La Festa della Fondazione

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    MATTER OF RESPECT

    There is no respect for others without humility in one's self.




    Rimase in silenzio.
    Immobile nel posto che aveva guadagnato come proprio, con ancora la mano tesa di fronte a sé, Shizuka Kobayashi guardò in faccia l'otese che, interrompendola e aggredendola, aveva continuato a deridere ogni parola che lei gli aveva offerto fino a quel momento.
    La gentilezza, la sincerità che aveva cercato di mettere nel suo discorso, il desiderio di poter fare davvero breccia nel suo interlocutore, vennero rimbalzati indietro con l'arroganza tipica di un bambino capriccioso che si credeva più di ciò che realmente era, convinto di poter più di quello che davvero sarebbe riuscito a fare.
    C'erano così tante cose che avrebbe voluto dire... così tante sue frasi a cui avrebbe voluto ribattere...

    Ferma al suo posto, la Principessa del Fuoco sentì qualcosa dentro di lei ruggire di rabbia incontrollata, tradita, e poi avvertì la tipica sensazione del suo Sharingan che si scioglieva, si piegava e tornava a nascondersi nelle profondità del suo Kaiken.
    Le parole di Itai giunsero lei da un luogo remoto della realtà e persino quando Raizen scattò in avanti a bloccare le mani dell'inetto Lupo del Suono per impedire lui di commettere il più sciocco dei gesti, non disse né fece niente. Ancora con il braccio teso, come se si fosse dimenticata di ritrarlo nuovamente a sé, la ragazza sembrava essere rimasta sola, in quel luogo. Muta. Silenziosa. Non sembrava più registrare niente di ciò che la circondava. Neppure l'arrivo disastroso di Akira Hozuki, difatti, sembrò risvegliarla.

    Poi, però, si mosse.
    Un passo dopo l'altro. Piano. La Principessa dei Kobayashi avanzò e con lentezza si portò di fronte a Devereaux. A quel punto, con il braccio ancora teso, cercò di allontanare Raizen da lì. Non fu aggressiva né esagerata, la pressione che avrebbe apposto sarebbe infatti stata appena sufficiente per far compiere al Colosso un paio di passi, se egli avesse voluto. Per aprire cioè per sé lo spazio necessario per poter muovere la mano con libertà.
    A quel punto poi, alzando improvvisamente il braccio verso l'alto, la ragazza lo avrebbe abbassato con velocità, tentando di tirare uno schiaffo in faccia all'otese a mano ben aperta, abbastanza forte da far girare lui il viso e, forse, anche per ottenere qualcos'altro.

    «Non osare parlare in questi termini del mio villaggio, Yotsuki.»



    La voce sarebbe stata lapidaria come gli occhi di lei. Benché questi fossero tornati del loro peculiare verde smeraldo, le iridi si erano ristrette diventando due falci di grande freddezza.
    «Non ti permetto di offendere Konoha in questo modo.» Disse, inchiodando il suo interlocutore nel punto che occupava. Il suo sguardo era soverchiante, trasudante un tipo di potenza ben diversa da quella della semplice forza ninja. «Non mi sono permessa neanche una volta di pensare al tuo Gakure in termini inferiori al rispetto per un alleato. Mai ho ritenuto che Oto fosse qualcosa di meno che un valido Villaggio amico. Non ho mai azzardato niente che potesse offendere te, i tuoi concittadini e il tuo luogo natio... dunque pretendo da te il medesimo trattamento nei confronti miei e del mio Villaggio.» Continuò, gelida. Non era arrabbiata, quanto piuttosto risentita. Ferita in un luogo della sua personalità che prendeva il nome di “fierezza”. «Sono una orgogliosa Kunoichi della Foglia e prima di questo sono la potente Principessa del Fuoco, l'erede dell'Airone. Vivo in nome del mio nindo, forte del coraggio che i miei antenati hanno lasciato a me e ai miei fratelli e sorelle con il messaggio che caratterizza la Volontà del Fuoco. Vivo seguendo il verbo del nobile della Fiamma: con rispetto, lealtà, coraggio e ambizione.» Asserì, con gli occhi puntati dritti in quelli dell'uomo di Oto. La sua figura, lineare come quella di un fuso, dritta e fiera, era l'immagine di ciò che l'erede dei Kobayashi avrebbe dovuto essere: una Principessa che aveva giurato fedeltà al proprio Paese prima ancora di nascere e che devolveva ad esso tutto ciò che era e che sarebbe stata anche in futuro. «Sei un bambino sciocco e presuntuoso, accecato da sentimenti che non riesco a comprendere ma a cui non intendo dare un nome. Non li meritano. Tu non li meriti.» Disse, austera. I lunghissimi capelli castani, lisci e intrecciati di pendagli di puro oro, ondeggiarono alla leggera brezza che si infiltrò invadente nel vicolo in cui il gruppo di shinobi si trovava, portando via con sé il delicato rumore di campanelli che questi produssero. «Sei libero di credere ciò che più ti aggrada dell'Alleanza Accademica, non sei né il primo né l'ultimo sciocco che non comprende il significato della Pace e della Collaborazione, ma non sei tenuto a prenderti gioco dell'orgoglio degli altri Villaggi.» Ordinò, e la sua voce schioccò come una frusta battuta al suolo.
    A quel punto, qualora il suo schiaffo non fosse stato precedentemente impedito, la ragazza avrebbe premuto la sua mano, che ancora non aveva ritratto, sul volto di Deveraux. Piccola e affusolata, di una carnagione rosea morbida e profumata di fiori di loto, presentava anche calli laddove le armi venivano impugnate. Cicatrici sul dorso. Segni bianchi e irrimediabili in prossimità dei polpastrelli.
    Non erano solo le mani di una Principessa, quelle, ma di una Shinobi che aveva servito e continuava a servire con onore il suo Villaggio.
    «Pensi forse che due Kage non sarebbero stati capaci di costringerti a fare quello che volevano? Persino io, da sola, sarei bastata a violare la tua mente, prendere ciò che volevo e reintrodurti alla festa dal momento in cui cercavi il Mizukage. O peggio, cancellando tutto quello che avrei reputato giusto non farti ricordare.» Disse Shizuka, prendendo i polpastrelli sul volto dell'interlocutore ancora una volta prima ritrarsi con lentezza. «Eppure siamo tutti qui a cercare di parlarti, di convincerti. Di farti capire che non vogliamo il tuo male, né quello del tuo Villaggio.» Mormorò la Chunin, cercando di nuovo lo sguardo di Deveraux. «Oto è nostra alleata. Nessuno di noi vuole nuocergli. Preservando la nostra individualità e integrità siamo qui per supportarti, per supportarvi. E' sempre stato questo il nostro desiderio.» Affermò, incrollabile. Non mentiva. A nessuno interessava una guerra e nessuno, del resto, aveva mai considerato Oto un Villaggio privo di elementi validi di cui cercare l'appoggio e a cui portare rispetto. «Sei talmente cieco da non vedere l'evidenza? Così sciocco da non comprendere i fatti? Il tuo comportamento... umilia il tuo stesso Gakure, Yotsuki.» Seccò a quel punto la ragazza, affilando lo sguardo. «Se non riesci a capire le intenzioni di chi hai davanti, se non comprendi davvero cosa puoi permetterti e cosa invece faresti meglio ad evitare. Se ti risulta impossibile distinguere una circostanza da un'altra, allora, perdonami, ma il tuo maestro, con te, ha fallito.» Disse a quel punto, impietosa. E sapeva che quelle parole avrebbero riscosso un certo peso nel suo interlocutore... quel ragazzo, dopotutto, aveva forse tradito lo stesso attaccamento rispettoso al suo maestro di quello che lei aveva per Raizen, con la sola differenza che lei, ormai, camminava da sola, pensava da sola, e da sola valutava. Lui, no.
    Avrebbe sempre supportato la sua Volpe a rischio della sua stessa vita se necessario, in quanto lui era il suo maestro e prima ancora il suo Hokage, del resto però tra i suoi alleati era proprio lei la prima a scuotere la testa, quando riteneva di doverlo fare. Era la prima ad opporsi, se pensava che fosse doveroso. Aveva sempre fatto sentire la sua voce. Sempre.
    Come ogni Kobayashi, del resto, rimaneva devota, certo, ma nel suo esserlo, era indipendente. Lo era sempre stata.
    «Pensi che Febh Yakushi e il tuo maestro sarebbero lieti di un comportamento del genere, da parte tua? Non sto parlando di Oto, ma di te.» Puntualizzò, prima che il suo interlocutore scoppiasse di nuovo in chissà quale pietoso e insensato monologo sul non conoscere il suo villaggio e altre psicosi da adolescente di primo pelo di fronte alle quali, stavolta, non avrebbe potuto far a meno di ridere. «L'unico motivo valido per cui dovresti suicidarti è il pietoso messaggio che stai lanciando circa il tuo Villaggio e la tua gente. E' per persone come te che Oto è sempre stata considerata male, sottovalutata e tacciata a discapito delle grandi risorse e abilità che possiede.» E così dicendo cercò di agguantare il mento dello Yotsuki con la sua sinistra. «E prima di rispondere e urlare come un pazzo, stavolta, prova a riflettere. Pensaci davvero, idiota, credi che qualcuno di noi ti voglia male? Sei un nostro alleato e il nostro unico desiderio è aiutarti, nel limite del buon senso e dell'amore per la sicurezza delle persone a cui teniamo e del luogo in cui nasciamo, almeno questo riesci a capirlo?»
    Così dicendo, la Chunin lasciò che entrambe le sue mani si avviluppassero di un compatto alone blu elettrico, che per quanto fosse educato al volere del suo padrone, sembrava preservare ancora un incontrollato e ruggente guizzo. A discapito di quello che l'otese avrebbe potuto pensare, quando le mani della ragazza si mossero non si portarono alle sue tempie, ma al collo... e lì, con un calore piccante, cominciarono a curare i tagli da cui stava continuando a sgorgare sangue [Mani Curative].
    «Prima che si infetti.» Si limitò a dire, ma non si stava giustificando, stava solo esprimendo un fatto. «Prima di essere una manipolatrice, sono un medico. A prescindere da quanto stupido tu sia, non intendo permetterti di farti del male di fronte a me.» E così dicendo, quando ebbe finito la cura, rimase un attimo ferma, guardando il kimono bianco sporco di una pioggia di gocce rosso rubino del suo interlocutore. Chiudendo gli occhi, la Principessa dell'Airone sospirò. «Questo kimono è orribile, lasciatelo dire. Ma così è persino peggio.» Mormorò, iniziando a snodare dall'obi del suo kimono alcuni nastrini interni, come se stesse per spogliarsi. Dopo una serie di movimenti esperti, però, la ragazza si limitò a sfilare una lunga stola color dell'oro che faceva evidentemente parte del corredo del suo stesso kimono. Il tessuto, pura seta ricamata a mano punto per punto da un filo scarlatto che ricreava la fantasia del movimento di rose al vento, era uno dei più belli che probabilmente Deveraux avesse mai visto. E con ogni probabilità anche uno dei più costosi che il resto degli Shinobi presenti si fosse mai azzardato a guardare. Nonostante ciò Shizuka non si scompose poi molto quando cercò di far passare la stola dietro schiena dello Shinobi, gettando poi un lembo sulla spalla sinistra di lui così da ricreare una sorta di mantella che copriva gli schizzi di sangue... e in parte anche l'orribile fantasia con il demone. Gli Dei fossero benedetti.
    «Questo tipo di accostamento tra colori e tessuto è veramente pessimo.» Osservò però a quel punto, incredibilmente, la giovane Kobayashi. Sembrava per un attimo essersi dimenticata della situazione in cui si trovava. «Beh, potrei prendere qualche stola migliore dal banco di Aki, ma suppongo che tu non verresti con me per provarla...» Si grattò la testa, perplessa. «E' il meglio che posso fare con quello che ho. In ogni caso 13.560 ryo di seta delle tessiture del Paese della Terra renderebbero bello anche un Jinbei di cotone grezzo, quindi non ti preoccupare.» Praticamente quel lungo fazzoletto rettangolare costava... beh, forse era meglio non fare paragoni. «Tienilo.» Disse poi, inaspettatamente, la Principessa. «Me lo renderai quando verrò ad Oto.» Annunciò, poi riprovò, stavolta con un impegno un po' maggiore ed evidente, a sorridere. «Lavato e stirato, s'intende.»

    ...Era dopotutto l'unica erede di un Impero commerciale da centinaia di migliaia di Ryo.
    Lavare e stirare il suo foulard era il minimo, no?
     
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