Karyuuken, L'Inaugurazione

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    Un giorno, semplicemente, sarebbe stata arrestata.
    La situazione sarebbe andata pressoché in questo modo: Itai Nara si sarebbe girato, dopo un attimo di perplessa apprensione si sarebbe accorto che le sue due figlie erano scomparse, e subito dopo si sarebbe reso conto che Shizuka stava correndo via con Nana e Jukyu sotto ciascun braccio. Ridendo.
    A quel punto l’avrebbe ripresa. L’avrebbe resa un quadro cubista. E dopo l’avrebbe fatta arrestare.
    Era certa che sarebbe finita in quel modo. Ormai non c’era più alcun dubbio.

    “Shizuka-Chan! Ciao!”
    “S-salve…”



    Erano le creaturine più carine che avesse mai visto. Se fosse stato per lei avrebbe tranquillamente mandato al diavolo Atasuke e il suo maledetto Dojo, Raizen, il piano, e persino Masaki...in favore di una seduta di coccole eterna. Ferma al suo posto, con gli occhi inchiodati sulle piccole, la Principessa del Villaggio della Foglie sorrise infatti beata mentre i suoi splendidi occhi verdi iniziavano a lampeggiare e il livello di coccolosità nel suo sangue si alzava oltre il livello stimato come massimo.
    Le risultava abbastanza strano che un uomo babbeo quanto BakItai fosse stato in grado di generare due preziosità come quelle. Ma ovviamente, da brava futura Matriarca Kobayashi, attribuiva tutto il merito di quel miracolo infantile ad Ayame-sama.
    ...Le donne erano le regine della casa e comandavano su tutto. Come si conveniva, del resto.
    Il che la diceva lunga su chi avesse le redini dell'Airone.
    «Buongiorno, Chisai-Himetachi.» Rispose Shizuka con gentilezza, e così dicendo si inchinò con profondo rispetto alle bambine, esattamente come avrebbe potuto fare a qualsiasi altra importante carica politica. «E’ sempre un piacere incontrarvi. Vi trovo splendide.» Disse con dolcezza, inginocchiandosi poi a terra, di fronte alle due, e sorridendo loro con calore. «State diventando due signorine.» Ammise gongolante, prima di aprire la sua borsetta di broccato e cercare qualche immancabile caramella in mezzo a tutta la roba che una borsa femminile (e il suo contenuto spazio-dimensionale) poteva contenere… e che nel suo caso era un assortimento abbastanza invidiabile di bisturi, una cartabomba, un lecca-lecca ciucciato, e qualche flaconcino vuoto. E pieno.
    Alle sue spalle, intanto, sua madre e suo padre, come del resto il suo fidanzato, seguivano la scena aspettando che il Mizukage e sua moglie si avvicinassero per porgere le osservanze del caso. Ovviamente l’evento non tardò a compiersi, ma tra il momento in cui Itai si avvicinò e quello in cui ebbe modo di salutare i presenti, Heiko Uchiha non poté fare a meno di trattenersi. Non che lo facesse mai, del resto.
    «Tic toc, tic toc…» Bisbigliò nell’orecchio della figlia quando questa si fu rimessa in piedi, sorridendo felicemente. «Invece di molestare i figli degli altri, fanne di tuoi. L’orologio biologico è impietoso per noi donne, Shizuka.» Ghignò, sardonica.

    Itai Nara e Ayame Shinretsu si sarebbero probabilmente chiesti per quale motivo la famosa Principessa dei Kobayashi, al loro arrivo, fosse rigida come una statua di marmo e talmente rossa in volto da dare ad intendere la preoccupante eventualità di un'autocombustione.

    «Itai.» Balbettò Shizuka, prima di ricevere, da dietro, un pugno nei reni da parte di sua madre che per poco non le fece vomitare i polmoni a terra. «M-mizukage-sama…» Si corresse allora subito, e la sua voce era simile a quella di un fischietto rotto. Alle sue spalle Toshiro Kobayashi, portandosi una mano al viso, si voltò leggermente di lato con aria contrita e l’espressione comprensiva di chi condivide pienamente il dolore altrui.
    ...Un secondo dopo, però, qualcosa lo colpiva talmente forte alla bocca dello stomaco che se non ci fosse stato Mamoru a tenerlo fermo per i capelli della nuca, sarebbe ritornato direttamente seduto nel salotto della sua Magione. A cinque chilometri di distanza.
    «Ayame-sama.» Continuò la Principessa, sorridendo in direzione della bellissima donna. Aveva un che di diverso, ma non avrebbe saputo dire cosa, e per timore di sembrare maleducata fece finta di nulla. Si inchinò allora ad entrambi i coniugi, con profondo rispetto. «Konohagakure è lieta di avere voi e le vostre splendide bimbe come ospiti. Spero che questa volta l’occasione ci permetta di trascorrere più tempo insieme.» Diceva, mentre Heiko e un pallido Toshiro si premunivano di porgere i loro omaggi ai due Signori della Nebbia. «Lasciate che vi presenti il mio fidanzato, e futuro sposo.» Riprese a dire quando tutti ebbero avuto modo di scambiarsi le frasi di circostanza, e così dicendo si voltò leggermente verso Masaki, al fianco del cui si portò, sorridendo. «Masaki Kurogane, Erede e Principe del Clan del Ferro della Foglia. Sono certa che abbiate già avuto modo di sentire il nome della sua stimata Dinastia.» Disse, e l’orgoglio nella sua voce era sentito. Anche se effettivamente non si capiva per chi lo fosse: per il ragazzo, per la famiglia…o per cos’altro?

    [...]

    “Qualcuna qui è tesa, sbaglio?”



    Quando il braccio del Randagio Bianco la cinse, Shizuka venne tratta a lui e come sempre non si oppose. Era abituata ad essere a contatto con Raizen in un modo altamente diverso rispetto a quello convenzionale.
    Come poteva essere diversamente?
    Shizuka Kobayashi era l’unica allieva, e sperava ormai compagna, di Raizen Ikigami.
    I due erano cresciuti insieme da quando erano pressoché ragazzi, scontrando i loro ego, i loro sentimenti, le loro ambizioni e desideri, un numero tale di volte da distruggersi e ricrearsi. Amarsi e odiarsi. Allontanarsi e cercarsi.
    Si diceva che non fosse importante dove la Volpe si trovasse. Se la Principessa avesse cantato, la sua voce avrebbe raggiunto la Signora delle Creature ovunque.
    Perché non c’era un legame più forte, duraturo e puro di quello tra Shizuka e Raizen.
    Semplicemente, non c’era. Non poteva esserci.

    …Eppure, lei si scostò.

    Facendosi istintivamente rigida, l’Erede dell’Airone posò con delicatezza una mano sul torace dell’Hokage e con gentilezza compì un passo indietro, a testa bassa.
    «Raizen, no…» Mormorò, senza rifletterci. «Masaki sta guardando.» Si lasciò sfuggire.
    Non si oppose comunque quando la mano del Jonin le pattò la testa, e lei, inchinandosi brevemente, ne sembrò quasi rincuorata. Girandosi per istinto alle sue spalle, la ragazza cercò con lo sguardo il Principe del Ferro, e quando lo trovò, sorrise socchiudendo gli occhi e stringendo un poco le labbra, come si poteva sorridere nel vedere qualcosa di prezioso.
    E la domanda giusta, allora, sarebbe stata solo una: stava recitando? Shizuka Kobayashi era un’infiltrata e un’attrice così perfetta e sublime da riuscire a simulare l’espressione di imbarazzata gentilezza della ragazza che scorge in lontananza il proprio amato…?
    Tutto poteva essere. Le doti della Principessa si dicevano essere sconfinate.

    Come si dimostrò presto.

    «Ullalà, pare che il nostro piccolo hǔo hú abbia spiccato il volo.» Si limitò a commentare, fissando prima Raizen e poi Itai. Il motivo per cui dovesse sempre soprannominare tutto, e perché avesse persino usato il Cinese quella volta, era come al solito incomprensibile. Ma definire Hoshikuzu Chikuma come un piccolo Panda Rosso, non era poi così sbagliato. «Le possibilità che io possa acchiapparlo sono pari a zero, miei Signori, ma quella di attirare la sua attenzione forse un po' meno.» Il motivo per cui parlava a quel modo era evidente: nessuno dei due Kage avebbe potuto allontanarsi senza destare sospetti, mentre al contrario il comportamento poco convenzionale di Shizuka era faccenda risaputa e nessuno si sarebbe poi troppo perplesso di vederla gironzolare irrispettosamente in giro. «In ogni caso, come al solito…» E così dicendo si inchinò ai due Kage con profondo rispetto, sorridendo. Era agghiacciante il modo in cui, persino in quella situazione, dopo tutto ciò che aveva già fatto per arrivare a quel punto… sembrasse divertirsi tanto. «…sarà un piacere, per me, giocare ancora con voi.»

    E non mentiva.
    Perché per Shizuka Kobayashi, quello era un gioco. Una scacchiera su cui muoversi e nient'altro.
    E nessuno come lei amava tanto i giochi di strategia.

     
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