Karyuuken, L'Inaugurazione

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    KARYUUKEN

    It is almost always the cover-up rather than the event that causes trouble.



    Atasuke reagì meglio di quello che si era aspettata. Forse persino troppo.
    Ferma di fronte all’Uchiha, la Principessa dei Kobayashi ne sostenne lo sguardo con fierezza, decisa a non essere lei la prima ad abbassarlo. E non fu così, infatti. Preso da altre incombenze, fu proprio il suo interlocutore a darle le spalle.
    Sentiva gli sguardi e le attenzioni dei presenti, o per meglio dire dellE presenti, su di lei, come dardi infuochi che la perforavano da ogni lato. Era strano da dire, giacché non si era mai sentita particolarmente spiccata in quel genere di faccende, ma da qualche tempo aveva preso a notare come Atasuke fosse terribilmente ben desiderato da quella fascia di donne nubili che auspicavano ad un buon matrimonio, una fascia di cui anche lei faceva parte, almeno per via dell’età. Aveva anche notato che l’amore che lui nutriva per lei era tutt’altro che una faccenda privata come invece aveva sempre creduto.
    Quando aveva chiesto a Ritsuko se la gente della Foglia avesse preso con stupore il fatto che avesse scelto Masaki anziché qualcun altro, lei si era messa a ridere e le aveva offerto tre nomi su cui i Konohoniani avrebbero giurato di poter scommettere i loro risparmi prima di venire al corrente della decisione più chiaccherata di quell'anno; ma che lei accolse invece con stupore giacché, ad eccezione di Atasuke stesso di cui conosceva i sentimenti, non avrebbe davvero mai creduto di potersi sentire affiancata agli altri. Improvvisamente, allora, aveva cominciato a far caso a molte cose.
    Non desiderava sposarsi. Non ora, almeno.
    In verità sperava di potersi innamorare davvero, un giorno: avere dei figli, un marito, un posto di spicco al Villaggio…ma soprattutto la tranquillità per godere di quei doni e la potenza per poterli proteggere. E attualmente non aveva né l’una, né l’altra cosa.
    Era debole. Penosa, quasi. Per quanto cercasse e divorasse conoscenza come un affamato nella carestia, che ignora i morsi della sazietà spinto dalla mancanza per troppo tempo subita, continuava a studiare, creare, migliorare…ma sempre troppo lentamente, ai suoi occhi.
    Non era abbastanza. Mai.
    In compenso però, per stare al fianco di Raizen e supportarlo nell'ombra perché la sua figura non risultasse macchiata, il numero della gente che la voleva su una picca in mezzo alla Piana del Fuoco, aumentava esponenzialmente.
    Sarebbe riuscita a proteggere la sua famiglia? Il suo Clan? Il suo Villaggio?
    Un marito e dei figli…?
    ...Oh Dei, ma se neanche sapeva proteggere se stessa –sorrise amaramente, tra sé e sé, di quella constatazione.

    Avrebbe fatto di tutto pur di ottenere il Potere cui auspicava.
    Sarebbe andata ovunque.
    Non le interessava di diventare la Regina del mondo Proibito e Condannato.
    Avrebbe avuto tutto.

    A quel punto si sarebbe sposata e sarebbe stata felice.
    Ne era certa.

    “E comunque, mi hai fatto paura prima. Quando ti arrabbi sei tremenda...”



    Le parole di Masaki la sorpresero nel bel mezzo delle sue riflessioni, e la Principessa alzò lo sguardo, stupita.
    Stava stringendo con forza il braccio dell’Erede del Ferro e lui, al suo fianco, le sorrideva con quel genere di dolcezza tutta speciale che riusciva a rivolgerle a dispetto della loro recita. Suo malgrado, anche lei sorrise.
    Pretendevano di essere fidanzati, addirittura in procinto di un matrimonio da centinaia di migliaia di Ryo…eppure lui credeva davvero che due istanti prima fosse “arrabbiata”.
    Non seppe se dirgli o meno che quando lo era davvero, la sua prima intenzione era quella di sventrare chi aveva davanti e imboccare lui i suoi organi interni, elencandone il nome uno dopo l’altro. Ma non lo ritenne opportuno. Non era più così, dopotutto. Non se lei non voleva.
    Adesso aveva il suo equilibrio. Aveva scelto la linea su cui camminare. Non c’era più pericolo che la sua anima precipitasse nell’errore.
    Sollevando una mano con gentilezza, allora, la giovane fece l’atto di accarezzare il volto del suo interlocutore. I suoi occhi verdi si socchiusero, splendidi come praterie primaverili, e lei inarcò le carnose labbra rosse, dolcemente.
    «Ogni tanto ho un piccolo problema a controllare la rabbia.» Si limitò a dire, facendo poi spallucce come se effettivamente non fosse niente di grave se non un'inclinazione ben nota alle donne della sua famiglia. «Ma chi vuoi che prenda seriamente una Principessa…? Fortunatamente il mio Danna è tanto potente e ben misurato da sopperire alla mia mancanza caratteriale.» Aggiunse in un sussurro leggermente soffiato.
    Danna: marito, compagno di vita. Un’ottima scelta di parole, soprattutto visto quanti stavano ascoltando e vedendo.
    Un'ottima scelta, ma nemmeno quella volta, una bugia. In verità Shizuka Kobayashi raramente diceva menzogne in presenza di Masaki.
    Le sue verità, semplicemente, avevano molte sfumature. E non sempre sembravano ciò che realmente erano.
    Come sempre, del resto.

    «Daruma?»



    Toshiro Kobayashi era in piedi, lateralmente, rispetto ai due fidanzati.
    Gli occhi dardeggianti erano fissi in un punto indefinito dritto di fronte a lui, che qualunque cosa contenesse doveva essere particolarmente interessante visto che il Capoclan dell’Airone non sembrava intenzionato a demordere dal fissarlo.
    «…Come?» Fece appena in tempo a dire la figlia, trasalendo, prima che le mani del padre planassero dall’alto verso il basso troncandole le braccia e allontanandola così da Masaki.
    Era una Chunin con una percezione più sviluppata della media, ma le apparizioni di quell'uomo continuavano a coglierla di sorpresa da quando era una bambina piuttosto svelta e piuttosto vispa.
    «Chi è il Daruma di cosa!» Ruggì Toshiro, insistente, fissando male la figlia e lanciando poi uno sguardo assassino al genero. Non disse lui niente, ma la sua espressione parlava chiaro: "carciofi, lenticchie e allori, parla ancora con mia figlia e ti strappo gli occhi."
    Non faceva rima. Ma non importava.
    «Non ho detto Daruma.» Replicò Shizuka, sospirando sonoramente dopo un attimo di silenzio. «Ho detto Dann–…»
    «….DARUMA.»


    Silenzio.

    «Dann–…»
    «DARUMA!»


    Silenzio.

    «SMETTILA DI INTERROMPERMI, TI AMMAZZO.» Sibilò alla fine Shizuka, agguantando il collo del padre che per tutta risposta le afferrò le spalle con determinazione.
    «NON TRATTARE COSI’ TUO PADRE, FIGLIA SCREANZATA E SENZA RITEGNO!» Ruggì di rimando, scuotendola e mettendosi poi a volteggiare su stesso, cercando così di evitare la rottura del collo ad opera della sua amorevole bambina muovendosi in una danza sapiente come l'origine del mondo.
    […] Per qualche preoccupante motivo sembrava assai esperto in quel genere di difesa…
    «SMETTILA DI COMPORTARTI COME UN IDIOTA!» Abbaiò la ragazza, furiosa. «NON POSSO PARLARE CON MASAKI SENZA CHE TU STIA IN MEZZO, RENDITI CONTO!»
    «Massssssssssssssssssssssaki.» Corresse prontamente Toshiro Kobayashi, a quel punto fermandosi e guardando con profondità la figlia, cui annuì dopo un secondo di pausa. Il suo volto, una mappa di avventure e passati che nessuno avrebbe mai scoperto, si aprì con chiarezza. E ciò che pensava, fu subito lampante.

    Silenzio.

    «Dacci un taglio.» Ordinò la Principessa, ma per qualche ragione sembrava essere sul punto di mettersi a ridere. Cosa che mascherò con bravura sotto una faccia ammonitrice.
    «Non puoi negare la verità.» Commentò però il Capoclan con tono greve, aggrottando le sopracciglia come un tanuki ammiccante. Per non scoppiare, Shizuka dovette mettersi una mano di fronte la bocca e premere con forza.
    «Io non rido del mio fidanzato.» Disse a quel punto, con un fil di voce, quando si fu assicurata che il suo tentativo non sarebbe finito in tragedia.
    «Perché no? Io rido spesso di tua madre!» Rispose con stupore Toshiro. Lo stesso stupore che colse i presenti quando un ventaglio disegnò una traiettoria orizzontale nell’aria, colpendo il Signore dei Mercanti alla tempia destra.
    Un secondo dopo Heiko Uchiha, bella come una Mononoke delle fiabe tradizionali, superava il marito e la figlia, seguita incurante da Sanae Aoki, per poi entrare nel dojo (da sola). Sguardo puntato in avanti e ostentazione clamorosa di irritazione sul suo viso splendido, ma spaventoso, la Padrona dell'Airone non degnò i membri della sua famiglia nemmeno di uno sguardo.
    Non che ce ne fosse bisogno. Il suo messaggio era già arrivato forte e chiaro, in ogni caso.
    …Quale che fosse la situazione, la vera domanda che tormentava il pubblico del luogo era solo una: quanto pesava quel ventaglio da compagnia...?
    Ma visto che Toshiro Kobayashi rimase a quattro zampe per terra per almeno un paio di minuti, fu ben presto evidente che più che un oggetto di piacere era uno di tortura. O qualcosa di simile.
    «Forse dovremmo entrare…» Sussurrò Shizuka, controllando la testa del padre. Si chiese come fosse possibile che fosse ancora vivo dopo ventiquattro anni di matrimonio… forse i Kobayashi ereditavano una sorta di immortalità sconosciuta, di cui lei avrebbe scoperto i dettagli, insieme a tutti gli altri segreti del Clan, quando fosse diventata la Signora. Oppure suo padre era un uomo parecchio resistente.
    O molto fortunato.
    «Figlia mia.» Mormorò dopo un attimo il Sovrano dell'Airone. Il suo tono era serio, permeato di quella gravosità che riserbava solo ai grandi annunci o insegnamenti di vita. «Ci sono momenti, nella vita, in cui un vero uomo deve capire quando chiedere scusa…» Sussurrò infatti, passandosi una manica del kimono sul naso moccicoso.
    Una lacrima precipitò teatralmente verso il basso, baciando il suolo nel silenzio sentito e teso che si era venuto a creare.
    «…pensi di entrare a quattro zampe per chiedere il perdono di Okaa-sama, vero?» Domandò dopo un attimo Shizuka.
    […] C’era sempre un momento in cui un padre e una figlia si capiscono a vicenda con chiarezza, e finalmente incontrano i rispettivi animi. Per Toshiro e Shizuka Kobayashi, fu quello.
    «Figlia.» Gemette infatti l’uomo, alzando lo sguardo e prendendo nelle sue le mani del sangue del suo sangue. Un rivolo scarlatto scendeva lui dalla tempia, irrorandogli il viso commosso, ma nessuno dei due sembrò prestarvi attenzione. Quasi ne fossero abituati.
    «Padre.» Rispose questa, posando un ginocchio a terra e guardando in modo toccante il suo interlocutore, di cui baciò le dita, passandosele poi sulla fronte in un estremo gesto di contrizione.
    «Toshiro-sama.» Disse però a quel punto un’altra voce, che di commosso aveva ben poco. E un secondo dopo il Capoclan dell’Airone era rimesso in piedi per il colletto del pregevole Kimono da lui indossato.
    Mamoru Aoki, scuro nei suoi lineamenti tanto quanto nel suo abbigliamento, fissò il suo Padrone in silenzio per un attimo. Benché i suoi occhi non avessero forse dovuto trasmettere nessuna espressione, i suoi ticchettavano di un'irritazione molto facile da leggere. Per la verità sembrava che il Kumori fosse sul punto di finire il lavoro della consorte dell’uomo per cui era nato e aveva il dovere di vivere...e che non era un segreto, riuscisse a strappare lui la cattiveria da sotto le mani.
    «Mamoru!» Gemette di rimando Toshiro Kobayashi con voce strozzata. E girandosi verso la figlia con terrore, esclamò poi: «Shizuka!»
    «Padre!»
    Strillò lei, disperata, allungando le braccia verso il Capoclan, tenuto sollevato da terra quel tanto che bastava perché solo la punta dei suoi zori solleticasse la polvere.
    «Ojou-sama.» Ringhiò un’altra voce, e questa volta ad essere presa per l’obi del kimono fu lei. Ritsuko Aoki sembrava la versione più minuta, snella e aggraziata di Mamoru. Ma non per questo meno inquietante. «Abbiamo finito con queste scenate?»
    «Ritsuko, no!»
    Gemette Shizuka, scalpitando verso il padre che, al contempo, scalpitava verso di lei.

    A quel punto ci furono delle lacrime. Una promessa di affetto eterno. Un legame senza tempo né distanza.
    Qualcuno avrebbe scritto una lettera a qualcun altro. Ogni giorno. Per sempre.
    …Poi i Kobayashi entrarono nel dojo.

    «State tranquillo, Kurogane-sama.» Avrebbe detto con gentilezza Ritsuko Aoki quando tutto quella scenetta avesse trovato fine. Sorrise, gentile. «E’ normale, fanno sempre così.»

    […] Ma nessuno seppe cosa ci fosse di normale. E perché.
    Forse e soprattutto nemmeno Masaki Kurogane.

    [...]



    Il Dojo Karyuuken era pieno di persone. E non persone a caso.
    In mezzo alla grande folla, Shizuka poté riconoscere a colpo d’occhio Baikitai Nara, il Mizukage di Kiri, con tutta la sua allegra famigliola (e le sue adorabili figlie. Prima o poi sarebbe stata arrestata per le attenzioni che rivolgeva loro, lo sapeva), Akira Hozuki, Shinichi di Suna, Hoshikuzu Chikuma e Raizen Ikigami.
    E un folto numero di mocciosi.
    «Allora questo è davvero un asilo!» Esclamò con gioia sarcastica Shizuka, lanciando un’occhiata ad un ragazzino…che stava dando dei soldi, accuratamente riposti in un sacchetto, a quel povero coglione di Shinichi, il detective dei cactus. «O un locale di scambisti.» Si corresse, allibita. «O un circo.» Aggiunse infine, vedendo una graziosa ragazza che faceva confusione in mezzo al gruppo che le interessava. Non l’aveva mai vista prima, ma per qualche ragione le ricordò qualcuno.
    Alzando gli occhi al cielo nel riflettere, la Principessa dei Kobayashi parve infine illuminarsi: forse era la tipa di cui Atasuke le aveva parlato di fronte ad una ciotola di Ramen, l'ultima volta. Quella promettente pivella che avrebbe tentato il diploma alla sessione invernale. O almeno credeva, visto che la descrizione che aveva ricevuto, ahimè piuttosto approssimativa, sembrava coincidere.
    «Gli Dei lo perdonassero, ne ha allenati così tanti che ho perso il conto…» Borbottò irritata la Chunin, aggrottando la fronte, prima di guardare Masaki, accanto a lei, e sorridere imbarazzata. «Ah, Atasuke.» Cercò di spiegare, fissando l’espressione del compagno. «Sai è un Sensei da molto tempo, è proprio portato per questo genere di cose e anche piuttosto affermato invero…» Non come lei, che aveva il più alto record di ritiri di studenti dall’accademia dopo i suoi corsi. Forse l’unica ancora viva che aveva allenato era quella Kiriana tettona e idiota che mangiava le spade. O ci faceva altro, non aveva mai ben capito. Se non era già morta, s’intendeva. «Penso che sia giusto dare merito ad una buona dote caratteriale, quando presente.» Aggiunse ancora, sempre fissando Masaki. Quando però si rese conto che sembrava quasi starsi giustificando di parlare di Atasuke, avvampò.
    …Non che dovesse preoccuparsi di niente, nel senso, lei e Mastro Rotella erano cresciuti insieme, era ovvio che fossero così legati. Se non si fosse curata di lui, non sarebbe nemmeno andata lì. Ma era da quando erano adolescenti che lui le parlava di voler aprire un Dojo, di voler diventare Maestro e poter aiutare le nuove generazioni... come avrebbe potuto non complimentarsi? Non seguirlo anche in quell'impresa?
    Certo tutta quella visita era iniziata male (colpa di quell’idiota di Sougo. Ah, ma non si sarebbe limitata a rompergli una mano, stavolta: alla sua prossima visita alle mura lo avrebbe buttato di sotto. Con un macigno legato ai piedi, però), ma poteva andare meglio. Ne era certa.
    Era ovvio, cioè, nel senso, Masaki avrebbe capito. Certo. Lo sapeva. Era sempre così comprensibile, del resto. Che problema c’era, giusto?
    ...Ma si accorse che stava sudando freddo quando una goccia gelata le scivolò lungo la schiena. Istintivamente si scosse sul posto.
    «Masaki, caro.» Gemette la Principessa, impallidendo e guardando il Principe dei Kurogane. «Una scimmia non arriverà mai a toccare la Luna, per quanto in alto salterà. Ma la stella più luminosa alberga nello stesso Cielo e il suo splendore è vivido. Capisci?» No. Non capiva. Come avrebbe potuto, del resto? Neanche lei capiva cosa stesse dicendo! «C-credo che andrò a salutare Raizen, vuoi occuparti dei posti a sedere, per favore? Non vorrei che Sougo ne combinasse un’altra. Diffida di lui. E’ stupido come una gallina cieca.» ...Non sapeva se le galline cieche fossero davvero stupide, ma dopo essersi morsa la lingua già due volte ed essere riuscita a pestarsi i piedi da sola mentre cercava di andarsene, capì che era meglio defilarsi.
    Alzando gli occhi e scorgendo l'imponente figura della sua Volpe varcare l'accesso al Dojo, la Principessa scivolò dunque rapida, silenziosa e veloce verso di lui. Ma soprattutto, molto sollevata da non sapeva nemmeno cosa.

    Intanto, proprio in concomitanza con l’allontanamento di Shizuka, qualcuno sussurrò una frase.
    “Piano C”, forse. Non fu ben chiaro.
    Quale che fosse il vero significato di quell'uggiolio recondito, un secondo dopo un cappuccio sembrò intenzionato a cadere sulla testa di Masaki Kurogane…

     
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