L'airone dalle ali rosse

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    Il nido








    Girava per l’ufficio ormai da una manciata di mezz’ore mentre cercava il modo adatto per fare ciò che andava fatto.
    Ma non riuscì a trovarlo.
    Il dialogo con Masaki fu certamente illuminante a dir poco, ma dopo l’incontro con i Kobayashi la situazione si era fatta delicata, il clan era enormemente teso, ed ogni sua visita non faceva che dare un giro in più al tendi corda, questa volta si sarebbe mosso per delle concessioni.
    Venne scortato alla villa da quattro ambu, del tutto anonimi, medesima altezza, medesima corporatura, su di loro Raizen svettava come il capo quale era.
    Pochi e coordinati movimenti aiutavano ad immaginare il grande addestramento a cui si erano sottoposti. Erano esperti, ma era difficile dire in cosa Non lo fossero.
    Fece un inchino all’ingresso della magione quando una serva gli venne ad aprire, appena pronunciato, ma indiscutibilmente un gesto di cortesia seppur la sua faccia si mantenne severa.

    Controlli di routine, devo conferire con Toshiro.

    Definire i pochi minuti in cui rimase in ad attendere Toshiro “attesa” sarebbe stata un offesa, anche per questo accennò un breve sorriso quando lo accolse nella sala privata.

    Toshiro, come la volta precedente, non ti porto buone notizie.
    Quantomeno non del tutto.
    Ma penso un po’ di speranza.


    Lo guardò negli occhi solamente dopo aver pronunciato quelle poche parole, non gli sembrava troppo rispettoso ammettere di portare cattive notizie ad un uomo a cui ne aveva già date così tante.

    Ricorderà certamente i Kurogane e ovviamente che è a causa loro che attualmente il clan versa in questa situazione che dura ormai da troppo tempo.
    La prima notizia, quella buona, è che i domiciliari sono terminati, verrà allentata la presa degradandola ad un obbligo di firma in orari prestabiliti.
    L’altra è che ho avuto modo di entrare in contatto con l’erede dei Kurogane, il loro più grande infiltrato.
    La pecora più nera che il mondo abbia mai visto.
    Non ho dovuto neanche convincerlo, ma siamo riusciti a creare l’opportunità per un matrimonio combinato.


    Trasse un profondo respiro, questa volta lo sguardo del Kage della foglia era su quello di Toshiro, immobile, solido: sicuro.

    Erede, per erede.

    Un’altra pausa.

    Sto chiedendo che l’airone distenda le sue ali sulla foglia e copra il bagno di sangue in cui verranno annegati i Kurogane.

    Poteva sentirsi in colpa?
    Non sapeva se doveva, se era il caso, se di fatto stesse chiedendo o pretendendo troppo, ma il suo sguardo, ripulito dalle eccezionali doti recitative lasciava trasparire un peso non indifferente.
    Stava mettendo su un piatto d’oro qualcosa che non era suo, ma soprattutto una delle persone per lui più importante assieme alla sua intera famiglia.

    Potrà farlo, Toshiro sama?

    Avrebbe voluto inchinarsi questa volta, come la prima, ma si rese conto che il ruolo che rivestiva gli concedeva gentilezza, ma non sottomissione non era accettabile.
    Era un leader, un capo, e niente doveva o poteva piegarlo.
     
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    TOSHIRO KOBAYASHI

    To a father growing old nothing is dearer than a daughter.




    «...Perché non riesci a capire, figlia mia...?»
      «Non andrò alla Pasticceria Usagi vestita da coniglietto, Otou-sama. Puoi dire quello che vuoi.»
    «Shizuka, è la Pasticceria “Usagi”...come pensavi di andarci vestita? Da orso?»


    Toshiro Kobayashi era seduto al centro di un enorme sala tradizionale: vestito di un kimono di puro broccato di seta color dell'oro e con le spalle coperte dall'Haori verde smeraldo che contraddistingueva il Capo della Dinastia dell'Airone, guardava fissamente di fronte a sé. Le grandi mani nerborute, dalla carnagione scottata dal sole dei lunghi viaggi che aveva intrapreso sin da giovane,.premevano le ginocchia composte, forti di una severità maestosa e rara.
    Alla sua sinistra, appoggiata ad un basso tavolino di legno massello lungo il doppio di qualsiasi altro considerato normale, Heiko Uchiha sfogliava placidamente un libro di poesie Haiku, sorseggiando tè verde da una tazza di porcellana grezza assieme ai suoceri e i genitori, anch'essi intenti a trascorrere un po' di pacifico tempo insieme, chi fumando la propria pipa di legno intarsiato d'argento, come Masamune Uchiha, chi ricamando da un cerchio di corno la decorazione di un nuovo scialle, come Mihoko Kobayashi.
    Da quando il mandato d'arresto era stato emanato per ogni membro della famiglia, i momenti in cui tutti stavano insieme era nettamente aumentato. Molte delle incombenze ufficiali di Toshiro erano ormai svolte da Mamoru Aoki, in sua veste, e la notizia principale che era stata diffusa in merito, con il benestare di Raizen Ikigami, era che il Clan fosse nel suo consueto periodo di ritiro, com'era da tradizione di centinaia di anni.
    ...Ovviamente non esistevano tradizioni di quel genere, o se vi erano non erano mai state rese note prima di quel momento, ma nessuno nel Paese del Fuoco, e neanche all'estero, si sarebbe azzardato a contestare la parola del Capoclan Kobayashi, tantomeno su una cosa innocua e priva di significato come un semplice e breve ritiro dalle scene che, al contrario, era stato preso con ardore da parte di altri clan commerciali, sicuri di avere un'ottima occasione per potersi affermare a loro volta.
    Quale che fossero i pensieri di chi guardava la scena dall'esterno, tuttavia, l'affiatamento dei Kobayashi era rinomato in ogni angolo del continente e nessuno aveva perciò mai dubitato della copertura creata, che l'Hokage aveva supportare come poteva, cercando di tutelare l'onore dell'Airone senza però compromettere la giustizia che sapeva dovesse mantenersi e farsi avvertire tra chi ancora osservava...
    «Shizuka, non so come concederti il titolo di Capoclan in queste condizioni. Sono sincero.» Riprese a dire Toshiro dopo una lunghissima pausa di meditazione in cui era rimasto per lo più a grattarsi con serietà ostentata la rada barba castana del mento squadrato.
    «Otou-sama, metti immediatamente via quel vestito. E' agghiacciante.» Rispose per tutto contro Shizuka, sorridendo flemmatica nel guardare con occhi vuoti un completino rosa a forma di coniglietto che giaceva esanime di fronte a lei.
    «...Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?» Replicò seriamente il padre, guardando con severità la Principessa. Inspirò a fondo...
    ...poi, improvvisamente, si gettò a terra coprendosi il viso con mani tremanti.
    «E' TUTTA LANA CENTO PERCENTO, COLORATA A MANO CON TINTURE BIOLOGICHE! L'HO CUCITO PERSONALMENTE IO! PER TE! NON RIESCI A CAPIRE QUANTO AMORE HO MESSO IN QUESTO COMPLETO?! TI HO PENSATA IN OGNI ISTANTE, FIGLIA MIA!!!» Strillò il Capoclan, facendo finta di scoppiare in singhiozzi. O almeno tutti sperarono che facesse solo finta.
    «Uccidilo.» Disse Heiko Uchiha, voltando stancamente pagina al suo libro. Sbadigliò, come se quella scena fosse già conosciuta. E in effetti lo era, quando si trattava dell'amore paterno che Toshiro nutriva per Shizuka, dopotutto, il passo per scadere nel ridicolo era sempre molto breve.
    «E' il disonore del Clan.» Convenne Mihoko Kobayashi, finendo di ricamare una splendida magnolia sulla seta a trama fine che teneva tra le lunghe mani dinoccolate.
    «Non ricordo di aver cresciuto un figlio simile.» Rincarò Teru Akarukawa, sorseggiando il suo tè dopo aver condiviso gli ultimi snack al wasabi con Chizuru Uchiha, che sorrise abbassando la testa in un educato inchino.
    «...ma tu non dovresti essere ad allenarti?» Borbottò di punto in bianco Masamune, lanciando uno sguardo bieco alla nipote dall'unico occhio buono che ancora gli rimaneva. «Sei sempre qui, ultimamente. Non avevi detto di voler diventare Jonin quanto prima? Credi che si diventi l'èlite del villaggio rimanendo a dormire e mangiare come fai tu?» Ringhiò, severo come solo un Uchiha poteva essere.
    «Raizen non mi ha fatta chiamare in questi giorni.» Rispose Shizuka, felice di cambiare argomento. Si voltò verso il nonno, lasciando suo padre a rotolarsi sul tatami come un pazzo, e a quel punto sorrise, annuendo. «Credo che presto andrò a chiedere se posso fare qualche missione un po' più... importante, diciamo.» Borbottò, imbarazzata. Aveva sempre immaginato il giorno in cui si sarebbe sentita abbastanza pronta da chiedere un passo ulteriore nei doveri di Villaggio e in un certo qual senso sapeva che quel momento era infine giunto. Aspirava al Jonin ormai da tempo, e il desiderio di poter finalmente arrivare al pari di Raizen, riuscendo così a ritagliarsi un posto come risorsa davvero importante, per supportarlo e aiutarlo a proteggere la Foglia, era talmente forte in lei da impedirle di rimanere ferma mentre parlava. «In effetti è qualche giorno che non lo vedo...» Aggiunse, pensosa. Non vedeva l'ora di incontrarlo e fargli sapere dei suoi progressi, dei suoi grandi progetti, ed era certa che almeno stavolta sarebbe riuscita a renderlo felice.
    Gli Dei ascoltarono le sue preghiere molto prima di quanto potesse immaginare.

    «La situazione sta per cambiare, Hime-sama: l'Hokage di Konohagakure no Sato è qui, desidera udienza con Toshiro Kobayashi.»



    La voce di Mamoru Aoki si impose nella sala prima che la porta della stessa si aprisse, rivelando sul suo uscio la figura del Kumori del Capoclan, vestito del suo solito Hakama nero come la notte. Al braccio teneva un tubolare di seta verde smeraldo, recante i caratteri di riconoscimento del sostituto Capo Dinastia. Al suo fianco c'era una cameriera trafelata, con gli occhi sgranati nell'ansia. La stessa che, in un istante, si materializzò negli occhi dei presenti.
    «Toshiro...» Esordì subito Heiko Uchiha, girandosi verso il marito con guardo smarrito. Sembrava improvvisamente essersi dimenticata del libro che stava sfogliando, di cui strinse le pagine tra le dita. A pochi passi di distanza da lei però, il Sovrano dell'Airone non denotò nessun genere di intemperanza. Mentre si rimetteva in eretta postura e ripiegava con cura l'abitino a forma di coniglio della figlia, difatti, non tradì la benché minima esitazione.
    «Non sta succedendo nulla, perché tutta questa agitazione?» Chiese a quel punto, guardando tutti i presenti nel far scorrere lo sguardo in quello di ciascuno di loro. «Da quando il glorioso Clan Kobayashi accoglie l'onore della visita dell'Hokage con tanta disperazione?» Domandò ancora, poi sorrise con gentilezza. «Sarò di ritorno da voi prima che la vostra mente possa perdersi in futili preoccupazioni.» Aggiunse, alzandosi e avviandosi verso la porta dove Mamoru era in attesa di scortarlo.
    «Verrò anche io.» Disse prontamente Shizuka, balzando in piedi dietro il padre. I suoi occhi, adesso, tuonavano come dardi nella notte.
    «Dopo la scenata che hai fatto l'ultima volta, proprio con l'Hokage e proprio in questa Magione?!» Chiese stupito Toshiro, e si mise a ridere di gusto, scuotendo la testa. «Oh, Shizuka, sei ancora così giovane e inesperta... per te la vita è tutta una corsa. Non ti fermi mai, continuando a crescere e crescere. Vedi tutto ad una velocità accelerata, che io ho però dimenticato da tempo: ai miei occhi, infatti, sei ancora una bambina.» Disse il Capoclan, pinzando tra indice e pollice il naso della figlia, a cui poi sorrise. «E i bambini aspettano pazientemente il papà, finché lui non torna...» Non aggiunse altro prima di uscire. E nessuno lo seguì.

    […]



    “Toshiro, come la volta precedente, non ti porto buone notizie.
    Quantomeno non del tutto.”



    «Raizen Ikigami, voi non mi portate buone notizie dalla volta in cui mi avete detto che non mi avreste mai regalato il buon saké che mi avevate invece promesso! Della bevuta che dovevamo fare insieme, non ho più saputo niente!» Tuonò in risposta Toshiro Kobayashi, guardando con occhi severi l'Hokage. Benché questo detenesse il più importante titolo Shinobi del Fuoco, non poteva avere più di venticinque o ventisei anni... e lui, che ne aveva quarantacinque, era certamente abbastanza più vecchio da permettersi di sgridare quello che gli poteva apparire come un ragazzino. O almeno poteva cercare di provarci: si ammorbidì troppo presto in un sorriso per far credere al suo interlocutore che fosse serio.
    Sedendosi compostamente di fronte all'Hokage, il Sovrano d'Airone fece allontanare tramite Mamoru chiunque si trovasse nell'Ala che ospitava la piccola stanza in cui si trovava con il Colosso. Non si preoccupò di chiedere lui se desiderasse qualcosa per ristorarsi: sapeva che il tempo che avevano a disposizione era probabilmente poco, e visto il tono d'inizio del suo interlocutore doveva supporre che fosse stato meglio renderlo privo di ogni futilità. Raizen era una conoscenza troppo vecchia, nel suo Clan, per dare ancora la possibilità a qualcuno di credere che apprezzasse l'etichetta più di una sincera praticità e una schietta franchezza.
    Per quella ragione, fu proprio ciò che Toshiro Kobayashi non si risparmiò quando fu invitato a rispondere.

    «Mi state chiedendo di dare in sposa mia figlia ad un mafioso?»



    C'erano già stati momenti, in passato, in cui Raizen aveva dovuto fronteggiare l'uomo che si sapeva detenesse la stragrande maggioranza di economia sonante del continente, ma fino ad allora non era ancora arrivato il giorno in cui aveva dovuto sostenere il peso del suo cospetto.
    Alto e dal torace ampio, tipico di chi è cresciuto viaggiando e sottoponendosi a stimoli fisici sempre diversi, Toshiro Kobayashi era un uomo temprato dalla sfida propria di chi rende la vita un'eterna scommessa, di chi gioca con equilibri sin troppo grandi per avere un nome. Con mani ampie, il viso scolpito e una postura dritta, educata in anni di disciplina e rigore tra le migliori mai conosciute, il Capoclan dell'Airone era per la verità –e forse sarebbe stata la prima volta in cui Raizen avrebbe potuto notarlo– un uomo dalla presenza soverchiante. Lo sguardo, di un profondo verde smeraldo, così simile a quello di Shizuka per la risolutezza e fierezza che lo faceva brillare, non si discostò neanche per un istante dall'Hokage.
    Ci volle qualche istante prima che la sua voce si muovesse di nuovo nella sala.
    «Raizen Ikigami, io posso fare molte cose.» Esordì così Toshiro Kobayashi, incorruttibile come una statua di marmo. La sua voce era quella baritona che l'aveva reso famoso, ben lontana dal tono gioviale con cui era solito rivolgersi al Randagio. «...ma costringere mia figlia ad un matrimonio combinato con un criminale, non è tra queste.» Aggiunse, fermo. Poi, però, sorrise ironico. «Tuttavia ho idea che non sia questo il caso...dico bene? Non siete venuto qui per chiedere semplicemente il mio benestare a questa situazione.» Fece presente con molta semplicità, passandosi le mani sul kimono delle ginocchia con lentezza snervante. «In voi vedo del rispetto per me e il mio Clan, Raizen Ikigami, ed è in nome di questo e della fedeltà incondizionata che l'Airone ha sempre offerto al Fuoco che non ho mai contestato le vostre scelte...» Alzò lo sguardo e lo inchiodò in quello cremisi del Colosso. Adesso le praterie delle sue iridi si erano fatte di ghiaccio. Era divenuto inverno, e nessuno lo aveva potuto prevedere. «...ma non trascinerete Shizuka nelle profondità del vostro oblio. Qualunque esso sia.»
    A quel punto tacque. Rimase silente per abbastanza tempo da poter forse suggerire di non aver altro da dire, ma durante quel tempo non smise un solo istante di ticchettare l'indice della mano destra sul dorso nerboruto della sinistra. I tendini erano tesi sotto la carnagione scura.
    Inspirando profondamente qualche volta, quasi a cercare la calma che per un attimo sembrava essersi tradito nel perdere, il Capoclan riprese a parlare solo quando il suo tono di voce fu tornato fermo, e il suo sguardo ebbe riacquistato l'imperturbabilità di un lago immacolato.
    «Shizuka è la cosa più importante che ho.» Ricominciò a parlare piano, e così dicendo si concesse un sorriso. Vi era amore in quell'espressione. Un amore fuori ogni limite e conoscenza. «Mi rendo conto che parlare così può sembrare sciocco per un uomo fortunato come lo sono io: ho il successo, il denaro, una moglie che amo sopra ogni altra cosa, una famiglia numerosa e solida, la benedizione di un Villaggio che rispetto e quella di amici preziosi. Ho tutto ciò che un uomo può desiderare da una sola vita.» Disse Toshiro Kobayashi, chiudendo gli occhi. «...Shizuka, però... lei è...» Parve esitare, come se cercasse le parole giuste, ma alla fine sembrò arrendersi e si mise allora sommessamente a ridere, scuotendo la testa. «E' mia figlia, cosa posso dire di più? Un giorno, Raizen Ikigami, anche voi capirete le mie parole. Quando gli Dei vi benediranno con la nascita di un figlio, capirete ciò che sto dicendovi ora.» Si giustificò l'uomo, riportando gli occhi in quelli del Colosso. «L'amore che provo per Shizuka è totale. E' il mio orgoglio più grande. Ogni volta che la guardo vedo in lei la cosa più bella che sono riuscito a creare da quando sono nato.» Cercò di spiegare. Poi parve farsi pensoso, e quando riprese a parlare aveva cambiato espressione: sembrava ricordare qualcosa accaduto molto, molto tempo prima... «Quando Kuroro tradì, la mia famiglia ne fu distrutta. La precedente amministrazione ci condannò, e non lo fece con il pudore e il riserbo che voi avete adottato, né tantomeno tentando i perseguire la giustizia che voi sperate di ottenere con ogni vostro gesto. L'opinione comune, semplicemente, ci distrusse.» Si mise a braccia conserte, lentamente, e poi annuì piano. Ben presto sul suo volto nacque un breve sorriso. «Al tempo Shizuka si fece carico di tutto: per proteggere tutti noi, per darci ancora un motivo di sperare, cercò di seguire il fratello per riportarlo indietro. Lo fece senza dire niente a nessuno, spaventata di poterci dare ulteriori preoccupazioni. Non ha mai dimostrato nessun cedimento. Anche quando la facemmo imprigionare nel Paese della Terra per proteggerla da Konoha stessa, da ciò che serbava in lei e da un'incognita che non conoscevamo, e lei -testarda e determinata fino all'ultima sua fibra- riuscì a tornare da sola, non ci fece mai colpe. Per noi si è sempre fatta carico di tutto, ha sempre accettato in silenzio. Convinta che l'ignoranza ci avrebbe protetti, non ha neanche mai raccontato niente di ciò che è, di ciò che fa, di ciò per cui è richiesta come Shinobi...» Fece una pausa, poi scosse la testa. «...farebbe così anche stavolta. Per Konoha. Per noi.» Disse a quel punto, e per l'ennesima volta guidò il suo sguardo in quello di Raizen. «Per voi, lei è pronta a morire.» Sentenziò e non ci fu leggerezza in quella frase, che cadde pesante come un macigno sulla coscienza del Randagio. «Se voi le ordinaste di proteggere Konoha da sola, contro un'orda di demoni impazziti, lei lotterebbe perdendo un pezzo dopo l'altro del suo corpo, e quando anche l'ultimo braccio le venisse a mancare continuerebbe a mordere e gridare quanto più forte possibile. Questo è ciò che Shizuka è...ma non devo essere io a dirvelo, non è vero?» Chiese con gentilezza. Voleva sorridere, ma si rese conto di non riuscirvi. «Ogni volta che esce di casa la mattina temo che possa essere l'ultima in cui la vedo. Sua madre, una Jonin consapevole del mondo in cui tutti i ninja si muovono, cerca disperatamente di sposarla per tenerla così a casa... è il suo modo per cercare di proteggerla, si potrebbe dire. Io, del resto, ho sempre creduto che per quanto nobili e famosi tutti noi siamo, una vita trascorsa prigionieri delle proprie paure e della propria casa, non sia una vita ben spesa. Le ho sempre lasciato fare ciò che ha voluto, vegliando da lontano mentre lei credeva di fare il contrario. E nel farlo, ho sempre sperato che voi faceste altrettanto. Ecco perché sono sempre stato felice di sapervi accanto a lei.» Era più sincero di quanto era mai stato, e forse di quanto sarebbe stato mai. La profondità delle tue parole erano un riverbero della risolutezza dei suoi occhi. «Voi siete venuto qui per chiedermi di darvi il permesso di utilizzare Shizuka, come arma e come Shinobi, non per avere il mio benestare a questa circostanza. Nessun uomo che si può definire tale chiederebbe ad un padre di gettare la propria figlia nelle fauci di una possibile morte.» Osservò il Capoclan, sciogliendo l'intreccio delle braccia che posò con stanchezza sulle gambe tese. Le sue mani si strinsero a pugno. «Raizen Ikigami, non posso darvi ciò che volete. Ma posso lasciare la libertà a Shizuka di scegliere cosa fare, e lei accetterà per me e per sé. Per tutti noi.» Disse. La sua voce tremò. «Lasciate allora che io vi chieda un'altra cosa...» Mormorò, chiudendo gli occhi. «...voi la proteggerete? Qualsiasi sia il vostro piano, stavolta, la supporterete senza lasciarla sola?» Lasciò che un minuto di silenzio si impadronisse della sala prima di riprendere a parlare. «Quello che sto chiedendo è se Raizen Ikigami potrà proteggere mia figlia, giacché lei accetterà di combattere per lui, e io, che sono nient'altro che un povero civile, incapace delle basi più elementari dell'arte ninja che voi praticate, non posso far altro che vivere nella disperazione, accettando questa verità come si può accettare il giorno della propria morte. E dunque, qui e ora, vi chiedo di riportarmela indietro.» E a quel punto, in modo del tutto inaspettato, si inchinò profondamente. La sua testa si abbassò talmente tanto da toccare il tatami sul quale i due uomini sedevano, mentre le mani si aprivano, premendosi al suolo sino a sbiancare. «Io vi affido mia figlia, vi concedo il suo futuro e la sua vita... voi potete affermare di riuscire a riportarla da me, viva e sana?»

    E cadde il silenzio.


    Edited by Arashi Hime - 29/10/2015, 12:50
     
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    La proposta








    L’Hokage respirava con misurata tranquillità mentre Toshiro parlava, ed ebbe la cura di non controbattere fino a quando lui non ebbe finito.

    No, Toshiro, non la sto dando in sposa ad un mafioso, bensì ad uno degli uomini più onesti che la foglia abbia mai conosciuto.
    Anche se è vero che tutta la sua famiglia è mafiosa, questo è innegabile.
    Ciò che sto facendo è trasformare Shizuka in un pungolo di pura luce da inserire nell’unico foro che il destino mi ha concesso di trovare.
    Ma…


    Si interruppe qualche istante.

    …è ovvio che non posso in alcun modo costringere Shizuka.
    Tuttavia sono consapevole della fedeltà che nutre verso di me e verso il villaggio, e sono convinto che lei ne sia al corrente.
    Ed è proprio per il rispetto che le porto, come padre in questo caso, che le chiedo se lei è d’accordo, chiedere direttamente a Shizuka significherebbe ricevere una risposta positiva che la scavalcherebbe in qualche modo.


    Sorrise ripensando alla richiesta di Toshiro di protezione.

    Toshiro, sarà mio primario interesse non far scorrere nemmeno una goccia di sangue dell’airone, sia esso di Shizuka, vostro o di qualsiasi vostro familiare.
    Siete aiutanti della Foglia, del Fuoco, probabilmente di tutte le terre ninja, ma soprattutto miei, non posso permettere che vi accada qualcosa.


    Chinò lievemente il capo.

    Niente gli arrecherà danno.

    Promise solennemente.

    Quando riterrete opportuno farla entrare, da questo momento in avanti, ogni istante è buono per me.

    Quando Toshiro avesse fatto entrare Shizuka, Raizen l’avrebbe accolta con un sorriso estraendo una foto da un taschino interno del soprabito. La foto di Masaki.

    Ricordi i Kurogane?

    Iniziava a sembrargli stupido porre quella domanda.

    Lui è il loro figlio maggiore, l’erede.
    Il tuo compito è fingere di amarlo.
    Sai capace di mantenere la copertura?


    Sintetico, breve, teso. Eppur fiducioso.
     
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    THE HERON PRINCESS

    A princess is destined to be a queen.
    Think like a queen. A queen is not afraid to fail.
    Failure is another steppingstone to greatness.




    Toshiro Kobayashi era un uomo che aveva vissuto una vita al limite di ogni aspettativa.
    Nato come giovane Signore di uno dei Clan più potenti del continente, era stato educato alla corte del Daimyo della Magnolia e del Dragone, aveva seduto ai più importanti banchetti conosciuti, goduto delle danze delle Principesse più bramate e riso delle osservazioni degli uomini di potere più influenti, oscillando sempre sulla delicata bilancia dell'enormità senza mai perdere l'equilibrio... eppure, mai come in quel momento, aveva sentito la ricchezza e l'influenza che lo rivestivano gravare su di lui come un macigno.
    Improvvisamente il pregiato Haori verde smeraldo che contraddistingueva da centinaia di anni il Capoclan dell'Airone arse le sue spalle tese, costringendolo ad abbassare la testa e a chiudere gli occhi in un'espressione sofferta.
    Non avrebbe voluto denotare quel genere di debolezza di fronte a Raizen Ikigami, come Signore per l'onore che sapeva di dover dimostrare a nome della sua Dinastia, e come uomo per rispettare la decisione di chi sapeva di poter credere come era solito credere a se stesso... eppure...

    […] Erano passati quasi cinque anni da quando, in una mattina di primavera acerba, Shizuka si era alzata contro il volere di tutta la famiglia e aveva deciso di diventare Shinobi.
    Al tempo, sciocca bambina vanitosa, aveva iniziato per poter dimostrare che non era inferiore a suo fratello, per far vedere quanto fosse brava anche in quel campo... ben presto, però, il più grande incubo di ogni Kobayashi si era rivelato concreto e vibrante, esplodendo nel vero potenziale che solo chi possiede sangue Uchiha può ruggire a gran voce. E da quel momento lei aveva preso ad allontanarsi sempre di più, rendendo solidi i passi iniziali malfermi, alzando lo sguardo con ardore da dove un tempo era piegato...
    ...e lui, fermo in quel posto riservato a chi non ha le capacità né il modo per alzarsi e cominciare a camminare in quella parte di realtà riservata a pochi, non aveva potuto far altro che guardare le sue spalle andare via, farsi più forti, più potenti. Ma più distanti.
    Da lui. Da tutti.

    Avrebbe mentito se avesse detto che aveva auspicato quel futuro, per lei.

    Quando era nata, piccolo fagottino dai grandi occhioni verdi e il viso tondo e paffuto, arrossato da quei piagnistei lamentosi che l'avrebbero contraddistinta per molto tempo oltre l'infanzia, in quell'eccezionale capacità di imporsi sempre e comunque, Toshiro aveva pensato che fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Più bella persino di sua moglie (ma questo si era trattenuto dal dirlo, la maternità aveva reso Heiko più irritabile del solito e mai come nei mesi che avevano preceduto la nascita della loro piccola aveva rischiato di rimetterci la pelle).
    Aveva sognato per lei grandi cose, incredibili avventure e stupendi incontri, che non si era mai stancato di raccontarle, tenendola in braccio mentre passeggiava per i giardini della Magione.
    Sarebbe diventata la più famosa e amata Principessa del Paese del Fuoco. Sarebbe stata cresciuta presso la corte reale del Daimyo, come ogni erede Kobayashi prima di lei, viaggiato a dorso dei più bei cavalli mai veduti, indossando i più splendidi vestiti che la mente umana avrebbe mai pensato potessero esistere. La sua risata sarebbe stata il motivo per cui il sole sarebbe sorto la mattina, e le sue lacrime avrebbero anticipato un cielo in tempesta con coltri di nubi cariche della disperazione che lei provava.
    Oh, Shizuka...la sua piccola Shizuka...
    “Splendido e ammaliante fiore” significava il suo nome. Aveva scelto gli ideogrammi personalmente, ridendo con Heiko della possibilità che l'Erede dell'Airone non avrebbe mai potuto essere solamente “silenziosa”. No, non lei.
    Lei sarebbe stata Tempesta e Fuoco ardente. Pioggia durante la siccità. Sole attraverso il monsone. Ecco cosa sarebbe stata, la sua bambina. La sua preziosa, piccola Principessa.
    Prima che venisse al mondo aveva ricamato il suo nome su tutte le sue copertine di pura seta rosa e panna, perché il guardarlo gli procurava gioia, e ogni giorno da quello della nascita di lei aveva aperto gli occhi chiamandola, assaporando il suono che quella sola parola rimandava alle sue orecchie e come un profumo delizioso lo induceva a sorridere, alzandosi con una sempre rinnovata felicità.
    Ogni giorno era sempre un miracolo, una benedizione, perché Shizuka era viva ed era con lui.

    Shizuka, la sua bambina, il suo amore più grande...
    ...la sua unica, amata e desiderata figlia.

    Non c'erano parole adatte per spiegare la tonalità del suo amore per lei. Era un punto di colore troppo oltre quello del più bello degli arcobaleni, troppo alto per essere veduto da occhio umano, e forse –così aveva pensato più volte– solo gli Dei avrebbero potuto goderne.
    Non esistevano limiti all'amore che un padre poteva nutrire per la propria bambina, così si diceva, ma lui, stupido come aveva infine capito di essere sempre stato, lo aveva davvero compreso solo quando i suoi occhi si erano legati per la prima volta a quelli di lei.
    E lei, socchiudendo stancamente i suoi, quella volta aveva sorriso beata, muovendo la boccuccia con tenerezza infantile. Le manine protese in avanti, si erano aperte e chiuse nel tentativo di acchiappare chissà cosa. Qualcosa di splendido, che solo lei vedeva.
    ...Cosa voleva dirgli? Cosa stava cercando di comunicare?

    Oh splendore, mia preziosa figlia, sarò io a parlare per te quando ti mancheranno le parole.
    Io ti supporterò, camminerò al tuo fianco e poi dietro le tue spalle.
    Renderò forte il tuo passo. Salda la tua voce. Fiero il tuo sguardo.
    Ti osserverò e seguirò fino a quando non sarai in grado di camminare da sola, fino a quando non troverai un uomo che possa stare accanto a te come, a quel punto, io non potrò più fare...

    La mia piccola, piccolissima, Principessa.

    «Sono capace di proteggere il mio Clan, Raizen Ikigami.»
    Le parole di Toshiro Kobayashi ritornarono a farsi sentire lentamente. Il volto del Capoclan, adesso, perso in un ricordo lontano, troppo perché l'Hokage potesse indovinarlo, esitavano su qualcosa tra le sue braccia, con tenerezza. Quando però il volto si alzò, quell'espressione di dolce nostalgia stava già svanendo. Al suo posto, era di nuovo tornato il Sovrano dell'Airone.
    «In tutti questi anni l'unica cosa che ha calmato i miei dubbi, le domande senza risposta e la paura sorda e scura, seduta in quella parte dell'animo che un uomo non vorrebbe mai scoprire di possedere, era il sapervi accanto a lei.» Disse con voce ferma. I suoi occhi si incatenarono a quelli della Volpe e lì rimasero, solidi. «Vi chiamavano “il Randagio”, al tempo, e si vociferava che foste il più terribile tra gli Shinobi di Konoha. Ma anche uno dei più potenti.» Ricordò il Signore. Quelle parole sembrarono stuzzicare in lui un sorrisetto conteso tra ironia e malizia. «Ai miei occhi, però, non siete mai stato nient'altro che una persona abbastanza affezionata a mia figlia da sfidare il mio Clan e quello di mia moglie, pur di avere ragione di salvarla da un futuro che non sarebbe forse stato così luminoso, senza di voi.» Socchiuse l'occhio sinistro, increspando la bocca in una smorfia divertita. Non aveva mai scordato i debiti verso Raizen, e in quel momento lo rese evidente. «Siete stato testardamente presente in tutti questi anni, e benché possa avervi avuto inizialmente in antipatia, giacché nessun padre può desiderare che la sua preziosa erede si accompagni ad un uomo senza lumi né trascorsi, ho ben presto capito che se Shizuka può nutrire adesso la possibilità di diventare la “luce” di Konoha, è anche grazie a ciò che voi avete fatto per lei.» Si rassegnò a quelle parole, come se averle dette fosse estremamente complicato ma, dopotutto, dovuto. A quel punto, piegandosi leggermente in avanti, batté con delicatezza, e per tre volte, le punte delle dita sul pavimento di legno. «Qualunque cosa voi abbiate fatto, continuate a farlo. Proteggete Shizuka e non curatevi del resto. Sono ancora abbastanza potente da poter assicurare l'incolumità del mio sangue.»
    Erano intercorsi appena una manciata di secondi dal momento in cui Toshiro aveva battuto la mano a terra, quando improvvisamente da dietro la porta scorrevole di riso risuonò una voce: quella di Mamoru Aoki.
    Benché il Signore della Magione non avrebbe capito, per l'ennesima volta in così tanti anni, come il suo attende avesse potuto arrivare in modo così celere, stavolta Raizen, affinando i sensi, se ne sarebbe potuto rendere conto. E lentamente, di fronte a lui, le capacità degli Aoki avrebbero cominciato a prendere una forma.
    «Mio Signore.» Disse il Kumori del Capoclan, con voce rispettosamente bassa. «Come posso servirvi?»
    «Fa chiamare Shizuka.»
    Rispose Toshiro Kobayashi, senza distogliere lo sguardo da quello di Raizen. «Pare che debba presenziare anche lei.»
    «Kashikomarimashita.»
    E poi, cadde nuovamente il silenzio.

    [...]



    Shizuka indossava un paio di pantaloni neri e un'ampia maglia color dei girasoli, quando entrò. I capelli sciolti e l'assenza di trucco, come del resto il libro che teneva sotto braccio e gli occhiali da lettura stretti tra le dita, segnalavano come fino ad un momento prima fosse rimasta placidamente a riposare. Se era tesa, non lo diede a vedere.
    «Oh!» Esclamò improvvisamente la Principessa, quando i suoi occhi caddero su Raizen. Parve farsi stupita. «Hai i capelli tutti neri, adesso.» Osservò incuriosita. «Finalmente ti sei fatto la tinta! Quella ricrescita non si poteva vedere, lo giuro.» Borbottò, chiudendo la porta di riso dietro di sé. «Stai bene, adesso sei davvero bello.» Concluse infine con semplicità... prima che qualcosa la colpisse dietro le ginocchia e quasi la facesse cadere carponi sul tatami.
    «Ti sei messa a fare apprezzamenti anche sull'Hokage, ora?» Abbaiò Toshiro Kobayashi, alzando con aria minacciosa il taglio della mano destra con cui aveva colpito la figlia. Sorrise, brillante, facendosi poi offeso e cupo nel girarsi a fissare male Raizen che sembrava sul punto di colpire con lo stesso temibilissimo attacco. Sul viso, però.
    Per tutta risposta Shizuka, inginocchiandosi a terra con eleganza, afferrò la punta delle mani del padre e le piegò di scatto all'indietro, sorridendo. Il Capoclan gemette, portandosi la mano libera al viso, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di dolore.
    «...Ho già detto che stai diventando terribilmente simile a tua mad–...» L'ulteriore piegatura delle sue povere dita in frantumi lo fece desistere dal terminare la frase.
    «Dunque, qual è il problema stavolta?» Chiese senza scomporsi la Chunin. Lasciò la presa, concentrandosi sulla Volpe, la quale le spiegò rapidamente tutta la faccenda, offrendole poi una foto che lei prese tra indice e pollice della sinistra con un vago sospetto.
    L'uomo che vi era raffigurato era un ragazzo che non poteva avere più di ventitré o ventiquattro anni: i corti capelli color dell'argento cinereo sembravano destinati a non avere mai una piega corretta e gli affilati occhi castani, venati di riverberi cremisi, conferivano lui l'aspetto di un fiore di marmo delle lande dell'estremo nord. Forte, ma delicato. Intrigante, ma splendidamente sereno.
    «Non male... è affascinante... diciamo, bello, ecco...» Commentò Shizuka, incerta. Non sapeva precisamente cosa dire. Senza dubbio era un bell'uomo, ma sperò bene che Raizen non fosse venuto lì per presentarglielo. Fissando però il Jonin in faccia per qualche istante non ne fu più molto convinta.

    “Ricordi i Kurogane?”



    La sua famiglia era agli arresti domiciliari da due settimane per colpa dei Kurogane, e lui le chiedeva se ricordava chi fossero...?
    A quanto pareva i capelli neri lo avevano reso bello. Ma stupido.

    “Lui è il loro figlio maggiore, l’erede.
    Il tuo compito è fingere di amarlo.
    Sai capace di mantenere la copertura?”



    Stupore. Ecco cosa si materializzò sul suo viso. Semplice e forte stupore.
    Al suo fianco, nell'osservare quell'espressione, Toshiro abbassava lentamente la testa e raccoglieva pazientemente le mani in grembo. La sua bocca non parlava, ma il suo viso lo faceva per lui, e in modo più eloquente di quanto avrebbe voluto.
    «Posso fingere molte cose.» Mormorò la Principessa, esitando. «Ma non sono sicura di...»

    Amore.
    Non era mai stata innamorata, e nessuno le aveva mai insegnato a simularlo. Non ne aveva mai avuto bisogno, del resto.
    Come infiltrata era stata addestrata a cambiare ogni veste e ogni personalità, come accompagnatrice a cantare, danzare e sedurre... ma simulare l'amore per un uomo, precisamente, come si faceva?
    Alzò per qualche istante gli occhi al soffitto, pensierosa. Non aveva mai amato nessun uomo nel modo in cui le veniva chiesto di fare in quel momento, e ciò che poteva avvicinarsi di più a quel sentimento era il legame che la stringeva a Raizen stesso e, dopotutto, anche ad Atasuke.
    Era però abbastanza sicura che quello non fosse amore, cioè, non di quel tipo –o almeno sperò mentre si grattava la testa in modo perplesso–, del resto quando l'Uchiha si era dichiarato, qualche mese prima, lei si era limitata a rimanerne stupita. Stupita e basta. Anche un pò indisposta, per la verità, giacché non le risultava fosse prassi comune fare scenate in casa altrui. Insomma, quale che fosse stato il caso, c'era comunque una bella differenza rispetto a quello che le aveva confessato Momoko Yamanaka, una delle sue migliori amiche, che di fronte alla dichiarazione del suo attuale fidanzato, un simpatico Chunin con la passione per le bombe ad orologeria, era esplosa (evitò di ridere per quella scelta di parole) di felicità, poi di paura, poi di nuovo di gioia, e infine si era strutta in un pianto senza fine, accettando a gran voce quell'amore corrisposto... o qualcosa del genere. Non aveva ben capito la dinamica, ad essere onesta.
    Sospirò, guardando in silenzio la foto che teneva tra le dita: l'Erede dei Kurogane, eh...?
    Immaginò di doverlo odiare visto ciò che la sua famiglia aveva fatto, ma per quanto si sforzasse di fissare quel volto non vedeva in esso niente che potesse stimolarla a riuscirci. L'espressione di lui, accigliata e testarda, sembrava quella di un ragazzino dalla testa dura come la roccia, ma dopotutto abbastanza sensibile da cercare di accennare ad un sorriso per l'occasione. Un sorriso che le sembrò quasi timido.
    Chiuse gli occhi, raccogliendosi in sé stessa e cercando di pensare: doveva raccogliere informazioni, osservare le coppie disseminate per Konoha, simulare le espressioni del volto, la gestualità del corpo -anche quella involontaria-, il timbro di voce, le situazioni più ricorrenti... niente di diverso da quanto aveva fatto fino a quel momento per altre coperture, insomma.
    «Mi servirà del tempo.» Disse infine la ragazza, riaprendo lentamente gli occhi e portandoli in quelli di Raizen. «Conosco l'amore, non quello per un uomo, ma penso che quello che provo per te e per gli altri, per Konoha e la mia famiglia, sia vicino al concetto: il desiderio di proteggere, di camminare al fianco, di stare sempre insieme. Eccetera, eccetera, eccetera.» Tagliò corto, rovinando così l'effetto della frase toccante per poi grattarsi la punta del naso. Suo padre, al suo fianco, non poté fare a meno di accennare ad un sorriso che sembrava quasi divertito. «Posso farlo, Raizen.» Sentenziò alla fine la Principessa. E quel sorriso di poco prima, svanì. «Spiegami bene cosa avevi in mente, ma sappi che dovrò provare ad incontrare questa persona. Devo poterla studiare. Siamo entrambi della Foglia, perciò non avrò difficoltà a tessere alcuni “incontri casuali”.» Fece presente. «Dammi almeno...» Guardò fuori dalla finestra socchiusa della piccola stanza, e rifletté per un istante. «Due mesi. Posso organizzare, gestire le voci e le informazioni ed essere pronta a qualsiasi infiltrazione di questo calibro entro l'autunno.» Constatò, facendo un rapido calcolo di tutte le costanti. Sorrise, reclinando leggermente la testa di lato: le sue stime difficilmente sbagliavano, e Raizen questo lo sapeva. «Ovviamente, però, con le dovute accortezze per me e la mia famiglia.» Riprese a parlare la Principessa, e a quelle parole Toshiro Kobayashi alzò la testa di scatto, girandosi a guardarla. Fece per intervenire, ma lei alzò una mano e incredibilmente riuscì a mettere a tacere il padre. «Voglio l'Airone il più possibile fuori da questa faccenda. E voglio poter cancellare la memoria di mio padre, perché se questi Kurogane, di cui ignoro le capacità ma che dubito essere cuccioli di primo pelo, indaghino la sua mente, non vi trovino dentro alcun riscontro. In questo modo non correrà alcun pericolo anche nel caso io dovessi fallire. Ovviamente traccerò la mente di tutti gli altri della Magione, per constatare allo stesso modo se qualcosa è per puro errore filtrato fuori da questa stanza. Ne dubito, ma sai quanto io sia pignola in questi casi.» Disse, sporgendosi a quel punto in avanti e posando una mano fra lei e Raizen. «Trattiamo, grande Hokage: avrai da me tutto ciò che desideri, la mia mente e il mio corpo –vivo o morto che sia–, la mia devozione e le mie poche abilità, ma la mia famiglia deve uscirne pulita. E su questo non intendo cedere.»

    Toshiro Kobayashi avrebbe mentito se avesse detto che aveva auspicato il futuro della Shinobi, per sua figlia.
    Ma in quel momento, per un istante, la vide con occhi nuovi. E la constatazione non poté che fargli aprire la bocca, con stupore.
    E immenso orgoglio.
     
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    Alle parole di Toshiro Raizen inclinò la testa in un assenso cortese.

    Certo che sapete proteggerla Toshiro, ma la situazione a cui andiamo incontro lascia parecchie incognite anche a me, e la mia esperienza in questo campo non è nemmeno avvicinabile alla sua, come la mia non lo è a quella dei tessuti e delle sete.
    Probabilmente a Mamoru stesso sarebbe utile un confronto con me.
    Per cui, lasciatemi al corrente delle decisioni a riguardo della sicurezza, vorrei poterle modificare in caso di necessità.


    Era un tono sereno, ma solido.
    Quando Shizuka entrò Raizen accolse il complimento con un sorriso sincero.

    Grazie, alcuni mi dicono che stavo meglio prima, devo ancora farci il callo, è un cambiamento parecchio grosso ed onestamente non mi ci vedo benissimo.
    Ma se non altro risaltano gli occhi.


    Fece un’alzata di spalle.
    Quando Shizuka si sedette gli illustrò l’intera situazione e ciò che aveva da fare con minuziosità.

    Bof, affascinante ora, il solito biondino succhiapal…
    Cof!


    Si corresse all’ultimo ricordandosi che quello non era decisamente il luogo più adatto per slegare la sua lingua.

    Insomma, è lui l’erede, si.

    Proseguì rimettendosi in ordine come se nulla fosse.

    Riguardo l’amore, ben saprai che in queste occasioni non è essenziale, ma tieni a bada che quello che provi per me, Shizuka, è lontano dall’essere amore.
    Se vorrai fingerlo sii consapevole di questo.


    Inspirò a lungo, forse con una sottile malinconia in quel gesto solitamente del tutto impersonale.
    Arretrò il capo quando Shizuka gli chiese di trattare.

    Ma che sei cretina?

    Domandò basito.

    Non c’è nulla da trattare, e nemmeno da richiedere!
    Vivrai, la missione andrà bene e la tua famiglia ne uscirà ancor più splendente di prima, per cui annodati la lingua, simili richieste in altri ambienti te l’avrebbero fatta riportare a casa dentro un sacchetto!


    Scosse la testa mentre veniva scosso da una cristallina risata.

    No, direi non occorre questa roba, no.
    Ma direi che si deve passare al passo successivo.


    Che comportava la cancellazione della memoria di Toshiro.

    Mi fa piacere che abbiate questa cieca fiducia in me, Toshiro-sama, Shizuka è in mani sicure.
    Vedrete sarà una grande festa.
    I Kurogane sono potenti, e Masaki un uomo degno di stima da che mi risulti, Shizuka non poteva fare miglior scelta.
    Ci occuperemo io e Mamoru dei dettagli più scomodi dell’evento.


    Li avrebbe lasciato che Shizuka parlasse e poi agisse, mettendo un punto a quel preambolo e la prima lettera di quella pericolosa missione.
     
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    "Grazie, alcuni mi dicono che stavo meglio prima, devo ancora farci il callo, è un cambiamento parecchio grosso ed onestamente non mi ci vedo benissimo.
    Ma se non altro risaltano gli occhi.

    Ma se non altro risaltano gli occhi.

    Ma se non altro risaltano gli occhi...."




    «...Esaltano cosa


    Quando Toshiro Kobayashi aveva detto che Shizuka era identica a sua moglie, non aveva sbagliato e se ne accorse come non mai in quel preciso istante.
    Quando infatti l'Hokage rispose al complimento fattogli, fu evidente che si tradì in una frase che non avrebbe probabilmente dovuto dire e Shizuka, sollevando dapprima le sopracciglia in un apparente stupore e poi affilando gli occhi in un'espressione goduta, non sembrò essere capace di esimersi dal mettersi a braccia conserte e ghignare con sarcasmo. Reclinando leggermente la testa indietro e squadrando Raizen dalla testa ai piedi, la Principessa si mise difatti a ridere, e commentò impietosa su quella frase che “avrebbe certamente ricordato in futuro”...
    ...ed era così dannatamente simile alla Heiko del passato, ventiduenne dalla lingua tagliente e lo sguardo infiammante di chi è capace di togliere l'irritazione da sotto le mani del più paziente degli uomini del creato, che Toshiro, aggrottando la fronte, non poté che girarsi a guardare il Jonin in silenzio per un lungo istante.
    Poverino –pensò il Capoclan, lanciando uno sguardo impietosito al suo apprezzato interlocutore, verso il quale sollevò il pollice della destra in un apparente segno di comprensione–, lui non sembrava saperlo, ma quel carattere non sarebbe mai migliorato. Non importava quando ci avrebbe lavorato, proprio come lui non era mai stato in grado di domare Heiko, difficilmente qualsiasi altro uomo sarebbe stato capace di domare Shizuka. E dunque, neppure Raizen.
    Portandosi una mano alla fronte il Signore dell'Airone esitò: erano così dannatamente identiche... persino il modo di sorridere con scherno era il medesimo... com'era possibile che gli Dei lo avessero punito a quel modo?
    Alzando il taglio della mano con fare minaccioso, Toshiro colpì la figlia dietro le ginocchia con un gesto fulmineo. Si accorse dell'errore che aveva fatto solo quando Shizuka gli infiocchettò le dita.
    […] Beh, era stato fortunato, se non altro non gliele aveva rotte.
    Heiko non si sarebbe trattenuta.
    «Sapete, Raizen Ikigami...» Osservò ad un certo punto Toshiro Kobayashi, guardando l'Hokage. L'incontro era nel pieno del suo fulcro, ma sembrava che l'ultima affermazione di quest'ultimo –per cui ciò che Shizuka provava nei suoi confronti non era amore ma chissà cos'altro– avesse messo in seria difficoltà la Principessa, la quale, alzandosi, aveva dunque cominciato a battersi l'indice della mano destra sulla fronte, cercando di riflettere mentre perimetrava ad ampie falcate tutta la stanza. Era raro vederla così in crisi. A quanto pareva esisteva un tipo di infiltrazione che persino lei trovava complicato fare. «...temo che Shizuka non sia molto sveglia.» Confessò il Capoclan. Guardò il Jonin, verso il quale si protese un poco, poi annuì gravemente, come se stesse rivelando una verità inconfutabile. «Ho paura che la somiglianza con sua madre non si limiti al carattere, ma anche al modo in cui percepisce le cose semplici e quotidiane.» Quella constatazione sembrò gettarlo in un abisso di disperazione, come se il rendersi conto di quell'incubo lo costringesse a rivivere trascorsi tutt'altro che allegri. «...E se pensate che per far capire a mia moglie che ero innamorato di lei ho dovuto praticamente portarla via dall'altare del suo matrimonio combinato, dando vita ad una faida durata ventiquattro anni, capirete benissimo che la linea di sangue Uchiha che ha sposato il mio Clan può senza dubbio essere potente in combattimento, ma nel resto della vita non brilla certo di una sensibilità spiccata.» Detto questo sembrò riflettere, e lo fece mettendosi a braccia conserte, alzando poi l'indice della sinistra a picchiettarsi la fronte. A quanto pareva le somiglianze non venivano mai sole. «A questo punto ritengo di dovervi mettere in guardia, Raizen Ikigami.» Riprese a dire con solennità complottista. «Shizuka è...» Mormorò a bassa voce... poi sorrise con brillante dolcezza. «...la cosa più irritante che probabilmente esiste a questo mondo. Credo che siano poche le donne capaci, come lei e sua madre ancora prima, di far arrabbiare un uomo in modo tanto plateale.» E così dicendo alzò le mani congiunte verso l'alto, aprendo poi le braccia, sorridendo. Non si capiva se era felice o vagamente innervosito. «E' abituata a comandare, dominerà un impero commerciale e quindi la parola “no” le risulta ostica da sentire e da accettare, il suo carattere non migliorerà con l'età, anzi probabilmente diventerà addirittura più ingestibile. Testarda, irritante e con il preoccupante vizio di avere sempre ragione, credo che potrebbe essere annoverata tra una delle grandi disgrazie preannunciate dai sutra del Tempio Shintoista del Fuoco. Avere a che fare con Shizuka è la cosa più difficile che gli Dei infliggeranno a chi le starà al fianco, e posso garantirvi che saranno svariate le volte in cui desidererete di strangolarla.» Gemette cupamente, passandosi una mano sul viso. «Capitemi, Raizen Ikigami... è mia figlia e io la amo sopra ogni altra cosa, ma non biasimerei né voi né nessuno altro se voleste legarla a testa in giù dal più alto dei rami di una sequoia secolare e lasciarla lì per qualche giorno.» A quel punto pensò ancora un po' e infine sospirò, sconsolato. «Ma senza dubbio è una donna fedele e forte, mi sembra evidente. E sincera, spero. Una brava ragazza... credo Non sembrava molto convinto di quelle ultime due battute, come fu evidente mentre riportava i suoi occhi sul povero Raizen. «Beh, insomma, questo è tutto.» E così dicendo batté una mano sulla spalla dell'Hokage, annuendo solennemente.
    [...] Qualunque cosa avesse detto, sembrava essersi tolto un gran peso dalla coscienza.

    Quando Shizuka trovò finalmente pace e si sedette di nuovo accanto ai due uomini, il suo viso interrogativo parlava chiaro su quanto era stata brava a complicarsi ulteriormente le idee, cosa in cui era certamente un genio.
    Era sicura di non aver ancora ben capito cosa significasse amare un uomo, ma aveva anche raggiunto la conclusione che facendo stime e statistiche non ci sarebbe riuscita meglio. Si era arresa all'evidenza che almeno quella volta era necessario studiare meno e provarci di più.
    «Devo semplicemente innamorarmi di Masaki Kurogane.» Tagliò corto, guardando Raizen. Non era ben chiaro come fosse arrivata a quella conclusione, ma sembrava convinta che fosse quella migliore. «Cioè, almeno farmelo piacere abbastanza da avere quelle cose tipiche delle ragazze innamorate, sai, no, il batticuore e tutto il resto.» Borbottò imbarazzata. Tornò a guardare la foto e inarcò un sopracciglio: beh, se non altro partiva avvantaggiata. Era indubbio che lui fosse davvero bello, e questo almeno non era male come inizio. «Vediamo se questo basterà a salvarmi la pelle.» Aggiunse in un soffio, esitando. Nonostante le parole di Raizen avessero voluto tranquillizzarla sulla certezza che sarebbe tornata a casa sana e salva, lei non sembrava ancora esserne certa.
    Aveva fatto diverse missioni da quando era diventata Shinobi, ma non era difficile imprimere su quella una lettera ben più alta di qualsiasi altra avesse mai affrontato prima. E sarebbe stata sola, se ben capiva.
    Suo malgrado non poté fare a meno di sorridere tra sé e sé, scuotendo la testa.
    Sapeva di non essere una brava ninja. I bravi ninja erano quelli che stavano in prima fila durante un combattimento, che picchiavano duro e facevano cose incredibili come si leggeva negli archivi storici del Villaggio... lei, invece, a malapena era capace di fare ciò che faceva.
    Era consapevole che il mondo in cui si muoveva cautamente era popolato da persone ben più potenti e incredibili di lei. Lo aveva capito da molto tempo, ormai. Era per questo che aveva scelto di perfezionarsi in un'arte difficile e rara, in cui pochi spiccavano ed avevano spiccato anche in passato. Non era stato il desiderio di distinguersi da tutti gli altri che l'aveva indotta a capire la sua strada... ma la necessità.
    Voleva potersi rendere utile. Voleva poter proteggere ciò che amava.
    Voleva davvero essere una risorsa per Raizen e Konoha.
    Chiuse gli occhi e come al solito si domandò se ce l'avrebbe fatta: sarebbe andata bene? Ci sarebbe riuscita? Avrebbe potuto proteggere il suo Clan? Precisamente quali erano le percentuali di–...

    «E dunque puoi cancellare i ricordi della mente umana, eh?»



    La voce di Toshiro Kobayashi si fece largo nel silenzio irreale che si era imposto sulla stanza poco prima che questo venisse rotto dalla disperazione della Principessa, e lei, alzando il suo sguardo, si girò verso il padre con stupore. Lui, però, stava sorridendo.
    «Si possono fare cose del genere, nel mondo Shinobi?» Domandò ancora e adesso sembrò davvero incredulo. «Neanche il ramo Uchiha della nostra famiglia sa fare una cosa del genere, mi risulta.» Osservò, grattandosi il mento irsuto con tre dita della mano sinistra. Sollevò gli occhi al soffitto, pensieroso. «Deve essere complicato, credo...»
    «Beh, non è che propriamente li cancello, cioè, li altero, li estraggo, sai... cioè manipolo, ecco...»
    Borbottò Shizuka in modo più imbarazzato di quanto avrebbe voluto.
    «E chi ti ha insegnato? Quel tale, Norio, da cui sei stata allieva per diventare medico?» Chiese Toshiro, ritornando a guardare la figlia.
    «No... l'ho inventata io...» Mormorò lei, guardando il pavimento. «La tecnica, dico...»
    Era probabile che Raizen non capisse precisamente perché quei due sembrassero così ruvidi nel discutere di quell'argomento. La verità era che Shizuka non aveva davvero mai rivelato niente di sé e delle sue capacità alla sua famiglia... e per Toshiro Kobayashi, dunque, quella era la prima volta, e certamente l'ultima, in cui poteva godere dei racconti della figlia su quella vita che intraprendeva e da cui lo aveva così prepotentemente tagliato fuori; potendosi così riscoprire incredulo e orgoglioso allo stesso tempo.
    Dopotutto, presto, non avrebbe più ricordato niente di tutta quella conversazione...
    «E cos'altro sai fare?» Chiese ancora il Capoclan, concitato. «Ah! Sei capace in quel getto di fuoco che esce dalla bocca che sa fare tua madre. Sai, quello enorme!» Allargò le braccia in modo impressionato. «Masamune mi ha detto che è la tecnica con cui gli Uchiha decretano che un giovane ninja è ormai “adulto”.» Ed era trepidante di sentire la risposta.
    «Certo che lo so fare, e già da quando ero Genin!» Tuonò Shizuka, offesa, guardando male il padre. «Vero, Raizen?» Chiese a quel punto la ragazza, girandosi verso la Volpe. «Vero che so usare il Gōkakyū no Jutsu?» Ma domandare quella cosa sembrò imbarazzarla se possibile di più, e avvampò dunque fino alla punta delle orecchie. Si sentiva una bambina che stava cercando l'approvazione del maestro di scuola e del padre.
    «Oh!» Esclamò per tutta risposta il Capoclan dell'Airone, e sorrise a Raizen con allegria. «A quanto pare non è male se sa fare cose talmente incredibili!» Osservò con quel tipico stupore civile che contraddistingueva chi non poteva neanche lontanamente immaginare che, nel mondo shinobi, quella tecnica era una delle meno potenti. Esisteva altro, molto altro. Erano state create leggende e fiabe illustrate su ciò che quella persona non poteva supporre. «E poi? Cos'altro sai fare?» Chiese ancora l'uomo, sorridendo con calore.
    «So fare Genjutsu ed imposizioni mentali...» Borbottò dopo un attimo di esitazione Shizuka. «...con lo Sharingan.» Il padre annuì, orgoglioso. «Lavoro come infiltrata e interrogatrice. Sono esperta in medicina e in sigilli, e di solito mi occupo di quello che... sai, quello che insomma non è bene che si sappia in giro.» Non sapeva come metterla, anche perché probabilmente non sapeva nemmeno lei cosa faceva. Lanciò un'occhiata di sbieco a Raizen. «Di solito lui mi chiama per queste faccende e io lo aiuto.» Aggiunse, indicandolo con un indice tremolante.
    «Oh! Ma allora se aiuti persino l'Hokage non sei stupida come credevo!» Gioì Toshiro, applaudendo. Per tutta risposta gli arrivò un pugno sul muscolo di una delle gambe e lui, mordendosi un labbro, si accartocciò su se stesso. «Stavo scherzando, Shizuka, stavo scherzando ovviamente... oh dannazione, perché tu e tua madre non siete capaci di trattenere la forza...» Gemette il poveraccio, tirando su con il naso. A quel punto guardò Raizen e girò i palmi delle mani verso l'alto, come se stesse dicendo “Visto? Lo dicevo io!”.
    ...Anche se non se ne capì il motivo, quel gesto gli valse un altro pugno.
    «Prima che tu mi renda invalido, stupida e violenta figlia mia, c'è altro che vuoi farmi sapere?» Chiese il Signore dell'Airone, lanciando un'occhiata alla figlia. Quando lei scosse la testa in silenzio, il padre si limitò ad annuire, poi sorrise con sincerità. «Molto bene!» Disse, riportandosi in eretta postura e aggiustando la propria seduta. «Allora possiamo procedere.» Annunciò con gentilezza. «Puoi cancellare i miei ricordi, Shizuka.» Aggiunse, e quelle parole sembrarono colpire la Principessa come un pugno ben assestato in piena faccia. «Devo fare qualcosa di particolare?»
    «Oh... oh, no, Otou-sama. Devi solo rilassarti, ecco, cioè, ci penso io.»
    Rispose la Chunin, tradendo una voce leggermente rotta. «La sensazione adesso credo di averla resa abbastanza gradevole... sarà come essere immerso in un fiume, su per giù, in ogni caso quando avrò finito non ricorderai niente.» Continuò, mettendosi lentamente in piedi. Aveva le mani strette a pugno e queste, con suo sommo stupore, tremavano. «Eliminerò tutto ciò che riguarda i Kurogane dalla tua mente, tutti i ricordi su quanto sai in merito ai coinvolgimenti con l'Hokage e a quello che ti potrebbe mettere in pericolo in futuro. Impianterò poi in te il ricordo per cui sei d'accordo a questo matrimonio: io e Masaki Kurogane ci siamo notati in questi ultimi mesi tra sguardi rubati e battiti di cuore. Le coincidenze con cui ci trovavamo erano talmente puntuali che alla fine abbiamo deciso di renderle incontri voluti, e così abbiamo iniziato a frequentarci. Speriamo di poter continuare a farlo e convolare così a nozze entro l'autunno.» Guardò Raizen, e qualora egli avesse approvato, lei si sarebbe limitata a creare il ricordo, sottoforma di sigillo, imponendolo sul taccuino bianco che aveva portato nella stanza assieme al grosso libro di narrativa che leggeva prima di essere convocata.
    «Quindi non devo fare niente? Niente di niente?» Chiese per tutta risposta Toshiro Kobayashi. Sembrò quasi abbattuto dalla notizia, ma quel sentimento sparì velocemente quando Shizuka cominciò a tracciare il Fuuinjutsu su una delle pagine libere del suo taccuino: le sue dita, irrorate di chakra blu elettrico, guizzavano sul foglio bianco lasciando dietro di sé una tracciatura shodo di un maestoso e brillante blu notte.
    Non c'era in verità nessuna necessità di fare quel passaggio, sarebbe bastato imprimere il sigillo del ricordo direttamente nella mente del Kobayashi perché questo sortisse il suo effetto, ma Shizuka non sembrò curarsene e lo fece comunque, sorridendo nel notare lo sguardo incredulo del padre, e arrossendo di fronte alla sua successiva e infinita serie di domande.
    «Questo è il tuo ricordo.» Spiegò la Principessa con dolcezza. «Lo impianterò nella tua mente, tu lo assorbirai come tuo, e non noterai più alcuna differenza. La recita mia e di Raizen che seguirà al tuo "risveglio" farà il resto.» A quel punto, però, seppe che non c'era nient'altro che poteva mostrare lui e così, molto lentamente, si portò alle spalle del padre, prendendo un profondo respiro.
    Trattenne l'aria nei polmoni abbastanza tempo da infondersi sicurezza e tranquillità, poi riaprì lentamente gli occhi che aveva chiuso, ed espirò piano. Ripeté l'operazione per essere certa di essere davvero calma, e a quel punto portò le mani alle tempie del padre.
    «Shizuka?» Chiamò improvvisamente lui, gongolando allegramente. Fece l'occhiolino a Raizen, prima di annuire. «Non male. Non male davvero.» Ammise di punto in bianco. «Non che io ci capisca molto, ma credo che tu sappia fare cose davvero interessanti. Sei brava, continua a impegnarti.» Osservò, prima di chiudere gli occhi. «Grazie per avermele fatte conoscere.» Aggiunse infine gentilmente, prima di guardare l'Hokage. A lui non disse nulla, limitandosi solo ad osservarlo in silenzio, ma quello sguardo era più loquace di qualsiasi lunghissimo discorso.
    "La affido a voi." Diceva. "Siate accorto."


    Quando Toshiro Kobayashi sbatté gli occhi, sembrò inizialmente abbastanza spaesato: girandosi, si accorse di avere seduta accanto a sé Shizuka, che sembrava più in ansia e nervosa di quanto l'avesse forse mai vista, mentre di fronte a sé c'era Raizen.
    Per quale motivo, lui–... ah, ma certo, il matrimonio –ragionò il Capoclan, sospirando. Povero lui, stava davvero invecchiando.
    ...Che poi, ora che ci pensava, matrimonio un cavolo!! Chi diavolo era questo screanzato che si voleva portare via sua figlia così a babbo morto?! Ma il mondo stava impazzendo, oppure cosa?!
    Matrimonio!
    Al limite potevano uscire insieme, POI lui si sarebbe presentato formalmente alla Magione, loro due avrebbero fatto una lunga, lunghissima chiaccherata sul mondo e sulla vita, e solo a quel punto FORSE si poteva parlare di matrimonio.
    MATRIMONIO!! Con SUA figlia!
    La sua unica figlia!
    Screanzato bifolco e ladro di figlie, avrebbe dovuto passare sul suo cadavere per portare via la sua bambina! Lo avrebbe fatto legare (da Mamoru) e gettare in pasto alle carpe Koi dei suoi laghetti (da Ritsuko) e qualora le carpe Koi mangiassero effettivamente gli uomini anziché girare loro intorno boccheggiando, lui avrebbe goduto dello spettacolo! Ecco come stavano le cose!
    […] Sorridendo educatamente, Toshiro Kobayashi si limitò ad annuire con elegante fascino senza dire una sola parola di tutti quei ragionamenti.
    «Non conosco quest'uomo, Masaki Kurogane.» Sapeva che i Kurogane erano un Clan molto potente e ricco, a Konoha, ma non aveva mai avuto l'onore né il piacere di intrattenersi con loro più del tempo necessario ad una semplice trattativa commerciale circa una partita di vestiti di pregio. Sospirò, scuotendo la testa: se non altro era un Erede e un rampollo di tutto rispetto, forse Heiko avrebbe approvato senza rompere lui l'osso del collo per aver dato il suo permesso. «...Tuttavia mi fido del giudizio di mia figlia. E se lei ne è così profondamente innamorata, e l'Hokage in persona è venuto qui per assicurarmi che è una persona d'onore, non vedo perché dovrei oppormi a che vi frequentiate.» Avrebbe voluto sorridere, ma si rese conto di quanto quella situazione, in verità, lo commovesse. E irritasse. In effetti era felice e arrabbiato allo stesso tempo. Si chiese se si sentivano così i padri che si preparavano a lasciar andare la propria figlia ad un estraneo. «Ora che finalmente il periodo di valutazione interna che vedeva coinvolto il nostro Clan, e che si è risolto con nient'altro che un grande abbaglio, è finito, posso addirittura sperare di incontrarlo fuori!» Esclamò ancora il Capoclan, scoppiando a ridere. Poi guardò male Shizuka. «Perché me lo farai incontrare, spero bene...»
    «Forse.»
    Replicò lei, in modo più piatto di quello che sperava.
    «“Forse”!» Gli fece eco il Signore dell'Airone, alzando gli occhi e le mani al cielo. «Ti permetto di incontrare quest'uomo per tutta l'estate, e tu cosa fai? Mi tratti in questo modo!» Gemette, fingendo di piangere. «Non so davvero cosa passi per mente a questa ragazza, Raizen Ikigami, ve lo posso garantire.»
    E avrebbe continuato ancora e ancora a dire quel genere di cose, tra l'imbarazzo e l'irritazione sempre crescente di Shizuka e le osservazioni dell'Hokage, mentre in lui il ricordo impiantato metteva radici, si allarga e cresceva rigoglioso...

    E dunque, sua figlia voleva sposarsi con Masaki Kurogane.
    …Strano, avrebbe scommesso tutti i suoi averi che alla fin fine avrebbe scelto quell'altro uomo. Era certo di non sbagliare, in effetti.
    Aggrottando la fronte, il Capoclan fece spallucce: peccato, davvero un gran peccato. Evidentemente quando si aveva a che fare con il cuore, era tutto molto imprevedibile.
    All'amore, dopotutto, non si comanda.
    Questa era una verità assodata nella mente di tutti.
     
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