La Festa della Fondazione

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    THE END

    Life's like a movie, write your own ending. Keep believing, keep pretending.




    «Io non sono una Uchiha.»



    Quelle parole le uscirono di bocca come uno sputo di bile alla quinta volta che il nome di quella dinastia veniva affiancato alla sua persona.
    Ancora ferma al suolo, stupidamente inginocchiata e con le mani protese a mezz'aria, la ragazza fissava in basso, lottando contro una rigidità che sentiva progressivamente prendere dominio di lei.
    In fondo al suo sé, in quella parte dell'animo in cui la luce del Sole non riesce a battere, che rimane nell'oscurità di una condizione predestinata e forse persino voluta, mantenuta nel ricordo di chissà quale punizione, qualcosa rise.
    Rise di gusto. E di scherno.
    «Io non sono una Uchiha.» Ripeté la Chunin, e la sua voce, adesso, tremava. «Non osare...» Sibilò in un sussurro serpeggiante, mentre alzava gli occhi in quelli dello Yotsuki. Il suo volto, bello ed elegante come quello di una bambola d'altri tempi, sembrava improvvisamente esser precipitato in una condizione di rifiuto tale da snaturare la sua espressione, data in pasto ad una maschera di rabbia priva di freni e controllo. «...paragonarmi a quella persona.»
    E fu allora che quel volto ridente si frappose al suo.
    Le tre tomoe socchiuse, affogate nella goduria della distruzione e della morte, si posero sopra le sue di un verde adesso scuro come la notte.
    In un istante, l'espressione affamata e dilaniante di chi l'aveva sporcata e annientata, rubandole quella spensieratezza di vivere di un tempo, si sostituì a lei...
    ...e lei, rendendosene conto, si trattenne. Esitò.
    D'improvviso tacque, abbassando lo sguardo, stringendo i denti, chiudendo gli occhi.
    “Calma” diceva a se stessa, cercando di inspirare in modo impercettibile. Era sotto lo sguardo di tutti. La guardavano. La giudicavano. Non avrebbe permesso che... “Come acqua che scorre, vento che fugge e fuoco che arde, impetuoso, potente, ma mai fuori controllo, mai senza freno.”

    Inspirò. Impose la fermezza.
    Non era più un animale senza direzione. Obbediva adesso, anche se solo a se stessa.

    «Non ti ho ingannato.» Mormorò dopo una manciata di secondi, e adesso, incredibilmente, la sua voce era tornata impostata. In un solo battito di ciglia la sua espressione era cambiata, cresciuta, sfumata e ricreata: della maschera di odio divorante e ruggente, di quel bagliore che per un solo brevissimo, incalzante secondo, aveva illuminato le sue iridi e che parlava chiaro circa ciò che realmente voleva, non c'era più traccia. Distrutta e rimodellata in modo nuovo e pulito. «Estrarre ricordi è un processo che può distruggere la mente, soprattutto se quel frammento di memoria è traumatico come quello che hai fatto vedere a noi. Radicato. E profondo.» Disse Shizuka Kobayashi, nascondendo le mani in grembo, strette le une alle altre in una geometria di dita lunghe e affusolate. «Perdendo la “base del ricordo”, il trovarti qui e ora avrebbe avuto una ripercussione forte su di te. Esattamente come ora ti senti smarrito, ferito e arrabbiato, quando imparerai a non trovare il ricordo di ciò che è stato, la tua condizione peggiorerà. Ecco perché volevo rimuovere questo incontro.» Ed in parte ciò che diceva era vero. «Mi hai dato il tuo permesso a gestire la tua mente. Non prendo mai ciò che va oltre quello che mi è stato permesso.» Affermò, guardando lo Yotsuki con espressione solida. Non vacillava. Era la verità ciò che diceva, di questo nessuno avrebbe dubitato. Come poter credere il contrario, del resto? Era così sicura di sè. «Trovo stancante che tu dubiti di me fino a questo punto, Deveraux. Se avessi voluto, nell'attimo in cui ti sei concesso a me, avrei potuto distruggerti la mente. E sono ancora in tempo a farlo.» Fece presente, sorridendo educatamente. «Mi sembrava di aver capito che fossimo alleati, oppure sto sbagliando?» E così dicendo, fece spallucce. Lisciando il pregiato broccato del suo kimono, la Principessa dei Kobayashi si riportò in eretta postura. «Credi di essere davvero così cattivo e pericoloso, oppure, non so, arrabbiato...?» Sussurrò... a quel punto, però, con il volto ancora inclinato verso il suo obi e la lunga cascata di capelli castani a coprirle i lineamenti, la ragazza alzò gli occhi in quelli del suo interlocutore, e sorrise. Se quel ghigno poteva chiamarsi realmente sorriso, ovviamente. «...Al mondo esistono persone molto più cattive di te, non sempre saremo tutti qui a tollerare il tuo comportamento. Impara a soppesare cosa ti esce di bocca, o presto ti verrà cucita da qualcuno.»

    Ma a quel punto tacque di fronte all'intervento di Itai. Non si oppose né disse niente quando il Mizukage portò via l'otese. Si limitò a rimanere in piedi, ferma, non degnando di uno sguardo né Raizen né Akira. Le sue mani, strette attorno al suo obi, ancora tremavano di rabbia.
    ...Perché l'avevano fermata?
    Volevano il suo parere? Per cosa?
    Era così evidente che quel ragazzino non fosse nient'altro che un burattino di un padrone sempre diverso, incapace di recidere i fili che lo tenevano sospeso a mezz'aria. Credevano davvero che avrebbe lasciato tutte quelle informazioni –le sue abilità, il coinvolgimento di Itai e Raizen, dei paesi che rappresentavano, Akira stesso, capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato– nella mente di un individuo che avrebbe potuto rivomitare tutto ai piedi di qualcuno pronto a giustificare il suo essere al mondo?
    Non avrebbe messo a repentaglio Konoha. Il suo Hokage. Se stessa e la sua famiglia.
    Lo avrebbe ucciso, piuttosto... del resto di lei nessuno conservava ricordo. Nessuno sapeva delle sue capacità e dei suoi obiettivi, e dunque lei non avrebbe concesso ad una creatura come quella di mettere a rischio tutto quello a cui aveva lavorato e ancora lavorava, minandola con chissà quale padrone senza volto. Privandola così di ciò che ancora la manteneva in equilibrio, ferma dalla parte giusta delle cose. Impedendole di cadere dall'altro lato della lama.

    Quando Deveraux Yotsuki e Itai Nara tornarono, non disse niente. Annuì, ascoltando la nuova decisione del volubile e stolto otese, e a quel punto sorrise.
    Il suo volto, la sua espressione, il suo timbro di voce: niente tradiva l'errore. Era bella, elegante e dolce come la prima volta in cui i loro sguardi si erano incrociati.
    «Molto bene.» Commentò, tagliando corto quel galateo che immaginava non dovesse più utilizzare. «Sappi che adesso ti farò svenire.» Spiegò, fissando l'otese negli occhi. «Il ricordo che sto andando a togliere è troppo fresco, troppo recente. Svegliarti senza più avere qualcosa di simile dentro di te potrebbe essere un trauma ben peggiore di quello che ti avrebbe aspettato se non avessi preso la decisione più giusta, tornando qui, ora.» Disse la ragazza. «Perciò adesso bloccherò l'afflusso di sangue della tua giugulare. Rimarrai svenuto per poco tempo, ma non ti preoccupare, non soffrirai, e al tuo risveglio non sarai né intontito né spaesato.» Lo rassicurò con gentilezza. «Ti pregherei dunque di sederti nuovamente.» E avrebbe aspettato che lo Shinobi le obbedisse prima di prepararsi. Stavolta non si inginocchiò al livello del suo interlocutore. Rimase in piedi.
    Shizuka Kobayashi non poteva cancellare i ricordi, quel tipo di potere era una benedizione riservata solo agli Dei e forse al Tempo... però poteva estrarli, e facendolo non ne rimaneva traccia nella mente di chi li aveva posseduti. Avrebbe fatto questo con l'interrogatorio, che avrebbe poi impresso in un rettangolo di carta stropicciato che teneva dentro la sua borsetta e che avrebbe bruciato con un piccolo soffio di fuoco dalla bocca appena terminata l'opera. Avrebbe raccolto persino la cenere, come se nemmeno di quella volesse lasciare traccia.
    Annuendo dunque all'otese, la ragazza si sarebbe avvicinata per bloccare l'afflusso di sangue al cervello di lui, inducendo così uno svenimento. Avrebbe ripreso il corpo del giovane Yotsuki prima che questo sbattesse al suolo, accompagnandolo sullo stesso con dolcezza e controllandone poi l'effettivo stato, assicurandosi che fosse svenuto davvero, solo a quel punto agendo su di lui con la sua abilità, eliminò tutta la scena appena svoltasi: dal momento in cui il giovane bianco arrivava in quel vicolo con Itai, fino a quel preciso istante.
    «La versione dei fatti che dovrete riportare è questa.» Disse la ragazza quando ebbe finito e si fu rialzata. Ai suoi piedi il corpo di Deveraux Yotsuki ancora giaceva privo di sensi. Spiegò rapidamente che, essendo stata fermata da Raizen non aveva potuto estrarre il ricordo del Ferro, ma giacché era stata interrotta quando ormai il filo chakrico era stato quasi del tutto tolto, aveva visto le rimembranze per intero. Sapeva per filo e per segno ciò che sapeva anche il Lupo di Oto, ma non avrebbe potuto apporre quel sapere in nessuno dei presenti in quanto, agli effetti, il ricordo non le apparteneva e ancora risiedeva nella mente del suo proprietario. Aggiunse che aveva eliminato ogni aspetto di quell'interrogatorio, dal momento in cui Itai e l'altro erano arrivati lì, pertanto al momento del risveglio di quest'ultimo sia Raizen che Akira dovevano essere spariti e Itai stesso avrebbe dovuto giustificare lo svenimento, le macchie di sangue sul kimono, e recitare come se non ci fosse mai stato niente di quello che avevano appena vissuto, perché il rischio più grande in quel genere di casi era andare incontro ad un anacronismo mentale che, a lungo andare, avrebbe persino potuto portare la mente del poveretto a collassare. E questo nessuno lo voleva. Soprattutto lei, che trovava nel piccolo otese un ricco scrigno di interessi. «Ne consegue che io non vi ho mai seguito. Non mi avete chiamata, non avete usufruito delle mie capacità.» Puntualizzò educatamente la Principessa, sorridendo melliflua verso i presenti. «Quando si sveglierà non conserverà ricordo di questo episodio. Se farete come ho detto, avremo ottenuto tutti ciò che desideriamo.» E così dicendo si pulì educatamente le mani al kimono dell'otese a terra. «Qualora il vostro buonismo vi porti a fare qualche idiozia, tenete fuori dalla stessa me e il mio Clan.» Affermò, riportandosi in eretta postura. Girandosi si incamminò poi verso una delle vie di sbocco di quel vicolo. «Non si vincono le guerre con la fiducia e la dolcezza. E forse sarebbe il caso che qualcuno di voi capisse che non siamo più tanto al sicuro come prima.» Commentò, si sarebbe detto persino casualmente, poi però, dopo aver controllato l'uscita, assicurandosi che nessuno osservasse, aspettò che una mandata di chiassosi ragazzi in kimono, carichi di regali forse per le loro belle, passasse davanti allo sbocco. «Dunque con permesso.» E così dicendo, dopo un profondo inchino, si unì al flusso di gente, sparendo alla vista in un istante.

    Quando Deveraux Yotsuki si fosse svegliato, di quella circostanza e di Shizuka Kobayashi non avrebbe conservato il minimo ricordo. Sapeva di aver incontrato la famosa Principessa, che si era comportata con lui in modo assai maleducato di fronte a tutte quelle persone, ma niente più di questo. La versione ufficiale dei fatti sarebbe spettata ad Itai Nara e l'Erede dell'Airone sarebbe stata pronta a renderla propria.
    Lei, per tutta risposta, rilassò i muscoli delle spalle quando svoltò la quarta strada del Matsuri, ormai lontana abbastanza da poter liberamente sospirare.
    «Ci avete messo più tempo del previsto, il Capoclan è assai di mal umore per l'accaduto.»
    Ferma di fronte ad una bancarella di spille per Obi, Shizuka non si girò nemmeno, continuando a guardare la mercanzia.
    «Ci hai seguiti?» Si limitò a domandare, sorridendo nel chiedere al mercante del banco quanto costasse quell'inutile ninnolo di bronzo, con una pietra azzurra impura sulla punta.
    «No, mia Signora. Mi avete ordinato di non farlo.» Disse la donna che le si affiancò: i corti capelli a caschetto rossi come il fuoco scendevano a solleticare un volto ovale dai grandi occhi azzurri. «Ma non vi ho persa di vista nemmeno per un istante, se è questo che state domandando.» Aggiunse, come al solito in quel suo modo enigmatico e incomprensibile. Shizuka pagò il fermaglio, che accomodò nel suo obi per nascondere la mancanza della stola interna, e poi si girò. «E' sempre difficile farlo, eh?» Chiese Ritsuko Aoki, facendo strada alla sua signora. Girarono stradine e passarono davanti a bancarelle di diverso tipo e pregio.
    «...Cosa?» Domandò di rimando la Principessa, i cui lineamenti si ammorbidirono solo nel vedere in lontananza la figura di suo Padre e sua Madre fermi di fronte ad un banco di scommesse: il primo sembrava sconsolato, la seconda, però, profondamente divertita.
    «Niente...» Rispose dopo un istante di silenzio la Kumori, chiudendo gli occhi. Era testarda, orgogliosa e stupidamente fiera anche in quelle situazioni. Anche quando capiva che la strada che aveva scelto non era splendida come pretendeva che fosse, che sedere nei ricordi rubati delle persone, essere dimenticata, conoscere gli altri ancora e ancora, ancora una volta, era qualcosa che lentamente logorava. «...Niente, Principessa.»
    «SHIZUKA!» Ruggì improvvisamente Toshiro Kobayashi, zampettando da un piede all'altro nel vedere la figlia in lontananza, indicatale da Mamoru Aoki, al suo fianco, un passo dietro di lui. Come sempre. «DI BUON ORA, CREDEVO CHE RAIZEN TI AVESSE AGGREDITO O ALTRO!» La triste uscita fu subito seguita da una disgrazia, giacché di punto in bianco qualcosa lo colpì alla gamba, costringendolo ad inginocchiarsi fingendo di controllare il suo zori. Una lacrima cadde al suolo, nascosta nella sua nascita dai capelli ispidi del Capoclan.
    «Bentornata, Shizuka.» Si limitò a dire Heiko Uchiha, fissando la figlia di sbieco. La squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio. Non disse niente, ma parve riconoscere qualcosa. «Sembra che tuo padre desideri di nuovo perdere la nostra fortuna a questo banco, sii così gentile da fermarlo.» Ordinò aprendo il ventaglio di fronte al suo viso, scostandosi poi con flemma una ciocca di capelli corvini dal collo lungo e candido. Fece l'atto di voltarsi, per andarsene, ma mentre passava accanto alla figlia, esitò. «Pulisci la faccia. Nessuna traccia di ciò che fai. Mai.» Disse in un sussurro, sventolandosi poi subito dopo. «Sanae, per favore, ho bisogno di aria.» Accanto a lei una donna alta e con un kimono nero le scivolò al fianco, annuendo. «Anata, voglio danzare all'Obon, c'è possibilità che tu finisca di sperperare il nostro denaro e venga ad accompagnarmi, oppure desideravi tornare a casa a piedi?» Cinguettò con dolcezza la Matrona, inducendo per tutta risposta il Capoclan ad alzare il viso di scatto, terrorizzato.
    «...Pensi che tua madre mi farà davvero tornare a casa a piedi?» Sussurrò Toshiro Kobayashi avvicinandosi alla figlia a cui bisbigliò nell'orecchio mentre la moglie si allontanava verso le danze.
    «Decisamente.» Convenne Shizuka, socchiudendo gli occhi con dolcezza quando il padre le strinse una spalla amorevolmente. Anch'egli non diceva niente, ma pareva intuire. «Stavolta quanto hai perso, Otou-sama?»
    «Ma niente più che spiccioli, appena 2.540 Ryo, cosa vuoi che sia? E' tua madre che esagera sempre!»
    Brontolò il Capoclan come un bambino arrabbiato.
    «Ah, in effetti sono pochi davvero.» Disse stupita la Principessa. Era evidente che sia lei che il padre avessero dei seri problemi a concepire il denaro come una risorsa di pregio. «Lascia che provi io, allora. Per una volta posso giocare.» Commentò, guardando l'uomo del banco che sembrava assai lieto di quella decisione, come dimostrò strofinandosi le mani. Era un bancarello con un'insegna che recava il titolo “La scalata” e sembrava consistesse in più fasi consecutive di gioco. Non aveva mai fatto niente di simile, ma parve non esserne particolarmente interessata, e prese dalla sua borsetta di broccato i gettoni che le avevano dato all'entrata.
    Quando il signore le chiese se era pronta ad iniziare, lei annuì senza eccitazione. Suo padre, del resto, sembrava già elettrizzato per entrambi, benché parve rattristarsi quando la figlia si azzardò a puntare solo 200 gettoni. In verità la scelta era voluta dalla triste realtà per cui se il Clan Kobayashi era tanto fortunato nel mondo del commercio, altrettanto non lo era nel gioco. In effetti si stimava che ogni membro di quella Dinastia godesse di una sfortuna nelle scommesse tale da far temere il collasso dei tesori della famiglia in appena un pomeriggio di puntate. Questo era il motivo per cui nessun Kobayashi giocava mai. Su nulla.
    ...E il destino, non essendo certo mai bugiardo, si rivelò corretto anche quella volta: in appena qualche lancio, Shizuka perse tutto.
    «Forse è meglio smetterla.» Disse la Principessa dopo un lunghissimo silenzio.
    «Già. Forse è meglio.» Acconsentì con voce strozzata Toshiro Kobayashi, fissando le mani del commerciante che prendevano gioiose tutti i gettoni della figlia. Si girò a guardarla come se improvvisamente si fosse ricordato qualcosa di assolutamente strabiliante. «Tua madre ci taglierà la gola.» Esclamò senza fiato.
    «Temo di si.» Deglutì la ragazza. Era vero che i Kobayashi non erano fortunati al gioco, ma era altrettanto vero che ne apprezzavano il brivido come nessun altro. «Comprale qualcosa e quietala.»
    «Le comprerò la statua del Drago vicina al Tempio.»
    Rispose il Capoclan, annuendo gravemente. «Aveva detto che la trovava splendida.» Commentò girandosi e iniziando a camminare verso la piramide Obon in cui tutti danzavano al ritmo dei tamburi Taiko.
    «E' la statua di una divinità!» Sbottò Shizuka, allibita, affiancandosi al padre. «Non puoi comprare le divinità del Villaggio Accademico, Otou-sama!»
    «Allora le comprerò un banco di ninnoli.»
    Gemette l'uomo, fissando la figlia come se non fosse ben sicuro di cosa fare in quella circostanza.
    «Un ciondolo di cristallo e dei bei fiori penso che basteranno...» Sospirò la Principessa, scuotendo la testa.
    Accanto a lei il Signore dell'Airone scoppiò a ridere, allargò un braccio e cinse a sé con dolcezza la figlia, avvicinandosi a lei nel portarsi il dito indice di fronte alla bocca. I suoi occhi verdi smeraldo, così simili ai suoi, si socchiusero sornioni.
    «A tua madre piacciono gli eccessi, te lo posso garantire.» Commentò, ridacchiando. «Ti ho mai raccontato di quando, da giovani, qualche anno in più di te forse, lei si presentò alla Festa delle Anime vestita come una Yokai, con tanto di coda e pennacchi tra i capelli? Credo di non aver mai riso tanto come quella volta!»
    «No, non credo.»
    Rise a sua volta Shizuka, lasciandosi abbracciare dal padre. Socchiuse gli occhi nel sentire quel calore, e improvvisamente l'ansia, la tristezza e la rabbia che aveva provato poco prima, scemarono come fossero portati via dal vento.
    «E mai te lo racconterà.» Tuonò improvvisamente una voce alle loro spalle, prima che due mani candide e affusolate si stringessero attorno al collo del Capoclan. «Maledetto, io ero tornata a cercarti e tu sparli di tua moglie, non ti vergogni, filibustiere?!»
    «“Filibustiere”?»
    Fecero eco insieme Shizuka e Toshiro Kobayashi, la prima con voce stupita e il secondo con tono strozzato, scoppiando poi entrambi a ridere.
    «Ridete finché ne avete fiato.» Avvampò immediatamente Heiko Uchiha, fissando basita il marito e la figlia. «Penso che non ne avrete mentre tornerete a casa con mani e piedi legati, saltando!» Minacciò, furente...
    ...ma le sue parole si persero nelle risate degli altri due.
    Ormai in prossimità della danza collettiva, Toshiro Kobayashi afferrò i polsi della moglie e ridendo la trasse a sé con dolcezza, baciandole la punta del naso prima di buttarsi a volteggiare assolutamente senza senso dentro l'Obon, urtando gli altri danzatori e facendo levare esclamazioni di stupore e risate di gioia improvvisa. Come al solito dava spettacolo, e come al solito tutti ne rimanevano per qualche motivo incantati.
    Erano così, i Kobayashi. Non importava dove andassero: riuscivano sempre a conquistare la scena.
    «Non avete un accompagnatore, Ojou-sama?» Chiese Ritsuko Aoki, mortificata, avvicinandosi alla sua Signora. «Devo andare a...» Ma anche lei non finì la frase, perché Shizuka le prese le mani, mettendosi a ridere.
    «La mia migliore amica può bastare.» Commentò la Principessa dell'Airone. «Avevamo detto che stavamo insieme a questa Festa, no?»
    E così, mentre le due ragazze si univano all'obon, qualcosa improvvisamente prendeva fuoco (e dalle grida maschili si suppose essere un uomo maturo), e Mamoru e Sanae Aoki correvano a prendere secchi che, per qualche motivo, si riempirono quasi per magia di acqua, la Festa della Fondazione continuò.

    Si dice però che, per qualche strana ragione, Shizuka e Toshiro Kobayashi arrivarono a Konoha a piedi, all'alba del giorno dopo.
    Avevano le mani legate e una scritta a pennarello sulla fronte: "punizione divina".
     
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