[Quest] Le Nuove Sette Spade

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  1. -Meika
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    Le Nuove Sette Spade

    Epilogo






    Quella era la sagra della follia, servita profusamente i pietanze varie. In quegli ultimi giorni avevo visto così spesso la morte in faccia e più volte mi ero sentita così sperduta contro la forza della natura che faticavo ad accettare l'idea che tutto ciò che era accaduto fosse stato frutto di una serie interminabile di incidenti e dimenticanze lo rendeva particolarmente arduo da digerire. Feci un lungo, profondissimo sospiro nel vano tentativo di calmare i miei nervi. Non fosse stato perfettamente inutile (le mie dita si sarebbero spezzate contro il collo dell'uomo) avrei cercato di strozzare Samoru. Era un gentile idiota, ma sopratutto idiota. Perché non aveva ben chiaro per quante volte io ed Akira eravamo sfuggiti alla morte per un soffio. Rimanere senza cibo ed un tetto sulla testa a Genosha era di per se una sentenza di morte spesso usata nel passato e noi avevamo avuto il piacere di sperimentare cosa provavano i prigionieri di quell'isola infernale. Non... so... scossi il capo, sconsolata, mentre Akira mi prendeva sotto braccio diretti verso il rifugio. Mi adagiai appena contro di lui, stanca, sebbene il mio fisico fosse ancora lontano dall'esaurimento. Era stanchezza mentale, quella dolce sensazione che sopraggiungeva quando lo stato d'allerta cessa e giunge insieme alla consapevolezza di avercela fatta. Akira alla mia richiesta di cure, ovviamente, fece una battuta e mi scompigliò i capelli. Gonfiai appena le guance, in una specie di faccia buffa, ma alla fine mi lasciai andare in una risatina. Non mi aspettavo altro, ma ci ho provato... dentro sistemerò tutti.


    Dentro il rifugio ebbi la splendida sensazione di calore. Non il calore forte del fuoco, che ti riscaldava solo nelle parti rivolte verso esso quasi dolorosamente, ma quella calda ed avvolgente sensazione di pace che solo quattro mura potevano regalare. Prima di rilassarmi però offrii sia all'Eremita che a Samoru di curare le loro ferite e se avessero acconsentito mi sarei avvicinata avvicinando le mani prima a Samoru, poi all'Eremita, sfruttando la tecnica delle Mani Curative per richiudere quei tagli. Ci sarebbe voluto un po' di tempo e chakra, ma a quel punto potevo permettermi questo ed altro. Non eravamo più in pericolo di vita. L'Eremita, ripresosi, ci diede una spiegazione riguardo l'accaduto ed io rimasi per un attimo imbambolata, sbattendo le palpebre. Cioè... tutto ciò che è successo è stato colpa di una buccia di pera? Dissi, con la voce tremante di chi è sull'orlo di una crisi isterica. ... Ok. E rimasi in silenzio, senza dire altro, semplicemente sedendomi di fianco ad Akira. Una mia mano cercò il suo braccio e poté notare che all'improvviso avevo acquisito la forza di mille e più uomini forti quanto Samoru: di certo litigare con quel trio non serviva a nulla, così la mia frustrazione venne sfogata sul braccio di Akira... non che fossi realmente in grado di fargli male. Finalmente si spiegò come mai Samoru fosse venuto a prenderci, e chi fosse l'Eremita e gli altri due. Magra consolazione, visto che ormai il danno era stato fatto.


    Recuperato il sasso Sanjuro lo mise in una scatola insieme ad altri sei e spiegò che era il metallo che dovevamo recuperare. Sanjuro ci raccontò di come, dallo stesso metallo, furono forgiate le vecchie Sette Spade della Nebbia e disse che il Mizukage doveva trovare qualche fabbro in grado di lavorarlo. Mi strinsi nelle spalle, senza sapere bene che dire. Un'altro gruppo di shinobi è andato a prendere un fabbro, a quanto pare, davvero... uhm... leggendario. Non sapeva bene se quel termine fosse esatto, ma era tutto ciò che sapevo. Sanhuro poi espresse la sua volontò di tornare a Kiri ed io mi strinsi delle spalle come a dire "ok". Bevvi con calma la cioccolata, che mi scaldò l'anima ed il corpo ed alla fine mi sentii più esausta di quello che credessi possibile. Dunque è fatta... dissi, sbadigliando Ho bisogno di un bagno caldo. Aggiunsi, alzandomi. Avevano un modo per riscaldare l'acqua lì, no?



    La sensazione dell'acqua calda che mi lambiva il corpo era qualcosa di estasiante. Solo quando mi ero immersa in quella vasca avevo compreso quanto il mio corpo fosse affaticato e dolorante. La notte trascorsa sul terreno al termine di una giornata a dir poco faticosa (preceduta da un incredibile naufragio), poi le ore trascorse rannicchiati sotto una pelliccia d'orso contro le rocce di una caverna, sperando di non morire soffocati. La schiena doleva dolorosamente, le braccia erano quasi intorpidite a la testa sembrava essere immersa in una morsa quasi letale. Ma ero viva, Akira era vivo ed avevamo recuperato il metallo. Andava tutto bene. Rimasi lì per quasi un quarto d'ora e quando sentii l'acqua divenire tiepida mi alzai dalla vasca, asciugandomi attentamente, quasi avessi ancora paura che una volta fuori da quell'ambiente caldo qualsiasi residuo di umidità sulla mia pelle potesse trasformarsi in ghiaccio pronto a scavarmi la pelle con i suoi gelidi artigli. Mi rivestii alla bene e meglio, lavando i vestiti e lasciandoli ad asciugare per il giorno successivo. Misi una maglietta così lunga da arrivarmi alle ginocchia, che fino a quel momento avevo tenuto nascosta sotto i vari strati di vestiti più pesanti, dunque lavai come potevo i vestiti abbastanza sporchi e mi diressi diretta in camera.


    La stanza che io ed Akira dovevamo condividere era grande, ma spoglia. C'era una lunga finestra arcuata che dava sulla vastità di Genosha, un camino che ardeva quasi furiosamente ed a terra due futon di vecchia data che sembravano aver visto giorni migliori. Il tutto mi sembrò semplicemente perfetto. Dopo tutti quei giorni passati nella più totale scomodità, al freddo e con diversi pericoli climatici e non pronti ad assaltarci in qualsiasi momento due vecchi futon in una stanza calda sembravano un lusso indicibile. Akira non c'era. Distesi i vestiti come meglio potevo su una sedia, davanti al camino e presi alcuni ciocchi di legna da ardere da uno scomparto sotto di esso, gettandola nel fuoco. Dunque mi avvicinai ad uno dei futon e mi infilai sotto le coperte. Il cielo era scuro, ma la notte era lontana. E così, come succede quando il corpo e stanco ed il tempo molto, la mia mente divagò negli eventi dei giorni precedenti... e mi trovai a sorridere.


    Erano stati giorni parecchio duri. Il naufragio aveva messo a dura prova i miei nervi, poiché trovarci lì con nulla in mano avrebbe potuto portarci verso una inevitabile fine ad una incredibile velocità. Però era andato tutto bene, avevo deciso di dover agire ed ero riuscita a ripagare Akira per lo sforzo fatto durante la tempesta. Se non fossi stata con lui sarei morta e da solo lui non avrebbe avuto bisogno di sforzarsi così tanto da esaurirsi. Era stato pericoloso, difficile, ma ero stata felice di essermi presa cura di lui. Forse, il motivo per cui avevo agito così bene era stato perché non volevo che lui morisse lì, nel gelo di Genosha. Poi, nella grotta, in quelle ore in cui le due copie scavavano la nostra via verso la libertà eravamo rimasti vicini. E c'era una cosa che non riuscivo a spiegarmi: il senso di delusione quando le copie avevano scorto la superficie. Per carità, vivere mi era assai caro, eppure una parte di me desiderava rimanere lì, sotto una coperta - sebbene non proprio ortodossa -, stretta con lui a scherzare, prometterci di sopravvivere e (per lui) subire interminabili spiegazioni specifiche su come un fuoco acceso poteva ucciderci. Mi alzaii, mettendomi seduta, sentendomi bruciare la faccia in maniera quasi intollerabile. Oh bene... pensai ... serve negarlo? Sono così scema da non capire? Alla fine, probabilmente, l'unica che aveva faticato ad accorgersene ero io.






    Dopo una cena abbastanza voce, durante la quale rimasi stranamente silenziosa (non si comprendeva però, all'esterno se fossi semplicemente stanca o altro) tornai in camera, dove mi infilai dentro il futon. Akira giunse pochi istanti dopo, giacché mi ero alzata da tavola senza finire la mia porzione. Quando la porta fu richiusa rimasi a guardarlo silenziosamente, quasi di sfuggita. Quando si stava per mettere nel futon parlai. Non stare così lontano. Dissi, senza pensare. I futon erano stati "disposti" in maniera abbastanza causale nella stanza, per cui tra me e lui c'erano almeno un paio di metri. Una distanza che francamente trovavo intollerabile. Non dopo ciò che avevamo vissuto quei giorni, non dopo ciò che avevo realizzato. Una sensazione quasi dolorosa mi attanagliava lo stomaco in quel momento, perché non sapevo bene cosa fare. Parlargli? Akira era il mio più caro amico, non ero ancora disposta a inquinare la nostra relazione con un imbarazzo senza fine. Eppure cos'altro potevo fare? Quando lui fu vicino me mi voltai, distesa a pancia in giù con il viso rivolto verso di lui. La stanza era illuminata solo da una soffusa luce proveniente da una luna calante e dal fuoco che ardeva scoppiettando nel camino. Sai... Iniziai a dire, ma le parole quasi mi morirono in gola. Così feci un sospiro appena accennato, muovendomi nel mio futon fino ad avvicinarmi il più possibile a lui. Prima, nella grotta... Perché non arrossivo? Lo facevo sempre! Era il momento adatto per essere presi da accessi di rossore incontrollati, eppure nulla accadeva. In verità era l'imbarazzo a determinare quelle mie reazioni ed in quel momento era minimo e quasi assente.Quando le copie hanno trovato l'uscita, ero felice ma anche... delusa. Feci una risatina leggera. No, eh, ci tengo alla mia pelle. Però ero anche un po' triste perché sono stata davvero bene... nonostante tutta la situazione. Il rossore giunse, iniziando ad imporporare la punta delle mie orecchie. Feci scivolare una mano fuori dal futon, la posai sul viso di Akira in un gesto di affetto che non gli avevo mai riservato. Che a dire il vero, non avevo riservato mai a nessuno. Ricordi la cosa carina che dovevo dirti, lì, nella grotta? Me la sono ricordata. Dissi in un sussurro debole, ma udibile: il crepitare del fuoco non era minimamente in grado di coprire la mia voce. Mi avvicinai a lui, sporgendo la mio futon così da annullare le distanze tra noi e lasciargli un bacio tenero bacio sulle labbra, setendo il cuore quasi esplodermi in petto mentre lo faceva. Era stata forse una mossa stupida ed avventata, ma in quel momento era l'unica cosa che sentivo davvero il bisogno di fare. L'unica cosa che volessi davvero, nella maniera più assoluta e sincera, fare. Restare chiusa in una grotta con te è stata la cosa migliore che mi è capitata in questa missione. Sussurrai, prima di allontanarmi. A meno che lui non avesse deciso il contrario... avrebbe dovuto capirlo, che non mi sarei riuscita ad allontanare se mi avesse anche solo blandamente trattenuta.


     
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