scuse mantenendo l’inchino, solamente dopo aver completato la frase si sarebbe lentamente rialzato, accomodandosi quando venne invitato a farlo.

    Non vorrei essere un ospite scortese, anche se come le ho detto non sarei cosciente di esserlo, ma credo che del buon sakè possa incontrare meglio i miei gusti.

    Aveva tra l’altro sentito che era di buon auspicio sorseggiare quell’alcoolico durante importanti discussioni, ma non essendone certo ommise il dettaglio.

    Se mi concede dell’ironia credo siano fisse da donna, e se l’intuito non mi inganna tra quei vassoi c’è ben poco che la aggradi, può senza esitazione cambiare il menù, credo che i nostri gusti non differiscano poi troppo.

    Accennò ad una robotica risata. Era palesemente a disagio: i vestiti, l’ambiente, quell’imponente uomo che lo sovrastava dall’alto di un carisma guadagnato in una vita di scontri cervellotici iniziavano a schiacciarlo, accartocciandolo come una latina vuota.
    Va bene che doveva darsi un contegno, ma forse esagerava, dopotutto era li anche per mostrare se stesso.
    Trasse un grande sospiro, dopo un ampio sorso del sakè migliore che fosse mai passato per la sua gola, sicuramente una vita simile non gli sarebbe piaciuta da più punti di vista, ma sicuramente la sua lingua ne avrebbe tratto così tanto giovamento che ci sarebbe voluta una macchina degna di Tetsujin per spostarlo da una stanza all’altra.
    Forse comprendeva dove stava il buon auspicio di un buon bicchierino di sakè, esattamente nel fondo della bottiglietta. Una volta arrivati li la tensione spariva.

    Mio signore.

    Interloquì sciogliendo il groppo alla gola definitivamente, sfumando velocemente da pulcino insicuro a tenace aquila.

    Sono qui per un'unica ragione: Konoha.
    Sta passando il suo periodo peggiore, siamo continuamente sotto attacco e non c’è nessun Hokage a guidarci. Dei precedenti, da Ayato fino ad ora nessuno si occupa da tempo di adempiere al proprio dovere.
    Sono qui per essere giudicato, per chiedere la sua fiducia e permettermi di guidare e proteggere il villaggio.


    Breve ed incisivo, fermo e sicuro di ogni parola, si sarebbe però fermato alla richiesta, continuare sarebbe stato inutile, dopotutto era il punto focale di quella visita e ci sarebbe stata la necessità di sviscerarlo a dovere prima di poter passare al prossimo punto, ed inoltre già solo quella domanda avrebbe generato da sola un discorso ricco di domande e risposte.

     
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    Politica e Diplomazia

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    «Gli Dei ti benedicano.» Cinguettò ironicamente il Daimyo, e battendo una mano sulla gamba bloccò il ritirarsi delle cameriere, che come passerotti richiamati al nido volarono silenziosamente accanto al Signore del Palazzo, inchinandosi abbastanza perché la loro testa quasi toccasse le ginocchia. «Dite ad Aiko che non intendo mangiare un'altra pera sbucciata per i prossimi trent'anni, che spero davvero di potermi godere in piena salute. Questa roba la dia a Shingo, non a me.» Sghignazzò, e la sua voce baritonale risuonò nel suo ampio torace come la ripercussione di un grande tamburo. Nessuno avrebbe capito che il motivo per cui l'uomo rideva giaceva nell'immaginare l'espressione inorridita e altezzosa che la sua prima moglie, una nobile Principessa dell'Ovest, avrebbe elargito alle cameriere sapendo ciò che il suo Danna aveva detto di fronte ad un ospite. Non che fosse una novità, a dispetto di quello che ci si sarebbe aspettati da un uomo forgiato nei campi di battaglia, Kazutoshi Murasaki era attento alla sua numerosa famiglia da curarla senza che niente d'essa si sapesse in giro. Che agisse per estrema pudicizia o per un'incrollabile guardia, però, stava all'immaginazione altrui supporlo. «Portate quattro bottiglie di saké e della carne affumicata...e impedite a mia moglie di condirla con qualche salsa strana come fa di solito.» Puntualizzò, inarcando un sopracciglio.
    Annuendo quasi simultaneamente, come se si fossero tutte preventivamente accordate sul momento esatto in cui porgere l'ossequio, le cinque domestiche si spostarono a costeggiare le pareti della grande Sala e scivolando come spostate dal vento ne uscirono senza dire una sola parola. Tornarono circa cinque minuti dopo, portando su ambo le mani grandi vassoi di legno in cui ampie ciotole di porcellana erano ricolme di diversi tipi di carni secche –speziate, piccanti, aromatizzate e brasate– e bottigliette di creta bianca colme di sakè dall'odore pungente che vennero date in numero di due a ciascun uomo, assieme ad altrettante ciotole.
    Solo quando il corpo domestiche se ne fu andato, il Re Dragone intavolò il tipo di conversazione che immaginava il suo ospite desiderasse. Era abbastanza avvezzo alla sua posizione per sapere bene che uno dei Jonin del più potente Villaggio del suo Paese non avrebbe chiesto udienza a lui in persona se non per faccende che trascendevano qualche scaramuccia interna di poco conto. A dispetto di ciò cui si era preparato, tuttavia, l'uomo parve quasi stupito quando Raizen Ikigami pose l'argomento di trattazione. Sembrava essersi immaginato ben altro, e come dimostrò mentre spaccava con un gesto secco della mascella una spessa striscia di carne di cinghiale piccante, parve quasi sollevato.
    Sorrise, e ancora una volta il muso affilato di un lupo di sovrappose ai suoi lineamenti, conferendogli quel tipo di interesse astuto e quell'intelligenza imprevedibile che l'avevano reso l'incubo di molti opponenti.
    «Oh!» Esclamò, ma poi non fece molto più di questo.
    Seduto a gambe incrociate, il Daimyo del Paese del Fuoco finì di masticare con gusto il suo “leggero spuntino” accompagnandolo poi con una lunga sorsata di sakè freddo. Fu solo quando si portò tra i denti un altro filetto di carne secca che riportò il suo sguardo in quello di Raizen. Eppure anche stavolta non disse nulla.
    Facendo passare il bocconcino da un lato all'altro della bocca, il Re Dragone del Fuoco si grattò sotto l'irsuto mento, in cui una fitta ma rada barba castana incorniciava la sua mascella squadrata e il mento duro.
    «Cosa dovrei dire di preciso?» Disse improvvisamente, e quella domanda parve cadere dal cielo con una pesantezza che possedeva i connotati dell'irrealtà. Affilando lo sguardo il Daimyo sorrise, ma stavolta nella sua espressione non vi era traccia di quel genere di complicità maschile che fino a quel momento aveva offerto al suo ospite. «Raizen Ikigami, Konoha è il più potente Villaggio Shinobi del mio Paese. Guardo ad esso con una premura molto simile a quella che una femmina rivolge al proprio piccolo destinato a diventare imperatore: con attenzione ma rispetto.» Disse, battendo ritmicamente il nerboruto indice della mano destra sul ginocchio. «Ma non sta a me decidere la politica che la Foglia adotta. Fintanto che essa rispetta l'emblema del drago e della magnolia viola, non ho ragione di intromettermi. Il casato Murasaki combatte da centinaia di anni al fianco di voi Shinobi del Fuoco e vi supporta senza invadervi.» Ruppe con un colpo secco, simile alla cesoia di una bestia, la striscia di carne che stava mangiando, che si pose in bocca senza l'aiuto delle mani in modo più rozzo di quello che ci si sarebbe immaginati da un uomo che, al contrario, dimostrava una preparazione politico-diplomatica notevole, come pure una certa sensibilità sull'autonomia delle risorse esterne al suo dominio. «Sei venuto qui, Raizen Ikigami, ma non sono io il primo a cui devi chiedere approvazione.» Senza esitazione si pose in bocca un'altra striscia di carne con leggerezza. Sembrava non aver neanche toccato la punta della sazietà. «La prassi in queste circostanze è una sola, e viene rispettata da prima che i nostri progenitori venissero al mondo: è il concilio Shinobi del Villaggio a proporre all'amministrazione un Hokage...» Rimarcò quella parola, lanciando un'occhiata all'ospite, a cui sarebbe però parso di trovarsi di fronte ad una maschera dura e al contempo sarcastica. «...quando il nome supera le camere di consiglio viene proposto al Daimyo con una documentazione appropriata. A quel punto egli stesso conferisce con il candidato e ne decide la sorte, che a dispetto dell'immaginario non è sempre positiva. Il fatto che egli sieda di fronte al Signore del Fuoco non conferisce lui la sicurezza dell'elezione.»
    A quel punto cadde un grave silenzio che permase nella Sala fintanto che questa non venne soffocata dalla gravosità di un messaggio come quello che il Padrone di Kayoutei aveva chiaramente espresso: “Hai sbagliato”.
    Fu solo quando ebbe finito la sua prima ciotola di cibo che Kazutoshi Murasaki riprese a parlare.
    «Trovo lodevole il tuo interessamento al benessere di Konoha, Raizen Ikigami. Io stesso conosco la vostra situazione, e soprattutto dopo gli ultimi attacchi terroristici mi sento coinvolto emotivamente nella sorte del vostro Villaggio.» Disse, ma non puntualizzò il motivo per cui il futuro della Foglia dovesse essere una sua faccenda privata, preferendo piuttosto continuare. «Ma non posso issarmi sopra la politica conosciuta e rispettata e decidere autonomamente di una cosa tanto importante.» A quel punto scosse la testa, e bevve un altro sorso di sakè. Dal rumore che fece la bottiglia quando fu posata sul vassoio, fu evidente che fosse già vuota. A quanto pareva quell'uomo beveva e mangiava senza risentire minimamente delle conseguenze. «Mi dispiace, Raizen Ikigami, non posso aiutarti. Ci sono regole che neanche il mio rango può permettermi di ignorare.»

    E così dicendo, alzando i suoi affilati occhi blu come il mare dal vassoio pieno di vivande, il Daimyo guardò in faccia il Jonin, tacendo.

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    C'è del marcio a Konoha







    Seguì ogni gesto del Daymio dopo la sua sorpresa esclamazione e quasi per osmosi occupò il tempo allungando le mani verso qualcuna delle pietanze, prima del gesto le aveva analizzate più di una volta, cercando tra le tante quella munita del più roseo e lucente dei grassi, lievemente strisciato da qualche pennellata di carne alternata a decisi strati muscolari del rosso tipico della carne essiccata.
    La più pregevole delle pancette, probabilmente la bestia che l’aveva fornita era di una specie che fuori da quel palazzo nemmeno allevavano.
    Riuscì a smorzare la tensione di quell’attesa masticando la pancetta e lasciando che il sapore gli permanesse nella bocca, rafforzandolo più di una volta con altre fette, cambiando poi pietanza dopo aver risciacquato la bocca con il sakè.
    Quando Kazutoshi parlò nuovamente il Colosso riuscì per miracolo a non far cadere la sua mascella mostrando all’intero palazzo cosa stesse mangiando, non ribattè, conservò i dubbi per esternarli tutti in una volta.
    Trasse un grosso sospiro prima di parlare, torturandosi per qualche istante le unghie.

    Chiedo perdono, nuovamente, ho sbagliato.
    Ma temo che ciò che si veda dall’esterno della foglia non sia ciò che accade al suo interno, e la mia azione possa apparire un errore ad una prima valutazione.
    Konoha è marcia.


    Ammise senza alcun senso di colpa, ma con un sottile tono d’accusa.

    Comprenderà rapidamente perché sono qui e non davanti ad un concilio di miei pari.

    Si sistemò nel cuscino e dopo una sorsata di sakè si apprestò a parlare.

    Gli ultimi tempi sono stati disastrosi, e non trovo termine più adatto, e non ho paura di ammettere che il declino di Konoha è da implicare all’ultimo volto che gli scalpellini hanno sputato su quella montagna a cui ormai manca solo un cestino per essere un pic nick.

    No, no. Così era troppo, doveva respirare, tranquillizzarsi e ritrovare il suo tono più diplomatico.

    Shika Nara ci ha rovinato, e con lui l’amministratore che l’ha proposto, Alexander Hima.
    Sottolineo l’utilizzo del singolare, perché nessun concilio ha messo bocca su tale decisione, ne per approvarla ne per negarla.
    Non per una particolare avversione al villaggio, ma la loro incompetenza è stata così sovrabbondante da portarci a ricevere due attacchi terroristici in poco tempo e dopo il primo sono riusciti solamente a condurre una fallimentare missione di conquista prima di dileguarsi.
    Nessuno ha preso provvedimenti, nessuno si è occupato di cacciarli, di biasimarli per il loro operato.
    Tuttavia in questo clima di totale caos sono stati instaurati altri 3 amministratori.
    Mai visti ne sentiti, Fumio Inuzuka, Yoko Kinkuchi e Tsuneo Akimichi.


    Lasciò passare qualche istante prima di sottolineare l’ovvio.

    Comparsi dal nulla per occupare la posizione più alta che non richiede ne il suo intervento ne quello del consiglio degli shinobi. E con l’assenza dell’hokage… beh, non hanno limiti.
    Vogliamo per cui porci una domanda?
    Durante tutto questo disastroso lasso di tempo dov’era il consiglio degli shinobi?


    Nuovamente una pausa.

    IO stesso dovrei essere arte integrante di quel consiglio, eppure sono venuto a sapere della nomina di Shika solo quando i suoi ciuffi iniziavano a sporgere dalla montagna, questo non le dice nulla?
    Sono qui per una ragione:
    Quel consiglio ormai non esiste più, o quantomeno i suoi membri non sono più in grado neanche di levare il capo per scegliere un loro pari a cui dare un ruolo di vitale importanza per il villaggio rimasto vacante nel periodo in cui questo ne aveva maggior bisogno.
    Se mai Konoha avesse atteso gli ordini di chi detenesse il potere per darglieli a quest’ora non saremmo altro che un cumulo di macerie tra gli alberi.
    Ma fortunatamente siamo più di semplici ninja.
    Ho scelto, basandomi su esperienze e dati innegabili, di non sottopormi al giudizio di queste persone, qualora fossero in grado di darlo, ma di rimettermi al suo senza cercare di far passare la mia nomina come approvata dal consiglio, mentre era un'unica e faziosa voce a gridarlo ingannando lei e le persone che dovrei proteggere.
    Lei è celebre per il suo acume, mi dica, ho forse sbagliato?
    Non ho ignorato il mio villaggio, ho ignorato chi non è in grado di proteggerlo e sono qui perchè lei è in cima alla nostra scala sociale e di fatto possiede il potere e il diritto di prendere questa decisione.


    Guardò il Daymio a lungo, respirando silenziosamente quasi non gli andasse di intaccare neanche il flusso dell’aria che intercorreva tra i due.

    Non so cosa stia operando a Konoha, non so cosa stia muovendo i suoi ingranaggi più profondi, ma se vogliamo sanarla l’unico modo è farlo mediante gli incorruttibili, non possono esistere in questo meccanismo simili sospetti, quando nascono vuol dire che qualche ingranaggio ruota con un tempo tutto suo, e prima o poi la sua disarmonia contagerà tutto.

    Che il Daymio fosse un uomo dalle grandi doti strategiche nulla poteva metterlo in dubbio, ma ora cosa gli avrebbe fatto rispondere la sua stora? Cosa gli avrebbero suggerito le sue esperienze?
    Per non darsi risposte troppo sfavorevoli dovuta ad una galoppante fantasia Raizen agguantò delle fette di salsiccia essiccata ed affumicata, un sapore forte e deciso che ne aumentò la salivazione, una fortuna che non l’avesse mangiata prima, altrimenti su quel tavolo sarebbe stato necessario uno straccio dopo la sua arringa.
    Trovava oltremodo complesso darsi un contegno davanti a tutto quel ben di dio, ma ora era pettinato e ben vestito, non poteva rovinare tutto in un orgia di proteine e grassi insaporiti e affumicati al punto giusto mentre il Daymio guardava la scena, probabilmente lieto del fatto che il suo cibo venisse gradito così tanto.

     
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    Cancrena

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    Seduto a gambe incrociate sul nudo tatami di bamboo bianco, il Daimyo del Paese del Fuoco ascoltò le parole del Jonin che aveva chiesto lui colloquio senza ribattere nè interrompere.
    Carpì e fece propria ogni parola, e spazzando via dalla sua mente tutto ciò che di superfluo vi era in quel momento iniziò a comporre la scacchiera su cui avrebbe giocato quella partita: quella del destino del suo Paese.
    Chiudendo gli occhi, l'imponente Signore posò nella ciotola quasi vuota l'ennesima striscia di carne affumicata che aveva preso per sé e congiunse i polpastrelli della nerboruta mano destra con quelli della sinistra, facendo poi pressione. Le vene e i nervi delle braccia pulsarono e si allentarono, pulsarono e poi nuovamente si allentarono, e così diverse volte... sufficienti perché il Re Dragone riacquistasse la padronanza della scacchiera politica disposta nella sua mente e finisse di disporvi tutti i pedoni che sapevano essere in gioco.
    Fu solo dopo qualche minuto che rialzò lo sguardo. I suoi occhi blu oltremare si posarono in quelli scarlatti del Jonin, e adesso erano diversi. Ancora una volta diversi.
    Lo aveva chiamato ed egli era arrivato: l'abile stratega, Kazutoshi Murasaki.

    «Non hai alcuna possibilità, Raizen Ikigami.»
    Non era una domanda o una commiserazione, era un'affermazione. Una sentenza che schioccò come una frusta nella sala dei ricevimenti facendo tremare le pareti di una realtà rimasta fino a quel momento serena.
    «”Konoha è marcia”, hai detto...si, lo è.» Disse con una semplicità che si faceva carico di una consapevolezza molto più greve. «Avete permesso ad un Nukenin di grado A di attaccare il vostro villaggio, di scoprire tutti i suoi punti deboli... e avete lasciato che fosse una sola Genin ad occuparsene. E' quasi morta per proteggere un villaggio che non l'ha ascoltata, mentre tutti guardavano e non intervenivano, aspettando ordini che non sono mai arrivati.» Sentenziò, gelido. I suoi occhi adesso erano due lame affilate. «Un Bijuu è stato liberato dentro le vostra mura dopo che la sua forza portante è stata rapita da una kunoichi del vostro stesso villaggio, appartenente ad una cerchia terroristica di cui voi non sapevate neanche l'esistenza. Vi siete ridotti ad accettare l'aiuto di un Nukenin. Avete avuto perdite, distruzione, Keita Kitase è morto, Hayate non è stato trovato, e in tutto questo a partecipare, a muoversi in protezione del villaggio, eravate solo in nove. In nove Ripeté sprezzante. La sua bocca si contrasse, snudando i denti in un'espressione di disgusto. «So chi sei, Raizen Ikigami. Siete chiamati “eroi”, ora.» Pareva sarcastico. «E' in nome di questo titolo che sei venuto qui per chiedere di diventare Kage?»
    Tacque.
    Le sete del pregiato kimono viola notte si mossero assieme al Signore di Palazzo Kayoutei mentre questo cambiava posizione e invertiva l'ordine delle gambe incrociate a terra.
    Non parlava con rabbia o con veleno, come molti non avrebbero avuto esitazione a pensare mossi dalla paura, ma si dimostrava piuttosto affilato e conciso seppur coinvolto, come era giusto che lo fosse un membro di quel disegno che sembrava ormai essere sfuggito di mano a troppe persone. Era caustico nella sua precisione. Sapeva perfettamente dove puntare il dito e sapeva che il punto in cui la pressione fosse stata apposta si sarebbe immediatamente aperto riversando sangue e pus, perché la ferita del Villaggio della Foglia era ancora aperta, e nel suo essere aperta era ancora infetta. Purulenta. Cancrenosa.
    Sporgendosi in avanti, il Re Dragone strinse una mano a pugno e la sbatté sul tatami, che quasi vibrò sotto quel colpo. Gli occhi del Daimyo, adesso, erano ardenti.
    «La vostra Konoha è talmente marcia che Shika Nara è stato eletto senza che io lo approvassi. Senza che io ne sapessi niente. Sono stato scavalcato con la stessa plateale arroganza con cui adesso tu vieni al mio cospetto “ridonandomi” con gentilezza il mio potere.» Tuonò, scuotendo la sala. La presenza di quell'uomo iniziava progressivamente a farsi sempre più imponente, abbastanza grande da riempire ogni angolo intarsiato di quel luogo di pregio e ad assalire la presenza di Raizen Ikigami, schiacciandolo verso il pavimento: era il Re Dragone quello che il Jonin della Foglia stava fronteggiando, ora, non Kazutoshi Murasaki. «Potevo farvi guerra. Oppormi. Distruggervi.» Sorrise, ma quell'espressione parve più un ghigno di lupo. «Konoha è nelle mie Terre, e se credete che la mia conoscenza sia estranea alle dinamiche Shinobi siete stolti tanto quanto dimostrate di esserlo. Non sono incapace di fronteggiare le vostre risorse. Non lo sono mai stato. Nè io nè chi mi ha preceduto.» Non era una minaccia, quella, ma una constatazione. Il casato Murasaki, al contrario di molte altre nobili famiglie aristocratiche che avevano fatto della loro posizione privilegiata un motivo per ritirarsi dal campo di battaglia, era sempre scesa in battaglia accanto ai ninja della Foglia quando il caso lo aveva richiesto. Ogni membro di quella famiglia sapeva combattere, ma le loro reali abilità erano state rivelate solo durante l'ultima grande guerra, quando il loro contribuito si era radicato nella mente degli shinobi che avevano partecipato senza però lasciare nessuna traccia nelle relazioni ufficiali... «Vi ho dato la possibilità di un'indipendenza che si allontanasse dal mio veto perché la morte di Ayato aveva destabilizzato troppo la vostra condizione politica interna. Ho voluto credere nel vostro discernimento perché da esso nascesse il fiore di fuoco che un tempo era l'orgoglio del mio Paese. Ma avete fallito.» Sentenziò, impietoso.
    Il suo pugno, la cui carnagione cicatrizzata e bruciata dagli agenti climatici di una vita passata a fronteggiare il mondo aperto, era tirata abbastanza da rivelare le pulsanti vene che battevano a ritmo scandito, ma incalzante, del cuore del Signore del Fuoco. A dispetto di poco prima, in cui la bonarietà di quel Daimyo avrebbe potuto essere accogliente quanto la rimpatriata con un vecchio amico, adesso l'espressione d'egli era il ritratto della maschera di una fiera acuta e attenta. I suoi occhi guardavano il suo interlocutore, ma sembravano attraversarlo, andando oltre ciò che egli si imponeva così faticosamente di mostrare. E in un attimo Raizen Ikigami fu nudo di fronte al giudizio.
    «Tu non hai speranze, Raizen Ikigami. E non le hai proprio perché il tuo villaggio è così marcio.» Ruggì gutturalmente il Re Dragone, gelido. «So chi sei Raizen Ikigami. So tutto, di te. So ciò che non vuoi dire e so riconoscere quando ciò che dici è menzogna. Per questo capisco che le tue intenzioni sono sincere... ma sei solo, riesci a capirlo? Non hai nessun appoggio, né alleato. La tua posizione interna a Konoha non è così apprezzata, conosciuta e ben voluta come dovresti invece sperare che sia perché la tua nomina non risulti l'ennesimo rigurgito di un malato infetto. Vuoi combattere la battaglia di riforma di un intero Villaggio senza nessuno al tuo fianco?» Ghignò, ironico. «La forza di voi due non basterà. Non è una riforma che si fa con la forza, quella che vuoi tanto intraprendere, ma una pulizia che scende ad un livello più profondo, quello dell'animo e della mentalità di un'intera popolazione. Ti serve mente e ingegno, non forza bruta. Ti servono occhi e orecchie. Ti servono persone di cui ti puoi fidare come ti fidi di te stesso.» E a quel punto, riaprendo il pugno che teneva premuto a terra, fece scorrere il nerboruto dito indice lungo una linea retta, come se stesse spostando qualcosa. «La tua pedina ha fatto una mossa, Raizen Ikigami. Una mossa interessante, certo, ma se gli altri pedoni rimangono alle tue spalle, non hai speranze. Il Re è sempre l'ultimo che esce dalla sua posizione, perché se cade lui, il gioco è finito...sai come funziona, no?»

    E così dicendo, aprì di scatto le dita della mano, che sbatté nuovamente sul tatami, bloccandosi.
    La scacchiera parlava chiaro. E la scacchiera di Kazutoshi Murasaki non sbagliava mai.

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    La Montagna







    Le prime parole fecero nuovamente salire la rabbiosa marea nello stomaco del Colosso, ma solo un sopracciglio si inarcò, esternando la contrariata perplessità che quella prima affermazione scaturì in lui.
    Si sforzò di non interrompere nessuna delle parole del Daimyo, ascoltando in religioso silenzio, come un fedele ascolterebbe il più alto dei pastori intento ad indicargli la via da seguire per il nirvana.
    Quando il Drago finì di parlare Raizen si accorse che la rabbia fermentandogli dentro ora gli impediva di provare la minima paura verso l’uomo. Restava solo il rispetto per la sua carica, ottenuta con i successi in battaglia.
    Per cui come dirgli che si sbagliava senza ledere alla sua posizione?
    Come poteva la rude Montagna far notare un errore con l’identica gentilezza con cui si fa un complimento?
    Tanti avrebbero detto che sarebbe stato molto più probabile un miracolo.

    Quando parla di fallimento, la prego di non includere me, e gran parte dei ninja della foglia.
    Ne io ne loro siamo colpevoli di ciò che è accaduto perché ne io ne loro potevamo fare nulla in quanto la vita di un esercito quale è il villaggio di Konoha si basa sulla certezza che chiunque sieda sulla sedia dell’Hokage meriti rispetto e assoluta obbedienza, pena l’autodistruzione.
    E nessuno nutre per la foglia un amore sufficientemente distorto per distruggerla mentre cerca di salvarla.
    Nonostante questo ha davanti una persona che ne ha a sufficienza per raccogliere il fallimento altrui, col suo benestare, e di porvi rimedio.
    Lei mi sottovaluta Kazutoshi-sama.


    Disse mentre accomodandosi nel cuscino fletteva lievemente la testa, come a scusarsi di quella sottile accusa di incuria nell’analisi dei fatti, e poi si era già scusato per queste mancanze pensò tra se e se.

    Io sono qui da solo unicamente per un motivo: voglio che sia esclusivamente la mia persona ad essere giudicata per il ruolo che dovrà ricoprire.
    Quello di Hokage non è un titolo che prevede la mediazione tra più pareri, è una sola testa che ascolta i consigli e decide di conseguenza ad essi quanto alla sua vita, ma sarà sempre e solo un cervello a riflettere e decidere, ed una bocca a parlare.
    Konoha è un accampamento militare e in quanto tale prevede che a comandarlo sia un'unica persona.
    Certo, verrò assistito in delle mansioni, poiché mi rendo ovviamente conto dei limiti di quell’unico cervello e corpo che possiedo, ma questo esula dal mio compito primario e dalla domanda primaria: sono adatto a questo ruolo?


    Volente o nolente era giunta l’ora di mettere le carte in tavola

    Sarei secondo lei riuscito a ricostruire da solo Konoha?
    No, impossibile ovviamente.
    Ci sarebbero riuscite le poche imprese presenti nel villaggio a farlo?
    No, ovviamente.
    Per cui da dove giungono tutte le gru impegnate nella ricostruzione?
    Ho avuto l’occasione di sanare una prima parte delle ferite del villaggio: la mafia.
    O quantomeno una sua fazione, il loto per essere precisi.
    Erano divisi da una faida con l’edera come ben saprà.
    Fino a qualche mese fa il loto succhiava introiti dal gioco d’azzardo ad Otafuku, ora pulisce i suoi soldi ricostruendo il villaggio sotto la mia supervisione, inizialmente anche l’edera doveva essere coinvolta, ma il suo rifiuto l’ha portata a mettersi per l’ultima volta in contrasto con il Loto, che con l’aiuto mio e dei miei fidati tenterà di distruggere. Azione solitaria? Non direi.
    Sono in prima fila, ma mi sono premurato di mettermi alle spalle un esercito ben più grande di ciò che non sembri. Parliamo dell’abilità di insinuarsi tra i problemi altrui e trarne un guadagno concreto e duraturo per il villaggio, senza versare neanche una singola goccia di sangue, certo, fino al momento in cui l’Edera dovrà pagare per le sue azioni. Ma stiamo parlando solamente di “case” ora.
    Immagino questo non lo sapesse, Kazutoshi-sama, ma purtroppo non erano voci che potevano circolare incontrollate e la scala per giungere alle sue orecchie ha troppi pioli perché qualcuno di essi non scricchioli.
    Tutti sanno qualcosa di me, ma al momento lei ha il quadro più completo.


    Prese del sake, inumidendosi le labbra.

    Riguardo i miei appoggi… vorrei dimostrarle che sbaglia solamente in un secondo momento.

    Chiuse gli occhi e chinò il capo, lievemente.

    Se fossi lievemente meno assuefatto dell’immagine che un uomo ed un condottiero debba avere mi sarei chinato dinnanzi a lei, e strusciando la fronte sul bellissimo pavimento di questo palazzo l’avrei implorata di darmi tale titolo.
    Ma non sono in grado di farlo, posso solo chiederle di giudicare quel “tutto” di me che conosce, ed in base ad esso dire quanto io sia adatto al ruolo che chiedo di ricoprire.
    Il mio compito, come protettore, come ninja, è quello di far sapere riguardo il mio conto solamente ciò che voglio si sappia, e i miei appoggi rientrano tra le cose che cerco di nascondere e proteggere.
    Chiedo di essere giudicato come singolo non per arroganza ed eccessiva fiducia nelle mie capacità, ma per via di ciò che il mio ruolo esigerà da me, altrimenti avrei scavalcato il suo parere come altri prima di me e mi sarei armato di fantasticherie per fronteggiare le sue giuste rivalse. Ecco perché sono qui da solo.
    Tuttavia, i sostegni dei quali parla sono indispensabili, e per questo li vaglierò con lei, nel caso, come Hokage e non come jonin della foglia che non ha il minimo diritto di disquisire e giudicare suoi pari.
    Dopotutto non penso abbia troppo senso parlare di SE nel CASO DI, mi sembra che lei sia molto concreto quando parla, e non penso che l’aria fritta di cui parleremo durante i SE sia degna di discussione.


    Inspirò a lungo, allargando l’ampio petto.
    Quello che aveva dinnanzi era un nobile anomalo, e i due non condividevano un cammino poi troppo differente, escludendone i natali Raizen era arrivato all’apice della carriera sporcandosi le mani e primeggiando in tutte le battaglie che aveva combattuto. Dal poco che aveva appreso pareva che le storie così simili non avessero generato caratteri troppo diversi, ed ora erano state fornite al Daimyo le risposte che cercava: Raizen non era solo, in nessuna cosa che faceva, i suoi appoggi potevano essere lontani, o poco visibili, ma c’era sempre qualcosa che gli avrebbe evitato di cadere, esattamente come in quel momento: la critica mossagli da Kazutoshi non poteva neanche sbilanciarlo, la Montagna aveva certamente un carattere incline alla solitudine, ma questo non le impediva certamente di ricercare tra la gente qualcuno che potesse fare o arrivare dove lui non poteva. Le Montagne non cadono.

     
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    Se c'era una cosa che Kazutoshi Murasaki era in grado di ottenere dal prossimo era la totale e completa reazione che desiderava.
    Quella, una concessione divina più che umana, era tipica di chi nasceva come nobile civile e non come Shinobi, di chi cioè, con il semplice intelletto, doveva essere capace di dominare un mondo o un impero. Era una capacità, dunque, che egli aveva maturato come Daimyo e non come combattente, ed era qualcosa che, indispensabile e spesso predominante nella risoluzione di disquisizioni che potevano portare alla rottura di una pace duratura, pretendeva di trovare anche nelle persone di cui si circondava e a cui dava la sua fiducia...
    ...ma Raizen Ikigami, al pari di qualche altro germoglio che aveva il piacere di seguire da vicino, era ancora giovane, molto più di lui, e poteva pertanto perdonargli quel tipo di mancanza che però –pensò acuendo lo sguardo mentre posava il mento sul pugno della mano destra, a sua volta puntata su un ginocchio– sarebbe riuscito certamente a colmare con il tempo.
    Chiudendo gli occhi, il Re del Fuoco sogghignò tra sé e sé, profondamente divertito: Konoha offriva lui un sempre più ricco tempio di splendide fiamme ardenti, a quanto pareva...

    «Perché non avere il mio appoggio, allora?»



    La sua voce schioccò nel silenzio che si era venuto a creare dopo che il Jonin della Foglia aveva finito di parlare, e il tono fortemente interessato si presentava come una novità in quelli scelti fino a quel momento.
    «Tu non mi dispiaci, Raizen Ikigami.» Disse il Daimyo, riaprendo gli occhi per poi condurli in quelli cremisi dell'interlocutore. «Non ho niente contro di te e ho già detto che apprezzo la tua sincerità per quanto riguarda la protezione di Konohagakure... ma la storia del tutelare e nascondere i propri appoggi è una sciocchezza che solo la tua inesperienza nella politica internazionale può scusare. Non è questione di vanto o di riservatezza Shinobi, è questione di sopravvivenza.» Reclinando leggermente la testa all'indietro il maestoso padrone di Kayoutei sorrise, ironico. «Chi risulta scoperto viene attaccato, e chi viene attaccato è in pericolo. Un Hokage è un uomo come chiunque altro. Può morire come chiunque altro. Potrebbe arrivare il momento in cui tu sia spinto a decidere tra la tua vita e la protezione del tuo villaggio... e pensi che scegliendo il tuo villaggio.» Mosse una mano di fronte a sé, seccamente. «Perché è esattamente quello che mi diresti di essere pronto a fare, come molti altri prima di te, del resto.» Sentenziò, caustico. «Pensi che questo salverebbe il tuo villaggio, dunque?» Era divertito nel ventilare quella possibilità. «Quando l'Hokage muore, il Villaggio crolla con lui. Esattamente come sta succedendo ora e come in passato, prima che noi nascessimo, fu. E' per questo che esiste l'alleanza accademica tra i quattro grandi Villaggi... perché chi vede la potenza è restio a cercare di minarla.» E a quel punto, sporgendosi leggermente in avanti, il Re Dragone affilò lo sguardo e sorrise persuasivo. «Perché non accettare il mio appoggio, allora?» Chiese, accattivante. «Supporterò apertamente Konoha, mi porrò in nome del Fuoco come mai prima di ora, permetterò a voi Shinobi di toccare la politica del Paese in modo più ricco di quanto già non sia, e in questo modo l'influenza della Foglia si estenderà oltre tutto ciò che la storia ricordi.» E così dicendo batté il nerboruto dito indice della mano sinistra sul pavimento di fronte a sé, che risuonò a vuoto come la pelle di un tamburo. «Avere l'appoggio di grandi potenze economiche, politiche e sociali è ciò che dovresti avere per essere sicuro di non venir mai esautorato. Ho molti nomi da farti per diventare indistruttibile agli occhi del mondo, ma ovviamente...» Mormorò, facendosi serio. «...tutto ha un prezzo.»
    Ancora seduto a gambe incrociate sul nudo pavimento di bamboo bianco, Kazutoshi Murasaki si riportò solo a quel punto in eretta postura. Il suo sguardo, acuto come quello di una bestia, scrutava il suo opponente con una raffinatezza che lasciava poco spazio alla libertà mentale. Nessuno sarebbe riuscito, neanche per un istante, a portare la propria attenzione lontano da quella stanza e soprattutto da quella persona.
    Incatenato al posto come un prigioniero in un carcere raffinato e sottile, Raizen si sarebbe ben presto reso conto che il beneficio del passato che in altri momenti era stato la sua salvezza, quello cioè di poter ripulire la sua mente e riacquistare la calma inspirando la totalità delle cose, stava cominciando a svanire lentamente come se qualcuno togliesse lui l'ossigeno... rendendo la sua capacità di spaziare con la mente, di vedere oltre ciò che di immediato c'era, sempre più labile.
    Non c'era scampo né fuga da quel luogo. Era bloccato lì, e lo sarebbe stato finché non sarebbe giunto un verdetto finale.

    «In passato Kage di diversi Paesi hanno accettato il potere prestato loro da grandi dinastie e imperi lontani dal mondo Shinobi.» Riprese a dire il Re Dragone, prendendo dalla ciotola di fronte a sé una striscia di cacciagione essiccata, che addentò subito con gusto. «Vieni al mio cospetto e mi parli di come sei riuscito a trattare con la mafia, di come sei stato capace di rendere la corruzione dilagante un'arma al servizio del tuo Paese e del tuo Villaggio... e io dico che c'è qualcosa di incredibile, in tutto questo. Chi altri, se non chi è capace di guardare ovunque pur di arrivare al proprio scopo, avrebbe mai pensato a qualcosa del genere?» Domandò, e adesso parve farsi davvero interessato. «Lasciati affiancare da me. Ti offrirò il potere del Fuoco, in cambio del monopolio economico del tuo Villaggio.» Sorrise, educato. «La più grande fetta dell'economia del Fuoco appartiene ad un Clan su cui non ho ancora potere, proprio come la politica è in mano alla mia dinastia da troppe centinaia di anni per poterle contare, e come la gestione delle armi risiede in uno stemma ancora diverso. Purtroppo non sono interessato a simboli istigatori di violenza, non ancora perlomeno, e preferirei dunque prendere la porzione più grande del piatto, quella diciamo che non risente di nessuna crisi, tantomeno di quella che prende il nome di "pace"...» Asserì, annuendo con semplicità, come se il discorso che stesse tenendo fosse di immediata comprensione e non frutto di lunghe educazioni politico-economiche «Il Clan di cui parlo ha una totale devozione per Konoha e per il Paese del Fuoco e non ha mai ceduto a nessun compromesso non voluto, mantenendo la sua influenza solida e potente, ma soprattutto sbalorditivamente autonoma e indipendente.» Spezzò con i denti la striscia di carne e buttò giù un pezzo intero, annuendo. «Non c'è niente di biasimevole in ciò, anzi, ma se potessi influenzare quella potenza con la mia politica potremmo rendere il Paese del Fuoco il più potente tra i Paesi esistenti.» E così dicendo tornò a sorridere, snudando i denti. I suoi occhi blu come il mare brillavano di quel tipo di interesse che nasce da una trattativa auspicata da molto tempo, donando lui nuovamente l'aspetto di una fiera affamata ma paziente, in grado di aspettare per ore, giorni e mesi, forse anni, pur di ottenere la sua preda. Pur di raggiungere il suo scopo. «Non fraintendermi Raizen Ikigami, non c'è niente di sbagliato in ciò che ti sto offrendo. La giustizia per me è tutto e la perseguirei a costo della mia vita. Non ti sto offrendo nessuna trattativa illecita, ma soprattutto niente che possa essere in grado di minare Konoha o il Paese del Fuoco. Faccio tutto ciò che è in mio potere per il benessere comune, poiché come ben sai confido nella pace, e alla pace guardo sempre con rispetto.» Decantò, alzando una gamba e sbattendo il piede sul pavimento per cambiare posizione, assumendone una più marziale, benché apparentemente più comoda, almeno per lui. «Ma sono un Daimyo, e ogni Daimyo desidera potenza e incrollabilità per il suo Paese, esattamente come un Hokage vuole le medesime cose per il suo Villaggio.» Sorrise, passandosi una mano sulla barba imperlata di cristalli di sale aromatizzati. «Tutto ciò che l'Hokage fa, lo fa per Konoha: ogni missione vinta, ogni campagna intrapresa, ogni guerra scelta... è tutto per il glorioso Villaggio della Foglia. Non c'è niente che non si possa fare, per il Villaggio. Se un Hokage dovesse scegliere tra il suo popolo e quello di un altro paese, sceglierebbe il proprio e non ci sarebbe niente di sbagliato, in questo. Al pari di ciò, io vivo per la prosperità del mio Paese e un'alleanza tra il Daimyo e l'Hokage, dunque, è una possibilità che mi interessa e del resto non nuova alla storia conosciuta.» Rise gutturalmente nel suo modo fragoroso e poco quieto, chiaramente compiaciuto di quanto appena detto, benché cosa ci fosse di così divertente in un argomento tanto delicato non era ben chiaro. «Dammi la possibilità di gestire l'economia della Foglia, lascia nelle mie mani il denaro che conta e io lo farò fruttare grazie alle mie alleanze politiche, così da dare fondi ai Kurogane per armi che noi militari useremo per proteggerci, a voi per allenare ninja senza pari, e al popolo per aumentare il proprio benessere. Dipenderete da me, certo, ma perdere parte della propria autonomia è niente in confronto al beneficio ottenuto.» Sorrise, ancora divertito, ma solo a quel punto tacque.
    Senza distogliere lo sguardo dal suo interlocutore, Kazutoshi Murasaki passò sulla barba un pollice diviso a metà da una cicatrice bianca e storta, che raccolse gli ultimi granelli di sale ivi rimasti.
    Mutevole come si diceva fossero le scaglie di un drago poste alla grande luce e persuasivo come il profumo intenso della magnolia, il Signore di Palazzo Kayoutei sorrise, imprevedibile e intrigante. Stava aspettando e, ancora una volta, Raizen avrebbe capito che sarebbe stato pronto ad aspettare ancora e ancora... perché non esisteva pianificatore più intelligente di colui che attendeva il momento propizio.
    «Sei un Jonin di talento, Raizen Ikigami. Un guerriero portentoso. Le tue gesta non sono mi sono sconosciute.» Disse il Daimyo, leccandosi le labbra bruciate dal vento e dal sole. «Ma essere Hokage non è questione di muscoli, non è un ruolo che si mantiene su quanto anticonformiste siano le scelte intraprese. Il mondo che vuoi governare non è solo marziale.» Sembrava quasi rammaricato di quel commento, come un abile combattente lo poteva essere discutendo intimamente con qualcuno che era sicuro poterlo capire. «E' politica. E' denaro. Tu quanto sei abile in tutto questo?» E così dicendo sorrise. Gli occhi brillarono, intrigati.

    Erano constatazioni nate dall'ovvietà, quelle. Realtà inopponibili.
    C'erano solo due cose che era però necessario capire, arrivati a quel punto: Kazutoshi Murasaki, il Re Dragone del Fuoco, aspettava per compiere scaccomatto?
    ...Ma soprattutto, qual era il sole che faceva brillare le mutevoli e pericolose scaglie della sua personalità...?


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    Edited by Arashi Hime - 29/4/2015, 20:15
     
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    Il Drago e la Volpe








    Sul terminare della prima parte del discorso Raizen aveva fin troppe cose da dire, per cui, forzando una breve interruzione del Daimyo prese parola. Era consapevole del fatto che non fosse un interruzione, ma poteva essere fraintesa, no?

    Kazutoshi-sama.
    Credo che questo sia un circolo vizioso, ed anche io con la mia inesperienza sono in grado di notarlo, dipende dal modo di agire delle persone e dagli strumenti con cui combattono. Armi, politica e soldi sono strumenti differenti tra loro e richiedono diversi tipi di amministrazione.
    Potrei dirgli che se lei fa vanto dei suoi appoggi il nemico potrebbe studiare il modo di farli crollare prima di pugnalare lei, e potrei dire di me che quando il nemico cercherà di cogliermi alla sprovvista imparerà a sue spese che per quanti attacchi farà sarà sempre presente un segreto che lo coglierà in fallo, falciandolo come un filo d’erba troppo audace.
    Tutti gli schemi sono eludibili se conosciuti.
    Questo palazzo ad esempio.
    È strano, la sua geometria è strana, eppure nessuno sa niente di esso, il suo funzionamento è un suo vantaggio difensivo, e lo tiene nascosto, no?


    Uno sguardo eloquente, prima di cedere nuovamente la parola.
    Era fluente il drago, anche se nel suo dialogare perse rapidamente la criniera, gli artigli, le braccia e le corna, di lui rimase solo una voce quasi suadente e delle viscide squame da serpe mentre le sue parole mutavano forma, quasi fosse stato eliminato l’ambiente precedente in favore della contrattazioni tra due lingue biforcute intente a dividersi i poteri e le sorti di un intero paese.
    Il Colosso affilò lo sguardo, voltando impercettibilmente il capo quando Kazutoshi finì di parlare, cercando di comprendere cosa fosse mutato in mezzo a tutte quelle parole. Da quando gli veniva proposto di trovare degli alleati di cui fidarsi come se stesso ora gli si proponeva di affidarsi ad una persona del tutto sconosciuta in cerca di finanziare i Kurogane, il secondo cancro della foglia dopo la mafia.
    Questa volta non riuscì a trattenere la smorfia di disgusto che gli inarcò lievemente la bocca, anche se probabilmente l’evento più rilevante non sarebbe stato quello, per un istante infatti, meno di un secondo il Daimyo avrebbe potuto sentire la sconfinatezza del potere del Colosso, pronto ad inondarlo.
    Voleva realmente smuovere la Montagna?
    C’era un confine tra l’educata assenza di emozioni e la calma prima della tempesta, e gli esseri umani potevano avvertire quando un loro simile reprimeva se stesso a tal punto da far tendere l’aria: era l’empatia. Il Daimyo ne possedeva a sufficienza da comprendere di aver fatto un passo di troppo?
    Le storie che raccontavano su di lui pareva lo vedessero assai accorto e calcolatore, era impegnato a risolvere quella che per lui non era altro che una complicata equazione?
    L’incognita Raizen Ikigami.
    Gli occhi ferini della Montagna ora erano su quelli del Drago, immobili. Non l’aveva seguito mentre si alzava, non gli occorreva, se quello era un confronto fisico non avrebbe potuto perderlo in alcun modo, l’unico dono che madre natura gli aveva fatto, ed aveva imparato a sfruttarlo bene. Mentre quello mentale Kazutoshi l’aveva probabilmente perso nello stesso momento in cui le sue labbra si incurvarono a pronunciare la parola “Kurogane”.

    Segua il mio ragionamento, per favore.

    Chiese educatamente.

    Mi rimetto al suo giudizio come singolo e il suo primo consiglio, condivisibile, è quello di cercare degli appoggi di cui fidarmi come se fossero mie appendici dirette, miei gemelli.
    Spendiamo parole in tal proposito e dopo avermi dato un piccolo contentino che mi vedrebbe estremamente vicino a realizzare i miei obiettivi mi propone di affidarle totalmente quella che è effettivamente metà del mio villaggio per darla in pasto ai Kurogane?
    Provo a non pensarci, ma visto che la reputo un un’uomo dal fine intelletto non riesco ad evitarlo, arrivando alla conclusione che qui si stia svolgendo qualcosa di diverso da una semplice richiesta ed un semplice giudizio.


    Lo guardò qualche secondo negli occhi, sondandoli come il faro della guardiola cercava l’evaso.

    Ha parlato di Kurogane e al contempo di protezione, ciò vuol dire che è al corrente di quale tipo di affari sostenga realmente quel clan.
    Su queste basi sorgono quindi più ipotesi.
    Vuole realmente mettersi in affari con quegli avanzi di fogna che alimentano indistintamente l’armamentario accademico, nukenin e dio sa solo di chi, con l’ingenua convinzione che io non sia a conoscenza di quel clan e che quindi non voglia monitorare tali azioni.
    Oppure mi sta ponendo davanti più di una situazione per valutare la mia capacità valutativa, una serie di prove per vedere chi ha davanti diciamo. Prudente e assennato direi, ma lievemente maleducato.
    Spera di cogliermi in fallo sui fatti di queste terre per rafforzare la sua tesi riguardante la mia mancanza di appoggi.
    Oppure con uno slancio di incauta intraprendenza sta cercando di porsi come nemico inavvicinabile contro il quale io, come singolo, non potrei nulla per dimostrarmi quanto le trattative siano a senso unico, cercando la supremazia emotiva data dalla reale capacità di controllare tutti i flussi economici se si legasse a Kurogane e Kobayashi.
    Non darò una conclusione a queste ipotesi, sarà lei a mostrare le sue carte dopo che io reagirò ad ogni ipotesi con una reazione coerente a ciascuna delle stesse.


    Neanche per un secondo aveva abbandonato gli occhi del suo interlocutore, giungendo ad un interazione che aveva quasi dell’autistico, e sicuramente estremamente oltraggioso.
    Poteva essere una sfida, una battaglia o una prova: non l’avrebbe persa.

    Vuole finanziare i Kurogane?
    Bene, non glielo impedirò, potrà amministrare come crede le economie del villaggio, ma controllerò personalmente o mediante i miei fidati sottoposti cosa entra e cosa esce dal villaggio, che siano beni materiali o monetari. Con l’unico scopo di comprendere come si muoveranno questi flussi dai Kurogane e come loro li gestiranno, per riuscire a recidere le loro radici e di conseguenza annichilirli, in modo da non nuocere ne alla sua economia, in un primo momento, ne all’accademia, visto che mi procurerei un’occasione per eliminarli.
    Conosco i Kurogane e ciò che commerciano, non hanno altro destino se non questo.
    Se invece fosse lei il nemico?
    Beh, non dovrei parlare e fingermi accondiscendente per poi sgattaiolare fuori da quella porta e recidere le SUE radici senza che lei se ne accorga, ma non credo lei lo sia, per cui agirò d’istinto e gli dirò che qui sarei diviso tra due possibilità.
    Eliminarlo seduta stante, qualsiasi sua guardia è troppo distante per impedire una cosa simile.


    Il tavolino in quel momento ebbe un attimo d’esitazione, come se fosse vivo.
    Quel tremito poteva essere tutto fuorché sovrannaturale, era la Montagna che esitava.

    Il secondo caso, quello che avrebbe maggior successo, vedrebbe me convocare i restanti Daimyo in alto consiglio accademico e con loro valutare una famiglia più onorevole della sua da far salire al potere dopo il suo annientamento.
    Proprio i Kobayashi magari.
    Lei sarà anche il drago, ma l’accademia incenerirà questo palazzo con la forza dell’alleanza.
    Riguardo un monopolio dato con l’unione dei Kobayashi, beh, noi siamo i buoni, può anche farlo, ma se fosse un cattivo significherebbe vittoria per lei, e glielo impedirei.


    Si mise a braccia conserte, nascondendo le mani nelle opposte maniche del kimono.

    Ma so anche che il suo clan già appoggia il fuoco e ne fa parte per spontanea volontà.
    Non deve rimarcare quanto potere lei abbia a disposizione, perché quel potere ha scelto di utilizzarlo per proteggere qualcosa di più grande da ben prima che arrivassi io a chiedere il permesso di dargli una mano.
    E no, son sicuro anche che non avrebbe nemmeno invaso il villaggio perché nonostante le sue innegabili capacità non sarebbe stato così sciocco da incrinare gli equilibri accademici scommettendo in una labile possibilità di vittoria.
    Siamo un villaggio di shinobi, la guerra è il nostro mestiere, vorrebbe davvero mettere alla prova la volontà del fuoco?
    La foglia è nata prima del paese del fuoco, la foglia è nata prima dei Daimyo, la foglia è lo zoccolo duro del paese del fuoco, non il contrario.


    Concluse con un affabile sorriso.

    Mi permetta quindi una domanda a questo punto:
    Chi è lei?
    Un alleato? Un maestro? Un nemico? Un protettore?


    E Raizen, chi era adesso?

     
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    Re Dragone

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    «Sei un bambino, Raizen Ikigami.»



    Scuotendo la testa, ancora seduto sul pavimento di bamboo bianco finemente intrecciato della Prima Sala di Palazzo Kayoutei, il Re Dragone Kazutoshi Murasaki ghignò, estasiato da ciò che i suoi occhi vedevano e ciò che la sua mente percepiva. Il suo volto, una geografia di indecifrabili pensieri, si stirò in un'espressione compiaciuta, benché ancora una volta quale fosse il motivo di tanta soddisfazione non fu dato saperlo.

    «Sei ancora troppo ingenuo, la tua concezione di politica e amministrazione non ha basi solide. Ti muovi nella giusta direzione, ma lo fai più per l'istinto che nasce da ciò che hai sperimentato durante la tua vita piuttosto che per una reale preparazione, come un cucciolo appena nato ancora cieco che cerca le mammelle della cagna che l'ha messo al mondo.»



    Disse, inarcando un sopracciglio.
    I suoi occhi blu brillavano di quel tipo di attenzione che nasce dalla valutazione, dallo scrutare il proprio opponente sino alle profondità più intime della mente e della coscienza. Ed era giusto parlare di opponente, perché quella conversazione aveva cessato di essere un'affabile incontro di ideali da molto tempo ormai. Era una schermaglia giocata sulla scacchiera dell'intelligenza e della pianificazione, quella, un raffinato ed estatico duello di personalità ed ego contrastanti.
    E sembrava che qualcuno fosse appena riuscito a compiere lo scacco decisivo, ponendo fine alla partita.

    «Non sai mentire, né recitare una parte. Ci stai provando dall'inizio di questa riunione, ma ai miei occhi non sei né posato né elegante come avresti voluto essere. Indossi ancora la tua divisa, il tuo coprifronte e imponi alla tua bocca di non divenire fauci dandoti un autocontrollo che non ti è proprio.»



    Pronunciare quelle parole sembrò, se possibile, divertirlo ancora di più; quasi l'idea di essersi trovato fino a quel momento di fronte alla sicurezza che quel pessimo spettacolo avesse riscosso il risultato sperato, procurasse lui uno sconfinato senso di indulgenza.
    Sporgendosi leggermente in avanti, il Signore di Palazzo Kayoutei si limitò a posare il dito indice della mano sinistra sul pavimento, battendolo sopra con ritmica insistenza. Ancora una volta il suolo risuonò a vuoto.

    «La diplomazia non ti è consona. La gentilezza non è tua alleata. Non hai ricevuto un'educazione dotta. Sei un uomo rude, graffiante e poco incline alla cortesia gratuita, irritante persino quando desideri essere accondiscendente. Parli solo quando conosci l'argomento, e questo ti fa onore, ma la tua sicurezza spesso vela i tuoi occhi. Sei sicuro di detenere alcune verità, e tali verità non sembrano poter essere scalfite da nessuno. Sei restio, in altre parole, a cambiare il tuo punto di vista.»



    Affermò con semplicità, come se stesse profusendo complimenti e non accuse dirette ad inchiodare il Jonin al suolo...
    ...lo stesso suolo che improvvisamente iniziò a vacillare, a muoversi come onde animate dal flusso di un mare in tempesta.
    Prima ancora che Raizen potesse avere il tempo di rendersi conto che non era stato il Daimyo a fare niente, ma che stava succedendo qualcos'altro –qualcosa che, con orrore, non avrebbe saputo identificare–, il Re Dragone batté un'altra volta l'indice sul pavimento, e questo cessò immediatamente di muoversi.

    «Dai per scontate troppe cose, e non lo fai perché la tua mente risulta incapace di valutarle, ma perché godi ancora di quell'intraprendenza e irruenza cieca, ma tipicamente giovanile, che ti fa credere di essere in grado di poter risolvere tutto nei tempi e nei modi da te decisi; una sicurezza che io, invece, ho abbandonato da molti anni. Da quando ho capito che per quanto un atteggiamento simile possa "creare", è in grado anche di "distruggere".»



    Sorrise, e a quel punto mosse leggermente la testa in avanti. Non era un inchino, come quelle non erano osservazioni. Era un assenso all'inesperienza del suo interlocutore. E le sue parole erano sentenze.

    «Guardo al tuo carattere tumultuoso e alla tua inesperienza febbricitante come un adulto guarda ad un bambino: con paziente attesa. E' compito di noi adulti guidare il passo di voi bimbi, indicandovi la strada che è giusto intraprendiate perché possiate crescere in modo retto e integro, divenendo così, a vostra volta, gli educatori della generazione del futuro.»



    E così dicendo sorrise, affilando lo sguardo. Lo stesso dito che aveva scosso le fondamenta del suo castello si alzò ora lentamente dal suolo che ne accoglieva il suo peso, portandosi con flemma sulla figura del Colosso della Foglia.

    «Non è dell'adulto annichilire il bambino, ma è dell'insegnante essere severo con un allievo che denota un certo talento. La propensione all'eccellenza è un dono che deve essere smussato, raffinato e lustrato; ma soprattutto supportato.»



    A quel punto, abbassando leggermente la testa, il maestoso Re Dragone del Fuoco sbatté un pugno sul pavimento di fronte a sé, e facendo leva su un solo braccio si tirò in piedi.
    Il suo fisico mastodontico e la sua altezza intimidente sovrastarono Raizen persino da quella distanza, azzerando lo spazio che divideva i due opponenti come la bocca di una bestia che aveva finalmente aperto le sue fauci e aveva fatto sua la preda che aveva puntato da molto tempo.
    Quella spiazzante sensazione parve non essere che accentuata nei suoi dettagli animaleschi quando il Daimyo, sorridendo ancora una volta, si passò la lingua sulle labbra bruciate dal sole.

    «Incontrerai nella tua vita persone che ti accuseranno di tutti i mali, quelli del tuo Villaggio come primi, e di tutti i restanti come diretta conseguenza. Non perché tu ne sia sempre davvero colpevole, ma perché l'uomo tende a creare una vittima laddove l'orrore è troppo vasto per essere compreso e accettato.» Disse, aprendo il braccio sinistro. «Molte altre persone, invece, ti lusingheranno. Cercheranno in te una breccia, una fessura dalla quale entrare e in cui aprire i propri interessi per poterti distruggere dall'interno, tentando di sfruttare ciò che sei e ciò che rappresenti per i propri scopi. Ti verranno proposte verità false, la tua mente sarà indotta al dubbio e molte volte sarai costretto a fermarti per chiederti chi sei e dove ti stai dirigendo, ma soprattutto dove stai conducendo il tuo popolo.» Continuò, aprendo il braccio destro.

    Poi, improvvisamente, Kazutoshi Murasaki sbatté ambo le mani le une contro le altre.

    «Ecco perché un Capo non è mai solo. Nessuno può essere tutto, Raizen Ikigami, tantomeno tu. Nessuno. Nemmeno io sono capace di guidare un Paese senza l'appoggio delle persone che ho scelto come le radici del mio essere... del resto, non sono mai stato bravo in diplomazia, e se avessi voluto fare bella figura, oggi, avrei fatto venire qui mio figlio Shigeru, o Akihiko.» Digrignò i denti, snudandoli come una bestia paga della propria caccia...e del proprio pasto. «Ma nessuno dei due ha i poteri che ho io.» E ponendosi a braccia conserte, reclinò leggermente la testa all'indietro. I tendini e i muscoli del suo collo si gonfiarono dell'atto, dando quasi l'impressione che quell'uomo stesse aumentando di stazza.

    «Il tuo amore per Konohagakure è sincero. La tua indole indomabile è ciò che serve al Fuoco per riprendersi dalla crisi nata da un perdurato periodo di oscurità. Vedo in te il desiderio di cambiare le cose non per vantaggio personale ma per devozione nei confronti di qualcosa che non hai mai avuto prima di ora, e che adesso chiami a buon diritto “casa”.
    La tua potenza è un vessillo che si alzerà alto nei cieli della Foglia e che arderà della fiamma sacra che per secoli ha protetto queste Terre infondendo in esse la fecondità e il successo che solo dal fuoco può nascere, poiché il fuoco incenerisce, ma dalla cenere nasce la vita.»



    Un piede sbatté a terra.

    «Io, Kazutoshi Murasaki, Daimyo del potente Paese del Fuoco, ultimo esponente della gloriosa dinastia del Drago e della Magnolia...»



    Un ghigno divertito.

    «...dò la mia approvazione a Raizen Ikigami, il Gigante del Villaggio della Foglia.
    Da oggi e fino al giorno di una sua parola contraria, egli verrà conosciuto come il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato. La sua parola sarà legge, la sua mano lo scudo e la sua mente la lama per il popolo che guiderà e proteggerà.»



    Un paio di occhi blu come il cielo, profondi come l'oceano, affilati come un veleno.

    «La famiglia Murasaki supporterà l'Hokage e l'Hokage rispetterà l'emblema dei Signori del Fuoco, cosicché la pace e l'armonia vengano mantenute, la giustizia perseguita e la prosperità protetta. Possa questo patto di fiducia e rispetto non cessare mai, protrarsi nel tempo e rinnovarsi con gioia come un germoglio rinnova di vita la terra che chiamiamo casa.»



    E a quel punto il silenzio cadde.
    Il Re Dragone del Paese del Fuoco, dopo aver sostenuto lo sguardo dell'uomo che sedeva ancora di fronte a lui, si trattenne qualche istante prima di inarcare un sopracciglio. Il suo volto, mappamondo di emozioni sciolte nel cristallo dell'irrealtà e dell'incredulità che nasce da ciò che è imprevedibile, si ammorbidì in un sorriso sornione.

    «Beh? Cosa ti aspettavi, Raizen Ikigami? Un bacio sulla guancia e un bel mazzetto di fiori?» Domandò il Re Dragone, sghignazzando. «Spero che quell'espressione che ti sei stampato in faccia non sia per il bacio sulla guancia... non sono nemmeno sicuro di volertelo dare lì, figurarsi altrove.» Insinuò con quel tipo di ironia che lo Shinobi della Foglia avrebbe subito riconosciuto più per istinto che per consapevolezza: erano le parole di un soldato, quelle, non più di un Daimyo. «Seriamente, voi bambini mi fate ridere, siete così adorabili persino nel vostro essere ottusi e irritanti. Ah...» Mormorò, abbassando un ginocchio al suolo per poi lentamente lasciarsi cadere di nuovo a terra con apparente fatica. Niente più che una recita, era ovvio: quel fisico non denotava il minimo segno del tempo e sembrava essere in grado di poter combattere ancora centinaia di battaglie. «...sto invecchiando.» Gemette infatti il Daimyo, teatrale, mentre riportava il suo sguardo in quello di Raizen, sogghignando. «Un vecchio burbero testardo, direi.» Aggiunse, afferrando l'ultima striscia essiccata di carne piccante dalla ciotola che sostava di fronte a lui e piazzandosela in bocca senza troppe formalità. La sua gestualità, il suo comportamento, stavano lentamente riacquistando quel tono marziale, e proprio per questo così rassicurante e comprensibile, degli inizi di quella riunione politica. «Infatti sto ancora aspettando, Raizen Ikigami, e penso continuerò a farlo finché non mi darai ciò che cerco: voglio qui i tuoi appoggi, quelli che hai decantato di avere come anime gemelle. Questi prodigiosi Shinobi, dove sono esattamente?» E guardando con aria sconsolata la ciotola ormai vuota di bocconcini speziati, il Daimyo incurvò le sopracciglia verso il basso. «Penso che avremo piacere di aspettarli giungere con altre due bottiglie di saké e magari qualcosa di più sostanzioso da mangiare, poiché come tu hai avuto la mia approvazione, anche loro devono passare per lo stesso vaglio...» Mormorò, assorto, prima di alzare di nuovo la voce «Hai sentito, Hakuya?» Disse infatti, alzando lo sguardo in un punto imprecisato della sala.... che, però, era ancora vuota. «Và a chiamare Susumu, subito.»

    [...] E ciò che Raizen Ikigami avrebbe trovato sconvolgente, arrivati a quel punto, non era la consapevolezza che quell'uomo lo aveva manipolato, gestito e preso in giro fino a quel momento, togliendo fuori da lui esattamente ciò che aveva voluto tirare fuori, pianificando la partita di quell'incontro in modo tale che tutte le pedine disposte sulla sua scacchiera si muovessero come desiderato, benché lui non si fosse neanche scomodato ad uscire dalla sua postazione; non fu l'improvvisa e incredula realizzazione che per tutto quel tempo aveva reagito semplicemente come quell'individuo si aspettava facesse, quasi fosse davvero un bambino che si limita a rispondere alle ramanzine di un adulto che cerca di insegnare lui qualcosa, e neanche il capire di trovarsi dentro il covo di un Drago Leggendario e di una progenie altrettanto terribile, di cui non aveva avvertito fino a quel momento né la presenza né le capacità...
    ...ma il fatto che appena un minuto dopo la porta scorrevole in fondo al Salone si aprisse dopo un flebile annuncio, e sull'uscio comparisse Susumu, prono in un inchino, che annunciò con il suo tono di voce flemmatico che ciò che era stato ordinato sarebbe arrivato a breve.


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    Gli appoggi








    Raizen non era una di quelle persone che accettava di buon grado le critiche, soprattutto quando non erano intenzionalmente travestite da consigli o ancora peggio se non le trovava fondate, figurarsi se entrambe le cose avvenivano contemporaneamente.
    Fu costretto a ripetersi più di una volta il motivo per cui era li, quasi come una cantilena, una preghiera rilassante che gli impediva di essere proprio ciò che il Daimyo lo accusava di essere.
    Il pavimento stesso iniziò a vacillare come a scuoterlo da un sogno bambinesco che lo vedeva guidare Konoha in un era di prosperità e pace.
    E dopo la pioggia di critiche, l’altisonante annuncio.

    …eh?

    Strabuzzò gli occhi quasi si fosse riavuto da chissà quale pensiero, un commento del tutto giustificabile quello di Kazutoshi, non poteva immaginare la sua espressione, ma il suo stupore non poteva certo renderla uno spettacolo degno degli stessi vestiti che indossava.
    Quell’altalena di emozioni l’aveva lasciato frastornato, la sua ira dopo aver raggiunto un picco che credeva l’avrebbe portato a strappare via la lingua di bocca al Daimyo scemò rapidamente sulle parole di alleanza, dileguandosi per lasciare il posto ad una risata profondamente liberatoria che riempì la sala con un suono melodioso quanto profondo.
    Non era ne ironico ne tantomeno allegro, stava semplicemente eruttando lo stress nella maniera che il suo fisico reputava migliore.

    Kazutoshi-sama, non condivido tutte le sue osservazioni, ma cercherò di fare tesoro di esse.
    Vorrei però farle notare che io non sto recitando, e non era mia intenzione farlo, tuttavia il titolo che portate e la vostra stessa persona mi hanno portato a questo.


    Disse mentre indicava se stesso.

    Non mi sembrava semplicemente consono venire qui con gli stessi abiti che uso per le missioni, spettinato e tutto il resto, semplicemente mi sono dato una riordinata.
    Stessa cosa per il mio modo di parlare, e di essere.
    Lei ricopre un posto troppo elevato nella nostra gerarchia perché io mi possa permettere di essere me stesso, per cui semplicemente evito di esserlo, ma non credo possa definirsi recita.
    Son venuto qui con la chiara intenzione di farmi giudicare per ciò che sono, e non per ciò che dovrei apparire, i vestiti sono nient’altro che crosta, nemmeno un guscio.


    Prese il bicchierino da sakè in mano, colmandolo, ed aspettando che Kazutoshi facesse lo stesso.

    Un bacio sulla guancia no, ma direi che un Daimyo può brindare alla buona sorte di un Hokage-ragazzo.
    Dopotutto è una storia già sentita se non sbaglio.
    Pare che l’istinto, dopotutto, sia un arma vincente.


    Svuotò il bicchierino per poi sospirare.

    Riguardo i miei appoggi c’è una cosa che vorrei sottolineare, sono appoggi, e ci sono compiti che volente o nolente, filosofia o meno questi non possono svolgere, ci saranno volte in cui falliranno anche nei compiti che reputavo giusti per loro, tuttavia, come da lei detto non potrò farne a meno.
    Questo per dire che un appoggio non è esclusivamente fonte certa di serenità, ma solo un carretto che facilità il trasporto di alcuni impegni.
    Il mio primo appoggio, come lei stesso ha detto, è lei. Ma questo è scontato.
    Riguardo gli altri ho due nomi per gestire altrettanti punti focali del villaggio.
    Atasuke Uchiha, di cui ha sicuramente saputo per via del successo portato assieme a me nel preservare Konoha dall’attacco terroristico.
    E poi, Shizuka Kobayashi, si, l’unica erede del medesimo clan da lei citato in precedenza.
    Non posso usufruire di un intero villaggio, ma sono certo che entrambi sono fedeli alla Foglia in una maniera incatalogabile.
    Se dell’onestà è presente al villaggio non mi è dato conoscere oltre loro due.
    A questo punto direi che non ci resta che aspettare il loro arrivo.


    Avrebbe acconsentito all’invito del Re, seguendolo in una seconda stanza più consona all’attesa.
    Konoha aveva un nuovo Hokage, e per quanto il Re Dragone avesse tessuto fini tranelli nel suo cammino era stato così abile da rivoltarli mentre vi passava accanto, per quanto Kazutoshi avesse cercato di manipolare il Colosso per fargli mettere il piede in fallo non vi era riuscito, e di certo non poteva vantarsi del fatto di aver fatto dare a Raizen le risposte corrette.
    Il Daimyo l’aveva chiamato istinto, a Raizen non gli serviva dargli un nome, l’importante era che non portasse a risposte errate.



    La convocazione



    Mentre i due riposavano la mente gozzovigliando, due messi sarebbero giunti a Konoha, recando formale invito nella magione del Daimyo, Kazutoshi Murasaki.
    Non come semplici civili, ma come shinobi della foglia.
    Al loro arrivo nel palazzo -presumibilmente intorno alle quattro del pomeriggio- avrebbero trovato, nella medesima stanza in cui aveva ricevuto udienza Raizen –raggiunta mediante lo stesso percorso- il Daimyo e un’altra figura, bendata di nero da capo a piedi particolare “uniforme” sopra cui portava una divisa ninja di foggia antica anch’essa nera, quasi un ombra vestita di oscurità di cui era possibile vedere esclusivamente gli occhi color ghiaccio ed una sottile striscia di pelle chiara.
    Un uomo addestrato al combattimento a giudicare dalla corporatura, ma niente più.
    Stava seduto accanto al signore delle terre del fuoco quasi sovrastato dal fisico imponente di quest’ultimo.
    Seduto a gambe incrociate sulla pedana rialzata di fine bamboo bianco, Kazutoshi Murasaki, il Re Dragone delle Terre del Fuoco, sorrise ai due Shinobi che sostavano di fronte a lui. Come etichetta prevedeva, i loro volti erano rivolti al suolo e il loro pugno sinistro premeva il pavimento, coprendo perciò le loro espressioni che però, per quanto irreale potesse sembrare, il Daimyo sembrava poter indovinare perfettamente.

    Difficilmente riconoscerete il suo aspetto, ma Colui che siede al mio fianco è il ninja migliore che la Foglia possa vantare, ed è probabilmente il motivo per cui, di fatto, le sue reali sembianze vi dicono ben poco.
    Ebbene, egli è giunto al mio cospetto per una valutazione: quella per diventare il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato.


    Asserì con flemma, quasi stesse esponendo la cosa più semplice ed intuitiva del mondo. Spostando lentamente il suo volto dal palmo della mano sinistra a quello della destra, il Daimyo sorrise, ironico. I suoi occhi blu, per un attimo, si soffermarono sulla figura dell'unica donna dei due, facendosi affilati di un tipo di interesse tutto nuovo, quello tipico che nasce dallo stupore e, forse, da un nuovo tipo di rispetto.

    Siete con orgoglio i primi a venire a conoscenza del fatto che tale vaglio è stato superato con successo.
    Ha ottenuto la mia approvazione come Hokage, e da oggi sarà conosciuto con questo titolo.


    Disse, mentre i suoi occhi passavano incalzanti dall'uno all'altra presente, divorando ogni immagine con divertimento.

    Ma non è per questo che siete stati convocati. Certo il piacere di essere i primi per una notizia del genere non vi rende degni di sedere al cospetto del Daimyo del Paese del Fuoco.

    Asserì, riportandosi solo a quel punto in eretta postura, intrecciando poi le mani in grembo mentre reclinava leggermente il poderoso collo all'indietro.

    Egli ha fatto il vostro nome, quali ninja degni di rispetto e stima, devoti al vostro villaggio come un figlio lo è con la propria madre. Ha fatto il vostro nome perché questo si accompagni al suo, come suo supporto e sostegno nel lungo percorso che da ora in poi lo aspetta... ma ovviamente, ai miei occhi, non siete nient'altro che due pulcini implumi. Benché il vostro nome vi preceda con onore, non vedo in voi due shinobi di tale ampio rispetto, ma due bambini.

    Sentenziò, inarcando un sopracciglio mentre ritornava a sorridere.
    Il suo volto, enigmatico e silenzioso, custode di quel genere di imprevedibilità causa di angoscia e dubbio, fu l'unica imponente e schiacciante presenza che i due giovani Shinobi si sarebbero ritrovati a fronteggiare quando, con un gesto secco della mano, furono invitati ad alzare lo sguardo dal pavimento.
    Kazutoshi non domandava mai.




    [gestite pure voi la lettera di convocazione, magari mettetevi d'accordo per un format comune]
     
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    CONVOCATION

    Actions are the seed of fate deeds grow into destiny.




    Correva.
    Correva per la sua vita.
    Veloce come il vento ma, soprattutto, come la speranza.

    «VIENI SUBITO QUI FIGLIA DEGENERE!»



    Svoltò un angolo tanto rapidamente da essere costretta a posare una mano sul lucido pavimento di legno per evitare di scivolare. Il suo volto, contratto in un'espressione di puro panico, brillava alla luce del sole pomeridiano a causa di due grossi lacrimoni che vestivano i suoi splendidi occhioni verde smeraldo.

    «COSA HAI OSATO FARE STAVOLTA, SHIZUKA?! EH?!»



    Ruggì la voce di un demone.
    Un coltellaccio da cucina si conficcò in un albero dal tronco nodoso che svettava nei meravigliosi giardini di un'enorme magione dall'architettura tradizionale...
    ...la stessa in cui la ragazzina -capelli castani al vento e un kimono rosa pesca tutto storto addosso- stava correndo disperatamente, svoltando un angolo dopo l'altro, saltando da finestre aperte, calciando via gli ostacoli che si trovava di fronte (tra cui suo padre, che planò nel giardino di rose tenendo ancora in mano il giornale del giorno), e tutto nel vano tentativo di rallentare l'oscura presenza che incalzava dietro di lei.

    «Non ho fatto nulla, lo giuro! LO GIURO!»
    «COME SE TI CREDESSI, STOLTA RAGAZZINA! TI UCCIDERO' STAVOLTA! SEI LA VERGOGNA DEL PRESTIGIOSO CLAN KOBAYASHI!»



    Latrò la voce... di una donna tra le più belle mai vedute, la quale, svoltando l'ultimo degli angoli scelti dalla fuggitiva –a quel punto orrendamente in trappola tra la fine della pedana rialzata su cui si trovava, gli sconfinati giardini della villa che si estendevano oltre questa e i muri di cinta che li chiudevano.
    I setosi e lunghissimi capelli corvini ricadevano su un kimono scarlatto a sei strati, incorniciando un volto ovale dalla carnagione di luna distorto però in un sorriso grottesco che faceva brillare gli occhi scuri come gemme. Il che era, in effetti, la cosa più angosciante.
    «C-c-calma Okaa-sama....» Gemette con voce strozzata la ragazza, tentando di deglutire. «P-parliamone democraticamente...»
    «Il tempo delle parole è finito.»
    Rispose Heiko Uchiha, accennando ad uno splendido sorriso di fronte al quale la giovane, che per puro caso e disgrazia era anche sua figlia, iniziò a sudare copiosamente. «Sei la Principessa del più potente Clan civile del Paese del Fuoco... sono anni che stiamo pianificando il tuo matrimonio con Akihiko Murasaki... e tu invece cosa fai? Lo picchi!» Sibilò la matrona della villa, adesso visibilmente allibita. «Picchi il figlio del Daimyo!» Ripeté, evidentemente non facendosene una ragione. «E la lettera è la conseguenze delle tue azioni, piccola–...»
    «Non è proprio andata in quel modo, cioè...» Tentò di giustificarsi la chiamata in causa, alzando il dito indice della mano sinistra.
    «Fai silenzio, ottusa ragazzina, e non osare interrompermi!» Ringhiò la Signora del Palazzo con occhi dardeggianti di collera. «Maledizione, Shizuka! Hai vent'anni! Smettila una buona volta di fare la tsundere!»
    «La cos–...»
    Strillò strozzata l'altra, spalancando la bocca. Sentire la parola “tsundere” sulle labbra di sua madre era in effetti l'ultima cosa che si sarebbe aspettata quel giorno.
    «Già, tua madre ha ragione... smettila Shizu-chin! Mi hai rovinato il giornale! Guarda qua!» Piagnucolò improvvisamente una terza voce prima che Toshiro Kobayashi facesse capolino alle spalle delle due donne, zampettando sulla punta dei piedi e sventolando disordinatamente un giornale strappato a metà sopra la testa come sempre scompigliata. Benché fosse vestito di broccati e sete pregiate, l'espressione da cucciolo bastonato non gli conferiva proprio la maestosità che si presupponeva dovesse avere il Capoclan della più ricca dinastia di mercanti del Fuoco.
    Dietro di lui vi erano altre tre persone: una ragazza vestita di un austero kimono scuro, di circa vent'anni e con corti capelli a caschetto rossi; e due uomini. Il primo, con un curato pizzetto moro e uno spartano Hakama bicolore, si affrettò ad uscire dal quadro della scena pur non discostandosi però più di qualche passo dal Capoclan, accanto al quale si fermò a testa bassa; mentre il secondo, con indosso la classica divisa lineare da shinobi e un haori purpureo recante il simbolo del Clan Uchiha, teneva in mano una lettera filigranata d'argento. Benché la differenza d'età fosse sicuramente di circa dieci anni a sfavore del nuovo arrivato, quell'uomo aveva gli stessi lineamenti affilati e lo stesso colore degli occhi della matrona di Magione Kobayashi.
    «Heiko, non ritengo che Shizuka abbia fatto nulla. La lettera, del resto, non sembra dare allusioni a niente del genere.» Disse l'uomo, guardando la donna con fare dubbioso. «Non penso che il Daimyo possa convocare Shizuka come Shinobi per qualcosa che ha sbagliato come Erede dei Kobayashi. Sicuramente c'è un malinteso.»
    «Esatto! Sicuramente!»
    Gli fece eco Shizuka prima che un ventaglio chiuso la colpisse dritta in faccia con una tale velocità da non permetterle neanche di schivare. Portandosi le mani al viso la giovane kunoichi si accucciò a terra, tirando su con il naso mentre la rossa coetanea le si avvicinava, iniziando ad accarezzarle la schiena con comprensione.
    «Senti qui...» Riprese a dire l'Uchiha, sospirando con rassegnazione. E schiarendosi la voce, iniziò a leggere:

    « "Kazutoshi Murasaki,
    ultimo esponente della dinastia del Dragone e della Magnolia, e Daimyo del fiorente Paese del Fuoco, richiede udienza, in data odierna e con la massima urgenza, alla shinobi Shizuka Kobayashi, Chunin di Konohagakure no Sato.

    In fede del rapporto di collaborazione e rispetto intercorrente tra il grande Clan del Fuoco e il Villaggio della Foglia, si richiede la priorità per tale convocazione."
    »



    Silenzio.

    «...niente squisitezze formali, niente allusioni a té e biscotti, il nome di Akihiko non compare neanche una volta.» Sussurrò Heiko, facendosi pallida. Un secondo dopo si era già voltata verso la figlia, inchiodandola sul posto con una tale potenza da indurla a gemere come un agnellino.
    «Shizuka vive la difficile vita di due identità differenti, Heiko. E' la Principessa dell'Airone, ma anche una fiera ninja di Konoha.» Rispose Toshiro Kobayashi, guardando la moglie allegramente prima di avvicinarsi per prenderle le mani e indurla a danzare sul posto, probabilmente per smorzare la tensione. Per tutta risposta un pugno lo colpì alla bocca dello stomaco, facendolo stramazzare a terra.
    Visto che non si mosse più, probabilmente era morto.
    «Sorella, la lettera è arrivata venti minuti fa. Qualsiasi siano le motivazioni del Daimyo per tale convocazione, se non lasciamo partire Shizuka, non le sapremo mai.» Disse l'Uchiha, guardando fissamente il cognato a terra. Sembrava vagamente divertito dalla scena, più che contrito. «In quanto tempo puoi arrivare lì, Shizuka?» Chiese poi, trattenendo delle risatine.
    «Con un po' di impegno e nessuna sosta circa tre ore, mh...» Mormorò la chiamata in causa, ignorando il cadavere del padre a terra. «Arriverò lì per l'ora della scimmia, Isamu Ojii-sama.»
    «Eccellente.»
    Rispose lui, sorridendo mentre si avvicinava alla sorella, che bloccò per il bavero del kimono. «E ricordati il coprifronte!»

    ...Ma ovviamente il coprifronte non se lo era messo, come sempre del resto. Aveva smesso di portarlo con sé dal giorno del tradimento del fratello, e benché molti criticassero quella scelta come un insulto al Villaggio, si diceva che Shizuka Kobayashi avesse preferito tatuarsi il simbolo della Foglia direttamente sul corpo –giacché un coprifronte si poteva buttare, ma la pelle non si poteva strappare–, benché nessuno avesse mai scoperto che genere di tatuaggio quello fosse e soprattutto dove fosse collocato...

    «Kobayashi Ohime-sama...!»



    Un vassoio pieno di vettovaglie cadde rovinosamente a terra e una voce femminile strillò, profondamente turbata, quando una cameriera, svoltando un angolo del Castello presso cui serviva, si ritrovò di fronte Susumu affiancato da una donna...
    ...questa era vestita interamente di nero. Un paio di aderenti pantaloni di pelle infilati in due alti stivalacci di cuoio alti fino alle ginocchia sottostavano ad un bustino scuro, stringato sulla schiena, che cingeva un seno prorompente e che metteva in risalto una serie sinuosa di curve morbide e mature, scevre da quel tipo di magrezza estrema tipica di un certo genere di kunoichi. Lunghi capelli castani ricadevano scompigliati sulle spalle nude, incorniciando un volto ovale dai profondi occhi smeraldo e carnose labbra rosse, scendendo poi sulla spalla sinistra... forse un debole tentativo di coprire un orribile cicatrice grossa tre dita che, pallida, sfregiava quella carnagione chiara, scivolando tra i due seni per poi cadere ancora più in basso.
    La donna non indossava nessun simbolo, né stemma, niente che la riconoscesse come Shinobi, tantomeno come Shinobi di Konoha. Era un'ombra. Buia e silenziosa. Niente di più.
    «Fatti da parte Kurumi.» Si limitò a dire Susumu, guardando con piattezza il vassoio a terra prima di accerchiare la domestica sconcertata e proseguire.
    Quella scena si ripeté diverse volte nel tragitto che servì a Shizuka Kobayashi per essere guidata fino alla Prima Sala di Palazzo Kayoutei, e benché lei lanciasse sempre uno sguardo gentile alla persona che indietreggiava di fronte alla sua immagine, sperando così di rimediare in qualche modo, si rese conto che c'era poco che potesse davvero fare in merito.
    Come Principessa ed unica Erede del più influente Clan non Shinobi del Paese, aveva frequentato Palazzo Kayoutei e la dinastia Murasaki da quando le tradizioni della sua famiglia le avevano permesso di abbandonare Konoha e seguire il padre nei lunghi viaggi commerciali che le avrebbero insegnato l'arte di divenire l'undicesima Capoclan dell'Airone. Aveva frequentato i figli di Kazutoshi Murasaki, e in particolare il Principe Akihiko, da quando ancora indossava gli hakama da bambina, e chi serviva il castello da abbastanza anni l'aveva dunque sempre e solo conosciuta in quella veste... trovarsi di fronte una donna alla soglia dei ventun'anni, vestita al limite della decenza e sfregiata come la preda che sapeva ormai di essere, immaginò non fosse una cosa facile da accettare.

    «Shizuka Kobayashi è arrivata, mio padrone e unico Signore.»



    Disse Susumu quando i due arrivarono di fronte ad un'imponente porta a due battenti. Essere introdotta in quel modo, senza titoli onorifici, indusse nella Principessa della Foglia un'improvvisa e lancinante paura.
    Non sarebbe dovuta venire, ora lo sapeva.

    «Falla entrare, Susumu.»



    E a quel punto le due ante di riso scorrevoli si aprirono di scatto.

    […] Aveva già visto la Prima Sala.
    Quando era piccola Shigeru la faceva sempre nascondere dentro la stanza comunicante che si trovava sulla destra rispetto al corridoio principale –rammentò, volgendo la sua attenzione in quella direzione quasi per istinto. Come sempre da che aveva memoria, anche quella volta la Sala era vuota– perché la principessa Akemi non la trovasse quando giocavano a nascondino, di modo che lei, che era la più veloce a correre, potesse far vincere il loro gruppo toccando la base del gioco.
    Akihiko, al tempo e fino a quattordici anni, quando cominciò ad evitarla con imbarazzo per motivi che non aveva mai compreso, si nascondeva sempre dietro i due semi-battenti intarsiati d'oro che anticipavano l'anticamera riservata al Daimyo –continuò a ricordare, riportando allora lo sguardo di fronte a sé, verso la pedana rialzata in fondo alla lunga sala nella quale stava camminando a passo deciso ma elegante, e in cui due mastodontiche figure sedevano in silenzio–, perché da quella posizione la poteva guardare e tranquillizzare.
    Deglutì, sentendo un groppo alla gola dettato dal quel tipo di ansia che nasce dal dubbio, e improvvisamente desiderò che qualcuno le dicesse cosa diavolo ci faceva lì.

    «Shizuka Kobayashi al vostro servizio, Murasaki-sama.»
    Disse la Principessa della Foglia quando infine si portò in corrispondenza dei battenti. Lì si fermò, come etichetta voleva, e posando un ginocchio a terra batté il pugno chiuso della mano destra di fronte a sé, abbassando poi lo sguardo sul pavimento. Detto questo, però, non aggiunse altro. Né la frase tipica che ogni Capoclan ed Erede Kobayashi è tenuto a dire in presenza di alte cariche, a maggior ragione con quelle con cui sono intrattenuti rapporti commerciali, né la preghiera tipica della Foglia. Rimase semplicemente zitta, neutra e pulita. Non sapeva ancora perché era lì, e non aveva nessuna voglia di scoprirlo commettendo un errore...
    ...qualcosa però che seppe non si sarebbe esulata dal fare quando venne annunciata una seconda persona: Atasuke Uchiha.
    «Atas–...» Ripeté, strozzata, letteralmente trasalendo sul posto, ma imponendo con uno sforzo immane alla sua testa di non alzarsi.
    Atasuke? A Palazzo Kayoutei? Perché?
    […] N-no fermi... a Palazzo Kayoutei... in un raggio d'azione inferiore ai dieci miliardi di chilometri da Akihiko Murasaki.
    Facendosi pallida come un cadavere, Shizuka Kobayashi sorrise allegramente: non sapeva che Dei aveva offeso, da piccola, ma dovevano essere quelli più incazzati di tutta la volta dei Cieli, ormai era evidente.

    "Difficilmente riconoscerete il suo aspetto, ma Colui che siede al mio fianco è il ninja migliore che la Foglia possa vantare, ed è probabilmente il motivo per cui, di fatto, le sue reali sembianze vi dicono ben poco.
    Ebbene, egli è giunto al mio cospetto per una valutazione: quella per diventare il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato."



    Quelle parole risuonarono come un colpo nella notte: irreali e brusche.
    Immobile con ancora lo sguardo rivolto a terra, la Principessa di Konoha aggrottò la fronte, facendosi rigida.
    ...Hokage?

    "Siete con orgoglio i primi a venire a conoscenza del fatto che tale vaglio è stato superato con successo.
    Ha ottenuto la mia approvazione come Hokage, e da oggi sarà conosciuto con questo titolo.
    Ma non è per questo che siete stati convocati. Certo il piacere di essere i primi per una notizia del genere non vi rende degni di sedere al cospetto del Daimyo del Paese del Fuoco."



    ...Perché?

    "Egli ha fatto il vostro nome, quali ninja degni di rispetto e stima, devoti al vostro villaggio come un figlio lo è con la propria madre. Ha fatto il vostro nome perché questo si accompagni al suo, come suo supporto e sostegno nel lungo percorso che da ora in poi lo aspetta... ma ovviamente, ai miei occhi, non siete nient'altro che due pulcini implumi. Benché il vostro nome vi preceda con onore, non vedo in voi due shinobi di tale ampio rispetto, ma due bambini."



    Ferma al suo posto, la ragazza tacque.
    La sua mente, ferma in quell'istante che precede l'elaborazione logica della pioggia di sentimenti irrazionali che si abbattono su una persona colta alla sprovvista, e come tale smarrita, si fece bianca.

    ...Aveva fatto il suo nome? Quell'uomo?

    Hokage...?

    Quando.
    Quando erano state avviate le procedure per l'elezione di un nuovo Hokage? Quando era stato il preciso momento in cui il concilio shinobi si era pronunciato a favore? In cui il nome del candidato era stato conosciuto nel villaggio in attesa che lo fosse anche dal Daimyo?
    L'attacco terroristico di Karasu Uchiha, il cacciatore di Kurotempi, aveva distrutto l'amministrazione e dato per disperso il vecchio Hokage. Di lui non si era saputo più nulla e la nuova corrotta amministrazione non sembrava intenzionata a volersi pronunciare in proposito. Non pensavano di fare chiarezza? Il popolo di Konoha non meritava una risposta...?
    E poi l'attacco del Gobi, l'ennesima distruzione, il decesso della forza portante...
    … e ora un nuovo Hokage?
    Perché?

    Era troppo presto. Tutto troppo veloce.
    Non era questa la procedura giusta.
    Perché Kazutoshi Murasaki era lì? Cosa aveva approvato precisamente? Chi era quell'individuo?

    No.

    Shizuka Kobayashi era solo una volgare Chunin, ben lontana dalla vetta gerarchica Shinobi. Sapeva perfettamente che, tra molti suoi altri parigrado, era quella meno meritevole di trovarsi lì in quel momento. Non era capace come tanti altri in combattimento, e certo per quanto avrebbe continuato a servire Konoha non avrebbe mai espiato abbastanza la pena di essere la causa della sua prima distruzione. Le lapidi dei morti che aveva ucciso con la sua inettitudine popolavano ancora i suoi incubi.

    No. Non era una brava ninja...
    ...ma era un'eccellente Principessa, e come tale conosceva la politica, sapeva di diplomazia, di legge internazionale ed era in grado di trattare come l'erede di un clan di mercanti doveva saper fare.
    In nome di tutto questo sapeva che qualcosa non quadrava.
    Quella non era la procedura giusta. E certo non poteva essere un accordo militare.

    «Trovo intraprendente che qualcuno che non si è degnato di riferire il proprio nome si permetta di fare quello altrui.» La sua lingua schioccò prima ancora che lei potesse frenarla e la ragazza seppe, a quel punto, che difficilmente ci sarebbe riuscita in seguito. «Murasaki-sama, la vostra convocazione è per me motivo di orgoglio, ma le ragioni che hanno indotto a pronunciarla risultano ai miei occhi di difficile comprensione.» E così dicendo, alzò lo sguardo. I suoi occhi, rapidi, si portarono sull'ombra nera che sedeva al fianco della persona alla quale si rivolgeva e di cui, a causa dell'abbigliamento, vedeva solo gli occhi di un gelido azzurro. «Perdonate la mia negligenza e ottusità, vi prego, sono solo una bambina alle prime armi, incapace di fronteggiare la maestria del ninja migliore che la Foglia possa vantare...» Come le era peculiare aveva già imparato a memoria il discorso del Daimyo, e sembrava aver anche fatto altrettanto con l'aspetto dell'individuo sconosciuto. «...ma sono costretta a chiedere le ragioni di questa circostanza.» Sorrise educatamente, riabbassando poi la testa. «Mi sembra prematuro parlare di appoggi quando mancano le basi per la nomina che li presuppone. Essendo solo una Chunin, nient'altro che una voce in un indice, permettetemi di leggere la documentazione approvata dal concilio shinobi, così che l'inesperienza che ha portato i miei nobili signori a trovarsi qui e oggi possa essere colmata dalla Legge del Fuoco che la Volontà di Konoha supporta e protegge.» Disse. Teneva la testa bassa, ma ora non troppo da essere incapace di vedere lo spostamento delle gambe e dei corpi dei due uomini che sostavano di fronte a sé. Istintivamente, tese i muscoli. «Stiamo parlando di accordi Shinobi o accordi di altro genere?» Domandò alla fine, immobile. Lo spiraglio aperto da quella domanda era uno squarcio inflitto a sangue freddo e parlava chiaro del vero significato inteso dalla ragazza.


    Shizuka Kobayashi non era una brava ninja, ma era intelligente, un'attenta osservatrice e un'abile stratega.
    Ma soprattutto, sapeva a chi avrebbe dovuto riportare le sue informazioni e cosa fare per fermare qualcosa che poteva essere l'ennesimo seme del marciume che aveva distrutto il suo Villaggio.



    Edited by Arashi Hime - 9/5/2015, 20:57
     
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    Narrato

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    [Abilità/Potenziamenti/tecniche]


    ~Una giornata di lavoro particolare~


    Si stava riposando quel giorno Atasuke. O perlomeno era quello che stava facendo, o per meglio dire, cercando di fare, quando Yamazaki venne a cercarlo trepidante bussando alla porta della sua casa.
    Data la totale assenza di preavviso, Atasuke ovviamente non era propriamente “pronto” alla chiamata. In fondo era nel pieno del suo riposo, anche se per lui “riposo” spesso significava allenarsi in casa propria nella piccola palestra del piano sotterraneo.
    Mentre udiva il sottoposto bussare pesantemente alla sua porta, Atasuke stava terminando una delle innumerevoli ripetizioni che faceva con il bokken che usava in allenamento per raffinare la movenza della sua lama e la precisione dei suoi colpi.

    °Chi sarà con tanta fretta?°


    Si chiese asciugandosi il sudore dalla fronte con un panno e dandosi una prima rapida passata anche sul torso nudo. Imboccò quindi la scala afferrando con la mano la parte superiore del keikogi bianco che soleva indossare in allenamento e salì fino alla porta, finendo per aprirla prima ancora di aver terminato di rivestirsi.

    “ATASUKE SAMAAAAAA, ATASUKE SAMAAAAA, ATASU...”

    «Che c'è Yamazaki?»


    Lo interruppe lui con estrema calma, nettamente in contrasto con la furia delle urla del genin neo guardiano, il quale quasi si trozzò per lo spavento.
    Rimase tuttavia impassibile, ciudendo con calma il suo abito ed annodandone con sapienza e precisione i lacci, altra cosa che Atasuke adorava fare con la dovuta calma e precisione, rispettando in ogni gesto l'arte dei nodi.
    Yamazaki, riavutosi, smise di ansimare, iniziando a riportare quello che stava accadendo.

    “Atasuke sama... Una convocazione... Voi due... Daimyo...”

    «Yamazaki, cerca di darti un contegno, non sto capendo minimamente quello che cerchi di dirmi... Quante volte ti ho detto di non farti prendere dall'agitazione? Come pensi di reagire in caso di attacco se un semplice messaggio ti manda a tal punto in paranoia?»


    Lo rimproverò con il giusto grado di fermezza, ma senza voler inutilmente infierire sul giovane, il quale, decise saggiamente di riprendere bene fiato prima di rispondere.

    "Perdonatemi... Ma credo che l'importanza del messaggio possa in qualche modo giustificarmi..."

    «Sentiamo dunque...»

    "Sono arrivati alle mura due messaggeri, entrambi dal palazzo del Daimyo..."


    °Due messaggeri del Daimyo?°

    "Portano con se una richiesta, un messaggio di convocazione..."

    °Addirittura una convocazione del Daimyo? La questione sembra seria quindi...°

    "Una è per voi... L'altra è per Shizuka Kobayashi..."


    °Io e Shizuka siamo stati convocati dal Daimyo!?°


    A quella notizia Atasuke non trattenne uno sguardo stupito. Evitò quantomeno di apparire esageratamente imbarazzato o spaventato dalla cosa. Tuttavia non era cosa comune una convocazione a quel palazzo. Men che meno per uno shinobi come lui, e sapendo delle passate parole dette a villa Kobayashi, temeva che queste fossero in qualche modo giunte al Daimyo che ora voleva chiudere la questione.

    °Non va bene... All'interno delle mura ho un minimo di autorità e importanza, quindi non potrebbero eliminarmi in libertà... Ma al palazzo del Daimyo... Li si che potrebbero colpirmi e farmi sparire senza lasciare traccia... Non va bene... Non va affatto bene!°

    "Il messaggero vi attende alle mura. Ha detto che non accettava di consegnare il messaggio se non a voi"


    Le parole di Yamazaki lo riportarono alla realtà, facendogli ricordare i compiti che aveva in quel particolare frangente.

    «D'accordo... Torna alle mura allora, inizia a portare le mie scuse per il mio ritardo e comunica che sarò da lui il prima possibile... Prima di mettermi in marcia temo dovrò darmi una minima sistemata...»


    Yamazaki rispose solo con un semplice cenno di assenso e si congedò immediatamente, dirigendosi nuovamente al suo posto.
    Atasuke dal canto suo chiuse la porta e si diresse immediatamente sotto la doccia. Lungo il breve tragitto però si rese conto dell'ora e comprese che era ormai fin troppo tardi per fare tutto ciò che andava fatto e giustamente il messo non aveva di certo tutta la giornata per attendere.
    Incrociò quindi le mani, creando rapidamente un clone che spedì in cucina a preparargli un pasto rapido mentre lui si dedicava ad una salutare quanto necessaria doccia per rendersi presentabile all'uomo che lo aveva convocato.
    Certo non sapeva che cosa quel messaggio contenesse, ma sapeva che non era una buona idea presentarsi sudato dopo una sessione intensiva di allenamento.

    [...]


    Dopo "pochi minuti" Atasuke era perfettamente rimesso a nuovo. I Capelli in ordine e gli abiti finemente stirati come conveniva. Certo non voleva apparire un damerino, tuttavia non voleva rischiare di mancare di rispetto con un'abbigliamento poco consono, seppur tenuto conto del ruolo di ninja per cui probabilmente veniva convocato.
    Rapido si fece dare il "pranzo da viaggio" che il clone gli aveva preparato ed impacchettato, infilandolo sotto al mantello prima di incamminarsi rapido per le vie del villaggio.
    Raggiunte le mura non ebbe difficoltà nell'individuare il messaggero. In quel momento era l'unico elemento chiaramente intento a svolgere un compito anzichè rilassarsi godendosi la giornata.

    «SOUGO!»


    Tuonò furente alla vista di tanta inopportuna inefficenza.

    "Oi, Atasuke... C'è un messaggio per te da questo tizio..."

    °Un... Un messaggio per me da questo tizio!?°

    «Sougo, razza di animale! Vedi di rimetterti subito al lavoro o giuro che questa volta ti sbatto a fare la ronda in piccionaia!»


    Abbaiò furente con una tale furia da sbalzare il sottoposto dalla sedia su cui si ciondolava amabilmente con una mascherina da notte sul viso su cui erano disegnati due occhi spalancati, come se quella sorta di "illusione" potesse lasciar credere che fosse realmente sveglio.

    «E voialtri!? Pensate di battere la fiacca solo perchè oggi è il mio giorno libero!? Al lavoro, scansafatiche! E domani ne riparliamo al briefing di inizio turno»


    Concluse con un sibilo particolarmente minaccioso. Se c'era una cosa che non approvava era l'inoperosità, specie quando questa dilagava nei momenti in cui era assente. Sapeva che la sua assenza rischiava di venire prolungata oltre e sapeva altresì che non poteva permettersi di lasciare il resto della guardia in tale disordine.

    «Mi perdoni per la pessima figura... Mi è stato detto che avete un messaggio per me dal Daimyo... Sono Atasuke Uchiha»


    Si rivolse con cordialità al messaggero che con altrettanta cortesia si inchinò porgendo ad Atasuke il messaggio.

    "Ah, dunque siete finalmente voi il vero Atasuke Uchiha... tenete, qesto è per voi ed è della massima urgenza..."

    «Il "vero" Atasuke Uchiha? Che cosa intendete dire?»


    Rispose Atasuke con un tono decisamente incuriosito, prendendo tra le mani il messaggio ed iniziando ad aprirlo per leggerne il contenuto, che iniziò a leggere mentre cordialmente il messo enunciava la serie di fatti avvenuti durante la sua attesa.

    °Kazutoshi Murasaki, ultimo esponente della dinastia del dragone...°

    "Quel giovane, Sougo se non erro, si era spacciato per voi dicendo di essere lui Atasuke Uchiha e millantando di essere il futuro Hokage..."

    °... Richiede udienza in data odierna e con la massima urgenza allo shinobi Atasuke Uchiha...°

    "Inoltre, se non fosse stato per l'altro ragazzo... Come si chiama... Yamazaki? Non ci saremmo resi conto della bomba che aveva piazzato sull'altro messaggio..."

    °In fede del rapporto di collaborazione e rispetto intercorrente tra il grande Clan del Fuoco e del Villaggio della Foglia, si richiede la priorità per tale convocazione.°

    "Davvero quell'uomo fa parte dei guardiani di Konoha?"

    °Sougo... questa volta giuro che ti ammazzo°


    Mentre leggeva le parole di quel messaggio, una vena iniziò a pulsare sul collo di Atasuke, mentre il suo sguardo sembrava farsi tetro ad ogni istante. Involontariamente strinse le mani a pugno, stracciando in quel modo il messaggio che teneva in mano, che per sua fortuna aveva appena terminato di leggere.
    Al massimo della velocità Atasuke si era ormai fiondato contro il volto del biondino, sganciandogli un destro estremamente teso e potente, scagliandolo via di alcuni metri, schiantandolo contro la parete della struttura vicina, lasciando addirittura alcune crepe sulla stessa.
    Per settimane molti dei presenti ancora non riuscivano a comprendere che cosa fosse successo, ma alcuni narravano di leggende secondo cui il pugno di Atasuke fosse addirittura avvolto da un alone azzurrino, quasi demoniaco. Come se in quel colpo ci avesse addirittura messo la propria anima oltre che lo spettro di qualche demone.
    Inutile dire che il messaggero rimase con molta probabilità colpito da tale violenta reazione, ma di certo fù l'innata naturalezza con cui Atasuke parve recuperare immediatamente la sua pace interiore a lasciarlo decisamente senza parole.

    «Ancora una volta sono costretto a scusarmi per la pessima figura... La prego di perdonarmi... Intanto, la ringrazio per la sua cortesia ed efficenza. Mi dirigo immediatamente al palazzo»


    E con un brevissimo inchino, svanì dalla piazza antistante il gate, fiondandosi rapidamente lungo la via che conduceva al palazzo.
    Mantenendo quel ritmo, salvo imprevisti non avrebbe impiegato più di un paio d'ore, forse tre ore scarse, giusto quanto bastava per gustarsi in santa pace il pasto che ancora aveva sotto al nero mantello.

    [...]


    ~Il palazzo Kayoutei~


    Come aveva previsto non gli ci volle molto tempo con il suo passo svelto. Nel mentre del viaggio si era anche rifocillato, stando oltretutto bene attento a non sporcarsi. Sarebbe stato davvero un pessimo risultato sporcarsi a quel punto rendendo vana tutta la preparazione.
    Giunto quindi al palazzo Kayoutei, la sua corsa si arrestò, portandolo a fermarsi a pochi metri dalle guardie nelle loro corazze lucenti che con sguardo torvo lo osservavano, facendo il loro mestiere.

    «Sono Atasuke Uchiha di Konoha. Sono stato convocato dal Daimyo stesso»

    "Quindi siete arrivato alla fine..."

    "Procedete oltre, Shizuka Kobayashi è già arrivata"


    Risposero a turno le due guardie, quasi come a volersi completare a vicenda. Soddisfatto dal livello di precisione e perizia nel lavoro dei due guardiani, Atasuke li ringraziò con un'inchino reverenziale, prima di proseguire oltre, varcando quella prima soglia di ingresso, questa volta ad un passo "normale".

    °Certo che questo palazzo è enorme... Ed il livello di guardia è decisamente interessante... Dovrei spedire qui Sougo ed alcuni dei suoi seguaci... Non si sa mai che non imparino qualcosa su come si fa il mestiere di guardiano...°


    Meditò tra se percorrendo il primo tratto di strada all'interno del palazzo in cui si era imbattuto.
    Dopo appena pochi passi però una figura comparve quasi dalle ombre, certamente rapida nei movimenti, tuttavia mai affrettata, segno che probabilmente era abituata a tali situazioni "concitate".

    "Atasuke Uchiha immagino..."

    «Esattamente, sono stato convocato dal Daimyo...»

    "Certamente... Il Daimyo vi sta aspettando. Mi permetto di darvi le spalle, vi prego di seguirmi."


    Atasuke a quel punto non aggiunse altro e si limitò a seguire l'uomo sin dove questi lo avrebbe condotto.
    Come fù a villa Kobayashi, più avanzava in quell'edificio, più si sentiva ad un certo modo a disagio. Non era avvezzo a quei luoghi, più per questioni di abitudine che di lignaggio. A differenza della maggior parte degli Uchiha infatti aveva da sempre vissuto una vita semplice, austera, anche se negli ultimi tempi aveva iniziato ad affinare il proprio modo di vivere, in parte adattandosi e comprendendo quel mondo diplomatico. Tuttavia, era ancora molta la strada prima del completo apprendimento.
    Giunti davanti a due pesanti porte, gli venne fatto cenno di fermarsi. Ipotizzando quindi che il Daimyo si trovasse oltre quella porta, fece un'ultimo controllo dei suoi abiti, attendendo la convocazione.

    "Atasuke Uchiha è arrivato, mio padrone e unico Signore."

    °Certo che qui si abbonda con i convenevoli...°


    Pensò tra se attendendo l'autorizzazione a procedere oltre.

    "Fallo entrare, Susumu."

    °Ed ora siamo al gioco finale°


    Meditò iniziando ad avanzare, varcando finalmente le porte che fino a pochi istanti prima, sembravano separarlo dal suo obbiettivo.
    In un rapidissimo momento le ante della porta scivolarono lateralmente, aprendo l'ingresso della stanza e permettendogli infine di vedere chi già fosse presente.
    Vide chiaramente Shizuka, posta rispettosamente in ginocchio con il pugno a terra ed in una frazione di secondo riuscì a scorgere una sorta di ombra, un'uomo che restava al fianco di quello che pareva essere il Daimyo.
    Senza farsi attendere Atasuke fece un brevissimo inchino di saluto prima di procedere oltre, portandosi alla fine al fianco di Shizuka.

    «Atasuke Uchiha, al vostro servizio Murasaki-sama»


    E con un'altro breve inchino scese a terra, portandosi nella stessa posizione di Shizuka, con il volto puntato a terra, anche se i suoi occhi cercavano di osservare dinnanzi a lui, seppur per pochissimi metri.
    A quel punto, il Daimyo iniziò con il suo sermone ed Atasuke si limitò ad ascoltare, pensoso, alle parole dello stesso.

    "Difficilmente riconoscerete il suo aspetto, ma Colui che siede al mio fianco è il ninja migliore che la Foglia possa vantare, ed è probabilmente il motivo per cui, di fatto, le sue reali sembianze vi dicono ben poco.
    Ebbene, egli è giunto al mio cospetto per una valutazione: quella per diventare il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato."


    °Buon per lui... Tuttavia sarebbe cosa utile avere per una volta un Kage saggio, piuttosto che un Kage "migliore" degli altri... Basti pensare agli ultimi...°

    "Siete con orgoglio i primi a venire a conoscenza del fatto che tale vaglio è stato superato con successo.
    Ha ottenuto la mia approvazione come Hokage, e da oggi sarà conosciuto con questo titolo.
    Ma non è per questo che siete stati convocati. Certo il piacere di essere i primi per una notizia del genere non vi rende degni di sedere al cospetto del Daimyo del Paese del Fuoco."


    °C-cosa? Quindi questo tizio mascherato sarebbe il nuovo Hokage? Senza neppure un'elezione pubblica? Nessuna domanda fatta al villaggio ed al popolo? Mo soprattutto... Perchè? Perchè ci ha convocati quindi?°

    "Egli ha fatto il vostro nome, quali ninja degni di rispetto e stima, devoti al vostro villaggio come un figlio lo è con la propria madre. Ha fatto il vostro nome perché questo si accompagni al suo, come suo supporto e sostegno nel lungo percorso che da ora in poi lo aspetta... ma ovviamente, ai miei occhi, non siete nient'altro che due pulcini implumi. Benché il vostro nome vi preceda con onore, non vedo in voi due shinobi di tale ampio rispetto, ma due bambini."


    °Il nostro nome? Possibile? Chi diavolo è questo tizio? Ma soprattutto... Perchè il mio nome? Certo, non nego che la cosa possa essere estremamente onorevole e non può che farmi piacere... Ma perchè? Perchè io? Perchè non altri?°


    Molte e molte altre erano le domande che Atasuke si stava ponendo, tra le quali svanì il remoto timore legato alla possibile causa di convocazione che aveva ipotizzato.
    Al segno del Daimyo, Atasuke non attese altri segnali prima di alzarsi levando lo sguardo verso i due uomini che si erano posti dinnanzi a lui, tuttavia, mentre ancora elaborava i propri pensieri, Shizuka fu la prima a far schioccare la lingua. In fondo era indiscusso che lei fosse decisamente più a suo agio in quell'ambiente e di certo sapeva destreggiarsi magistralmente rispetto ad Atasuke che goffamente si avviava a poco a poco a quel mondo che ancora non conosceva perfettamente.

    °Devo ricordarmi una volta o l'altra di chiederle di addestrarmi nell'arte oratoria...°


    Pensò tra se con un velo di ironia, quando Shizuka ebbe terminato la sua esposizione. Atasuke aveva infatti notato con la coda dell'occhio la sua gestualità, ma soprattitto, potendola osservare dal fianco e non frontalmente, aveva notato che, specialmente nell'ultima domanda, ella aveva iniziato a tendere i suoi muscoli, forse innervosita o forse sospettosa di qualcosa.
    In tono pacato, un po per cercare di stemperare gli animi e la tensione che percepiva da Shizuka, un po per cercare di darsi sicurezza, partì anch'egli con i suoi quesiti, nella speranza che a poco a poco quella matassa iniziasse a snodarsi.

    «Perdonate la scortesia... Come forse saprete, non sono avvezzo ai modi regali che questo luogo imporrebbe, quindi non posso che scusarmi anticipatamente ed ammettere che avete pienamente ragione quando mi definite solo un "bambino" e come tale spero di apprendere maggiormente con il tempo... Tuttavia, come un bambino domanda al padre, io domando a voi: Perchè?»


    Si concesse una brevissima pausa a sottolineare quella semplice ma essenziale domanda, prima di argomentarla maggiormente e sottolineare quelli che erano i dubbi primari.

    «Perchè proprio noi e non altri? Spero vogliate perdonare la franchezza, ma come la qui presente, anche questo umile chunin si chiede come mai potremmo supportare una persona di cui non sappiamo nulla, o perlomeno il nome o il volto... Allo stesso modo mi chiedo proprio come solo due semplici chunin siano stati convocati come supporto, quando certamente sarebbe più consono il supporto di un Jonin di maggiore abilità o esperienza...»


    Un'altra brevissima pausa, come ad enfatizzare i punti focali che Atasuke stava cercando di sottolineare, anche se il discorso palesemente puntava a proseguire.

    «Certo, mi sento estremamente onorato dalla vostra convocazione, Murasaki-sama... e non nego lo stupore nell'essere considerato da quest'uomo a tal punto da venire considerato un suo appoggio. Certo non nego la mia fedeltà al villaggio, tuttavia, proprio per questa stessa volontà, comprenderete che non posso dire di appoggiare un'uomo in maschera di cui non conosco nulla... Spero quindi che voi vogliate essere tanto gentile da illuminarCi su questi punti a noi ancora oscuri...»


    Chinò lievemente il capo in avanti in segno di rispetto nell'attesa di un'eventuale risposta.
    Sapeva di non aver ancora minimamente colto nel segno e sapeva che quella non era che la semplice mossa di apertura di quella particolare partita, tuttavia, per quanto semplice ed insignificate un'apertura poteva apparire, sapeva anche che questa condizionava l'intera partita e rischiare uno scontro verbale fin dalle prime mosse non poteva che portare ad una sonora sconfitta.

     
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    L'HoKage







    Fu lo shinobi sconosciuto ad alzarsi, probabilmente sorprendendo i due shinobi che si sarebbero aspettati un terzo grado da parte del Daimyo, ma si sbagliavano, era un compito dell’Hokage quello.
    Avrebbe girato attorno ai due una singola volta, senza proferir parola, squadrandoli mentre lo faceva. Camminava e osservava come se di fatto non li avesse mai visti.

    In questo momento se mi chiedessero di trovare un aggettivo per entrambi non avrei bisogno nemmeno di adoperare la fantasia.
    Falliti sarebbe il termine più conveniente, e vi prego, non abbiate la fretta di giudicarmi in questo frangente, sto semplicemente osservando la realtà.
    Vi ho convocati qui perché tra tanti shinobi ho notato in voi caratteristiche uniche, adatte per meglio dire.
    Tuttavia.


    Disse mentre riprendeva il suo posto, seppur lievemente avanzato rispetto al Kazutoshi che ora compariva alle sue spalle come un entità sovrannaturale che ne osservava e benediceva l’operato, non avrebbero potuto ricondurre a nessuno quella voce, recita o meno che fosse non dava alcun indizio riguardo l’individuo dietro alle bende.

    Le prime parole che vi escono di bocca sono velate accuse e ammissioni di scarsa idoneità.
    Fortunatamente, nonostante sia a malapena un contorno, avete mostrato una tenue modestia e solo questo vi permette di condividere con Kazutoshi-sama la stessa stanza.


    Lo sguardo della pallida ombra si spostava dagli occhi di Shizuka a quelli di Atasuke, instancabile in quel processo di osservazione che gli permetteva di discernere verità e menzogne.

    Ma visto che siete così dotti di politica e cronaca mondana da poter domandare prima ancora di rispondere, vi spiegherò come il mondo si muove mentre voi non lo state a guardare.
    Non esiste un concilio degno di fiducia, Shizuka Kobayashi, da quando il precedente Hokage è stato in grado di innalzarsi sopra di esso e nulla è stato fatto per impedirlo, permettendogli addirittura di ignorare il vaglio di Kazutoshi-sama. Ed eliminando tale concilio dall’equazione resta da prendere in considerazione esclusivamente una figura per avere una nomina onesta e vantaggiosa per il villaggio: il qui presente Daimyo, colui che protegge la nazione del fuoco senza combattere.
    Una delle poche figure che ancora desidera il bene della Foglia.


    Una pausa, quasi fosse anch’essa parte dell’ovvia deduzione che restava da fare.

    È chiaro quale legge stiamo rispettando, Shizuka-san?

    Non era un tono formale come il precedente, si poteva percepire un’affilata ironia infatti, una risposta che sottolineava quanto insinuazioni come quella della kunoichi fossero scarsamente apprezzate.

    Siete qui, Atasuke-san, perché siete fedeli.
    E la fedeltà, la lealtà e l’onore non sono dati dall’esperienza, o dal grado o da qualsivoglia impresa compiuta nei campi di battaglia, la fedeltà è un sentimento che non si adotta, e che a prescinder dal sesso…


    Disse con il tono malizioso di un padre che spiega al proprio figlio con api e fiori come un uomo e una donna siano in grado di mettere al mondo un bambino.

    Viene partorito.

    Un termine singolare per una simile occasione, ma che ben rappresentava l’ideale di fedeltà che quell’ombra voleva trasmettere, un qualcosa che nasceva dopo mesi di gioie e dolori, una parte di se stessi che veniva alla luce come un nuovo essere che dal momento stesso in cui veniva concepito diventava insostituibile ed unico.

    Ed onestamente pensavo fosse sufficiente a farvi comprendere che il mio ruolo sarà svolto al meglio quanto maggiore sarà l’attenzione che dedicherò al nascondere la mia identità, dopotutto fino ad ora è stata una ricetta vincente.
    Perché?
    Un uomo senza volto e senza storia è un uomo incorruttibile.


    Poteva forse essere negata una simile verità?

    Detto questo, che io vi dia o meno un nome, o un viso… reputate abbia importanza?
    Potremmo disquisire di questo in eterno, ma potrei celarvi la mia identità in mille modi e mentirvi in altrettanti e ben sapete che esistono, ed io so che non siete in grado di scovarne neanche la metà.
    Potete fidarvi dell’Hokage che il Daimyo vi ha posto davanti?
    Oppure volete correre all’infinito dietro a delle ombre che nemmeno esistono?


    Ultimata la frase si chinò in avanti, come a voler cercare un intimo rapporto con entrambi.

    O forse volete continuare ad avere un Hokage assente ed un villaggio del tutto sguarnito delle cariche più essenziali? Magari vi fa comodo potervi muovere nell’anarchia come viscide serpi…
    Vogliamo crescere?


    Passò la mano, pregando per delle risposte più produttive, sperando che l’utilizzo del plurale venisse colto come invito più che come una mancanza di rispetto.

     
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    ~Fedeltà a Chi?~


    A differenza delle aspettative, non fù il Daimyo a muoversi, quanto piuttosto il misterioso figuro che siedeva alla destra dello stesso, ad alzarsi in risposta alle loro parole. Atasuke, allertato dal particolare movimento, non schiodò gli occhi dall'uomo, cercando di ascoltarne non solo le parole, ma anche i singoli passi ed i velati movimenti alla ricerca di un qualcosa, di un segno, una quasiasi traccia da seguire per cercare qualche informazione.
    Sfortunatamente però non riusciva ad ottenerne nulla. Anche il tono di voce, il timbro e la stazza non gli ricordavano nessuno in particolare. La tentazione di provare a vederci chiaro con lo sharingan era alta, ma non era quello il momento adatto.

    “Ma visto che siete così dotti di politica e cronaca mondana da poter domandare prima ancora di rispondere, vi spiegherò come il mondo si muove mentre voi non lo state a guardare.”


    A quelle parole, sembrò quasi che Atasuke avesse iniziato ad affilare lo sguardo. Come da un lato era estremamente dubbioso e non si sentiva minimamente al sicuro, da un lato sembrava attratto da quel discorso, come se la questione si facesse di minuto in minuto più interessante.
    Egli ascoltava in silenzio, meditando la prossima mossa, dato che ora l'ombra aveva infine fatto la sua prima azione, mostrando forse una parte di se, o forse non mostrando proprio nulla.

    °E quindi si è passati direttamente dal Daimyo, ignorando completamente il sistema elettivo che si è sempre seguito... Da un lato di certo è una mossa scaltra, ma dall'altro... Chiaramente può celare un tranello. Di certo quest'uomo non può bluffare più di tanto... Se da un lato è facile per chiunque di noi spacciarsi per qualcun'altro... Dall'altro non è così banale illudere addirittura un Daymo, farsi eleggere e sperare che nessuno si muova contro il Kage imposto... Bisogna osservare qualche altra mossa per evitare uno scacco...°


    Meditava, continuando ad ascoltare le parole rivolte a Shizuka, anche se era innegabile che queste in qualche modo fossero, seppur più velatamente, rivolte anche verso di lui.

    “Siete qui, Atasuke-san, perché siete fedeli.
    E la fedeltà, la lealtà e l’onore non sono dati dall’esperienza, o dal grado o da qualsivoglia impresa compiuta nei campi di battaglia, la fedeltà è un sentimento che non si adotta, e che a prescinder dal sesso… Viene partorito.”


    °Decisamente una interessante forma in cui descrivere la fedeltà...°


    Ormai era inutile dire, o per meglio dire: ripetere quanto già definito. L'ombra dal canto suo era abile ed evidentemente aveva pensato quelle mosse da parecchio tempo. Certo, forse si trattava di un semplice test, o forse quella era la situazione attuale. Gli unici che forse sapevano dirlo erano di certo il Daimyo e l'ombra stessa, tuttavia, né l'uno né l'altro per Atasuke, in quel momento, erano delle fonti attendibili di risposte.
    Entrambi sembravano voler giocare una sorta di partia a carte coperte e gli unici due al centro di quella partita sembravano essere proprio Atasuke e Shizuka. Entrambi abili shinobi ed entrambi fedeli al villaggio, forse più ancora che all'uomo che doveva rappresentarlo, specie se con una sorta di elezione tanto assurda quanto misteriosa.
    Tuttavia, nella sua mente, visti i modi e conosciute generalmente le reazioni di Shizuka, ella rimaneva una grossa incognita, un'enorme punto interrogativo. Se da un lato poteva essere considerata ottima, se non addirittura “perfetta” per quelle situazioni diplomatiche, dall'altro lato si la sua costante instabilità emotiva la poteva trasformare in una mina vagante.

    “O forse volete continuare ad avere un Hokage assente ed un villaggio del tutto sguarnito delle cariche più essenziali? Magari vi fa comodo potervi muovere nell’anarchia come viscide serpi…
    Vogliamo crescere?”


    °E con questo possiamo dire che la partita ha realmente inizio, MR. Hokage senza volto°


    Un breve pensiero, che tuttavia, non gli rese possibile evitarsi un sorrisetto, condito da un leggero sbuffo ironico.

    «Dunque questo sarebbe il gioco? Portare la discussione su un piano tale infimo livello?»


    Aprì in tono velatamente divertito. Quell'ultima frase, per certi versi lo aveva scosso, anche se forse non nella direzione che l'ombra si aspettava, specie se questa non era propriamente chi cercava di far credere di essere.

    «Perdonatemi, certo so che a questo punto i miei modi potranno difficilmente definirsi adatti a questo ambiente diplomatico... Tuttavia... Qui temo che si stia andando ben oltre alla semplice diplomazia»


    A quel punto, il suo tono era virato, poco alla volta, ma in maniera inesorabile. Era partito quasi come voler fare dell'ironia, ma l'importanza di quel discorso non poteva concederne ed Atasuke non se ne concesse minimamente.

    «Se me lo concedete, andrò a rispondervi con ordine, ripartendo a questo punto anche dalla precedente domanda, posta direttamente da Murasaki-sama...»


    A quel punto, con calma quasi surreale, Atasuke si sfilò la katana dal fianco, liberandone il sageo che la assicurava all'obi con delicatezza. Con la stessa gestualità proseguì inginocchiandosi rispettosamente sul tatami e poggiando l'arma sulla propria destra, per poi inarcare leggermente le braccia poggiandole sulle cosce, mentre i piedi mai perdevano la loro tensione, puntando sulle punte, pronti a farlo scattare in caso di pericolo. Molti avrebbero riconosciuto quella come una posa da meditazione, o una forma di posizione da battaglia, ma per Atasuke quella era la posizione più comoda per portare avanti trattative come quelle. Trattative in cui si richiedeva rigore e per certi versi anche una sorta di forma militare.

    «In Merito ad Accettare e supportare un Hokage dal volto mascherato: RIFIUTO!»


    Appena un secondo di pausa dopo quello che sembrava più un'ordine militare che una dichiarazione. Forse, già in quel momento molti si sarebbero chiesti che cosa ronzasse nella mente di Atasuke. Tuttavia, nessuno probabilmente si sarebbe aspettato quella specifica risposta.

    «Voi dite che “Un uomo senza volto e senza storia è un uomo incorruttibile.”, non posso e non voglio accettare questa vostra visione. Un uomo senza volto altri non è che uno spettro, non dissimile da un Kage assente. Credete forse che il villaggio abbia bisogno di un'altro spettro? Un'altro volto che nessuno conosce? Un'ombra che dovrebbe muovere un paese ma di cui nessuno sa nulla!? Se questa è la vostra reale visione, mi dispiace, ma non vi accetterò mai come Hokage, men che meno posso accettare un'uomo con la pretesa di dirigere un villaggio senza che nessuno sappia nulla di lui»


    Il suo sguardo si era fatto addirittura più affilato di prima. A memoria, forse solo contro l'uomo che aveva causato la morte di sua madre aveva raggiunto un tale sguardo. Uno sguardo che non dava scampo, uno sguardo che non accettava trattative.

    «Credete forse che esista qualcuno di “fedele” al proprio villaggio che vorrebbe sostenere qualcuno di cui neppure conosce il volto? Siete forse tanto sciocco? E ditemi... Come pensate di comandare? Dando ordini a qualche sottoposto che come un messo proclamerà le vostre decisioni in pubblico? E cosa credete dirà il villaggio continuando a ricevere ordini da un'ombra? Credete forse che tutti ubbidiranno ciecamente ad uno spettro?»


    Voltò quindi il proprio sguardo verso il Daimyo, lasciando pienamente intendere a questi che le sueccessive parole erano appunto dirette a lui, scavalcando quella nera figura che si interponeva.

    «Certamente voglio immaginare e credere che voi abbiate valutato con tutta la dovuta attenzione ed oculatezza l'uomo che avete scelto come futuro Hokage. Quindi da un lato ci sarebbe solo da fidarsi ed eseguire un'ordine... Tuttavia, voi non ci avete ordinato di obbedire a quest'uomo... Ma ci avete semplicemente convocati per valutarci, non è forse vero?»


    Si arrestò per un'altro istante, come a voler studiare il Daimyo, nella speranza che questi avesse una qualche sorta di cedimento, lasciando anche solo intravedere un minimo segno a favore della sua teoria, anche se era l'unica possibilità oltre ad un'ordine impartito di obbedire a quell'uomo. Uomo a cui Atasuke comunque non avrebbe obbedito, dato che questi, non avendo volto, ai suoi occhi semplicemente non esisteva.

    «Ad ogni modo... Che ci stiate valutando o meno, poco importa... Lo spettro che abbiamo dinnanzi ha ragione... La fedeltà è un sentimento che nasce con il tempo, anche se per molti è in parte anche un'istinto naturale... Ma a discapito di quale sia la natura di tale sentimento, nel mio caso, la mia fedeltà è rivolta verso al villaggio, non verso chi lo comanda. Se l'Hokage agirà per il bene del villaggio avrà tutto il mio supporto, se agirà contro di esso, non esiterò a levare la mia lama per fermarlo se sarà necessario.»


    A discapito del tono, estremamente rigido, il suo corpo sembrava rilassato, come se in un qualche modo si fosse scaricato, buttando fuori quanto aveva da dire senza filtri, senza remore e senza giri di parole.
    La sua posizione era chiara. Non avrebbe accettato un uomo senza volto alla guida di Konoha e men che meno lo avrebbe supportato. Ma al di fuori di ciò, non avrebbe avuto problemi nell'accettare chicchessia come Kage, sempre che questi rispettasse una sola e semplice regola: Agire per il bene del villaggio.

    «In quanto a voi...»


    Riprese riportando il discorso verso lo spettro, ma senza degnarlo neppure di uno sguardo.

    «Se questo era una sorta di stratagemma per evitare di influenzare la nostra decisione con il vostro vero volto, vi prego ora di gettare la maschera. Un Kage che non si fida neppure dei suoi supporti è destinato a cadere, come un capo senza un collo con cui ancorarsi al corpo.
    Se invece volete continuare con questa farsa, direi che avete sbagliato persona. Non ho intenzione di seguirvi.»


    Concluse lapidario.
    Oramai non aveva più nulla da aggiungere, sempre che non avesse ricevuto delle risposte decenti a cui dover rispondere.

     
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