La Principessa e la Volpe

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    LOYALTY

    Loyalty and devotion lead to bravery.
    Bravery leads to the spirit of self-sacrifice.
    The spirit of self-sacrifice creates trust in the power of love.





    «Ti devo chiamare Hokage, da ora in poi?»



    La voce di Shizuka Kobayashi fluì dalle ombre e sarebbe apparsa alle orecchie di lui prevedibilmente ironica ma, in un certo senso, persino incuriosita.
    «...Oppure Decimo?» Insistette, facendo un altro passo avanti e ponendo sotto la lama di luce lunare le gambe avvolte dai pantaloni di pelle neri e gli stivalacci di cuoio alti al ginocchio. La flessione della voce suggeriva che stesse sorridendo. «Oppure senti questa, continuo a chiamarti Raizen e quando siamo insieme non cambia niente, mh?»

    Era passato un giorno dalla nomina di Raizen Ikigami come Decimo Hokage di Konohagakure no Sato, e sempre uno da quando Shizuka aveva ricevuto il titolo di Capo di una delle Squadre Speciali della Foglia, quella Medica. Appena ventiquattro ore, dunque.
    Sebbene in un altro momento quel breve lasso di tempo sarebbe apparso privo di significato agli occhi di chiunque, nel caso dei due Shinobi rappresentava il più grande cambiamento delle loro vite...
    ...eppure, quando i due ebbero modo di guardarsi negli occhi, quando cioè la Principessa si lasciò baciare interamente dalla luce della luna piena –con i lunghi capelli castani sciolti sulla spalle nude e un bustino di cotone leggero stringato sulla schiena da nastri di raso– e la Volpe ebbe l'accortezza di volgere verso di lei lo sguardo dal posto che occupava all'interno della grotta che chiamava “casa”, nessuno dei due avrebbe notato alcuna differenza nell'altro. Erano uguali a com'erano sempre stati. Non c'era niente di diverso nei loro lineamenti, né nelle espressioni del loro volto.
    Eppure, in un certo senso, era tutto profondamente differente.
    «Non potrai più vivere qui.» Osservò Shizuka, intrecciando le mani dietro la schiena e facendo un'ampia falcata in avanti, entrando dentro la grotta sulla cui entrata si era limitata a rimanere fino a quel momento. I suoi profondi occhi verdi scivolarono lungo le pareti spoglie del luogo, soffermandosi infine sul volto del suo interlocutore dopo brevi soste sul poco altro che c'era. «L'Hokage vive nell'edificio amministrativo, lo sai, no?» Domandò, facendo un altro passo avanti. «Assieme alla moglie e ai figli.» E così dicendo lanciò un'occhiata significativa al Colosso mentre si avvicinava ulteriormente. «Alla tua età dovresti aver già trovato una donna che sappia accettarti e amarti per quello che sei... quando pensi di mettere su famiglia, mh?» Rincarò, girando il coltello nella piaga, sghignazzando. Calandosi verso il basso e sorridendo direttamente in faccia al neo Hokage, la kunoichi parve divertita, ma non maliziosa. Aveva smesso di pretendere di esserlo quando si era resa conto che il Jonin le vedeva attraverso con una chiarezza imbarazzante. In un certo senso, dunque, sembrava dire quelle cose con una reale preoccupazione per la persona che le sostava di fronte... non era una novità, del resto, che Shizuka tenesse a cuore la sorte del Randagio più di quella di chiunque altro.
    Accucciandosi a terra e ponendo il suo volto sui palmi delle mani aperte, la ragazza reclinò leggermente la testa di lato mentre affilava lo sguardo nell'osservare il suo interlocutore. La sua espressione, ora, si era fatta estremamente più interessata.
    «E hai bisogno di un corredo, lo sai che non puoi più girare vestito come un cialtrone e sudicio come un animale, vero?» Fece osservare, alzando il dito indice della mano destra a picchiettare su delle chiazze di polvere e terra sulla divisa totalmente nera dell'Hokage. «Ormai il tuo volto rappresenta Konoha, non vivi più solo per te stesso, ci vuole un po' di accortezza anche per l'aspetto dunque... senza contare il mantello, poi... dubito proprio che quelli dei precedenti Kage ti possano stare.» Sospirò la ragazza, grattandosi la testa nell'osservare la mole dello Shinobi. Adesso sembrava dubbiosa. «E ci vorrà un corredo di vestiti per gli eventi diplomatici, uno per quelli mondani a cui sarai costretto a partecipare come rappresentante, e poi...» Esitò un attimo, riabbassando subito gli occhi vibranti in quelli scarlatti di Raizen. «E no, non puoi mandare nessuno al posto tuo. Non potrai fotterti di nessuna di queste incombenze che ho elencato, dalla prima all'ultima. Fattene una ragione.» Disse subito, puntigliosa, anticipando qualsiasi battuta del Colosso, che conosceva abbastanza da saperlo pronto a dire che “non importava dove abitava, con chi si accompagna e cosa indossava per essere un buon Hokage”. «Essere a capo di una responsabilità come questa non affida solo incombenze militari. Hai già avuto molto tempo per dimostrare di essere il migliore sul campo di battaglia, adesso è giunto il momento di coltivare altre incombenze, e quelle sociali e diplomatiche sono le prime che dovrai imparare a gestire.» Disse, seria. I suoi profondi occhi verde smeraldo erano attenti e concentrati. «Gestire un grande “Impero” prevede educazione, rigore, cultura. Curare il tuo aspetto non minerà il tuo nome, ma sarà essenziale davanti ad un tavolo di trattative.» Esitò, dubbiosa. «In verità non saprei come spiegarti le responsabilità di chi gestisce un onore del genere, le cose da dire sarebbero milioni...» E aveva come la netta sensazione che Raizen le avrebbe dimenticate una dopo l'altra via via che venivano elencate, concludendo che avrebbe “trovato un modo di cavarsela in ogni caso”. Pensando ai banchi di trattativa diplomatico-politici che era abituata a osservare sin da piccola, sorrise cupamente: no, non ce l'avrebbe fatta così agilmente come sperava. «Sarò al tuo fianco...» Disse infine, sospirando. «...se vorrai, come ti ho promesso tanti anni fa, sarò il tuo supporto e la tua compagna. Potrai contare di me, ti aiuterò al meglio delle mie possibilità.» E così dicendo, abbassando la testa, la kunoichi si inginocchiò, ponendo il pugno destro al suolo in quel gesto che ormai il Randagio avrebbe dovuto conoscere bene. «Non ti tradirò, né ti deluderò. Sarò pronta a morire, per te, ora più di prima. Avrai la mia mente e il mio cuore. La mia intelligenza e la mia totale devozione. Da questo momento...» E così dicendo, sorrise. «...fino a quando non diventeremo vecchi e scemi, sarò con te.»

    Era una strana sensazione, quella.
    Per un istante si chiese se Ritsuko avesse provato la stessa cosa quando, a sei anni, prima che lei partisse per il primo viaggio diplomatico e non mercantile con suo padre e l'Aoki tornasse dove il suo Clan sorgeva, ovunque questo posto fosse, le aveva fatto un discorso molto simile.
    “Io che sono nata per voi” Aveva detto la bambina di allora. “morirò per voi. Non ci sarà niente oltre voi nel mio cuore e nella mia mente. La vostra voce guiderà i miei passi, la vostra figura rassicurerà il mio spirito. I vostri desideri saranno il mio dovere, le vostre paure i miei opponenti, le vostre speranze le mie prede. Perciò, Ojou-sama, partite tranquilla, perché...”

    «...Perché non c'è assolutamente possibilità che io mi allontani da te, Raizen.
    Ora e per sempre, sarò al tuo fianco, se mi vorrai.»



    Durante la notte e il giorno che avevano preceduto quel momento aveva lungamente pensato a cosa potesse cambiare tra lei e Raizen, ora che i loro nomi sarebbero divenuti l'emblema di qualcosa di così grande come era Konoha.
    Raizen non era mai stato amato in modo particolare, era un tipo burbero e scorbutico con cui la maggior parte delle persone scendeva a patti con quel tipo di rassegnazione irritata con cui si trattava un amico di famiglia un po' pedante. Al contrario di altri Shinobi del Villaggio, venerati come Dei, rispettati e amati in quel modo imbarazzante che caratterizzava l'ammirazione irragionevole, Raizen non godeva di nessun posto speciale se non quello che aveva nel cuore di Shizuka.
    Per lei, lui era molto più di un maestro. Era una parte del suo essere senza la quale era sicura avrebbe potuto perdersi e non trovarsi mai più, era l'ago di una bilancia che prendeva il nome del suo spirito, e non c'era niente che potesse far crollare la convinzione che a dispetto del titolo con cui lo Shinobi sarebbe stato chiamato, lei gli sarebbe stata accanto. Randagio? Hokage?
    Non aveva importanza.

    Eppure per un momento aveva esitato.
    E se...?

    Se lui, troppo preso dalle sue incombenze, si fosse dimenticato di lei?
    Se l'avesse lasciata indietro?
    Circondato di ninja valorosi, talentuosi e sicuramente più potenti di lei, avesse smesso di cercarla? Di affidarsi a lei? Di credere nelle sue capacità?
    E se i loro attuali ruoli li avrebbero allontanati più di quanto il loro spirito indomito e voglioso di libertà non faceva già...?

    Già. Per un momento aveva esitato.

    Chiudendo gli occhi e sorridendo nel reclinare leggermente la testa di lato, la kunoichi medico sorrise tra sé e sé.
    Aveva passato una vita a domandarsi se le persone che le stavano accanto e che amava si sarebbero presto discostate da lei, lasciandola indietro. Adesso era arrivato il momento di valutare che, qualora questo fosse mai accaduto, non doveva far altro che aumentare il passo e portarsi di nuovo nel raggio del loro sguardo. Tutto qua.

    Alzando gli occhi in quelli del suo interlocutore, perché lui la vedesse bene e senza ombre, la Principessa Tempesta del Villaggio della Foglia sorrise increspando il lato destro della bocca.
    E quindi, quello era un nuovo inizio...


     
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    Traslochi & Distrazioni







    Hokage, strana parola quella, ma era convinto che ci sarebbe riuscito a convivere, almeno fino a quando non avrebbe abbandonato quelle quattro rocce mal messe che ora chiamava casa.

    Decimo Hokage va bene in pubblico direi.

    Si soffermò a pensare mentre sollevava uno scatolone con qualche cianfrusaglia, per poi sorridere sotto i baffi e borbottare.

    Juudaime, si.
    Juudaime Hokage.
    Perfetto.


    Sorrise beato per riprendere a sbaraccare la sua tana mentre ascoltava Shizuka.

    Ma tra noi non me ne frega un emerito, Raizen andrà più che bene, imporrò il mio titolo onorifico solo quando vorrò fare l’antipatico.
    E sarà bellissimo.


    Socchiuse nuovamente gli occhi immaginando la scena che a quanto pareva lo rendeva appagato, quasi come vedere un sogno realizzato.
    Un secondo sogno per essere precisi.

    Lo so che non potrò più vivere qui, purtroppo, infatti sto traslocando.
    Fortunatamente ho poche carabattole da portare via, anche se pesano un po’.


    Parlava mentre posava uno scatolone di legno per terra, che veniva accompagnato da un tintinnio metallico.
    Probabilmente lame inconcluse, quello dopotutto era un laboratorio più che una casa.

    Famiglia?
    Oh, non penso proprio me ne servirà mai una.


    Si fece pensieroso qualche istante prima di continuare.

    No, decisamente no, l’angoscia di lasciare solo qualcuno col pericolo venga attaccato a causa mia, l’angoscia di non poterli rivedere.
    No, no. Decisamente sono due cose inconciliabili.
    Mi sceglierò prima o poi una…


    Lasciò la frase ammezzata rendendosi conto di essersi lasciato trasportare dalle domande in una discussione che in realtà non doveva essere seria, si rizzò quindi sulla schiena e voltatosi verso Shizuka la guardò affilando gli occhi.

    Ma poi a te che ti importa?
    Ancora speri che ti metto un anello al dito?
    Ormai sei una gallinaccia vecchia e rancida.


    Alzò le sopracciglia in un cenno di scherzosa supponenza e tornò alle scatole.

    Sudicia sarà tua mamma, tua nonna e probabilmente pure tua zia.
    Lavo sempre i miei vestiti quando sono sporchi, altrimenti la puzza sarebbe percepibile.
    La mia dedizione alla mia professione mi impedisce di essere sporco, ma anche di puzzare di sapone da ricchioncelli.


    Il taquino di Meku ebbe cura di metterlo in tasca più che dentro uno scatolone, quei segreti non erano certo dei foglietti che si poteva rischiare di perdere.

    Si, avevo intenzione di commissionare qualcosa ai Kobayashi in realtà, già da prima che me lo dicessi tu, anche se molto probabilmente saranno abiti che non userò mai.
    Bisogna vedere se sarete in grado di soddisfare le mie richieste, io non ho la puzza sotto il naso, ma credo che costringerò i vostri magazzini a rifare l’inventario.


    Aveva finito, o almeno così gli sembrava quando si mise le mani ai fianchi per osservare la piccola caverna, gli sembrava esattamente come quando l’aveva scoperta, del tutto estranea all’essere umano, in un certo senso gli piaceva essere così ecologico, più difficile sarebbe stato rimuovere le spade all’esterno, visto il numero ci avrebbe impiegato del tempo.

    Bene, direi che per ora abbiamo fatto.
    Riguardo lo stare al mio fianco ti ho appena detto che non ti metterò alcun tipo di anello al dito.
    Almeno non fin quando avrai quella cicatrice.


    Era il suo modo di dare una risposta affermativa, aveva provato ad essere più emotivo con Shizuka, ma si era reso conto che serviva a poco e generalmente lo rendeva incomprensibile.
    Si sarebbe chinato nuovamente davanti a Shizuka mentre parlava, era impegnato a prendere un grosso carico di scatoloni che gli avrebbe permesso di portare via tutti i suoi averi in una sola botta.

    Datti da fare e prendine qualcuno, forza, non vorrei tornare qui una seconda volta per gli scatoloni.

    Disse mentre indicava alcuni scatoloni che nonostante la sua mole non sarebbe riuscito a prendere.
    Mentre stava ancora chino, alla base si poteva notare l’inizio di una ricrescita di capelli neri.

    Ma comunque, perché sei qui?
    Immagino tu non sia solo venuta a procurare qualche prestigioso contratto con l’Hokage per la tua famiglia, o sbaglio?


    Si avviò ridacchiando, permettendo a Shizuka di seguirlo.
     
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    STREAM

    The man who is swimming against the stream knows the strength of it.




    «Ah, perché vorresti mettermi un anello al dito?»



    La domanda arrivò di rimando al Jonin mentre l'interlocutrice di lui affilava lo sguardo e sorrideva ironica. I profondi occhi verdi brillarono di divertimento mentre si portavano in quelli scarlatti di chi le sostava di fronte.
    «Devi sapere che al Villaggio c'è chi aspetta questo lieto evento da anni, ormai... e dunque le voci che correvano erano vere? Sei innamorato di me...» Sospirando nello scostarsi con fare teatrale una ciocca di capelli dal collo, la donna scosse la testa. «Non lo so, Raizen...» Mormorò, abbassando lo sguardo. «...senza dubbio provo qualcosa di forte per te. Sarei pronta a morire per saperti salvo. Sei tutto ciò a cui ho guardato in questi anni, ma...» E alzando gli occhi da cerbiatta in quelli dell'Hokage, sbatté le ciglia un paio di volte. «...non so se è amore. E il matrimonio poi mi sembra ancora un traguardo lontano per noi due... forse dovremmo prima uscire qualche volta.» Gemette, rammaricata. Poi, improvvisamente e in modo del tutto inaspettato, riuscì persino ad arrossire. «Lasciami pensare, ti prego...» Concluse, imbarazzata, unendo le mani che cominciò a torturarsi timidamente mentre muoveva le spalle in modo nervoso...
    ...questo prima di alzare nuovamente lo sguardo in quello del Jonin e ghignare, divertita.
    In una frazione aveva cambiato espressione e comportamento senza attingere all'otre delle sue abilità in merito. Guardandola non sarebbe dunque stato difficile capire che le sue capacità continuavano a migliorare via via che il tempo andava avanti. Era diventata un'attrice perfetta, ormai. La migliore, con ogni probabilità.
    «Cucirò io il tuo corredo.» Disse a quel punto la Principessa, sedendosi su una scatola di legno dal coperchio in parte sollevato per la troppa roba che vi era stata stipata dentro. «Appena ti sarai sistemato presso la tua nuova abitazione e avremo finito di rimettere in pari la burocrazia lasciata in sospeso dall'amministrazione precedente...» Continuò. Non aveva sbagliato a mettere il plurale a quell'ultima frase, ovviamente. «...verrai presso la Magione della mia famiglia.» Non sembrava preoccupata delle pretese del Jonin, alle quali invece sorrise. «Ho già in mente che tipo di sete e abbinamenti di colori fare. Punteremo su pezzi classici ed eleganti che non seguono le mode ma il buon gusto, non sei proprio il tipo da rinnovare il corredo ad ogni cambio di tendenza, assicuriamoci perciò un'autonomia di qualche anno... prima che le sete cadano a brandelli per il tuo muovertici dentro come un bambino con il primo pannolino.» Lo derise, socchiudendo gli occhi. Si riferiva con ogni probabilità al modo in cui Raizen si era mostrato dal Daimyo. Per quanto avesse dovuto ammettere con se stessa che il suo essere vestito bene (e soprattutto essersi pulito e pettinato, che per quanto il diretto interessato ammettesse il contrario era un miracolo che lei non vedeva da tempi immemori) lo avesse reso non bello, ma quantomeno elegante e dignitoso, non aveva potuto fare a meno di ridere sotto i baffi per il disagio con cui il Colosso si era mosso, ovvio forse solo a lei, e per questo ancora più divertente. Portandosi una mano di fronte alla bocca la ragazza rise tra sé e sé.

    “Riguardo lo stare al mio fianco ti ho appena detto che non ti metterò alcun tipo di anello al dito.
    Almeno non fin quando avrai quella cicatrice.”



    Stupita, Shizuka alzò le sopracciglia, fingendosi di nuovo incredula.
    «Ancora? Accidenti ma allora sei proprio serio a riguardo! Ti ho detto che ci devo pensare, non essere insistente!» Esclamò, alzando poi una mano a fermare il tentativo del Jonin di sollevare tre scatole di legno impilate. Scosse la testa, inarcando un sopracciglio. «Sei grande e grosso, non essere anche stupido confermando gli stereotipi.» Osservò, perplessa. «Ti vuoi rompere la schiena il primo giorno dopo l'elezione? Hai un curioso senso del premiarsi, non c'è che dire.» Ironizzò, fermando il Colosso nell'alzare di fronte a lui la mano destra e portandosi contemporaneamente la sinistra al fianco.

    “Ma comunque, perché sei qui?
    Immagino tu non sia solo venuta a procurare qualche prestigioso contratto con l’Hokage per la tua famiglia, o sbaglio?”



    Annuì, accennando ad un altro sorriso. In confronto a quelli che li avevano preceduti questo era, però, più freddo.
    «Infatti no. Sono qui per parlarti.» E posando sulle scatole di legno la mano che aveva fino a quel momento tenuto tesa di fronte al viso del Jonin, Shizuka annuì. «Queste aspetteranno.» Disse mentre il suo volto scemava lentamente in un'espressione più seria. I profondi occhi verdi di lei vennero alzati in quelli scarlatti del Jinchuuriki, su cui sostarono abbastanza tempo da indurre in egli la convinzione che ciò che stava per dire la sua interlocutrice fosse qualcosa più di uno dei suoi soliti scherzi.
    Accerchiando la pila di tre casse di legno poste l'una sopra l'altra, la ragazza si portò di fronte a Raizen, salendo poi con un salto a sedere sulla piramide.
    «Sono qui per parlarti dei disordini che si stanno accendendo fuori i confini dell'alleanza accademica.» Annunciò a quel punto la Principessa del Fuoco, intrecciando le gambe. «Come sai, il ruolo che ricopro nella scacchiera che serve Konoha è quella dell'infiltrata... e come sai, svolgere questo ruolo offre un certo tipo di possibilità non comuni ad altre cariche. Ovviamente capirai che di queste, non tutte è conveniente riferirle nei rapporti ufficiali...» Disse, lanciando il discorso in sospeso per qualche attimo, osservando le increspature del volto del suo interlocutore. «Diciamo che in talune circostanze, rivendere un certo tipo di informazioni mi dà accesso ad altre più ghiotte... e diciamo anche che questo tipo di trattative mi piace svolgerle personalmente. Non certo affidandomi alle cure di un'amministrazione che non ritengo pulita.» E facendo spallucce, allargando le braccia di fronte a sé, aggiunse: «E certo non chiedendo supporto all'accademia, soprattutto se l'ambiente in cui cacci è considerato inaccessibile.» Tacque per un istante, dondolando le gambe di fronte a sé come una bambina. «Sarebbe come se un cane si confondesse tra i lupi per carpire i segreti di questi... il puzzo che si tirerebbe addosso non lo renderebbe più meritevole di fiducia agli occhi degli altri membri del suo branco, poco importa se in nome di questi la bestia si è mossa fino a quel momento. E' per questa ragione che l'animale deve agire senza che nessuno capisca o sospetti.» Sorrise allegramente, grattandosi una guancia. «Beh il paragone non è dei migliori, ma ecco il punto è che...» E affilando lo sguardo, reclinò la testa di lato. «...un certo tipo di informazioni lo ottieni solo se raschi nel fango.» Chiuse gli occhi, rimanendo a quel punto di nuovo in silenzio.
    Seduta sulla piramide di casse, la kunoichi poteva vantarsi di essere quasi alla stessa altezza del Colosso, un vantaggio di cui approfittò per guardarlo direttamente negli occhi, prima di alzare il dito indice e medio della mano destra, uniti, accanto alla tempia corrispondente.
    «Tutto ciò che faccio è per Konoha, Raizen. Quando dico che non c'è niente che io non possa compiere, nessuno con cui io non possa essere in grado di scendere a patti, quello che intendo è su per giù questo.» Disse, mentre un alone blu elettrico avvolgeva le due dita. «Per lungo tempo ho conservato informazioni che non mi fidavo di riferire a nessuno. Le ho scelte tra le tutte e le ho sigillate fuori dalla mia mente, perché nessuno oltre me potesse sapere.» Affermò, portandosi le dita brillanti di chakra alla tempia. «Come avevo già deciso di fare da tempo, ora posso finalmente affidare queste informazioni a te, Raizen, a maggior ragione adesso che sei il Decimo Hokage di Konohagakure no Sato, il Villaggio che servirò fino alla morte. Questa è una mia tecnica di estrapolazione: assorbirai i miei pensieri. Vedrai e vivrai ciò che ho visto e vissuto io. Ti sarà possibile effettuare le connessioni mentali che ho fatto in prima persona, ma senza estraniare le tue conoscenze. Sono sicura che tu sappia più di quanto io possa conoscere e quel poco che dunque ho avuto la possibilità di ottenere, ti potrà essere utile per completare un quadro più ampio.» Spiegò, mentre le dita si illuminavano maggiormente e il braccio della Principessa si allontanava dalla tempia... facendo scivolare dietro di sè un filo blu elettrico che si compattò subito in un bagliore coeso e opaco. «Questo ricordo attiene in particolare all'ultima missione che ho svolto per conto del Villaggio presso Kusagakure. Sfrutta queste informazioni come meglio ritieni opportuno, Raizen.» E così dicendo Shizuka allungò un braccio, sporgendosi in direzione del Jonin, sulla cui tempia avrebbe adagiato le sue due dita quando lui si fosse dimostrato pronto a riceverne il tocco.

    ...E a quel punto, improvviso e repentino, Raizen Ikigami avrebbe avvertito come un torrente in piena che si riversava rapidamente dentro la sua mente, come un corso d'acqua le cui sponde abbiano ceduto lasciando che i propri flutti inondassero il panorama, travolgendolo con un ruggito profondo come il mondo.
    Una sequenza di immagini in rapidissimo divenire, volti, paesaggi, gesti, si imposero nella sua mente assieme a sensazioni, sentimenti, connessioni logiche, ragionamenti...
    ...e così, in una frazione di secondo lunga anni, Raizen affrontò una scatola sigillata da Fuuinjutsu vecchi e logori. Un'incisione su una pietra. Kurotempi. Karasu Uchiha. Sentì la sensazione dilaniante del proprio corpo aprirsi in due e del proprio sangue rigurgitare a terra. Assorbì il volto, le informazioni e i segreti di quell'attentato.
    Un uomo ad un chiosco mal ridotto. La bocca di lui che si muoveva lentamente, che parlava di associazioni e pretese. Di qualcuno che voleva la supremazia di un villaggio sugli altri. Kumo, Taki e...? E' troppo tardi, ne avete idea?
    Persone che si susseguivano rapidamente una dopo l'altra, un caleidoscopio incontrollabile di parole, dialoghi, chiacchere serie e sciocche. Otafuku. Kiri. Suna.
    E poi Kusa. Gli alberi alti, la vegetazione insopportabile che faceva prudere la sua carnagione chiara e delicata. E ruderi. Macerie. Scritte lasciate con il sangue di vittime abbandonate al marciume: “Cerco Hayate”. Il terrore di un Paese braccato.
    Il fuoco. Le urla. Un uomo incappucciato. La valutazione delle sue capacità. La visualizzazione dell'abilità innata di lui e delle dinamiche approssimative che la muovevano. La rielaborazione dei suoi lineamenti. Del volto scorto sotto al cappuccio con una serie di giochi ad incastro dati da illusioni e cloni.
    L'allarme ai confini. La chiusura degli stessi. Il costruttore...
    ...la voce di lui che parlava. La situazione di Kusa. Iwa.

    Rapido come un torrente e furioso come vento che soffia in una crepa della terra il cono di ricordi, sensazioni e informazioni di Shizuka Kobayashi fluirono dentro Raizen Ikigami, sparendo nella sua tempia sinistra.
    Un attimo dopo, il silenzio.

    «Questo è quanto. Direi che abbiamo fatto più veloce in questo modo, no?» Sorridendo, la Principessa si allontanò dal viso dell'Hokage, guardandolo allegramente. Aveva appena dato lui ciò che aveva di più importante: una parte della sua memoria.

     
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    Si alzò con uno sbuffo.

    Pft, se mi conoscesse qualcuno al villaggio non avrei dovuto sudarmi il ruolo che mi sono guadagnato con quel rinoceronte imbellettato del daymio.

    Dopo le prime battutine di Shizuka alzò un unico dito mentre chiudeva gli occhi con aria saccente.

    Attenta Shizuka, un proverbio di quelli che non ricordo mai dice che nello scherzo si nasconde sempre una mezza verità.
    Ora usciamo.


    Si diresse all’esterno, utilizzando qualche clone per prendere i pacchi che non riusciva a trasportare da solo.

    Il mio corredo può farlo chiunque l’importante è che sia in grado di rispondere alle mie esigenze composte da un unico, particolarissimo abito.
    Se credi di poterlo fare, beh, non ho alcun problema.


    Fu in quel momento che gli venne intimato di aspettare, e senza fare troppe storie si sedette nuovamente, di fatto facendo completare ai suoi cloni il trasloco, rimasero quindi soli nella caverna, in compagnia solamente della nuda roccia.
    Tossicchiò più di una volta mentre Shizuka parlava allungando lievemente la brodaglia, cercando di farle capire che avrebbe gradito maggiormente addentare qualcosa di consistente.

    Oh, bene!

    Disse entusiasta mentre la sua allieva giungeva a conclusione annunciandogli il passaggio del ricordo.
    A sapere cosa gli serbava la sgradevole esperienza forse non sarebbe stato così frizzante.
    I ricordi di Shizuka erano impregnati delle sue stesse emozioni, non poteva sentirne il dolore ma il trauma era quasi il medesimo, probabilmente senza la consapevolezza che quelle immagini non gli appartenevano avrebbe rischiato di perdere qualche rintocco.
    Alla sgradevole sensazione di ricordare così lucidamente ferite che non aveva subito si aggiunse poi quella di vivere il tempo come se fosse stato più denso e ricco di eventi mentre pagine di vita non sua venivano innestate e rilegate al libro della sua vita.
    Sbattè gli occhi più di una volta quando il processo fu terminato.

    Potevi dirmi che sarebbe stato così orribile.

    L’accusò con un tono a cavallo tra stupore e disagio prima di incupirsi.

    Vedo comunque che sai poco dei primi assalitori…

    Si massaggiò le tempie mentre strizzava gli occhi, cercando di focalizzarsi.

    Dio che maledetti stronzi, li avevamo già presi a calci nelle palle in accademia.
    Due episodi del tutto isolati tra l’altro, se non altro avrai capito a cosa ti porta il tuo approccio tutto ombre e vendetta della tua innata.
    Spero sia sufficiente questa robaccia a farti capire, l’accademia immagino sia già appropriatamente informata riguardo a kurotempi visto da quanto è successo gli staranno alle calcagna da un pezzo, anche se probabilmente sarà necessario mandarci qualcuno di più affezionato alla situazione.
    Per ora occupiamoci del pesciolino che sta agitando il fondo del mare.


    Sorrise pensando a quanto bizzarri fossero i metodi di quell’individuo. Cercare persone malvagie spargendo distruzione era come sperare di incorrere nelle ire di un contadino arandogli la terra.

    Cerca Hayate, e lo cerca dopo il grosso attacco avvenuto a Konoha ad opera di un intero gruppo che aveva la particolare usanza di chiamare a quel modo tutti i suoi membri, e quella sua particolare abilità… mh… non penso ce ne siano tante.
    Tuttavia se lo cerca vuol dire che ha dei conti in sospeso, probabilmente lui stesso ha preso parte a quell’attacco dalla nostra parte rimanendone scottato a sufficienza.
    Partiremo da questo, se qualcuno l’ha visto qualcuno si ricorderà di lui.
    Ma questo genere di cose si organizzano meglio da quella scomoda cosa con quattro gambe che nel mio ufficio si ostinano a chiamare sedia.


    Giunsero all’amministrazione in poco tempo, superando i cloni impacciati dal bagaglio.
    Li il Colosso ebbe modo di dimostrare tutta la sua inadeguatezza a quel ruolo, era sicuro di dover tenere un qualche tipo di cerimonia di instaurazione, ma al primo giorno che aveva messo piede dentro l’amministrazione non si era ancora convinto che fosse giunto il momento. Nonostante tutto li dentro parevano avere un certo rispetto per lui, forse dovuto alla sua posizione, dopotutto poteva mandarli a distribuire becchime ai piccioni da un momento all’altro.
    Quale che fosse il motivo di tale rispetto appena entrò in amministrazione la schiena dei presenti parve essere colpita contemporaneamente dallo stesso elettrificante stimolo che li portò a chinare la schiena in un educato saluto.

    E che è sta roba? Vi siete allenati per farlo o vi viene naturale?
    Dritte quelle schiene che magari poi mi chiedete ferie per via del lavoro usurante!


    Di certo non era un imbrattacarte professionista, ma sapeva cogliere bene il lato economico di qualsiasi mansione, Hokage compresa.
    Anche se a modo suo.

    Non so chi di voi possa procurarmi le persone di cui ho bisogno ma trovatelo e mandatelo nel mio ufficio, mi serve.
    Dopo avermi indicato il mio ufficio possibilmente.
    Datemi un quarto d’ora prima di mandarlo, devo continuare a scambiare quattro chiacchiere con la mia allieva qui.


    Entrati nell’ufficio, spoglio come poteva esserlo qualsiasi luogo pronto all’insediamento di una nuova persona al suo interno in sostituzione ad un’altra la stanza si presentava bianca e disadorna, eccezion fatta per qualche schedario e due sedie divise da una scrivania abbastanza grande da non far sembrare il Colosso più grande di quanto non fosse al suo confronto.

    Dimmi Shizuka, hai imparato qualcosa da quella missione?
    Hai capito o percepito la mancanza di qualche elemento nella tua preparazione che potrebbe tornarti utile in futuro?


    Era quasi una domanda degna di un Hokage interessato al futuro degli shinobi che popolavano il suo villaggio.
     
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    EVALUATION

    True genius resides in the capacity for evaluation of uncertain, hazardous, and conflicting information.




    L'ufficio dell'Hokage era una grande stanza semicircolare ricca di vetrate che affacciavano sull'intero villaggio e da cui, in quel momento, i raggi della luna filtravano con accecante brillantezza argentea.
    Ferma sull'uscio di quel luogo, in cui era entrata solo una volta come Principessa dell'Airone e che da quel momento non aveva più visto, Shizuka Kobayashi rimase un attimo immobile. Aveva immaginato che si sarebbe sentita a disagio una volta lì, con Raizen seduto su quella grande poltrona imbottita e lei dalla parte opposta di quella scrivania dalla superficie smussata, e non si era sbagliata. Esattamente come quando quella mattina si era presentata all'ospedale di Konoha e aveva fronteggiato tutto il corpo medico e infermieristico che da quel momento in poi avrebbe guidato, e si era sentita “strana” nel doversi presentare nuovamente, dopo tanti mesi che lavorava lì dentro con camici sgualciti addosso e turni destabilizzanti; anche in quel momento ebbe la netta sensazione che gli eventi fossero andati troppo velocemente e che lei, d'improvviso, si trovasse in una circostanza di cui aveva perso qualche battuta. Per quanto si impegnasse, dopotutto, Raizen rimaneva per lei solo la sua Volpe, ed era più che sicura che anche agli occhi di lui, lei non rimanesse niente più che la sua sciocca piccola Principessa.
    Sospirò, grattandosi la testa.
    «Credevi che farti un giro panoramico della mia mente fosse un piacevole passatempo?» Domandò infine, avanzando verso la scrivania dietro la quale Raizen si era placidamente accomodato. Chiuse alle sue spalle la porta, assicurandosi che fuori non sostasse nessuno. Non era paranoia, la sua, ma puntualità mentale: era passato troppo poco tempo dall'instaurazione del Colosso come Hokage e non tutti, ancora, sembravano accettare o comprendere la situazione. Si chiese se, in un certo senso, assicurarsi di “pulire” ciò su cui Raizen avrebbe da quel momento in poi camminato, non fosse un suo dovere. Giacché era da lui che Konoha sarebbe dipesa. E lei stessa dipendeva da Konoha. «Le sensazioni che hai avvertito sono ciò che trasformo nell'incubo di chi non si sveglia più. E' raro che attinga da esperienze che non ho vissuto. Del resto noi creatori, anche nell'illusione, dobbiamo sempre avere un filo che ci collega alla realtà.» Continuò la kunoichi, avvicinandosi al tavolo di legno massello, di fronte al quale sostò senza sedersi. «La potenza del sangue è forte, Raizen, e in me lo è in modo particolare. Sono nata Kobayashi e nessuno mi ha mai insegnato a gestire una Kekkei Genkai, tu non eri preparato a farlo e gli Uchiha non si sono assunti questo onere: il mio caso è leggermente diverso dal “decidere di essere così”. Io sono diventata in questo modo perché chi doveva impedirlo non mi ha insegnato a gestire chi sono.» Osservò educatamente, reclinando leggermente la testa di lato. La luce della luna illuminava il suo corpo formoso, fermandosi all'altezza della gola. Nonostante il volto di lei fosse ingoiato dall'oscurità della stanza, però, non sarebbe stato difficile per il Jonin immaginare la sua interlocutrice sorridere. «Beh è una circostanza che Norio Uchiha mi ha insegnato ad addomesticare in pieno stile Clan del Ventaglio: o imparavo a domare il mio sharingan, oppure mi avrebbe ammazzata. Dopo l'attacco di Karasu il mio equilibrio interiore non era dei migliori, e capirai che lasciare una bastarda Uchiha mezza pazza in giro andava un po' troppo oltre la responsabilità che la Foglia poteva assumersi. Soprattutto dopo aver visto chi aveva compiuto l'attacco terroristico e sotto il nome di quale associazione terroristica. Un gruppo che, nonostante i fatti trascorsi, l'accademia insegue senza conoscerne i tratti, come si può cacciare un mostro di cui si conosce solo l'aspetto immaginario.» Ammise, allargando le braccia di fronte a sé per pois scuotere la testa. «...Ma non è questo il punto, giusto?» Domandò infine, avvicinandosi ulteriormente alla scrivania. Solo a quel punto, battendo una mano su una poltroncina scricchiolante, che esplose in una scarica di polvere, la Principessa di Konoha si sedette, accavallando le gambe e raccogliendo le mani in grembo. «E' una chiaccherata informale, mi pare di capire.» Asserì educatamente, sorridendo. Ora la sua intera persona era illuminata dalla luna, ma da quella posizione adesso era Raizen, seduto con le spalle rivolte alle lucide vetrate dell'ufficio, a risultare scuro ai suoi occhi. «Vuoi il mio parere su questo individuo?» Domandò, reclinando leggermente la testa di lato. «Si muove da solo e dubito che quella del mio incontro sia stata un'eccezione. Assolutamente privo di qualsiasi tipo di empatia verso il prossimo, e dunque non incline a far parte di gruppi coesi, non denota nessun tipo di stima dei pericoli, della circostanza o delle capacità altrui, tendendo a sopravvalutare se stesso e a sottovalutare gli altri. Si muove dell'istinto della bestia fuori controllo, gode a nuocere agli altri come se questo lo sfamasse dopo un lungo digiuno e la cecità che questa condizione gli infligge lo porta, come ho detto, a non valutare correttamente chi ha di fronte. E' ciò che è successo con me, insomma.» Iniziò a dire, chiudendo gli occhi. «Ciò che mi ha mostrato ritengo sia un'abilità innata unica nel suo genere. Non ci sono tracce di tecniche speciali simili negli archivi accademici e nemmeno in quelli di Konoha. Nessuno degli albi storici a cui ho accesso dimostrano tracce di niente che si avvicini vagamente a qualcosa del genere. Purtroppo non ho avuto a che fare con lui abbastanza tempo per effettuare una stima approfondita delle sue capacità, non mi piace fare illazioni e perciò preferisco tacere, ma ritengo che la sua sia un'abilità personale che funziona, come posso dire... entro una certa distanza?» Alzando lo sguardo al soffitto, Shizuka parve esitare. «E' come se sia in grado di infliggere un certo tipo di condizioni all'avversario, ma tutto entro un determinato raggio, al di fuori del quale gli effetti inflitti si riducono notevolmente, come hai visto dai miei ricordi. E' veloce, molto forte, ma temo che risenta delle manipolazioni mentali come i Genjutsu, anche se onestamente non posso esserne certa perché me la sono allegramente data a gambe senza rimanere lì per constatare.» Disse, grattandosi la testa e abbozzando un sorriso. Nulla di cui stupirsi: la sua missione era un'altra, quello era solo uno stuzzicante e (sperava) ben pagato surplus. «La parte di cui sono certa è che il modo in cui si è mosso, dando fuoco a villaggi, uccidendo persone innocenti, sterminando i membri di un culto religioso unico nel suo genere, e infine usando il sangue delle vittime per lasciare messaggi in modo così smaccatamente teatrale... e di pessimo gusto, se posso aggiungere.» Commentò gravemente, annuendo seria. «Denotano una personalità priva di raziocinio, protesa solo al desiderio di infliggere dolore per puro scopo ludico. Quando ho provato a parlare con lui, offrendogli un'alleanza che avrebbe potuto giovargli in quella circostanza, non si è dimostrato interessato ad ascoltare. Era tutto preso dalla voglia di ammazzarmi come se fosse la cosa più importante, nonostante si trovasse in una landa senza copertura, con un falò di innocenti alto chilometri, serrato entro un Paese dai confini chiusi e con potenziali "nemici" in arrivo. Come capirai una persona che agisce così è alla stregua di un animale.» Ammise, scuotendo la testa. «Non posso sapere perché cerca “Hayate”, ma valutando il soggetto posso stimare due possibilità, che purtroppo per noi sono l'una l'opposto dell'altra: per distruggere o per usarli. In entrambi i casi per noi sarà una bella noia risolvere il fatto.» Sentenziò stancamente. Sembrava già stufa della possibilità, benché effettivamente si muovesse di presupposti. «Sempre se vogliamo risolverlo, ovviamente. Dopotutto con quanto ho in mano, in una scala di pericolo di dieci tacche lo collocherei ad un livello quattro. La sua innata è unica: stupidamente mostrandola in giro il nostro amico risulta essere un cero nella notte e vedendo la personalità dubito che si asterrà dal fare il fighetto quando possibile; agendo inoltre senza nessun tipo di accortezza circa il suo operato, ci basterà tendere le orecchie per sentirlo muoversi. Se anche avesse alleati, cosa di cui dubito, non ritengo che si muovano secondo lo stesso binario di interesse. Per concludere, conoscendo i lineamenti del suo volto, mi basterà fare qualche rapida indagine per saperne anche di più. Certo, sopravvalutare è sempre meglio che sottovalutare, prevenire è meglio che curare, eccetera eccetera eccetera... ma devo essere onesta?» Disse infine, concludendo. «Dubito che sia niente di più che un pazzo. Ma non ignorare la faccenda, non voglio che il puzzo di marcio arrivi fino a Konoha.» Asserì, scuotendo la testa.
    A quel punto, però, rimase un attimo in silenzio. Raccogliendo le gambe sulla sedia, tentò di appoggiare il mento sulle ginocchia, ma il seno troppo prorompente glielo impedì e lei, per evitare che il problema fosse evidente, si mosse sulla sedia in una serie inconcludente di giretti, alla fine mettendo le gambe di lato su un bracciolo e la schiena appoggiata a quello opposto. Solo a quel punto annuì.
    «In ogni caso me la sono vista brutta.» Disse a quel punto, socchiudendo gli occhi e grattandosi la testa nel mostrare i denti in un sorriso sguaiato. «Manca poco che ci rimanevo secca!» Ammise, scoppiando a ridere fragorosamente. Il tono di voce alto sembrava ora mascherare la tensione della voce, improvvisamente nervosa... nonostante tutto, quando lentamente quell'espressione fuori luogo scemò nel silenzio, la kunoichi non esitò a riprendere a parlare. Sospirando sonoramente per poi alzare gli occhi al soffitto, scosse la testa: era inutile mentire, aveva offerto i suoi pensieri a Raizen, e lui l'aveva già avvertita... quella paura schiacciante di non riuscire a correre abbastanza veloce per tornare a casa. «Mi chiedi se ho capito la mancanza alla mia preparazione. Le mie difficoltà nel gestire quel signorino fuori di testa si sono basate principalmente sul fatto che lui era, obiettivamente, più veloce e forte di me... e sul fatto, inoltre, che il mio corpo a corpo non è mai stato potenziato come, ho capito solo in quel momento, è necessario.» Borbottò, mettendosi a braccia conserte. «Se non fossi stata una maestra di Genjutsu non avrei avuto possibilità. La mia fortuna è stata il poter giocare sulle illusioni, ma se mi fossi dovuta confrontare con lui a mani nude sarei morta.» Stimò con molta sincerità, per poi aprire i palmi delle mani e stringere le rispettive ginocchia, iniziando a dondolare le gambe come una bambina. Peccato che, al confronto di una bambina, lei ci stava a malapena raggomitolata su quella poltrona vecchia quanto sua nonna. «In merito a questo sto già prendendo provvedimenti, tranquillo. C'è una tecnica che vorrei imparare, sai... far esplodere le cose con i pugni. Roba interessante. Mia madre è una forza in queste cose, ma non può allenarmi, sai, il divieto che il Capoclan degli Uchiha... beh, sappiamo tutti la storia.» Tagliò corto. Al contrario di molti anni prima, in cui non si sarebbe risparmiata di calcare la mano su quella circostanza, adesso sembrava realmente poco intenzionata a parlarne. «Credo che la mia preparazione sia carente nell'essere, come posso dire, una pedina da combattimento abbrutito. Da infiltrata combattere equivale a fallire la missione, da supporter il mio stare in prima linea non è contemplato... ma se sono costretta dalla situazione devo poter essere all'altezza. E dubito che di fronte ad avversario possa mettermi a spiegare i perché i come non sono capace di parare un pugno o tirare un calcio.» Ammise, accennando ad un sorriso. «Vedrò di acquisire la tua capacità di combattimento, tanti ceffoni e poche moine, e di sfruttarla quando è necessario. Anche se fino ad ora non ho mai avuto stima del combattimento nudo e crudo, sono costretta a rivalutarlo. Se un giorno dovessi essere accecata e mi trovassi contro qualcuno come il nostro amico incappucciato, cosa penso di fare? Pregare le divinità del Fuoco di accogliermi nell'alto dei cieli?» E rimettendosi seduta compostamente, accennò per un secondo ad un ghigno. «Come se fosse possibile, ormai...» Le uscì di bocca in un sussurro a malapena udibile, prima di distendersi per metà busto sulla scrivania di Raizen, fissandolo negli occhi tutta allegra. «Dimmi che sono stata brava, dai.» Ordinò a quel punto, muovendo il sedere come se stesse scodinzolando.
    Forse, a quel punto, si poteva dire che lo fosse stata davvero.



    Edited by Arashi Hime - 6/7/2015, 16:14
     
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    Lati Oscuri







    Sospirò pesantemente alle parole di Shizuka.

    Li avevo avvisati ma evidentemente certe cose passano difficilmente alle orecchie del clan Uchiha.
    Immagino ora debbano ascoltarmi per forza.


    Tamburellò sulla scrivania sorridente.

    Considera quel divieto sparito, non voglio sentire altre questioni a riguardo, quei piantagrane patologici li mando a vivere in mezzo al mare e l’unica parvenza di terra ferma che avranno sarà una scialuppa fatta con i loro ventagli del cazzo.

    Sgarbato, severo, ma era un tono che non ammetteva repliche, il clan Uchiha da quel momento non avrebbe più interagito con Heiko, fortunatamente da Hokage aveva un potere ben maggiore della semplice minaccia.

    Se è questo che ti serve, questo avrai.
    All’ospedale come ti sei trovata?
    Vorrei che collaborassi con Iron, per un po’, sei ancora inesperta, è la prima volta che metti piede li dentro.
    Riguardo la missione invece, beh, non posso dire tanto ma è palese che ti manchi un modo per valutare la forza del tuo opponente, e ne necessiti in qualche modo.
    Sarebbe meglio non ti spingessi più in solitaria all’esterno.


    Terminato il dialogo tra i due delle nocche sulla porta segnalarono la presenza di qualcuno che attendeva di entrare dietro ad essa.
    Qualcuno intimidito.

    Oh, avanti, entra pure!

    Non era il primo shinobi che passava, nonostante la schiena un po’ curva a causa dell’ingombrante presenza di Raizen pareva ben allenato e abbastanza preparato fisicamente, capelli neri, occhi neri: un Nara probabilmente.

    Allora ragazzo devi buttar giù dal letto uno Yamanaka capace di usare le carte ninja.
    E domani mattina voglio nel mio studio Soken Hyuuga, ho sentito che aveva notato qualcuno di particolare durante l’attacco al cinque code, se hanno combattuto assieme probabilmente avevano gli Hayate come avversari.
    Probabilmente saprà dirci qualcosa.
    Nel mentre ci avvantaggeremo sulla ricerca del povero stolto, abbiamo già un importante pedina nella nostra scacchiera, basta solamente farla cantare.


    All’arrivo dello Yamanaka Raizen lo fece accomodare in una sedia.

    Buona sera, o buon mattino se preferisci, mi scuso per questa convocazione frettolosa, ma è necessario agire in fretta, devi darmi un occhiata alla mente, ti “porgerò” un ricordo abbastanza vivido con il quale mediante la tua carta ninja ricaverai un identikit da consegnare alle giuste persone, ma a quest’ultimo passaggio penserò io.
    Ah, scusami ancora, non ti ho lasciato il tempo per le presentazioni.


    Gli cedette la parola con un sorriso, stranamente cordiale, quello studio pareva avere un effetto positivo sul Colosso.

    Kodachi Yamanaka Juudaime-sama, per servirla.

    Guadagnò subito la sedia con uno scatto lievemente teso mentre acquisita una posizione comoda si preparò alla breve interrogazione mentale, altro evento non troppo piacevole.
    Fortunatamente breve ed immediato grazie alla possibilità di trascrizione immediata, poter vedere il volto dell’individuo stampato lo inquietò lievemente, ed al contempo lo rese euforico.

    È un pezzo di merda, ma devo ammettere che avere qualcuno su cui indirizzare lo stress non fa mai male.
    Grazie Kodachi, uscendo abbi cura di far rientrare il ragazzo che attende qui fuori.


    Quando il Nara guadagnò nuovamente la stanza passò qualche secondo perché Raizen gli rivolgesse la parola, intento com’era a squadrare la foto.

    Eccoti qui, devi farmene parecchie copie, questa faccia deve arrivare in tutto il continente ninja, ma sta ben attento ad un particolare, questo gratta cessi non deve sapere chi l’ha scoperto, invia l’avviso a Kiri, Suna e Oto e concorda la pubblicazione per la giornata di domani alla medesima ora, di modo che non si comprenda di che paese fosse il ninja che l’ha scoperto.
    Quando gli arriverà la mannaia sul collo si chiederà a lungo di chi era la mano che l’ha decapitato.
    Ah, aspetta, non iniziare a copiarle domattina è probabile che lo Hyuga aggiunga importanti dettagli se i miei sospetti sono ben riposti.


    Fu così che Jeral, il cui nome avrebbe scoperto l’indomani mattina insieme ad un viso più dettagliato grazie ai ricordi dello Hyuga, fece conoscere le sue sembianze e parte delle proprie abilità all’intera accademia, proprio per mano del villaggio che aveva prima aiutato e poi cercato di ledere.
    Addirittura pareva che l’individuo non fosse nuovo all’accademia a Suna era riuscito a liberare un demone, particolare che fece riflettere il Colosso sulle sue reali intenzioni a Konoha di cui si sarebbe premurato di informare il nobile Soken in modo da indurlo a far decadere quello sciocco debito d’onore verso il criminale.
    Consegnato l’identikit all’impiegato Raizen tornò su Shizuka.

    Direi che questa faccenda è lontana dal concludersi, tra poche ore il viso di quel grattacessi sarà dominio pubblico e non potrà muovere un passo senza mascherarsi.
    Ma prima di lui la donna catturata all’attentato, ho fatto una fatica tremenda per prenderla viva e nonostante ci avessi pensato già prima non mi ero ancora occupato di interrogarla.


    Si fece nuovamente pensieroso, per concludere con una smorfia spensierata chissà quale monologo.

    Tuttavia non penso sarà un bello spettacolo da vedere, e non vorrei tu dovessi guardare, anche perché è una donna e non ho piacere a farlo ne a mostrarmi in queste circostanze.

    Era forse più serio di quando non avesse appreso l’identità del nukenin, probabilmente conscio del fatto che alcuni lati di quel lavoro, o per meglio dire dei torturatori, mal si addicessero all’Hokage e ad un suo lato che voleva venisse dimenticato, seppur non accantonato.




    CITAZIONE
    /OT l'utilizzo dello Yamanaka è puramente scenico, la sua abilità viene usata per un identikit eseguibile a mano mediante un disegno, ho solo voluto rendere più ninja la cosa u_u OT/
     
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    WEAKNESS

    The grave soul keeps its own secrets,
    and takes its own punishment in silence.




    ...E dunque, infine, era arrivato quel momento.
    Aveva provato a non pensarci in quei mesi, in quegli anni. Aveva lottato contro quella spaventosa consapevolezza persino nel momento in cui, sedendosi dinnanzi al Daimyo del Paese del Fuoco, era stata nominata per supportare la carica del nuovo Hokage.
    Stupidamente, come una bambina che si tappa gli occhi per non vedere l'ovvietà, per tutto quel tempo aveva solo cercato di non dire a voce alta ciò che era evidente, provando a non accorgersi che mentre tutti la superavano, correndo in avanti a grande velocità, lei rimaneva ferma. E questo non perché non avesse goffamente mai provato a fare altrettanto, ma perché lei, a differenza degli Shinobi che valevano, quelli cioè che per qualche strana ragione erano capaci di ottenere la massima espressione del dominio per ragioni connaturate nell'ingiustizia del creato, non era migliorata quanto sperava. Non aveva acquisito nessun potere strabiliante come aveva immaginato quando aveva deciso di specializzarsi in qualcosa in particolare, di diventare finalmente qualcuno.
    Non era semplicemente forte. Non quanto voleva, almeno.
    Aveva investito il massimo delle sue energie nel tentativo di arrivare a toccare la vetta di ciò che considerava la grandezza. Aveva sopportato allenamenti estenuanti, aveva lottato contro se stessa persino, e tutto con l'unico obiettivo di diventare “forte”...
    ...se però nel caso di qualche altro ninja questo desiderio poteva assumere solo una deliziosa aspirazione tutta protesa alla felicità altrui, nel suo caso era un'esigenza molto più radicata, profonda e indispensabile. Sapeva che dall'acquisizione del potere dipendeva il suo rimanere se stessa, non cedendo alle unghie arcuate della sua Kekkei Genkai... e sapeva egualmente che, se avesse davvero voluto liberarsi dal giogo che pendeva sul suo collo, potendo finalmente respirare a pieni polmoni e decidere con serenità la direzione da intraprendere, l'unica cosa che poteva fare era diventare potente.
    Lo aveva già capito il giorno in cui Karasu era arrivato a Konoha, e lo aveva lentamente compreso con sempre maggiore e grottesca consapevolezza ad ogni missione e ogni richiesta in cui lei, puntualmente, si rivelava essere l'anello debole di una costellazione di potenti troppo brillante: era una miserabile.
    Gridava a gran voce di voler difendere il suo Villaggio, di voler aprire dinanzi a questo uno scudo per tutelare la felicità dei suoi concittadini. Continuava a pretendere di essere una delle chiavi che manteneva la porta della Pace accademica sempre aperta. Insisteva a rimanere nell'ufficio di Raizen come se questo le conferisse chissà quale merito mai concesso. Eppure...

    “non posso dire tanto ma è palese che ti manchi un modo per valutare la forza del tuo opponente, e ne necessiti in qualche modo.
    Sarebbe meglio non ti spingessi più in solitaria all’esterno.”



    Rimase semplicemente immobile mentre Raizen la guardava. Non disse niente, né si oppose, e nulla aggiunse neanche quando il Jonin si affrettò a richiamare all'ordine dell'ufficio un giovane Nara dai capelli raccolti, cui richiese la presenza di un secondo ninja, il quale si rivelò uno Yamanaka.
    Seduta sulla poltroncina riservata ai visitatori, Shizuka Kobayashi rimase ferma e muta, incurante persino dei cenni del capo nervosi che gli Shinobi che si succedettero al cospetto dell'Hokage le porsero con un certo imbarazzo. I suoi occhi, gelidi, insistevano a sostare sulle sue mani raccolte in grembo mentre lei, incapace persino di alzare la testa, seguì con sempre maggiore atterrimento gli ordini che la Volpe impartiva.

    “non deve sapere chi l’ha scoperto”

    “concorda la pubblicazione per la giornata di domani alla medesima ora, di modo che non si comprenda di che paese fosse il ninja che l’ha scoperto.”



    “si chiederà a lungo di chi era la mano che l’ha decapitato”



    Per un istante la kunoichi si irrigidì, imponendo al suo volto di non contorcersi nel sorriso raccapricciante che sentiva già ridere violentemente dentro di lei...
    ...e dunque, era arrivato infine quel momento.
    Era talmente debole da dover essere protetta dall'uomo che si supponeva fosse lei a sostenere?
    La sua inettitudine era tale da impedirle persino di fare il suo lavoro? Poiché un'infiltrata si muoveva sempre da sola e se questo le veniva proibito, cosa ne rimaneva di lei?
    Ma allora, se davvero la sua condizione era così pietosa...
    ...perché lei si trovava lì?

    Precisamente, lei, in cosa poteva essere utile?

    Non lo chiedeva. Lo pretendeva.
    Cosa doveva fare per ottenerlo?
    Cosa stava sbagliando?
    Cosa ancora non era riuscita a capire?

    «...Cosa...?» Le uscì di bocca mentre continuava a guardare le sue mani farsi lentamente tremanti.

    ...Cosa doveva fare?



    Era ormai evidente che non importava quanto si allenasse o quanto si impegnasse, se persino un individuo come Atasuke era più potente di lei, era evidente che il problema non risiedesse nel tipo di addestramento, ma nella sua persona. E dunque...
    «Cosa devo fare?» Disse a quel punto Shizuka, stringendo le mani sulle sue gambe. Le unghie si conficcarono nella carne, affilandosi nelle pelle dei pantaloni. «Cosa devo fare per ottenere il potere?» Domandò. La sua voce era molto diversa da quella originale: più gelida, più tagliente, sembravano artigli di corvo su pareti di vetro. «Cosa maledizione devo fare per diventare potente?» Ripeté in una sorta di nenia alienata. «Cosa devo fare per non essere un peso a livelli tali da costringere persino l'uomo che dovrei proteggere e supportare a proteggere e supportare me? Devo uccidere? Devo perdonare? Cosa? Cosa devo fare?» Mormorò in un gorgoglio. «Non importa quali sono le condizioni, posso tutto fintanto che mi tornerà indietro ciò che voglio. Cosa diavolo devo fare...» Serpeggiò, alzando gli occhi in quelli di Raizen. Persino nell'oscurità della notte le sue iridi ormai nere brillarono di un bagliore grottesco come le profondità del mondo. «...per riuscire ad essere un elemento valido?»
    Seduta sulla poltrona, la kunoichi di Konoha affilò lo sguardo, sollevando impercettibilmente il labbro superiore nello scoprire i denti mentre, inconsapevole, lasciava che il suo volto si snaturasse in una maschera di profondo disgusto e rabbia.
    In quel momento più che mai, il suo viso, i suoi lineamenti e persino il suo sguardo... erano così simili a quelli di Karasu Uchiha che Raizen, per un istante, avrebbe sentito quei pensieri non suoi ridere dentro la sua mente, volgari.
    «Insegnami. Qualsiasi cosa, va bene.» Disse la ragazza, gelida. «Voglio diventare potente. Chiedo tanto, forse?» Cercò di moderare il tono di voce, inizialmente con scarso successo, e fu dunque a causa di quel timbro che improvvisamente la kunoichi parve comprendere la situazione nella quale si trovava e così, stringendo le mani al petto e serrando gli occhi, si impose la calma.
    Le furono necessari molti minuti perché questo accadesse ma poi, finalmente, almeno il tremore delle sue mani si dissolse e persino la posizione innaturale delle sue dita si ammorbidì, lasciandole nuovamente quiete... solo a quel punto, Shizuka Kobayashi, la famosa Principessa di Konohagakure no Sato, sembrò riacquistare sia il tono usuale della sua voce che la sua innata compostezza. Ma il colore degli occhi, quello no. Questi rimasero ancora di un profondo e cupo nero.
    «Concedimi di occuparmi di questa Yamanaka.» Disse la Chunin, senza staccare le mani dal suo petto. «Sei stato nominato ieri e non possiamo sapere se ci sono già oppositori alla tua carica, e se si quanti, non vorrai perciò davvero metterti a torturare un membro del Villaggio.» Commentò a bassa voce. «Può essere una traditrice, ma è comunque una donna di Konoha appartenente ad un grande Clan. Non è una scelta geniale che sia tu a valutarla, mentre al contrario se lo facessi io non potrei avere ripercussioni di nessun tipo, perché al tuo contrario sono appoggiata sia dagli Uchiha che dai Kobayashi. Senza contare che il tipo di interrogatorio che posso svolgere io è di quel tipo che non lascia tracce sul corpo e, se voglio, che può non essere neanche ricordato.» Continuò la kunoichi, guidando le sue iridi scure in quelle scarlatte di Raizen. «Almeno in questo, io...»

    ...io vorrei non deluderti.

     
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    Diversamente dalle altre volte Raizen sorrise ad una di quelle cadute ormai tipiche della kunoichi.

    Shizuka, da quando passi più tempo a piangerti addosso che a mangiare?

    Chiese con un filo di ironia.

    Tu non mi devi proteggere, forse supportare, ma la protezione sta a me, io sono l’Hokage e per quanto gran parte delle sfumature di questo titolo siano a me sconosciute alcune sono cristalline.
    La protezione è una di queste.


    Si alzò dalla sua sedia, muovendosi attorno alla scrivania per passare dal lato di Shizuka per poi poggiarsi sul mobile dinnanzi a lei.

    Il potere non si chiede, il potere si ottiene.

    Disse guardandola dritto negli occhi.

    Non ho mai chiesto a qualcuno di essere forte, di sigillarmi qualcosa dentro, ho semplicemente preso ciò che mi serviva.
    E tu hai scelto una via diversa dalla mia, posso consigliarti come migliorarti, ma non posso insegnartelo proprio per questo motivo.
    E poi sei già un elemento valido, ti manca solo l’esperienza.
    Vedilo come un circolo vizioso, senza l’esperienza non migliori, ma se cerchi prima di migliorare di fare esperienza non arriverai mai a farla, ed iniziare dal migliorarsi è impossibile.


    Gli pose una mano sulla testa, affettuoso come un tempo.

    Non posso insegnarti più nulla, non puoi essere potente come lo sono io, ma puoi essere potente come potresti esserlo tu, l’unica cosa che ti frena ora è ciò che la tua cicatrice rappresenta, oltre ad essere orribile, ma questo è un altro discorso.
    L’odio contenuto li dentro che cerchi in tutti i modi di preservare, è il peggiore degli stimoli, tutte le volte che ti pesco in errore è a causa sua, vedi tu se è o meno il caso di liberartene.
    Altrimenti sarai solamente un altro avanzo di cibo tra i denti dei veri predatori.


    Crudelmente schietto e abbastanza secco da sembrare quasi volontariamente cattivo.

    L’unica faccia femminile sul monte degli Hokage aveva attitudini simili alle tue, se proprio devi, ricalca il suo percorso, non il mio.
    Per questo ti ho indicato Iron, una volta guadagnate le giuste capacità saprai evolvere da sola.
    Dimmi, hai capito?


    Chiese concludendo il discorso.

    Riguardo la tortura invece no, non posso permettertelo.
    Non nel tuo stato attuale, non fino a quando i tuoi occhi verdi si riempiranno di nera spazzatura Uchiha.
    Non vorrei sottoporti ad un simile stress, ma potresti comunque darmi una mano.
    Tuttavia non sarà nella parte in cui immagini tu.
    E non cercare di convincermi, le mie motivazioni penso siano sufficienti.


    La guardò negli occhi, chiedendogli nuovamente, ma senza proferir parola, se avesse compreso.
     
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    KNOWLEDGE

    Real knowledge is to know the extent of one's ignorance.




    Era arrabbiata e delusa da se stessa, e le parole di Raizen non fecero che acuire il profondo disagio in cui sentiva di trovarsi, del resto non avrebbe detto una novità affermando che non si era mai considerata davvero un elemento valido.
    Cresciuta da uomini di potere sui più importanti palcoscenici del Paese del Fuoco, Shizuka aveva infatti ben presto capito che ci sarebbe sempre stato qualcuno più forte di lei, una considerazione che aveva preso con quella sorta di umiltà irritata tipica del bambino che desidera di poter migliorare per arrivare allo stesso passo di chi ammira, e accecata da quel pensiero fisso aveva disperatamente cercato il potere per poter divenire anche lei una parte di quegli scenari fantastici. Nel percorso che però aveva intrapreso per riuscirci aveva capito che il suo desiderio di divenire il supporto di Konoha e ora più che mai di Raizen –suo maestro, sua Volpe, suo Hokage– non nasceva solo dal capriccio offeso di una ragazzina senza sale in zucca, ma da un sentimento più forte che aveva scoperto forse per la prima volta. Come l'acqua del fiume, tumultuosa e poi sempre più quieta, non può non desiderare di sfociare nel mare aperto, allo stesso modo Shizuka non poteva discostarsi dal Fuoco, dal suo vibrante e soverchiante calore.
    Era rimasta attonita da quei pensieri, dal sentimento bruciante di amore e devozione che provava verso la luce che non aveva mai smesso di guardare, e aveva capito allora che era proprio quella la parte di lei che brillava ancora, benché immersa in una foresta di oscurità. Era quella, la sua purezza.
    Non aveva mai cercato gloria e ammirazione, non era stata educata al ruolo dell'eroe né come Principessa e neanche come Shinobi. Il suo volere affondava le radici in una consapevolezza più profonda di quella data da un titolo, quella per cui se il Sole era brillante e ben voluto, non vi poteva essere splendore più grande se non ci fosse stata una Luna da paragonarvi.
    E lei era la Luna, e avrebbe fatto l'impossibile per far brillare ciò che così tanto amava.

    «Concedimi il sapere, allora.»



    Disse improvvisamente Shizuka, alzando lo sguardo in quello di Raizen. Raggomitolata sulla sedia degli ospiti, con le ginocchia sotto il mento e le braccia a nascondere il viso, la kunoichi era rimasta a dondolarsi così come una bambina fino a quando non aveva sentito la mano dell'Hokage toccarle la testa. Non aveva idea da quando la Volpe fosse divenuta così “adulta”, ma aveva ben poca voglia di non rimanere al suo fianco. Era diventata piuttosto stufa di vederlo proseguire tre passi avanti ad ognuno compiuto da lei.
    «Dici che posso diventare potente a modo mio.» Riprese a dire la Principessa della Foglia, piantando i suoi grandi occhi in quelli dell'interlocutore. Tornati del loro splendido verde smeraldo, erano privi di qualsiasi traccia di fame. «Allora dammi l'accesso al sapere.» Continuò, seria. «Permettimi di continuare i miei studi senza i limiti che ci si aspetterebbe dal mio grado. Ho ottenuto tanto da quando sono stata promossa Chunin, ma non ho ancora la possibilità di avvicinarmi ad una determinata conoscenza.» Disse, cercando poi di smorzare quelle parole con un sorriso. «Tranquillo, non pretendo chissà quale cosa proibita, mi rendo conto da sola che il miglioramento richiede tempo e che potrò davvero ottenere la completezza dei miei studi solo quando sarò meritevole di essere Jonin, e forse neanche allora, ma mentre lavoro per questo obiettivo non voglio rimanere ferma. Vorrei una raccomandazione e l'accesso alle serre del villaggio, per poter ottenere una specializzazione come erborista, che mi sarebbe utile tanto per l'ospedale quanto per le missioni.» Chiarì la ragazza. «Voglio l'accesso agli archivi di Konoha. Alcune ale mi sono ancora proibite e non posso avere le chiavi per i tomi che mi interessano. Non ti angosciare, non voglio sovvertire nessun ordine, né accedere a saperi negati, ma voglio poter aprire la mia mente a quello che SO esserci in questo mondo, ma che per qualche ragione mi viene nascosto.» E così dicendo, facendo scivolare lentamente le gambe a terra, Shizuka si alzò dalla sedia, fronteggiando Raizen faccia a faccia. Il suo volto, illuminato dalla falce lunare della notte, brillava in un'espressione incrollabile. Ferma, risoluta e nobile, in quel momento non vi era traccia della maledetta degli Uchiha o della giovane Principessa dell'Airone, di fronte a Raizen vi era una donna adulta che parlava per se stessa e solo per se stessa, senza emblemi o reputazioni a sorreggerne le parole.
    «Lo so che sta succedendo qualcosa nel mondo, non bisogna avere un'intelligenza fuori dalla norma per capire che gli assetti di ciò che è stato faticosamente sistemato negli ultimi cento anni stanno cambiando.» Disse nuovamente Shizuka, guardando il Jonin negli occhi. «Ma non ho le conoscenze per capire COSA sta succedendo. Immagino ovviamente che se determinate circostanze sono tenute nascoste, i motivi sono validi, ma non riesco a rassegnarmi all'idea di non potermi preparare come si conviene. Non penso di essere un elemento valido né così potente da poter avere accesso a tanti di quei segreti che suppongo sia lecito solo un'alta carica come te possa avere, ma allo stesso modo ti chiedo di darmi la possibilità di avere almeno la cultura e il sapere leciti a poter essere un arma al tuo servizio, qualora sia necessario.» Continuò. «Voglio poter far parte del disegno che tu conosci e da cui fino ad ora mi hai lasciato fuori. Se per migliorarmi serve l'esperienza, fammi ottenere questa esperienza. Permettimi di seguirti, di starti accanto. Non devo proteggerti, ma supportarti? Permettimi di supportarti, allora. Non solo per te, ma anche per me.» E così dicendo scosse debolmente la testa, senza però allontanare i suoi occhi da quelli rubino della Volpe. «Dici di non potermi insegnare più nulla, ma non penso che sia così. Abbiamo scelto due strade diverse in ambito militare, ma è lontano il giorno in cui io possa smettere di apprendere da te. Forse non puoi più trasmettermi le basi, ma allora, a buon ragione, concedimi il sapere più alto.» E stringendo le mani a pugno, esitò un attimo. Abbassò il viso, che ondeggiò per lunghi secondi nel vuoto delle ombre e degli spicchi di luna dell'ufficio nel quale i due si trovavano, in quei giochi di luce che sembravano così simili alla bilancia di dare e ricevere che Shizuka e Raizen avevano sempre mantenuto in equilibrio in quegli anni, fino a quando i suoi occhi di smeraldo si riportarono di nuovo sul viso dell'Hokage, che inchiodò alla scrivania di fronte a cui si era appoggiato. «Mi hai dato fiducia quando non la meritavo, dammela ora che sento di poterla accogliere. Dammi il permesso di accedere al sapere superiore, a quello che si suppone sia giusto donare ad un bambino diventato ragazzo, e da ragazzo cresciuto in un adulto.» Disse, ferma. «Ciò che mi divora dall'interno non ha più preso il sopravvento come un tempo. Il mio equilibrio risulta compromesso, è vero, ma lo sarà sempre meno perché ora più che mai so cos'è giusto e cosa è sbagliato, so per cosa combatto, per cosa voglio migliorare e per cosa vivo con gioia ogni giorno. Permettimi di dimostrartelo. Concedimi il sapere, la possibilità di servirti ad un livello più profondo di quello dato solo dalle mere parole con le quali ostento un legame indistruttibile tra noi due. Non voglio che le tue mani si sporchino, né per una missione né per la valutazione di una traditrice, perché tu rappresenti il Villaggio di Konohagakure, adesso, e ciò per cui vivo e che servirò per sempre è il Fuoco e la fiamma più alte che sopra di esso arde.» Affermò, indistruttibile. «Concedimi di diventare adulta. Lo farò a modo mio, secondo la strada che ho scelto e che amo, certo, ma lo farò sempre senza dimenticarmi chi mi ha tenuta per mano fino a quando non sono stata in grado di camminare da sola, perché così ritengo giusto fare. "E non cercare di convincermi"...» Mormorò in un sorriso, ripetendo le parole dell'Hokage stesso. La sua memoria, come sempre, risultava senza paragoni. «"Le mie motivazioni penso siano sufficienti"

     
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    Fiducia








    Raizen guardò quasi stranito Shizuka, come se fosse stato colpito nell’animo, nonostante non fosse vero, ma un po’ di ironia faceva sempre bene in quelle situazioni.

    Oh, tu mi ferisci.

    Disse sorridendo.

    Cosa succede nel mondo lo si vede anche senza che io stia qui ad a spiegartelo, e riguardo questo penso siamo allo stesso livello, guerre civili a Kumo e Iwa, ma niente di più.
    Quello che non sappiamo sono le cause, ma sto tutt’ora indagando e pare che ci sia un gruppo esterno che alimenti tutte queste rivolte, anche se basicamente mi sembra strano che tutta questa insoddisfazione venga fuori soltanto ora, ben presto sarà necessaria un azione, a questo punto non mi resta che coinvolgerti se sei così desiderosa di sapere, ho ragione di credere che la stronza catturata durante l’ultimo casino a Konoha ne sappia qualcosa, se non altro una parte.
    Ma al contempo ho il dubbio che possa essere parte di una fazione di cui sappiamo ancora poco.


    Si mosse per la stanza per andare a rivelare una vetrinetta di chiavi dietro un doppiofondo presente in uno dei mobili dell’ufficio.

    Riguardo la biblioteca devi sapere che è divisa in sezioni tematiche, come ogni biblioteca d’altronde, ed ognuna ha una parte inaccessibile contenente i segreti che cerchi tu.
    Per essere più precisi non sono esattamente segreti, sono arti che il villaggio reputa importanti risorse e non ha piacere che vengano divulgate troppo, farle finire in un coglionazzo significherebbe consegnarle al primo nukenin avido di sapere che gli passa accanto.
    I veri segreti li conosco poco pure io, spesso sono frammenti di passato che si vuole dimenticare o ritenuti troppo potenti per essere utilizzati con leggerezza.


    Un lieve tintinnio rivelò lo spostamento di una chiave.

    Questa è la sezione medica della biblioteca, non so onestamente se Iron ci abbia mai messo piede, ma diciamo che lei saprebbe leggere meglio i titoli dei tomi che ti interessano.
    Il primo accesso comunque deve essere effettuato in mia presenza, per cui quando ti ci vorrai recare avvertimi, idem per gli altri posti, ma quelli sono più trafficati e non occorrono chiavi particolari.
    E ovviamente stai attenta, di quelle chiavi non si può fare un duplicato, e non penso sia semplice disinnescare l’attuale sistema di sicurezza.


    Lasciò cadere le chiavi in mano a Shizuka quasi con troppa leggerezza rispetto al valore che avevano.

    Bastava chiedere, elemosinare non era necessario.

    Arricciò un angolo della bocca ed annuì una sola volta.

    Non strafare, se vedrò conoscenze utilizzate in modo errato ti precluderò l’accesso sia a quella sezione che a tutte le altre.
    Non si cerca vendetta in quei luoghi, dal buio emergono mostri sgradevoli e non vorrei che la mia prima azione in difesa del villaggio sia quella di inchiodarti ad uno scaffale di libri.


    Si poggiò sulla scrivania davanti a lei, sereno.

    Quando saprò qualcosa dalla Yamanaka, se vorrai, ti metterò al corrente.
    Ma non ci vorrà poco, quel genere di persone sono dotate di una potenza psicologica incredibile, smuoverla non sarà facile, ma confido nei miei metodi.


    Un sorriso venato di maliziosa malvagità, quella che un po’ tutti i suoi compagni di missione conoscevano, quella di chi non temeva a farsi guardare dentro dal buio mentre lo scrutava.

    Soddisfatta?
    anche perchè se non lo sei per il resto dobbiamo chiudere a chiave la porta e accontentarci della scrivania.


    Sorrise nuovamente malizioso, ma senza malvagità.
     
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    DOE EYES

    The eyes indicate the antiquity of the soul.
    Well, good to know...




    «...Si, ma l'accesso alle serre erboriste?» Chiese Shizuka, ignorando in modo plateale e ostentato l'ultima battutaccia del suo interlocutore –ormai ne era così avvezza che le entravano da un orecchio e uscivano dall'altro– prendendo al volo le chiavi che Raizen le lanciò. Guardando il piccolo mazzo giacere sui palmi aperti e congiunti delle sue mani, la ragazza sorrise con gioia. Aspettava da tempo l'occasione di poter studiare i tomi tenuti sotto lucchetto della grande Biblioteca di Villaggio, ma fino a quel momento non era mai riuscita neanche a sfogliarli, per quanto invero si fosse impegnata a cercar di circuire lo shinobi dell'ufficio generale. «Quelli che la gestiscono non mi fanno entrare, dicono che ci vuole il permesso dell'Hokage e altre idiozie simili. Ovviamente non esiste niente di tutto questo nel regolamento delle serre, posso garantirtelo.» Che esistesse un regolamento delle serre di Konoha con ogni probabilità Raizen lo avrebbe scoperto in quel momento... ma che Shizuka fosse andata a cercarlo e lo avesse letto da cima a fondo per trovare il cavillo con cui pretendere la ragione, non lo avrebbe probabilmente lasciato poi troppo stupito. «Ovviamente ci vogliono delle credenziali per accedere, ma credevo che essendo già medico mi fosse permesso recarmi lì liberamente. Hai idea di quanto sia difficile per me produrre medicinali o veleni aspettando ogni volta che il loro garzone in prova si faccia tutta Konoha di corsa per portarmi quello che mi serve? E' ridicolo, se mai dovessero servirmi materiali con urgenza che succederà? Senza contare che la serra non ha un genere di pianta a cui io invece sarei interessata e di cui vorrei pertanto richiedere la coltivazione.» Commentò, riponendo con cura le chiavi dell'archivio bibliotecario medico-storico dentro il suo generoso seno. Lì sarebbero senza dubbio state al sicuro. «Non vogliono nemmeno permettermi di provare loro che ho già qualche conoscenza utile ad avere l'ingresso nel loro giardino segreto. Immagino che la mia promozione a Primario varrà qualcosa, d'ora in poi, ma...» Lanciò uno sguardo alla Volpe, accennando ad un sorriso. «...se ci vado con te, suppongo che quelli là non avranno nessun tipo di replica da poter fare.» E così dicendo la Principessa scattò in piedi, girandosi vero Raizen, di cui cercò di agguantare le mani in una morsa ferrea delle proprie. I suoi grandi occhioni verdi brillavano di quel genere di elettrica emozione tipica del bambino posto di fronte ad una promessa lungamente desiderata...o di una donna ben adulta che non vede l'ora di fare qualcosa di tanto voluto. «Sei stato nominato solo ieri e con ogni probabilità loro non ne sanno ancora niente, ma ecco... se mostri il mandato di Kazutoshi-sama, non ci saranno dubbi al riguardo della tua nuova veste.» Disse la ragazza, guardando fissamente il Colosso dritto negli occhi da quelle tre spanne sotto la sua spalla a cui la sua altezza si fermava. «Te lo sto chiedendo, non sto elemosinando, ora.» Pigolò, sbattendo le lunghe e folte ciglia castane, stringendo maggiormente le grandi mani dell'interlocutore tra le sue piccole dita. «Dai, mentre torniamo da là potremo parlare di tutto il resto, lo giuro... sono sicura che le serre siano aperte anche di notte perché in questi giorni ci dovrebbe essere la fioritura del Hylocereus undatus, che è una rara pianta medicinale utile contro gli eczemi e i problemi propri delle donne, senza contare che è commestibile e ha un delizioso odore di caramello.» Fu in dubbio a quel punto se la ragazza ci tenesse tanto a vederne lo sboccio per il primo o il secondo motivo. «Dai, Raizen, te lo sto chiedendo per favore ♥ Fai questo lavoraccio faticoso per me ♥ Ti ripagherò come preferisci, ok? ♥» Poi esitò, dubbiosa. «...Ma niente roba perversa, ovviamente.» Puntualizzò, giusto per sicurezza.

    ...E dunque, era arrivato anche per Raizen Ikigami il triste momento in cui, con le spalle al muro, avrebbe dovuto fare i conti con gli occhioni da cerbiatto della tanto famosa Principessa di Konohagakure no Sato.
    Dopo anni di prode servizio e ferrea etichetta militare, missioni mortali e lotte contro se stesso e il mondo, anche il neo Hokage si trovava messo alle strette. Era forse quello il peso del mantello che avrebbe presto indossato? Il peso della sua nuova vita?
    O semplicemente il dramma di dover scendere a patti con una donna...?
    Mentre Shizuka cominciava a strattonarlo puntando i piedini a terra, entusiasta come poche altre volte si era dimostrata –giacché era indubbio che quella circostanza combinasse due delle cose che prediligeva maggiormente e in cui per giunta riusciva senza dubbio meglio: avere ragione e il campo della medicina– il Colosso della Foglia si sarebbe forse domandato da quando, in modo così sfacciato ed esemplare, la sua allieva, la stessa che aveva seguito crescere da quando ancora impugnava i kunai dalla parte della lama e si legava per errore le mani con gli spaghi di nylon nel tentativo di ordire chissà quale insensata trappola, avesse maturato il coraggio di poter usare proprio su di lui il suo appeal femminile.
    Occhioni dalle lunghe ciglia, certo.
    Donne. Maledettissime donne.
    Ecco cosa.

    […]



    «Ancora tu?!» Avrebbe esclamato, allibito, un alto uomo dai capelli biondi spazzolati all'indietro e un lungo camice bianco abbottonato fino al colletto. Il suo viso era conteso tra l'orrore, l'incredulità e un'apparente forte nausea. «Quante altre volte devo dirti di–...» Esordì in un ruggito l'uomo, ma si interruppe quasi subito, chiudendo poi maggiormente la porta di vetro della serra nel vedere la figura del Colosso dietro le spalle della sua piccola interlocutrice, cosicché dallo spiraglio tra questa e lo stipite potesse spuntare solamente la sua faccia puntuta picchiettata di nei. «...di non venire più qui?»
    «Ciao Daikon.»
    Esclamò Shizuka con sfacciataggine, alzando una mano di fronte al tipo con un sorriso che mostrava tutta la fila perfetta dei suoi denti bianchissimi.
    «E' Daiki.» La corresse rabbiosa l'altro. «Sparisci, Kobayashi. Non importa se sei davvero diventata un medico o chissà quale altra diavoleria, non avrai l'accesso alla serra! Norio Uchiha-sama ha avuto un bel coraggio a permettere ad una come te l'iniziazione al mestiere più antico e nobile del mondo.»
    Stupita, la ragazza sollevò le sopracciglia. «La prostituzione?»
    «LA MEDICINA!»
    Strillò l'altro, avvampando. Quanto poteva essere irritante quella dannata donna?!
    «Ah.» Borbottò per tutta risposta lei, grattandosi la testa. «No, perché sai, il mestiere più antico del mondo tecnicamente sarebbe–...»
    «Perché diavolo sei qui?!»
    La interruppe l'erborista con un gemito strozzato simile al verso di un tacchino a cui viene tirato il collo in un giorno di festa. «Cosa maledizione vuoi, stavolta? Ginkgo? ...Cicuta?» Suggerì in un sorriso.
    «Oh no, grazie.» Rispose Shizuka, apprezzando la raffinatezza delle proposte: se infatti la prima pianta migliorava la circolazione e l'afflusso di sangue, supponeva nel suo caso al cervello, la seconda portava ad una morte lenta e dolorosa. «Gli Hylocereus undatus sono già fioriti?» Domandò con educazione. Ovviamente non ricevette risposta. «Beh, in ogni caso sono venuta qui a prendere l'accesso permanente e indipendente alle vostre serre.» Tagliò corto la Chunin, sorridendo raggiante. Di fronte a lei un'espressione corrucciata accolse quelle parole.
    «Sei diventata pazza?» Gli rispose il tipo di nome Daiki. «Ti ho già detto che–...»
    «Sono diventata Primario dell'Ospedale del Villaggio, ieri.»
    Tuonò prontamente la kunoichi, con occhi brillanti di trionfo. «E ti ho portato anche il nuovo Hokage in super anteprima.» Disse, girandosi e allungando entrambe le braccia verso Raizen, fermo alle sue spalle. «Inoltre sappi che ho letto tutto il regolamento nella sezione di archivi disciplinari della biblioteca e non esiste nessuna norma che mi proibisca di venire qui quando mi pare!» Esclamò, vittoriosa. Tremava dalla gioia, e la sua voce era miele colante. «...ma se vuoi, puoi mettermi alla prova e ti dimostrerò che ho le conoscenze giuste per usare la serra.» Mormorò...a quel punto, però, i suoi occhi si affilarono e il suo sorriso perse il connotato infantile di poco prima. L'espressione affamata che aveva rabbuiato i suoi lineamenti dentro l'ufficio del nuovo Hokage proprio una ventina di minuti prima, sembrò comparire nuovamente. «Ma se riesco a provare tutto ciò che ho detto e a passare al tuo vaglio, sarete tu e il tuo gruppo di amichetti a dovermi dare in cambio qualcosa oltre alla libertà nelle vostre serre.» Propose, tagliente. «Mi sembra un patto ragionevole...no?»
     
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    Le serre della Foglia







    La domanda di Shizuka lo spiazzò lievemente.

    L’accesso alle serre?
    Ma siamo a notte fonda, ci caccerebbero via a pedate, e gli darei pure ragione!
    E non mi va di essere preso a pedate se sono in torto, non posso rispondere a tono.
    Per cui aspetterai almeno fino a domani.


    Guardò poi tutta la serie di moine senza esserne troppo smosso.

    Questa roba può essere utile al massimo con tuo padre, è questione di bilancio dopotutto, nel suo caso sposti la ragione da qui

    Disse indicando la testa.

    A qui.

    Indicando il cuore.

    Nel mio caso a li.

    Ed indicò l’inguine.

    E visto che non è una battuta ora torna a dormire, domani mattina andremmo li.

    E lui?
    Dove avrebbe dormito?
    Quando Shizuka uscì dall’ufficio se lo chiese più di una volta, dopotutto i suoi appartamenti non erano ancora pronti.

    Beh…

    Fu l’unica considerazione che riuscì a fare quando a scrivania ed un misero cuscino posto sulla sedia dietro di essa risultarono gli unici appoggi orizzontali che non fossero le nude mattonelle.
    Sospirò, preparandosi a svegliarsi l’indomani più stanco di quanto già non fosse.
    Era già sveglio quando il sole fece capolino dalla finestra, e con qualche fastidioso dolorino dovuto alla posizione scomoda assunta nella notte, per cui, non sapendo per quale ragione continuare quella tortura si alzò, dirigendosi direttamente alle serre, luogo in cui trovò Shizuka ad aspettarlo seppur distante dall’entrata.
    Si avvicinarono insieme ad uno degli edifici più belli della foglia, quasi il suo simbolo visto il grande legame che il villaggio aveva con la natura.
    Ferro battuto e vetri davano origine ad una struttura imponente capace di ospitare piante centenarie in grado di ricreare il clima e l’ambiente per sottoboschi difficili da rintracciare al di fuori, un gioiello preservato dall’alba del villaggio stesso a cui i maggiori clan contribuivano con il loro sapere.
    Gli Yamanaka con il talento per i fiori, e gli Aburame per gli insetti, per mantenere un bio equilibrio invidiabile che rendeva i prodotti della serra perfettamente equiparabili con quelli rintracciabili in natura per genuinità.
    Sospirò davanti all’impiegato.

    Salve, apra pure, Daitarn.

    Chiese svogliato. Aveva sbagliato il nome, senza accorgersene, ma da come l’uomo scattò pareva importargli poco, quella della sua elezione era una notizia a rapida espansione, soprattutto per i vari sorveglianti disposti nelle varie aree del villaggio.
    Il Colosso aveva a malapena un infarinatura riguardo le serre, dopotutto piante e fiori gli servivano ben poco, e ben poco gli servivano i loro prodotti di recente.

    Questo è l’edificio centrale, il principale diciamo, qui per la maggiore si lavora sulla creazione dei vari abitat, collegati ad esso stanno i vari laboratori, potenziamento dei principi attivi in fase vitale, creazione dei tonici ed eventuale concentrazione chimica dei principi, fecondazione delle piante attraverso gli insetti, interazione con gli stessi, veleni, antidoti.
    Ehhhhh...


    Continuò qualche secondo guardandosi intorno.

    ...Di tutto questo non capisco un cazzo.

    Ammise sgonfiando del tutto i polmoni, un sospiro di ignoranza.

    Vedi tu cosa può interessarti.

    Disse focalizzandosi sui grandi alberi presenti nella sala, potati con una costanza ed un arte così fine da essere sculture viventi ed ecosistemi a se stanti.



    CITAZIONE
    Quanto sono magnifiche le serre di Konoha? Quali piante rare ospitano? Quali ecosistemi in via di estinzione? Quali esperimenti vi vengono condotti?
    Parlacene un pò e non dimenticare le magie che può fare il chakra!
     
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    IMPROVEMENT

    Without continual growth and progress, such words as improvement, achievement, and success have no meaning.




    Era grezzo come uno scalpello spuntato nelle mani di uno scultore alle prime armi, ma dopotutto gli era affezionata e pertanto fu lieta che il giorno dopo –in seguito ad averla cacciata in malo modo dal suo ufficio con un'ultima e immancabile molestia inopportuna– Raizen si presentasse davvero alle serre.
    Il povero Daiki Emitari non sapeva di cosa allarmarsi maggiormente, se il Randagio Bianco della Foglia fosse divenuto davvero il nuovo Hokage e il suo terrore notturno, la Principessa dei Kobayashi, il nuovo Primario del sacro tempio della salute del Villaggio; oppure se i due fossero così platealmente simili, in modo talmente smaccato che entrambi si comportavano quasi allo stesso modo e commettevano addirittura gli stessi errori, come quello davvero sgradevole di sbagliare il suo nome... ovviamente, se quella fosse una scenetta ben architettata o un affiatamento sincero non era dato a lui saperlo.
    Incastrato in un angolo tra la scrivania del personale e un grosso esemplare di Gingko, a causa della situazione in corso l'erborista si sentì negli artigli del diavolo, la stessa pianta che in quel momento la bassa ragazza dai grandi occhioni verde smeraldo stava analizzando con così tanta attenzione, ponendo una pioggia di domande ad una sua collega che continuava ad annuire e a rispondere come meglio poteva a discapito delle continue interruzioni.
    «...Ed è per questo che le sue proprietà antinfiammatorie mi interessano tanto.» Stava dicendo Shizuka all'occhialuta ragazza con il naso a patata spruzzato di lentiggini. «Ti stupiresti di sapere quanti pazienti sono allergici a quel tipo di medicinale, ed è per questo che vorrei che piuttosto di un solo esemplare ne fossero coltivati almeno tre. Purtroppo il tempo di ricrescita della pianta è molto lento e temo sempre di farne uso per questa ragione.»
    «La polvere che però se ne ricava basta in piccole dosi...»
    Fece osservare l'erborista, imbarazzata.
    «Si lo so, ma visto i tempi di raffinamento e posa ritengo del tutto insensato continuare a elemosinare da una singola pianta.» Disse la Principessa, toccando il terreno arido su cui l'Artiglio del Diavolo si snodava, rampicante, in una scultura secca di incredibile fascino. Sopra di esso un piccolo albero di Gorboi scendeva con le sue fronte a toccare aloe desertica e cactus peyote in rara fioritura. Se il primo era un toccasana per i problemi intestinali, il secondo poteva essere utilizzato per produrre analgesici e pomate utili contro i reumatismi, ma anche allucinogeni, sonniferi e veleni letali se somministrata in alto dosaggio. Quel tipo di cactus era difficile da trovare persino nell'anarouch, eppure lì ce n'erano ben due esemplari. «L'ecosistema arido che tenete è davvero ricco, non immaginavo che poteste preservarlo a discapito di tutti quelli che vantate...» Osservò infatti Shizuka, ammirata, girandosi a guardare l'estensione della grande serra principale, in cui alberi, fiori e arbusti crescevano e sbocciavano attorno a vasche di granito chiaro in cui gli esemplari acquatici brillavano dei riflessi che il sole rimandava sull'acqua dai vetri del luogo. «Quante squadre avete attive per preservare con il chakra questi sistemi autonomi?» Domandò, raggiante. Contò rapidamente alcune cose con il dito indice della mano destra, poi si girò di scatto verso la ragazza con gli occhiali, che trasalì, facendo un passo indietro. «Ventiquattro?!»
    «Ventisei, Principessa.»
    Rispose l'altra, rimettendosi meglio gli occhiali dalla montatura rossa sulla cima del naso. Teneva le braccia strette al busto, rossa in volto per l'imbarazzo e la timidezza. «Ma la seconda e la terza serra presentano anche–...»
    Strillando, Shizuka sollevò le braccia, raggiante di gioia. Sembrava che le fosse appena stata detta la notizia più bella del mondo, come per esempio l'uscita del nuovo dolce della Pasticceria Usagi del Villaggio.
    «Non urlare!» Abbaiò Daiki Emitari dall'angolino in cui si era infilato per sfuggire prevalentemente allo sguardo del Colosso. Accettava che egli fosse il nuovo Hokage, certo... ma non avrebbe mai smesso di temerne la stazza massiccia.
    «Dairin! Avete della Kwao Krua?!» Urlò per tutta risposta la kunoichi, zampettando da un piede all'altro. Lanciò uno sguardo emozionato a Raizen, come se sperasse che anche lui condividesse la sua emozione, ma non rimase abbastanza tempo a guardarne la reazione perché l'annuire in secondo piano dell'erborista la fece voltare di nuovo verso la ragazza alle sue spalle che si inchinò, indicandole una direzione verso la quale si incamminò piano.
    Quella signorina, tale Amiko Tanzaki, si muoveva all'interno della serra madre con la cautela e il rispetto che si poteva riservare ad un luogo di culto. Di tanto in tanto si fermava, assorta, e sollevava il ramo di un bonsai di Goji troppo pendente e a rischio di spezzatura, o sorrideva ai fiori di una splendida Calluna.
    Accanto a lei Shizuka visitò almeno quattro Paesi diversi, passando da ecosistemi miti ad altri rigidi, attraverso un percorso che dal Paese dei Demoni la portò in quello del Tè e poi tra le steppe della Terra. Con occhi sgranati e sognanti, la kunoichi guardava tutto con un'ammirazione che rasentava l'euforia, e al pari della sua guida di tanto in tanto si fermava per infilare un dito nel terreno, che poi si piantava prontamente in bocca come se fosse la cosa più normale del mondo.
    «Il terreno non è troppo acido per queste Oenothera?» Domandava prontamente, girandosi a fissare con sguardo incriminante l'accompagnatrice che, per tutta risposta, arrossendo nuovamente, scuoteva la testa.
    «E' una cultura sperimentale, Principessa.» Rispondeva, imbarazzata. «Gli Aburame stanno tentando un nuovo tipo di impollinazione in combinazione con del mentolo...»
    Shizuka, di fronte a quel genere di risposte, ci pensava sempre un po' su. Alla fine non era una vera esperta, e ammetteva di dover ancora studiare molto per poter vantar anche il genere di conoscenza che Amiko aveva, testimoniato dal camice bianco dalla bandana gialla sul braccio del corpo erborista della Foglia.
    «Per un nuovo tipo di miele?»
    «Si, Principessa. Stiamo cercando di ottenere...»
    «...un miele con proprietà lenitive e vasodilatatorie?»
    Domandava ancora, insaziabile di risposte ma troppo curiosa per aspettarle. «Pensate di produrre anche delle pomate? Da applicare sul torace, intendo. Ritengo che nel caso dei bambini potrebbe essere un toccasana.»
    Esitando, Amiko rifletteva con grande attenzione alle proposte della dottoressa e poi, dopo averle valutate, annuiva o scuoteva la testa a seconda della risposta a cui arrivava. Non mancava però mai una volta di sorridere timidamente, e anche gli occhi di lei, grandi e castani, brillavano di emozione come se potesse condividere la passione dell'interlocutrice.
    Quando infine le due ragazze arrivarono all'ecosistema tropicale, Shizuka non poté trattenersi dall'aprire la bocca e spalancare la bocca, ammirata. Quel genere di flora era in via d'estinzione persino nei paesi più estremi, difatti sopravviveva attualmente solo in poche parti del continente... eppure il magistrale lavoro del corpo erborista di Konoha era riuscito a ricrearlo lì con ben cinque varietà diverse di piante. Tra un bellissimo esemplare di polypodium, una felce utile contro i disequilibri corporei tali febbre, brochiti e affezioni delle vie respiratorie, e una massicia e dinocolata Tabebuia, utilizzata invece contro anemia e come anti-veleno proveniente da quasi il 34% dei rettili conosciuti, c'era la sua tanto desiderata Kwao Krua. Rara persino nel suo essere rara, era impossibile da coltivare e cresceva spontaneamente solo in un microclima pressocché unico e suo peculiare, era perciò molto più che strabiliante che si trovasse lì.
    «Come avete fatto a trapiantarla?» Non poté fare a meno di domandare Shizuka, allibita. C'erano ben due piantine ancora germoglianti e la cosa non poté che indurla a guardare Amiko con la bocca aperta.
    «Oh, con questa abbiamo faticato molto, Principessa.» Ammise l'erborista, a disagio. Si sistemò di nuovo, nervosamente, gli occhiali sul naso. «Abbiamo fallito per ben nove volte. Abbiamo ricorso persino a due dislocatori per essere capaci di azzerare la larghezza intera del continente nel minor tempo possibile... ma non era importante quanto veloci i poveretti facessero la loro staffetta, gli esemplari appassivano ad una velocità innaturale e se arrivavano in tempo per essere piantati morivano in poche ore a discapito di tutti gli accorgimenti che adottavamo.» Raccontò, rammaricata.
    «E come avete risolto, allora?» Chiese la Chunin, stupefatta. Sapeva che la Kwao era rara, ma che fosse anche così delicata le sembrava persino un'esagerazione.
    «I semi, Principessa.» Ripose Amiko timidamente. «Io guido il gruppo di mantenimento chakrico di questo tipo di ecosistema... ho studiato diversi metodi, ma alla fine il più valido che ho trovato è stato di prelevare i semi e incubarli nel mio chakra.» Spiegò, arrossendo progressivamente sempre di più via via che Shizuka si avvicinava al suo viso per fissarla in faccia da una distanza sempre più ridotta. Era ammirata e incuriosita, ovviamente, ma in pochi lo avrebbero capito, probabilmente. «Grazie all'aiuto dei dislocatori sono stata capace di portare qui i semi in procinto di germogliamento e dopo quattro giorni di mantenimento di incubazione chakrica, con una sempre progressiva diminuzione di flusso, sono riuscita a seminare con successo questi due esemplari.» A quel punto la Chunin era praticamente naso a naso con lei e Amiko, sul limite dello svenimento, indietreggiò goffamente, pestandosi i piedi in modo assai tragico.
    «E' sbalorditivo, davvero, sono senza parole.» Ammise la sua ospite, ignorando la reazione dell'interlocutrice e guardando i Kwao Krua con stupore. «E come si fa a fare questa cosa dell'incubazione, precisamente?»
    A quel punto fu il turno di Amiko di essere sbalordita. «Volete imparare, Principessa?!»
    «Non ora, non ne ho il tempo.»
    Borbottò Shizuka, offesa, lanciando uno sguardo permaloso a Raizen ancora fermo di fronte alla serra che si guardava intorno come se fosse in un Genjutsu. «Ma spiegamene il principio, ti prego. Tornerò presto per provarci con più tempo. Ho ancora molto da imparare.» Disse, sorridendo raggiante.
    Dopo un attimo di esitazione, l'erborista accennò ad un sorriso timido ma felice e avvicinandosi ad una sorta di cassettiera di latta alta quasi quanto lei, tirò fuori dal terzo cassetto un sacchetto di canapa contenente una grossa manciata di semi. Ne prelevò con attenzione solo due, uno lo mise nel palmo di Shizuka e uno lo tenne per sé, poi ripose tutto con cura.
    «E' solo del Biancospino, non penso che...» Esordì, esitante.
    «Che sarei in grado di trattare altro, tranquilla, va bene. Le proprietà vulnerarie del biancospino mi piacciono, e le tisane che mi prepara Mamiko Yamanaka del negozio di lozioni mi fanno sempre dormire che è una meraviglia.» Rise la Principessa, mostrando i denti come una ragazzina. «Dai spiega!»
    Sorridendo a sua volta, Amiko sorrise. «Dovete immaginare, Principessa, di avere tra le mani qualcosa di davvero delicato, come un passerotto implume, o un bambino appena nato. Volete dare lui calore e amore, ma non in modo aggressivo perciò il controllo del chakra è indispensabile in questo modo, il flusso non deve essere né troppo potente né troppo lieve, è un procedimento delicato tanto quanto fare un'operazione e...»
    Spiegò e lo fece a lungo. Per ben due volte Shizuka strillò, annichilita dal risultato disastroso che causò tra le sue mani, giacché una volta riuscì a far esplodere il seme in un modo che la sua improvvisata maestra non riuscì a trattenersi dal definire “incredibile” e una seconda volta accelerò troppo il processo di germogliazione, tanto che il fiore fece appena in tempo a bucare il seme che subito appassì. Fu solo al terzo tentativo che la Principessa del Fuoco riuscì ad ottenere un debole accenno di reale germoglio: la superficie del suo minuscolo, minuscolo semino, si radicò e si mosse, come se fosse vivo, poi lentamente si aprì e da esso uscirono due esili braccine di un timido e tenue verde, che esitarono e poi si mossero verso l'alto, tremanti.
    «Tenete il flusso del vostro chakra a questo modo, Principessa.» Esclamò concitata Amiko, fissando con sguardo tremante Shizuka. «Non distraetevi eh, non distraetevi!!»

    E Shizuka non si distrasse.
    Si concentrò infatti talmente tanto che quando finalmente la giovane erborista con gli occhiali le mise una mano sulla spalla, rassicurandola sul poter lentamente diminuire l'afflusso di chakra per poi interromperlo definitivamente, lei era talmente sudata da sentire la necessità di un bagno caldo nei successivi cinque secondi. Eppure, nelle sue mani, c'era un germoglio con due zampette bianche che erano le radici...
    … e lei, dopo un attimo di incredulo silenzio, non poté fare a meno di balzare in piedi con uno scatto che fece strillare di paura la povera Amiko.
    Voltandosi prontamente verso Raizen, la Principessa del Fuoco cominciò a saltare come una bambina.
    «CORRI!» Ruggì, radiosa. «CORRI A VEDERE COSA SAPRO' FARE MOLTO BENE UN GIORNO! CORRI!»

    Era felice sopra ogni altra cosa. E con ogni probabilità la Volpe della Foglia non vedeva la sua allieva così dai tempi in cui, vestita di quel candido abitino di cotone bianco che le piaceva tanto, correva con grossi zoccoli zori a tutta velocità giù dalla strada principale del Villaggio per tentare di raggiungere il Chunin che la addestrava, uno spilungone dai capelli sporchi e lo sguardo corrucciato che camminava sempre con le spalle piegate in avanti. Anche a quel tempo urlava per mostrare lui un suo miglioramento che quelle volte non era di molto superiore all'apprendimento di uno scontato taijutsu da bambino di sei anni...
    ...ma adesso era, con ogni probabilità, la sua nuova e futura specializzazione come medico erborista.
     
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    Il Dono di Hashirama








    Sospirò pesantemente mentre Shizuka correva da una parte all’altra della serra perdendo qualche dettaglio nel suo percorso, di cui lui però non si preoccupava minimamente, lasciandola libera di zampettare da sola per la serra mentre lui rimase ad osservare quasi ammaliato un albero del chakra dalle dimensioni considerevoli, non era estremamente grande, non come i selvaggi alberi secolari fuori dalle mura, ma la sua storia era lunga e scritta in ogni singola potatura che l’aveva trasformato in un opera d’arte.
    Non si faceva fatica ad immaginare che fosse intrecciato alle radici stesse del mondo.

    Si dice, l’abbia fatto germogliare il primo Hokage in persona.

    Si voltò ad osservare un vecchietto attempato il cui volto era percorso da una ragnatela di rughe che il sole si era preoccupato di cuocere lentamente.

    Non capisco troppo di questa materia, ma sapere che un pezzetto del primo veglia ancora su Konoha fa piacere.

    L’omino non risparmiò un sorriso, a cui pareva mancare qualche dente.

    Si, la nuda pietra in cui hanno scolpito il suo volto non è in grado di dare le stesse emozioni.
    I senju stessi si occupano di lui, quelle che può sembrare frutto di una potatura infatti altro non è che il risultato della loro manipolazione, non so se è al corrente del fatto che sovente le piante diano vita a rami che usano solo per immagazzinare energia, rami che andranno incontro alla morte per volontà stessa della pianta, i Senju si occupano di velocizzare o selezionare rami a cui applicare tale meccanismo, in modo che la pianta non debba mai subire lo stress della potatura.
    Facciamo seguire loro diverse piante ma non tutte beneficiano di questo trattamento continuativo, su alcune adoperiamo anche una potatura più classica, seppur le nostre tecniche permettano una cicatrizzazione ed uno stress minimo.


    Seguì con morbosa attenzione le parole del vecchietto che identificò essere il responsabile della serra, tese la mano verso di lui per presentarsi, leggerezza comportamentale da cui ancora non aveva imparato a sottrarsi.
    Strinse una mano nodosa e callosa, deformata probabilmente da un inizio di artrite.

    È un piacere conoscere un maestro, Toru-san.

    È un piacere conoscere la nuova fiamma del villaggio.

    Rilasciò la mano con un lieve inchino di cortesia per ringraziare di quell’aggettivo mentre si avvicinava all’albero.

    Lo utilizziamo spesso anche per innesti, è singolare, ma la sua forza può essere donata, se così possiamo dire, più di un albero ne ha beneficiato.

    Ascoltò distrattamente Toru mentre tendeva la mano verso il tronco, il solido appoggio dell’albero che lo vinceva in stazza di almeno 5 volte. Il contatto fu… piacevole, anche se non era sicuro di essere lui a provare quella sensazione.
    Fin troppo rapidamente per una pianta una porzione della chioma si tinse dello stesso rosso degli aceri, dando una pennellata del tutto inattesa alla chioma fino a quel momento verde, accendendola quasi come se la bruciasse ma lui aveva fatto ben poco, era stata la pianta a pretenderlo, a volerlo, ad esigere da lui quel pegno, quell’assaggio della sua essenza.
    Toru spalancò la bocca, aveva nel volto un misto di gioia e stupore che i suoi occhi non riuscirono a contenere.

    Pare che dopotutto abbiate ereditato di più del semplice fuoco, Hokage-sama.

    La felicità di un vecchio era cosa rara, vedere le lacrime spargersi tra gli occhi sformati dal tempo prima di rigargli il volto percorrendo i solchi delle rughe fece comprendere al Colosso che essere Hokage era ben più di una passeggiata per la via centrale o del dare la morte all’ultimo nemico del villaggio.

    Eh?

    Non riuscì a rispondere in maniera diversa, preso alla sprovvista da quella affermazione e dal cambio di colorazione delle foglie.

    Non è cosa facile farsi accettare dal passato, Raizen-sama.

    Vi prego, va bene anche solo Raizen.

    Gli venne imposto il silenzio con un piccolo gesto delle mani mentre il vecchietto continuava a parlare.

    L’albero non cambia mai, se dovesse farlo ad ogni contatto con un estraneo la sua chioma brucerebbe, oppure finirebbe tagliata, proprio come i celebri foglietti, ha un proprio sistema di difesa, abbiamo sempre creduto che quando accettasse qualcuno lo comunicasse in qualche modo, io stesso, suo malgrado feci cambiare il taglio di alcuni ciuffi di foglie a nord ovest, ma col cambio di stagione e il ricambio sono cadute.
    Questa tinta invece… credo abbiate modificato fin troppo infondo il Dono di Hashirama-sama.
    Ma è un bene, l’ha voluto lui dopotutto.


    Sorrise nuovamente mentre guardava Raizen.

    La ringrazio Toru-san.
    Anche per il lavoro all’interno delle serre, non avrei mai pensato di poter girare il mondo stando all’interno di un solo edificio.


    Si accomiatò dal responsabile per avvicinarsi a Shizuka con una benda in mano, per tutto il tempo l’aveva sentita squittire da una parte all’altra della serra neanche fosse un bambino deperito in un negozio di caramelle.
    Arrivò davanti a lei con un sorriso cordiale, interessato perfino guardando il seme con un pizzico di interesse.

    Beh, a questo punto piantalo no?

    E mentre lei si sarebbe distratta ad eseguire il consigli che sicuramente gli avrebbe dato gioia seguire il Colosso gli avrebbe fatto rapidamente passare il bavaglio sulla bocca, per poi assicurarlo con un nodo alla nuca.

    Bene, direi che possiamo continuare il giro adesso.
    E ora che ci sei fati spiegare com’è stato possibile quello.


    Indicò la pennellata rossa sulla chioma del Dono di Hashirama, lievemente orgoglioso di quel simbolo permanente che vi aveva impresso.
     
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    WAY OF...

    Know who you are, and be it.
    Know what you want, and go out and get it!




    Era felice come se le avessero appena regalato un possedimento terriero e due cavalli, ed era pertanto sicura che niente e nessuno sarebbe stato capace di rovinare quel momento di gaudio inaudito... come spesso capitava, però, si sbagliava. E questo, la bella Principessa di Konohagakure, lo capì quando sentì un bavaglio passarle sulla bocca e azzittirla proprio nel momento più delicato dell'operazione di trapianto in vaso del suo piccolo germoglio, circostanza che le impedì di alzare le mani per fermare quella dannata Volpe dispettosa. Alzando i suoi occhi aggrottati in quelli stupiti di Amiko, l'Erede dell'Airone cominciò allora ad alzare e abbassare le sopracciglia sperando che l'altra capisse il suo messaggio e facesse qualcosa.
    Per qualche inspiegabile ragione l'erborista risultò effettivamente capace di capire il mutismo della sua compagna, ma per qualche altro più irragionevole motivo, decise di non intervenire.
    «E' l'Hokage!» Si giustificò l'occhialuta, imbarazzata dall'insistenza con cui la sua muta interlocutore cercava di farsi togliere la benda. «Non posso farci nulla!»
    Alzando gli occhi al cielo Shizuka imprecò in modo talmente sentito che nemmeno la sua condizione impedì ai presenti di comprendere gli improperi, così, dopo aver finito di trapiantare il suo germoglio, si alzò da sola e girandosi verso Raizen sorrise mentre, alzando le mani, si puliva alla sua divisa la terra fresca. Poi, mentre alle sue spalle Amiko diventava pallida come un bucaneve e dava cenni di svenire da un attimo all'altro, la kunoichi caricò un calcio e prendendo in modo ostentato la mira, tentò di impattare la punta dello stivale direttamente nella caviglia del Colosso, per poi togliersi il bavaglio.
    «Capra.» Ringhiò, offesa. «Non è divertente.» Nell'udire quelle parole, coprendosi gli occhi, l'erborista con il viso lentigginoso cominciò a scuotere la testa a destra e a sinistra, rapidamente. “Non ha davvero fatto questo all'Hokage” ripeteva, piagnucolando. “Oh Dei!” Aggiungeva puntualmente. «Ecco guarda cosa hai fatto.» Tuonò allora prontamente Shizuka, indicando Amiko. «E' diventata più strana di prima per colpa tua! Quante volte ti devo dire di valutare le persone con cui ti trovi?! Grezzo!» Protestò, mettendosi a braccia conserte. Per tutta risposta, però, le arrivò solo una risata cristallina e gioviale.
    A pochi passi di distanza dal mal assortito trio, un vecchio rugoso e piegato stava avanzando verso di loro con passo claudicante, sorridendo gentilmente a quell'allegro scambio di battute come potrebbe fare un anziano nell'osservare con premura dei bambini.
    «Era da tempo che questa serra non si riempiva delle risate dei giovani.» Osservò l'omino, girandosi in direzione di Shizuka e Raizen. «E' un piacere poter ospitare la Principessa della Foglia.»
    Non ci voleva un'arca di scienze per capire che quel patriarca antico come una quercia secolare non era un semplice erborista, e la Chunin dunque si sbrigò a ritornare composta e ad inchinarsi profondamente.
    «E' un onore per me poter essere qui.» Rispose Shizuka con educazione. «Da molto tempo desideravo essere introdotta al vostro sapere. Sono ancora inesperta, ma spero che la vostra pazienza potrà aiutarmi nel diventare una stimabile esperta.» Concluse seguendo la più rigida delle etichette, come del resto ci si poteva aspettare da una donna del suo rango.
    Ridendo, il vecchietto annuì, intrecciando le mani dietro la schiena curva. «Non pensavo che la Principessa fosse interessata all'erboristeria, ma è un piacere trovare un medico intenzionato ad arricchire il proprio sapere con questa antica arte.» Disse sinceramente, guardando poi Raizen. «Avete cresciuto una buona allieva, Hokage-sama.»
    Visto che aveva troppa paura che il Jinchuuriki testa di legno iniziasse ad elencare al gestore della serra i vari motivi per cui invece quell'affermazione era profondamente sbagliata, magari partendo da come lei risultava brava a farlo sempre incazzare per qualsiasi cosa, Shizuka si sbrigò a scattare di nuovo in eretta postura e ad offrire il migliore dei suoi sorrisi a tutti i presenti.
    «Oh, Raizen ha sempre coltivato la mia grande curiosità!» Tuonò subito la ragazza. «E' solo grazie a lui se ho così tanto desiderio di ampliare il mio sapere!» E così dicendo sperò di aver dato un taglio ad ogni possibile replica di quell'antipatico. Visto però che non ne era molto convinta, si sbrigò allora a dare un altro diversivo alla faccenda e sorridendo amabile all'anziano, pose la domanda che le aveva suggerito la stessa Volpe la quale, per quanto testarda e diseducata fosse, non era ancora così gretta dall'interrompere un vecchio. Lanciando al Jonin uno sguardo trionfante, Shizuka ritornò allora a braccia conserte. Il suo viso parlava chiaro su cosa stesse pensando: “te l'ho fatta, mio caro.”
    ...peccato che per quanto quel messaggio sarebbe stato evidente a Raizen, risultò esserlo anche per tutti gli altri presenti, e se Amiko si batté le mani sul viso, stupefatta, il vecchio Toru si mise a ridere. Aprendo un poco gli occhi socchiusi, e guardando prima Shizuka e poi Raizen annuì con pacatezza.
    «Sarà un piacere per me spiegarvi.» Rispose, piegando maggiormente la schiena in una posizione che probabilmente trovò più confortevole per se stesso. A quel punto, schiarendosi la voce con un colpo di tosse ben impostato, iniziò a parlare. «Dovete sapere, miei cari, che le piante sono vive. Esse nascono, vivono e infine, come qualsiasi altra creatura di questo mondo, muoiono. Questo è ciò che viene chiamato il volere degli Dei.
    Benché il loro aspetto sia differente dal nostro, le piante di qualsiasi genere provano, al pari di noi, sentimenti: avvertono cioè l'affetto con cui vengono curate, soffrono il dolore di una morte indotta da cause indipendenti dal loro prestabilito ciclo di vita e quando si sentono ricche di felicità, sbocciano esattamente come noi ridiamo. Si potrebbe dunque dire che le piante e gli esseri umani sono simili... ma commetteremmo forse un errore a pronunciarci in tal modo.
    Il mondo, sapete
    –continuò, guardando Amiko che si accomodava a gambe intrecciate al suolo e Daiki che si avvicinava di soppiatto e si appostava dietro un acero giapponese per ascoltare meglio– vive dell'energia di molte presenze. Tutto fa parte del Disegno dei grandi Cieli Celesti. Anche una roccia è indispensabile allo scopo più alto della vita.
    Normalmente comprendere questo messaggio sarebbe per i più un'impresa ardua, ma noi esseri umani abbiamo un privilegio raro che ci permette di vedere l'essenzialità del tutto, ed è il nostro Chakra.»
    A quel punto si fermò per un battito di ciglia, per avere appena il tempo di vedere Shizuka che lo fissava con gli occhi sgranati, così simile ad una bambina in quel momento, e Raizen al fianco di lei, interessato ma distante com'era il suo carattere solito. Annuì, sorridendo ancora una volta. «Il Chakra è vita e si trova in qualsiasi cosa e qualsiasi luogo. Dovete immaginarlo come un grande fiume che scorre lungo il mondo e con la sua energia fa brillare tutto ciò che esiste... E noi uomini abbiamo la benedizione di preservare all'interno del nostro corpo parte di questo Chakra.
    Che questo sia molto o poco, debole o potente, non è realmente importante. Ciò che veramente lo è
    –continuò a spiegare, sapiente– è come questo piccolo miracolo che ognuno di noi ha dentro di sé può aiutarci a scoprire l'essenza seduta dietro il mondo e, in particolare, come l'energia di questo riesca a comunicare con l'energia di tutti che, nel suo essere unica, è sempre diversa.
    E' solo influenzandoci a vicenda, dando cioè una parte di noi agli altri, arricchendo così il grande Disegno, che possiamo davvero contribuire a forgiare il mondo che conosciamo.
    Questa è la vita.»

    Detto questo si passò l'indice e il pollice della mano destra ai lati della bocca, girandosi poi lentamente verso la grande eredità del Primo Hokage, che guardò per un lungo attimo, in silenzio rispettoso, prima di riprendere a parlare.
    «Questo è quello che è successo in quel caso.
    Non si può vivere senza comprendere che è l'amore che forgia l'essere. E' tramite il toccarsi a vicenda che cresciamo, miglioriamo e "vediamo" davvero.
    Proprio come una pianta può sbocciare solo quando è pronta a farlo, al culmine della sua felicità di vivere, noi possiamo influenzare realmente il flusso delle cose solo quando siamo pronti a donare qualcosa di noi a ciò che ci circonda, solo quando dunque siamo capaci di amare il tutto quanto o più di noi stessi.»
    Così dicendo si voltò lentamente verso Raizen. Tacque per un istante mentre lo osservava, dai suoi occhi socchiuso, sapiente e profondo, dritto nelle sue iridi color rubino. «...Non potevamo aspettarci niente di meno dal nuovo Hokage. Colui che ha aperto le sue braccia per cingere a sé tutti noi. Solo chi può accettare come la propria famiglia, il proprio grande amore, una realtà così incredibile, può davvero essere capace di influenzare il grande Signore degli Alberi.»

    Cadde a quel punto un profondo silenzio.
    Ferma al suo posto, immobile con gli occhi fissi sul bellissimo albero arrossito per l'ultimo tocco ricevuto, Shizuka non poté fare a meno di rimanere senza parole.
    Si sentiva colpita in una parte profonda del suo essere, ammirata, piena di domande, stordita addirittura. E tutti quei sentimenti insieme, roteando vorticosamente nelle sue orecchie, indussero le stesse a farsi rosse mentre lei si girava di scatto verso il vecchio Toru e con tutto il coraggio che riuscì a trovare, chiedeva sbottando: «Posso provarci anche io?!»
    La domanda fu talmente inaspettata e probabilmente anche assurda, che il gestore della serra non riuscì a far altro che spalancare i suoi affilati occhietti, fissando la giovane Principessa come se non credesse a ciò che avesse appena sentito.
    «Non dire scemenze, quello è il Signore degli Alberi!» Ringhiò Daiki, facendo sbucare la testa da una folta fronda di acero. «Se ne occupa Toru-sama in persona, figurati se puoi–...» Ma non ebbe il tempo di finire la frase, il povero erborista, che Shizuka era già scattata verso l'albero, che raggiunse con un balzello mentre Daiki impallidiva e sentiva tutti i suoi capelli drizzarsi sulla testa. Non fu però dato nemmeno lui il tempo di settare la sua mente su una serie adeguata di insulti, che la Principessa del Fuoco aveva già alzato e poi adagiato le sue mani sul tronco dell'albero.
    Come se quel solo gesto fosse bastato a congelare tutti i presenti, cadde allora un silenzio fermo e tutto, per un attimo, parve esitare...
    ...eppure, niente accadde.
    Il Signore degli Alberi rimase semplicemente lì, maestoso e imponente come sempre. Le sue fronde, nodosi rami intrecciati in dita color della terra da cui nasceva e alla quale sempre guardava, si limitarono a muoversi un poco a causa di un leggero sussurro di vento che filtrò dalla porta della serra lasciata incautamente socchiusa... per il resto però null'altro si mosse.
    Delusa e rammaricata, Shizuka provò con tutta se stessa a concentrarsi, a permettere all'albero di sentire la sua presenza, i suoi sentimenti e il suo grande sogno. “Sono qui” diceva “un giorno, che non sarà domani e forse neanche il domani ancora successivo, potrai vedere il mio grande miglioramento. Quando sarò in grado di proteggere questo Villaggio e guardare le spalle di Raizen che lo cinge tra le sue braccia, tornerò qui. Un giorno, forse tra molto tempo, quando riuscirò ad essere la vera Luna, tornerò.” ...ma per quanto forti i suoi sentimenti fossero, ancora niente successe.
    Guardando l'albero, Shizuka si rassegnò a indietreggiare, togliendo le rami dal tronco.
    «Ben ti sta, testa di sughero.» La rimbrottò Daiki, sarcastico. «Pensavi di poterti mettere allo stesso livello dell'Hokage e di Toru-sama?! Impara il tuo posto.» Ordinò, mettendosi poi le mani sui fianchi e ridendo di gusto.
    Lo stesso Toru, dopo un attimo di profonda osservazione della scena, chiuse gli occhi, avvicinandosi poi alla Principessa, sulla cui schiena pose una piccola mano storta.
    «Tempo, pazienza e dedizione.» Disse, annuendo. «Forse non sei ancora pronta a quello che vorresti. Forse non è ancora giunto il momento adatto. Forse, devi ancora crescere...» Suggerì, accennando poi ad un sorriso sdentato. «Tempo, pazienza e dedizione, Principessa. Non serve altro alle piante per sbocciare. E agli uomini per crescere.» Mormorò, e null'altro disse neanche quando i due Shinobi annunciarono la propria dipartita, uno dei due tranquillo e imperturbabile, anche se forse vagamente irritato, e l'altra abbattuta e con molte domande senza risposta.
    Non disse niente né a loro né ai suoi sottoposti... limitandosi a guardare, in profondo silenzio e unica solitudine, un piccolo bocciolo ancora di un forte verde scuro che, posto nel ramo più basso e piegato, più dinoccolato e storto, del grande Signore degli Alberi, stava disperatamente lottando per emergere dal legno e di affermarsi con coraggio alla vista.
    Di affermarsi in un albero che, fino a quel momento, non aveva mai avuto nessun fiore.

    «Ma ci vorrà tempo, lunga premura e ancora tanto impegno perché questo succeda. Sei ancora troppo immaturo, non lo vedi forse da solo?» Domandò Toru-sama al piccolo bocciolo scuro. Poi sorrise piano. «Le piante, del resto...» Sussurrò tra sé il vecchio, intrecciando di nuovo le mani dietro la sua schiena e allontanandosi lentamente. «...sono come le persone: c'è chi stravolge il colore del mondo con la propria presenza...e chi fa sbocciare la roccia più arida.»
     
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