Il Fiore e la Bestia

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  1. -Meika
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    Il Fiore e la Bestia

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    Quando rientrai in casa non potei far altro che fermarmi per un lungo istante sulla soglia. Richiusi la porta alle mie spalle e mi abbandonai contro di essa in un gesto di improvvisa debolezza. C'era mai stata davvero pace da che mi ero resa conto che sarei tornata a casa, sana e salva? O meglio, c'era mai stata pace da quando quella tempesta ci aveva colti nel mare?
    Anche quando eravamo al sicuro nel rifugio non avevo mai avuto un attimo di reale pace, perché erano stati i pensieri ad assillarmi. Ed il viaggio sulla barca era stato caotico grazie all'ingombrante presenza di Samoru e quella folle di Sanjuro.
    Potevo finalmente dirlo. Ero a casa, sana e salve. E da lì, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, iniziava una nuova fase della mia vita alla quale sentivo il bisogno di dedicare un po' di tempo e riflessione.
    Entrai in cucina, ma non c'era nessuno. Le finestre erano chiuse e la casa aveva un certo odore di chiuso. Le spalancai, lasciando entrare la fredda aria dicembrina che mi scompigliò appena i corti capelli neri. Rabbrividii ma riuscii a godermela per qualche istante, pensando a quanto fosse strana l'apparenza delle cose. Il freddo, al caldo della mia casa, mi sembrava quasi piacevole mentre a Genosha era stato nemico letale. Rimasi in quella posizione per alcuni secondi, dopodiché mi voltai, lasciandola finestra aperta dirigendomi in bagno.
    Sentivo il bisogno fisico di immergermi nell'acqua calda e passare lì un po' di tempo, da sola, in pace a pensare. Era inutile negare quanto ciò che era successo tra me ed Akira mi avesse scosso nel profondo ed in definitiva dovevo chiarire la mia testa per comprendere come mi sarei dovuta comportare da lì in futuro. A partire da quella sera.
    Quando la vasca fu piena mi tolsi di dosso i vestiti sgualciti da giorni di viaggio e li misi nel cesto della biancheria da lavare, dunque mi immersi nell'acqua schiumosa e profumata, totalmente, lasciando che bagnasse anche i capelli. Riemersi, rilassandomi del tutto contro la ceramica della vasca, tenendo gli occhi chiusi, lasciando vagare la mente.
    Non potevo più tornare indietro e sopratutto non volevo farlo. Non dopo aver visto la reazione di Akira all'azione più avventata della mia vita, non dopo quella notte. Ero stata troppo bene per pensare di non volerlo fare ancora. Tuttavia era inevitabile che mi sentissi anche tremendamente spaventata.
    Da quando avevo iniziato la vita di Shinobi Akira era stata per me una presenza costante. Sin dalla prima missione, quando avevamo provocato la distruzione della Confraternita della Nebbia Insanguinata passando poi per le disavventure di Suna.
    E poi Taki.

    Akira sapeva bene quanto quel viaggio avesse inciso su di me. L'aver trovato la risposta che cercavo da tempo aveva cambiato il mio modo di vedere il futuro e l'ansia che spesso mi coglieva di notte impedendomi di dormire era scomparsa, sostituita da un nemico ben più temibile.
    Il Demone.
    Cercai di non pensare a lei, quel costrutto mentale con i miei tratti ed il mio viso e quel vestito fatto di nero inchiostro, che riusciva a condizionarmi a tal punto da farmi agire in maniera imprevedibile.
    Non l'avevo visto una sola volta durante la missione a Genosha. Sapevo benissimo perché, per lo stesso motivo per il quale ero riuscita a resistere all'impulso di infilare il Sai nella gola di Chi-Hi nel Bosco delle Mille Fonti.
    Avevo fatto affidamento su Akira più di quanto fossi disposta ad ammettere per il mio bene, ma che potevo fare? Non avevo avuto modo di controllare quegli eventi e le mie stesse reazioni ad essi e tutto si era sommato, catalizzandosi nel momento in cui, di fronte al camino del Rifugio a Genosha, avevo deciso di abbattere quel muro che ci separava da una intimità forse sempre sfiorata eppure mai raggiunta davvero.
    Ne ero felice e spaventata, perché avevo deciso di mettere in gioco tutto ciò che Akira significava per me e quel rapporto costruito in quei mesi nei quali, missione dopo missione, scherzo dopo scherzo, chiacchierata dopo chiacchierata, era cresciuto fino a giungere all'inevitabile punto di svolta.


    Mi rialzai dopo un bel po' che l'acqua era ormai meno che tiepida e mi avvolsi nel morbido accappatoio piegato di fianco alla vasca. Camminai fino in camera e mi asciugai con cautela, iniziando a rivestirmi rapidamente con tutto l'intento di uscire per fare la spesa.
    Avevo tutte le migliori intenzioni per quella sera: la promozione era un evento importante, ed andava adeguatamente accompagnato con cibo di buona qualità. Mentalmente, senza poter fare a meno di arrossire un po', ringraziai il cielo che mio padre non fosse in casa. Per quanto sentissi il bisogno di abbracciarlo e dirgli tutto, raccontargli della missione e della promozione, avevo bisogno di ancora di un po' di solitudine in un regno di pace nel quale sarei riuscita a tollerare solo la presenza di Akira, poiché causa e soluzione di quel mio turbamento.
    Terminai le compere in circa un'oretta e quando riaprii il cancelletto di casa ero con due buste piene di svariata roba. Carne di maiale, uova, tofu, riso, cetrioli e verdure varie.


    Pranzai con una ciotola di ramen comprato dal chiosco dietro casa, senza pretese di un pranzo lussuoso. Non ebbi nemmeno la cura di mangiarlo in cucina svaccandomi con scarsa grazie sul pavimento, tenendo un cuscino dietro la schiena.
    Rimasi a fissare il soffitto per una buona mezzora, poi allungai una mano sul letto per afferrare Ryo, ergo, il pinguino che Akira aveva vinto mentre mi aveva legata, imbavagliata e nascosta in un koinobori. Lo tenni alzato per fissarlo per alcuni secondi, dunque sorrisi nel ripensare a quella sera. Era stata fin troppo divertente, nonostante la “prigionia”. Mi alzai da terra e presi la ciotola di ramen, per tornare in cucina a pulire il tutto ed iniziare a preparare qualcosina così per passare il tempo.



    Avevo passato buona parte del pomeriggio a cucinare. Avevo sempre dovuto cavarmela da sola in cucina. Quando ero piccolo mio padre, con tutta la premura del mondo, preparava da mangiare cucinando piatti più che dignitosi ma a circa tredici anni decisi di prendere possesso di quel ruolo e mio padre capì due cose: avevo preso il talento di mia madre tra i fornelli e che ero disposta a coltivarlo studiando e provando.
    Come ogni cosa. Quando avevo la necessità di imparare qualcosa cercavo un libro o un maestro e la imparavo con pazienza. In breve ero divenuta ben più brava di lui in cucina, tant'è da poter essere catalogata come “cuoca provetta”.
    Di necessità virtù, diceva un antico adagio.
    Quando Akira bussò alla porta di casa non avevo ancora finito ma del resto non avevo in programma di finire prima che lui arrivasse. Stavo ancora friggendo i Tonkatsu e la zuppa di misou era quasi pronta. Lasciai i vari attrezzi e corsi verso la porta, conscia che sul fuoco c'era una cotoletta che richiedeva d'esser girata al più presto.
    Aprii la porta ed Akira ebbe modo di vedermi. Dovevo indossare anche qualcosa di carino sotto altrimenti non si spiegava il perché del grembiule da cucina a motivi floreali e con una aragosta ricamata sopra che faceva a pugni con lo sfondo. Oh, eccoti! Dissi, con una evidente fretta addosso. Scusa la fretta ma non voglio far bruciar nulla, entra ed accomodati! E corsi nuovamente in cucina.
    Se mi avesse raggiunto mi sarei voltata verso di lui, con un occhio sempre attento alla cottura. È quasi pronto tutto, spero che ti piacciano i tonkatsu, la zuppa di misou e del sounomono. Ed ho anche preparato un dolce. Dissi, mentre girando la manopola del gas spegnevo la fiamma sul tonkatsu, mettendolo in un piatto.
    Mh... va in soggiorno, ho apparecchiato di lì. Dissi. In cucina c'era un tavolo alto, ma era del tutto occupato dagli scarti di lavorazione della cena, così avevo apparecchiato in soggiorno. Lì vi era un tradizionale tavolino basso con due morbidi cuscini ed era praticamente tutto pronto fatta eccezione per il cibo che ancora stava terminando di cuocere.
    Due piatti con la sounomono erano già in tavola e poi un piatto centrale pieno di verdura e gamberi fritti (cosiddetta tempura). Dopo pochi minuti entrai, reggendo in mano due piatti contenenti una spessa cotoletta di maiale dall'aria succulenta e dunque andai a recuperare anche la zuppa di misou, riempiendone due ciotole.
    Solo allora mi tolsi quel (ridicolo) grembiule da cucina, gettandolo senza troppi complimenti sul tavolo in cucina. Non ero mai stata così indecisa sulla scelta di un capo di vestiario prima di quel momento. In genere finivo per raccattare senza troppi pensieri qualcosa senza badar troppo limitandomi ad evitare improbabili accostamenti cromatici. In genere il dilemma sarebbe stato tra lo scegliere vestiti "troppo provocanti" o "troppo poco", ma mi resi conto che dei primi non ve n'era nemmeno l'ombra. Così alla fine decisi di indossare un semplice maglione che lasciava entrambe le mie (esili) spalle scoperte e dei pantaloni neri. Era il meglio che riuscissi a trovare in quel disastro che era considerato il mio guardaroba.
    Spero che sia tutto buono. Dissi, tradendo appena un po' di preoccupazione nella voce. Quella era la prima volta che cucinavo per qualcuno che non fosse mio padre. Itadakimasu! Dissi, iniziando a sentirmi realmente affamata (ed il sonoro brontolio del mio stomaco ne fu una prova più che concreta).
    Con le bacchette afferrai un gambero fritto e me lo portai alla bocca, masticandolo lentamente. Allora domandai, dopo aver mandato giù il boccone. Che ha detto tuo zio delle spade e della promozione? Anche se essendo tuo zio immagino che abbia preso molto meglio la prima notizia che la seconda. Dissi ridendo appena, prima di mangiare un altro gambero.
    E le preoccupazioni, svanirono.


    Spero di ricordar bene che il significato del titolo del tuo pg in scheda x'DDDDDDD
     
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12 replies since 11/12/2015, 00:50   324 views
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