Il Fiore e la Bestia

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  1. -Meika
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    Il Fiore e la Bestia

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    Quando rientrai in casa non potei far altro che fermarmi per un lungo istante sulla soglia. Richiusi la porta alle mie spalle e mi abbandonai contro di essa in un gesto di improvvisa debolezza. C'era mai stata davvero pace da che mi ero resa conto che sarei tornata a casa, sana e salva? O meglio, c'era mai stata pace da quando quella tempesta ci aveva colti nel mare?
    Anche quando eravamo al sicuro nel rifugio non avevo mai avuto un attimo di reale pace, perché erano stati i pensieri ad assillarmi. Ed il viaggio sulla barca era stato caotico grazie all'ingombrante presenza di Samoru e quella folle di Sanjuro.
    Potevo finalmente dirlo. Ero a casa, sana e salve. E da lì, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, iniziava una nuova fase della mia vita alla quale sentivo il bisogno di dedicare un po' di tempo e riflessione.
    Entrai in cucina, ma non c'era nessuno. Le finestre erano chiuse e la casa aveva un certo odore di chiuso. Le spalancai, lasciando entrare la fredda aria dicembrina che mi scompigliò appena i corti capelli neri. Rabbrividii ma riuscii a godermela per qualche istante, pensando a quanto fosse strana l'apparenza delle cose. Il freddo, al caldo della mia casa, mi sembrava quasi piacevole mentre a Genosha era stato nemico letale. Rimasi in quella posizione per alcuni secondi, dopodiché mi voltai, lasciandola finestra aperta dirigendomi in bagno.
    Sentivo il bisogno fisico di immergermi nell'acqua calda e passare lì un po' di tempo, da sola, in pace a pensare. Era inutile negare quanto ciò che era successo tra me ed Akira mi avesse scosso nel profondo ed in definitiva dovevo chiarire la mia testa per comprendere come mi sarei dovuta comportare da lì in futuro. A partire da quella sera.
    Quando la vasca fu piena mi tolsi di dosso i vestiti sgualciti da giorni di viaggio e li misi nel cesto della biancheria da lavare, dunque mi immersi nell'acqua schiumosa e profumata, totalmente, lasciando che bagnasse anche i capelli. Riemersi, rilassandomi del tutto contro la ceramica della vasca, tenendo gli occhi chiusi, lasciando vagare la mente.
    Non potevo più tornare indietro e sopratutto non volevo farlo. Non dopo aver visto la reazione di Akira all'azione più avventata della mia vita, non dopo quella notte. Ero stata troppo bene per pensare di non volerlo fare ancora. Tuttavia era inevitabile che mi sentissi anche tremendamente spaventata.
    Da quando avevo iniziato la vita di Shinobi Akira era stata per me una presenza costante. Sin dalla prima missione, quando avevamo provocato la distruzione della Confraternita della Nebbia Insanguinata passando poi per le disavventure di Suna.
    E poi Taki.

    Akira sapeva bene quanto quel viaggio avesse inciso su di me. L'aver trovato la risposta che cercavo da tempo aveva cambiato il mio modo di vedere il futuro e l'ansia che spesso mi coglieva di notte impedendomi di dormire era scomparsa, sostituita da un nemico ben più temibile.
    Il Demone.
    Cercai di non pensare a lei, quel costrutto mentale con i miei tratti ed il mio viso e quel vestito fatto di nero inchiostro, che riusciva a condizionarmi a tal punto da farmi agire in maniera imprevedibile.
    Non l'avevo visto una sola volta durante la missione a Genosha. Sapevo benissimo perché, per lo stesso motivo per il quale ero riuscita a resistere all'impulso di infilare il Sai nella gola di Chi-Hi nel Bosco delle Mille Fonti.
    Avevo fatto affidamento su Akira più di quanto fossi disposta ad ammettere per il mio bene, ma che potevo fare? Non avevo avuto modo di controllare quegli eventi e le mie stesse reazioni ad essi e tutto si era sommato, catalizzandosi nel momento in cui, di fronte al camino del Rifugio a Genosha, avevo deciso di abbattere quel muro che ci separava da una intimità forse sempre sfiorata eppure mai raggiunta davvero.
    Ne ero felice e spaventata, perché avevo deciso di mettere in gioco tutto ciò che Akira significava per me e quel rapporto costruito in quei mesi nei quali, missione dopo missione, scherzo dopo scherzo, chiacchierata dopo chiacchierata, era cresciuto fino a giungere all'inevitabile punto di svolta.


    Mi rialzai dopo un bel po' che l'acqua era ormai meno che tiepida e mi avvolsi nel morbido accappatoio piegato di fianco alla vasca. Camminai fino in camera e mi asciugai con cautela, iniziando a rivestirmi rapidamente con tutto l'intento di uscire per fare la spesa.
    Avevo tutte le migliori intenzioni per quella sera: la promozione era un evento importante, ed andava adeguatamente accompagnato con cibo di buona qualità. Mentalmente, senza poter fare a meno di arrossire un po', ringraziai il cielo che mio padre non fosse in casa. Per quanto sentissi il bisogno di abbracciarlo e dirgli tutto, raccontargli della missione e della promozione, avevo bisogno di ancora di un po' di solitudine in un regno di pace nel quale sarei riuscita a tollerare solo la presenza di Akira, poiché causa e soluzione di quel mio turbamento.
    Terminai le compere in circa un'oretta e quando riaprii il cancelletto di casa ero con due buste piene di svariata roba. Carne di maiale, uova, tofu, riso, cetrioli e verdure varie.


    Pranzai con una ciotola di ramen comprato dal chiosco dietro casa, senza pretese di un pranzo lussuoso. Non ebbi nemmeno la cura di mangiarlo in cucina svaccandomi con scarsa grazie sul pavimento, tenendo un cuscino dietro la schiena.
    Rimasi a fissare il soffitto per una buona mezzora, poi allungai una mano sul letto per afferrare Ryo, ergo, il pinguino che Akira aveva vinto mentre mi aveva legata, imbavagliata e nascosta in un koinobori. Lo tenni alzato per fissarlo per alcuni secondi, dunque sorrisi nel ripensare a quella sera. Era stata fin troppo divertente, nonostante la “prigionia”. Mi alzai da terra e presi la ciotola di ramen, per tornare in cucina a pulire il tutto ed iniziare a preparare qualcosina così per passare il tempo.



    Avevo passato buona parte del pomeriggio a cucinare. Avevo sempre dovuto cavarmela da sola in cucina. Quando ero piccolo mio padre, con tutta la premura del mondo, preparava da mangiare cucinando piatti più che dignitosi ma a circa tredici anni decisi di prendere possesso di quel ruolo e mio padre capì due cose: avevo preso il talento di mia madre tra i fornelli e che ero disposta a coltivarlo studiando e provando.
    Come ogni cosa. Quando avevo la necessità di imparare qualcosa cercavo un libro o un maestro e la imparavo con pazienza. In breve ero divenuta ben più brava di lui in cucina, tant'è da poter essere catalogata come “cuoca provetta”.
    Di necessità virtù, diceva un antico adagio.
    Quando Akira bussò alla porta di casa non avevo ancora finito ma del resto non avevo in programma di finire prima che lui arrivasse. Stavo ancora friggendo i Tonkatsu e la zuppa di misou era quasi pronta. Lasciai i vari attrezzi e corsi verso la porta, conscia che sul fuoco c'era una cotoletta che richiedeva d'esser girata al più presto.
    Aprii la porta ed Akira ebbe modo di vedermi. Dovevo indossare anche qualcosa di carino sotto altrimenti non si spiegava il perché del grembiule da cucina a motivi floreali e con una aragosta ricamata sopra che faceva a pugni con lo sfondo. Oh, eccoti! Dissi, con una evidente fretta addosso. Scusa la fretta ma non voglio far bruciar nulla, entra ed accomodati! E corsi nuovamente in cucina.
    Se mi avesse raggiunto mi sarei voltata verso di lui, con un occhio sempre attento alla cottura. È quasi pronto tutto, spero che ti piacciano i tonkatsu, la zuppa di misou e del sounomono. Ed ho anche preparato un dolce. Dissi, mentre girando la manopola del gas spegnevo la fiamma sul tonkatsu, mettendolo in un piatto.
    Mh... va in soggiorno, ho apparecchiato di lì. Dissi. In cucina c'era un tavolo alto, ma era del tutto occupato dagli scarti di lavorazione della cena, così avevo apparecchiato in soggiorno. Lì vi era un tradizionale tavolino basso con due morbidi cuscini ed era praticamente tutto pronto fatta eccezione per il cibo che ancora stava terminando di cuocere.
    Due piatti con la sounomono erano già in tavola e poi un piatto centrale pieno di verdura e gamberi fritti (cosiddetta tempura). Dopo pochi minuti entrai, reggendo in mano due piatti contenenti una spessa cotoletta di maiale dall'aria succulenta e dunque andai a recuperare anche la zuppa di misou, riempiendone due ciotole.
    Solo allora mi tolsi quel (ridicolo) grembiule da cucina, gettandolo senza troppi complimenti sul tavolo in cucina. Non ero mai stata così indecisa sulla scelta di un capo di vestiario prima di quel momento. In genere finivo per raccattare senza troppi pensieri qualcosa senza badar troppo limitandomi ad evitare improbabili accostamenti cromatici. In genere il dilemma sarebbe stato tra lo scegliere vestiti "troppo provocanti" o "troppo poco", ma mi resi conto che dei primi non ve n'era nemmeno l'ombra. Così alla fine decisi di indossare un semplice maglione che lasciava entrambe le mie (esili) spalle scoperte e dei pantaloni neri. Era il meglio che riuscissi a trovare in quel disastro che era considerato il mio guardaroba.
    Spero che sia tutto buono. Dissi, tradendo appena un po' di preoccupazione nella voce. Quella era la prima volta che cucinavo per qualcuno che non fosse mio padre. Itadakimasu! Dissi, iniziando a sentirmi realmente affamata (ed il sonoro brontolio del mio stomaco ne fu una prova più che concreta).
    Con le bacchette afferrai un gambero fritto e me lo portai alla bocca, masticandolo lentamente. Allora domandai, dopo aver mandato giù il boccone. Che ha detto tuo zio delle spade e della promozione? Anche se essendo tuo zio immagino che abbia preso molto meglio la prima notizia che la seconda. Dissi ridendo appena, prima di mangiare un altro gambero.
    E le preoccupazioni, svanirono.


    Spero di ricordar bene che il significato del titolo del tuo pg in scheda x'DDDDDDD
     
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    Appena sentii il rumore della porta di casa chiudersi, con i passi di Ryo che si allontanavano dal piccolo vialetto della mia proprietà, tornai con tutto il corpo all'interno della grande vasca, immergendomi completamente nell'acqua calda. Il continuo fluire dell'acqua a quella temperatura, con complicità delle finestre e delle porte chiuse, aveva dato origine ad un livello di umidità e vapore nell'aria per cui tutte gli specchi del bagno erano ormai appannati, mentre in tutta la stanza sembrava esserci una fitta nebbia, come in una classica mattinata di Kiri. Quello era il mio habitat perfetto, dove potevo ritrovare le energie perdute e lasciarmi andare al meritato riposo dopo essere sopravvissuto a quei giorni di immotivato - con il senno di poi - pericolo.
    Eravamo riusciti a rimanere in vita anche quella volta, io e lei insieme.
    Fin da quando ci eravamo conosciuti non ricordavo una missione, un evento - tranne pochissimi casi sporadici - in cui non avevamo rischiato di finire male per colpa di qualcosa di realmente più grande di noi. Fin dalla nostra prima missione, quando eravamo solo degli studenti, in cui ci trovammo ad affrontare la Confraternita della Nebbia di Sangue, passando per l'attacco a Suna da parte dei Kijin, per la nostra gita fuori porta a Taki, in cui riuscimmo a sviluppare le nostre relative tecniche di clan sopite, quindi di nuovo Taki, e alla fine Genosha. Sempre insieme, o quasi, ad affrontare pericoli ed avventure, che fosse una valanga di neve o un guerriero dell'estremo ovest aveva poca importanza. Io finivo sempre a terra, quasi morente, e lei era sempre pronta a curarmi, al mio fianco.
    Sorrisi da solo, al ricordo di tutti quei eventi, e ancor di più quando finalmente giunsi al pensare dell'ultima sera, in quel piccolo e caldo rifugio in mezzo a tanto gelo e pericolo. Ai suoi grandi occhi che guardavano i miei, alle sua calde labbra che sfioravano le mie. Non che fosse andato tutto per il meglio, visto anche la presenza ingombrante e alcolica di Samoru, e quelle non meno fastidiose dell'Eremita e di Sanjuro. Però, sebbene in quel momento avrei voluto tagliare la testa a tutti i presenti, mi avevano, in un certo modo, salvato.
    Così avrei fatto se avessimo continuato a rimanere soli in quella stanza?
    Sinceramente, non riuscivo a trovare una risposta, anche se, in quella stanza, in quel momento, non avevo nessuno a cui rendere conto. Cosa rappresentava realmente Meika per me?
    Lei era stata forse la mia prima vera amica, forse qualcosa in più, anche se non l'avevo mai veramente vista come tale, vista anche la mia sporca abitudine di provarci con tutte dato il mio innamoramento facile, ma ero pronto a fare un qualcosa in più ancora? Cosa volevo? Cosa voleva il mio cuore?
    Non riuscivo a trovare una risposta a quei quesiti, e più il tempo passava in quella vasca, più le domande parevano rimanere senza risposta. Sbuffai, spazientito dalla mia stessa persona, perennemente in bilico tra l'amore per l'inesplorato e per quello certo, per l'odio tra le catene della sicurezza e per la solitudine, alzandomi dopo non so quanto tempo dalla vasca ed uscendo da essa, dopo che anche l'acqua era diventata fredda e il vapore si era dissolto nella stanza. Non persi tempo ad asciugarmi ed incominciai a girare per casa nudo, bagnando con il corpo ogni stanza in cui entravo, finché non decisi di lasciarmi cadere sul letto, mettendomi un cuscino sulla faccia, quasi a soffocarmi da solo. Sono un idiota... Non che fosse una novità, ma ogni tanto faceva bene ricordarselo anche da solo. E mentre maledivo me stesso e la mia indecisione, senza accorgermi, mi addormentai, lasciando posto ai sogni in cambio dei miei cupi pensieri.

    Mi svegliai quasi come mi addormentai, solo che parecchie ore dopo.
    Troppe ore dopo.
    Il pomeriggio era passato ed ormai la sera sopraggiungeva, quando, tirando via il cuscino dal volto, mi accorsi che avevo poco più di mezz'ora di tempo per raggiungere Meika a casa sua. Saltai giù dal letto, ancor più preoccupato di come mi ero addormentato. Se fossi arrivato in ritardo avrei avuto ben poche preoccupazioni per tutto quello che c'era stato, visto che Meika mi avrebbe probabilmente creato un meteorite immaginario per farmela pagare. Ormai asciutto, sebbene ancora - come sempre - spettinato, decisi in poco tempo il vestiario per quella sera: pantaloni color bianco con un maglioncino a dolcevita color blu. In men che non si dicesse riuscii anche a pettinarmi, più o meno, riuscendo a dare un senso a quella folta chioma di color blu, con il mio ciuffo albino ben sistemato davanti a tutti. Uscii di casa quasi correndo, e correndo raggiunsi il quartiere Akuma, passando prima per un piccolo botteghino da cui comprai una bottiglia di vino bianco abbastanza pregiato. Va bene che non ero un signore con le buone maniere, ma presentarmi a mani vuote sarebbe stato anche troppo scortese. Arrivato ormai in prossimità della casa di Meika, smisi di correre, con un fiatone evidente. Recuperai in poco tempo il fiato, e quando il fiatone fu del tutto scomparso, mi apprestai ad andare a bussare alla porta di Meika.
    Quando lei mi aprì la porta con indosso un alquanto stravagante grembiule, non riuscii a trattenere le risate. Direi che sono anche troppo elegante questa sera allora! Ho portato una bottiglia di vino, così... Per festeggiare... Scherzai, mentre Meika mi faceva accomodare in casa, correndo però subito in cucina. La seguii poco dopo, notando come si fosse data un gran da fare. Ah però! Non sapevo fossi una cuoca provetta! Ero abituato alle lepri allo spiedo... Sorrisi, mentre mi avvicinai, quasi d'istinto, alle sue spalle, mentre lei era intenta a continuare a cucinare. Appoggiai le mie mani sulle sue spalle e la baciai delicatamente sulla guancia, allontanandomi immediatamente. Mi piace tutto, non preoccuparti... Sono di bocca buona! Esclamai, prima di spostarmi nel soggiorno, tutto adibito alla cena nel migliore dei modi possibili. Pochi minuti dopo Meika mi raggiunse, sedendosi di fronte a me al tavolo, dopo aver abbandonato quel divertente grembiule e aver portato le mille pietanze. Oh, che peccato... Quel gamberone ti donava proprio. Gli sorrisi, prendendo le bacchette in mano. Sono sicuro che sarà tutto buono, non preoccuparti! Presi, dopo di lei, un gamberone fritto dal centro tavola, portandolo immediatamente alla bocca. L'essermi addormentato non mi aveva permesso di pranzare, e mi accorsi di essere affamato come un lupo solo quando l'impanatura del gamberone toccò la mia lingua. Mandai giù il boccone. E' ottimo! Dissi. Anche se si dice che fritti sono buoni anche i calzari ninja! Continuai, scherzando, e a riprova di ciò portai alla bocca subito un altro boccone di gambero e verdura. Dici bene! Risi. Il suo primo appunto è stato che ero stato rimasto genin anche troppo a lungo, e ha aggiunto immediatamente che una delle spade deve essere mia! Passai a mangiare un boccone di riso. Non che abbia tutti i torti, penso proprio di essermela meritata! Presi la bottiglia di vino dal centro tavolo, e riempii i bicchieri, porgendo a Meika il suo e prendendo poi il mio. Allora... A che brindiamo...? Chiesi, mentre mi pulivo le labbra dalla pastella del fritto. Alle Sette? Ero certo che mi avrebbe fulminaot con gli occhi. Scherzo, scherzo... All'essere vivi? Riprovai. A... Noi?
    Questo doveva andare bene.
     
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  3. -Meika
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    Quando aprii la porta vidi il solito Akira. Ero più abituata a vederlo in abiti di servizio che in vestiti civili, così per un attimo rimasi spiazzata come se mi aspettassi di vederlo con la solita maglia bianca e azzurra, il fuuma kunai sulla schiena e sacche alla cinta. In più portò una bottiglia di vino bianco. Sorrisi appena, evitando di dire un circostanziale “non dovevi”.
    Mentre ero ai fornelli sentii i suoi passi avvicinarsi e quando lui mise le sue mani sulle mie spalle sentii chiaramente il cuore mancare un battito e quando mi baciò la guancia il viso avvampare. Lui si allontanò, non facendo nemmeno una battuta riguardo quel rossore.
    Semplicemente virò sulle pietanze che avevo cucinato durante l'ultima missione. Bé, da quando la mamma è morta ho fatto di necessità virtù. E poi mi piace. Era vero. Non avrei dedicato tutto quell'impegno per cercare di cucinare sempre meglio se non mi avesse divertito. Amavo provare e sperimentare. Per me la cucina era più un hobby, con sentiti ringraziamenti di mio padre.
    Dopo aver servito i piatti ed essermi tolta di dosso quel grembiule lui commentò con una battuto l'orrore che quel capo doveva avergli suscitato. Alzai un sopracciglio, senza riuscire a non sorridere appena mentre mi sedevo di fronte a lui. Le scelte di mio padre. Dissi solamente. Quel grembiule l'aveva acquistato lui in un mercatino durante la Fiera Invernale del Villaggio qualche anno prima. Appena l'avevo visto ero rimasta perplessa ma dovendolo usare solo in casa ed avendo io circa quindici anni d'età all'epoca, pensai che alla fine andasse bene lo stesso.
    meika77
    Mh, consiglio, se devi fare un complimento fermati alla parte in cui il complimento è sensato e taglia il resto che lo sminuisce. Lo canzonai quando mi disse che il tutto sembrava buono, ma che “anche i calzari ninja fritti lo erano”. Risi però, evidentemente divertita e non offesa. Lo conoscevo troppo bene per prendermela per quel suo modo di fare.
    Il discorso poi si spostò sulle spade e la promozione. Suo zio doveva essere severo (Akira se ne ero lamentato più volte) ed espresse la sua voglia di possedere una delle nuove Sette che sarebbero state forgiate da lì a breve. Sorrisi appena, annuendo Sono sicuro che ne avrai una, cavolo. Abbiamo passato l'inferno per prendere quel metallo e sei anche uno spadaccino! Dissi, sinceramente. Il ricordo dei geli di Genosha era ancora troppo vivido per scherzare sul fatto che “un idiota come te potrebbe ambire al massimo ad un kunai con i bordi smussati”. Ci meritavamo tutti i premi di questo modo per aver portato a termine quella sotto specie di gara di sopravvivenza mista a missione. Io non saprei che farmene, giuro. Anche se proprio me ne desse una, io sono totalmente inutile con un'arma così in mano. Presi un pezzo di carne, infilandolo in bocca. A meno che non sia una spara-dardi. Sarebbe ottima per avvelenare. Akira poté notare una strana luce sul fondo dei miei occhi. Quella sì che sarebbe stata un'arma adatta a me.
    La mia corporatura gracile mi rendevano una spadaccina pressoché inutile. Avevo rinunciato da tempo ad allenare i miei muscoli alla forza. Era inutile: non sarei di certo stata in prima linea a combattere col mio corpo.
    Al contrario di Akira.
    Dopodiché lui stappò il vino bianco che aveva portato e riempì due bicchieri, porgendomene uno. Lo soppesai per un lungo istante, mentre l'odore della bevanda mi pungeva la narici. Lui mi chiese a cosa avremmo dovuto brindare, ed io mi trovai in seria difficoltà. Quando si veniva a brindisi non sapevo mai cosa dire.
    Akira propose alla Sette, al che – fossimo stati su un tavolo normale – gli avrei calciato gli stinchi. Uomini e la loro fissazione per le spade! Ci brinderemo quando saranno forgiate. Dissi, facendo un'infantile linguaccia. Dunque passò ad un discorso più serio, proponendo un brindisi al fatto che eravamo ancora vivi. Un brindisi a noi. Sorrisi, allungando il mio bicchiere fino a farlo toccare col suo. A noi... E bevvi un sorso del vino.
    Era aspro, ma buono. Ne bevvi un secondo e poi il bicchiere sul tavolo, guardando poi Akira in viso. Riprendemmo a mangiare dopo quel brindisi. Assaporai il tonkatsu che avevo preparato, appurando che era venuto bene e mangiai anche un po' di insalata. Anche Akira sembrava essere affamato.
    O sono straordinariamente brava, o hai saltato il pranzo. Dissi, divertita. Anche io in realtà avevo "saltato il pranzo". Mezza porzione di ramen presa da un banchetto e mangiata a malavoglia non era considerato un pranzo nemmeno nei peggiori bassifondi del Porto di Kiri.
    Così mangiammo, parlammo e pian piano tre quarti della mia porzione di tonkatsu era scomparsa, i gamberi e verdure fritte erano un ricordo e la mia insalata a metà. Così come la bottiglia di vina, ridotta ad un quarto.
    Avevo del tutto dimenticato l'acqua. Non ero (ancora) brilla, ma sapevo che prima o poi l'alcool avrebbe raggiungo il sangue e da lì il mio cervello. Anzi, stava già in parte accadendo.
    Sentivo la testa leggera, vagare nei pensieri nei quali avevo indugiato per tutto il giorno. Volevo parlare, ma non sapevo se farlo ora.
    Avrei dovuto attendere? E sopratutto che dovevo dire? Come dovevo dirlo? Perché ero così confusa? Ah, l'alcool. Con ogni probabilità.
    Non avevo pensato minimamente a cosa dire, come dirlo e quando dirlo. Avevo invitato Akira lì a casa quella senza senza avere nemmeno l'esatta percezione di ciò che intendessi fare, agendo più d'istinto che di coscienza. Volevo solo passare un po' di tempo con lui, in un ambiente privo di interferenze che si manifestavano sotto forma di Samoru.
    Pensai a cosa sarebbe potuto accadere quella sera se fossimo rimasti davvero soli. Dove mi avrebbe portato l'istinto? Forse era stato un bene che Samoru si fosse intromesso, ma non sapevo quanto questo avrebbe realmente cambiato le cose – almeno dal mio punto di vista – perché non ero solita mentire a me stessa: ero stata bene, mi ero sentita felice.
    Senza che me ne rendessi conto le guance di erano imporporate e non ero certa che la colpa fosse della misera quantità di alcool che avevo ingerito.
    Ehm, sì... afferrai (infilzai) un altro pezzo della mia carne, mangiandolo quasi nervosamente. Akira poteva vedere che qualche pensiero mi aveva scosso, non potevo di certo utilizzare le mie doti recitative con lui. Ingoiai il boccone e bevvi un altro sorso di vino, dunque, con calma, sospirai.
    A che serviva rimandare?





    meika55



    Scusa. In genere non era un buon segno quando una donna iniziava un discorso con “scusa”. Forse dovevo attendere almeno il dolce... il tono era abbastanza agitato. I pensieri avevano vagato liberamente senza che me ne rendessi conto, così alla fine lo stomaco si era praticamente annodato su se stesso e dovetti posare le bacchette e stringere le mani tra loro sotto il tavolo per impedire che si capisse con chiarezza che non riuscivano a star ferme.
    Stupida, emotiva, Meika.
    Mi sono lasciata prendere dai pensieri. Sospirai, abbassando poi lo sguardo sulla carne finita a tre quarti. Non avevo ancora toccato la zuppa di misou però. Forse tu stai pensando che sia stato un errore... a quel punto avrebbe potuto pensare che avrei detto da lì a poco “lo è stato anche per me” ... Questo dovrebbe essere il punto in cui una ragazza dice “non voglio perdere un così caro amico”... Ma che stavo dicendo e sopratutto, come lo stavo dicendo? Qualsiasi cosa stessi cercando di affrontare lo stavo facendo decisamente male visto che tutto era fraintendibile dalla prima all'ultima parola. Dopotutto dovrebbe essere più facile così, dimenticare tutto e fare come se quel bacio non fosse mai accaduto... insomma, forse non avrei dovuto cedere a me stessa. Probabilmente Akira a quel punto stava subendo un arresto cardiaco. Ma...


    Che parola potente era “ma”. Aveva la forza di annullare un sacco di sciocchezze dette precedentemente quasi a sproposito, ribaltando totalmente il senso (apparente) di un discorso. Non mi rendevo conto del mio pessimo approccio alla questione, ero troppo nervosa ed inesperta per poter tenere una fredda calma in quel momento.
    Quelle sono solo le scuse che noi ragazze usiamo per scaricare chi non ci piace. Era quello il punto focale della questione: ero stata bene. Ero stata bene nel momento in cui l'avevo baciato, ero stata bene quando avevo capito che lui avrebbe risposto, ero stata bene quando al mattino dopo mi sono svegliata ancora lì, tra le sue braccia. Ero stata semplicemente troppo bene per poter pensare che fosse un errore.
    Se fosse stato un errore avrei dovuto pentirmene, eppure nel marasma di sentimenti che provavo non vi era alcun rimorso.
    ... ed allora non le userò, Akira. Forse tu sì, lo capisco... ma nel rifugio sono stata sincera, in tutto. Quelle ultime parole erano state pronunciate quasi a bassa voce. L'emozione mi aveva fatto salire le lacrime agli occhi, ma le ricacciai indietro con uno sforzo titanico.
    Col timore di ciò che avrei potuto leggere sul viso di Akira, rialzai gli occhi. Avevo sempre parlato per battute, espresso i miei sentimenti con sarcasmo. Akira aveva già conosciuto quel lato sincero di me che difficilmente mostravo ad altre persone. L'aveva conosciuto per la prima volta a Taki, sulla barca durante il viaggio di ritorno e lo stava rivedendo ora. Non c'era spazio per chiudere tutto con una battuta, ridendo.
    Non quella volta.
     
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    Il Fiore e la Bestia

    II


    L'ultimo mio tentativo di brindisi andò a buon fine. Meika sorrise, leggermente arrossata in volto, dopo aver letto chiaramente nei suoi occhi la volontà di ficcarmi le bacchette nella trachea quando proposi di brindare alle spade. D'altronde, me lo dovevo aspettare, però la mia poca lucidità unita alla frenesia e all'entusiasmo di aver recuperato il metallo - e anche di essere tornati vivi da Genosha, ovviamente - avevano preso, ancora una volta, il sopravvento. Sorrisi a mia volta, brindando, e bevendo un bel sorso di vino dal bicchiere, senza sorseggiarlo come da prassi e buon costume. Dopo aver dormito sotto una coperta di orso appena scuoiato le buone maniere erano andate a farsi benedire ai kami. Non male, vero? Esclamai, soddisfatto della scelta. In verità mi ero fatto consigliare dal venditore, visto che di vino non ne sapevo nulla, però fui gratificato comunque dal buon sapore della bottiglia acquistata. Di solito bevevo acqua. Tanta acqua, e Meika lo sapeva, però per una sera potevo fare uno strappo alla regola. Comunque non penso forgeranno mai una spara-dardi... Con tutto il rispetto, eh... Però sprecare così del buon metallo... Sarebbe un oltraggio! Mi ficcai un pezzo di carne in bocca. Diciamo entrambe! Un altro pezzo di carne in bocca. E' tutto molto buono, anche se il sunomono non mi ha mai fatto impazzire. Comunque si, mi sono addormentato e non ho pranzato, per questo sono così affamato. Ammisi, anche se nulla di quello voleva togliere qualcosa alla bontà dei piatti preparati da Meika. Così la serata continuò, mangiammo e bevemmo vino a quantità, tralasciando volutamente l'acqua. Mi accorsi di poter bere una grande quantità di vino senza sentirlo troppo andare alla testa, molto probabilmente era perché avevo così tanta acqua in corpo che l'alcol si disperdeva meglio che negli altri corpi. Lo stesso non si poteva dire di Meika, la quale espressione, quando ormai la bottiglia era quasi terminata, poteva raramente tradire una condizione leggermente brilla. Non glielo feci notare, sperando, però, che le sue condizioni non peggiorassero in breve tempo. Sapevamo entrambi molto bene che, prima o poi, qualcuno avrebbe introdotto l'argomento principe. Sapevo che il momento sarebbe stato, molto probabilmente, dopo il fantomatico dolce preparato, ma un leggero pizzico di ansia adesso era comprensibile. Quello che era successo, prima nella grotta, e poi nel rifugio a Genosha, almeno finché il fantastico trio di guardini strampalati non decise di interromperci, non poteva passare inosservato, ed entrambi avremmo avuto bisogno di parlarne. Io, volontariamente, forse con un po' di timore, avevo deciso di non pensarci, di agire seguendo le emozioni quando tutto ciò mi si sarebbe parato davanti, e adesso, che sentivo il momento arrivare fatidico, anche nolente, non potevo permettere ai pensieri di scorrere indisturbati nella mia testa. La felicità del momento, sconfinata, in mezzo a tanto gelo e paura, era stato un faro in quell'isola prigione. Mi resi conto di fissare il piatto, quasi imbambolato, quando Meika interruppe il silenzio che si era creato. Eh! Sì, cosa? Pensavo di essermi perso un passaggio, di non aver sentito l'inizio della frase. Si stava scusando per aver preparato il sunomono, doveva essere questo. Non ti devi scusare, Meika... Non hai colpe. Come poteva saperlo, d'altronde? Dico veramente, non ha importanza! Non avevi alcun modo di saperlo! Il dolce può aspettare, è tutto squisito! Perché così tanti sensi di colpa per un insignificante piatto di contorno?! Veramente c'hai pensato così tanto? Non pensavo di essere stato così duro. Non è stato un errore! Cosa dici?! Cosa ti salta in mente?! Si stava logorando da tutta la cena per quel piatto, come avevo fatto a non notarlo prima? Non mi perderai... Sei impazzita? Cercai la sua mano sul tavolo, incominciandola a stringere. Non mi perderai per un banalissimo ed idiota sunomono! Solo allora capii di non aver assolutamente compreso nulla. Ah. Mi sentii morire, desiderando di esplodere al momento, o di prendere fuoco, o di essere inghiottito in una voragine. Non parlavi del sunomono allora...
    Questa poteva essere una delle migliori gaf della storia del mondo ninja. Dovevo recuperare il filo dal discorso, ma non avevo idea di come fare. Avevo pensato stesse parlando del piatto fino a dieci secondi prima, dimenticando quasi quello che aveva detto. Meika non aveva atteso il dolce, e neanche la fine della cena, prendendomi completamente di sorpresa. Dovevo fare qualcosa, altrimenti sarei stato divorato dalla sua furia omicida. Quella era una dichiarazione, la dichiarazione di Meika, la migliore amica fino ad un giorno prima, la persona con cui avevo condiviso più avventure, emozioni, pericoli, gioie e dolori in tutta la mia vita. Era la figura più importante di tutta la mia vita, lo sapevo, sunomono o meno. Lei aveva parlato di dimenticare, di scuse, di errori, di perdite, ed io di verdure sotto aceto. Ero nel panico più totale, e c'era solo un modo per uscirne. Divenni paonazzo definitivamente, se già non lo ero diventato prima, ma decisi di mettermi, seppur le ginocchia tremassero. Avrei incominciato a camminare, girando intorno al tavolo, e finendo con il mettermi in ginocchio a pochi centimetri da Meika. La guardai negli occhi, grandi e bui, per molti, silenziosi istanti. Anche io sono stato sincero... Poggiai le mie mani sulle sue spalle, mentre la destra si avvicinava lentamente al suo collo, sfiorandolo delicatamente. I nostri due visi erano ormai a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro. E se c'è una cosa di cui sono sicuro in questa vita è... E' che non mi perderai. La baciai quindi sulle labbra, non fugacemente, ma un bacio lungo e passionale. Non posso perderti, lo capisci? Non adesso... Il cuore si era quasi calmato adesso, ora che mi ero liberato di quel peso.
    La mia idiozia non mi aveva dato la possibilità di ragionare, cosa in cui non ero particolarmente avvezzo, ma che forse in quella situazione sarebbe potuto essere solo un problema.
    I sentimenti non mentivano e non sbagliavano mai.

     
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  5. -Meika
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    III



    Poi arrivavano quei momenti in cui ti chiedevi come fosse possibile che ti piacesse un tale idiota.
    Mentre lo pensavo immaginai che a qualsiasi donna fosse capitato almeno una volta nella vita ma sospettavo che Akira me ne avrebbe dato occasione più e più volte.
    Aveva frainteso tutto! Per un lungo istante rimasi in silenzio, con lo sguardo perplesso, stringendo appena la sua mano nella mia. Poi man mano che la consapevolezza delle sue parole giunse al mio cervello venendo – con un po' di difficoltà – elaborate la mia mandibola si separò sempre più dalla mascella fino che non assunsi la classica posa “a bocca aperta”.

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    ... Il sunom... rimasi così in silenzio. L'altra mia mano, lentamente, andò a stamparsi davanti la mia faccia mentre l'emozione che fino a quel momento avevo provato fu all'improvviso allentata assieme alla tensione da una specie di risata sincera ma nervosa allo stesso tempo.
    ... provai a pensare a qualcosa, ma mi accorsi che dalle mie labbra sarebbero uscite solo minacce o imprecazioni, così finii per star zitta, ma dietro di se Akira poteva percepire (sebbene non lo stessi effettivamente creando) il suo peggior nemico: un uomo alto sei metri composto del tutto da rotoli di carta assorbente.
    Il peggior nemico di qualsiasi Hozuki.


    Lui, invece, rimase in silenzio. Risi poco ma quando rialzai lo sguardo vidi che era arrossito. Per la seconda volta da che lo conoscevo era rimasto senza parole. Il risultato, dovetti ammettere con me stessa, era notevole.
    Si alzò, si avvicinò a me ed io gli feci appena posto. D'un tratto sembrava essere tornato serio. Fino a poco prima la stanza era piena di parole, risate, di profumo di cibo e vino. Sembrava essere tutto sparito: c'eravamo solo noi ed il rumore del nostro cuore.
    Poi parlò e le sue parole furono dolci. Alzò le mani, le posò sulle mie spalle esili ma la destra proseguì verso l'alto sfiorando il mio collo. Parlò ancora, confessando che non l'avrei perso. Compresi che avevo detto un sacco di idiozie solo perché non avevo idea di dove iniziare: era la prima volta che mi succedeva, Era la prima volta che in vita mia dovevo affrontare quei discorsi e l'alcool che avevo ingerito più che disinibirmi aveva avuto l'effetto di farmi confondere le idee ancora di più. Lui rese tutto facile invece. Si avvicinò e disse la sola cosa che infondo ero certa di voler sentire e quando vidi il suo viso avvicinarsi al mio istintivamente, come se fosse un comando dettato dalla natura, chiusi gli occhi ed inclinai appena il capo, accettando e ricambiando quel bacio forse inatteso ma decisamente sperato che non fu come quello di Genosha. Non era un semplice contatto, dolce ma fugace, un gesto avventato eppur timido. Mi sentii avvampare e la sinistra andò sulla sua mano destra, stringendola appena ma senza spostarla mentre la destra passò al fianco del suo collo fino ai suoi capelli, che accarezzò con leggerezza per un lungo istante.
    Quando le nostre labbra si separarono decisi di non allontanarmi per niente, rimanendo con la fronte appoggiata contro la sua e con gli occhi chiusi. Le guance erano inevitabilmente arrossate ed il cuore sotto l'improvviso stimolo emotivo si stava muovendo ben oltre quelle che erano le mie reali necessità fisiologiche. Ogni battito sembrava essere un tuono nelle mie orecchie ma forse, per la prima volta da quella notte al rifugio mi sentivo realmente tranquilla.
    Non mi perderai. mormorai allora, con la voce ridotta ad un soffio. Mi allontanai allora giusto un po' per aprire gli occhi e vederlo in viso, mentre la mano destra andò sul suo viso seguendo la linea della mandibola per un tratto. ...Anche se rimarrai un grandissimo idiota. puntualizzai, riferendomi ovviamente alle sue parole di prima, tirandogli un delicato pizzico senza intenzioni nocive proprio dove avevo fermato le dita. La sounomono! Se non fossi la ragazza in questa storia sarebbe da raccontare ai posteri ed inserire nel libro delle cose da non dire ad una ragazza! Cosa che ovviamente non avrei fatto. Non volevo che si sapesse in giro che nel momento in cui mi ero dichiarata a lui Akira fosse riuscito magistralmente a fraintendere il mio decisamente confuso discorso in maniera così plateale.
    Però ero felice.
    Ero felice che avesse detto quelle parole, ero felice che mi avesse baciata ed alla fine quel malinteso non era forse una delle cose che mi piacevano di lui? L'essere sempre così spensierato eppure serio, se necessario? Un grosso peso sembrava che fosse sparito dal mio stomaco assieme alla paura di essere respinta.
    Allora passai entrambe le braccia attorno al suo collo e lo baciai e senza rendermene conto finimmo distesi in terra ed io addosso a lui. Quando allontanai il mio viso dal suo nuovamente non lo feci di molto. I capelli ricaddero in avanti ed anche se non fossero chissà quanto lunghi sapevo che gli solleticavano appena il viso. Misi entrambe le mani sul suo petto, stringendo appena, con delicatezza, il suo maglione tra le dita.
    Ci sarebbe il dolce... sussurrai ...ma per me può rimanere lì per un bel po'. Aggiunsi poi, abbassandomi nuovamente su di lui.
    Il dolce poteva attendere.
    Tutto il mondo poteva attendere, anche la notte intera.




    Edited by -Max - 6/1/2016, 12:01
     
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    III


    Sarebbe potuta andare peggio, sicuramente, anzi, mi era andata fin troppo bene.
    Quasi mi meraviglia della potenza che un unico, singolo gesto come un bacio poteva avere. Le nostre labbra si toccarono per solo pochi istanti, e il cuore parve fermarsi e allo stesso tempo esplodere in mille fragili pezzettini. Una sua mano strinse la mia, mentre l'altra salì dalla spalla fino al mio collo, quindi arrivò fino ai capelli. Sentii le sue morbide dita sfiorare, smuovendo di soli pochi millimetri, le punte dei miei strani capelli blu, finché non decisi di porre fine a quel bacio, allontanandomi di forse una manciata di centimetri dalla sua bocca, mentre lei poggiava la sua fronte contro la mia. Notai i suoi grandi occhi, chiusi, e le sue guance irrimediabilmente rosse, come ogni volta in cui facevo una battuta su di lei. O su di noi. Sorrisi, quasi istintivamente, sapendo che lei non avrebbe visto quel dolce sorriso e il torpore del mio viso in quell'istante, in quel momento in cui non desideravo altro che continuare a baciarla fino all'alba, solo per poi iniziare di nuovo. Meika, anche in tutta la sua fragilità, dolcezza e timidezza, adesso era l'unica persona con cui sarei voluto stare.
    La vidi allontanarsi, riaprendo gli occhi, mentre le dita sfioravano la mia guancia, infine pizzicandola. Me l'ero dimenticato e, comunque, mi era andata più che bene. Eh si, me lo merito... Ridacchiai, mentre con la mano destra incominciai ad accarezzargli il collo e i capelli. Nulla da eccepire... Mi sedetti vicino a lei, incrociando le gambe. Secondo me è una storia divertente, Itai potrebbe farsi due risate se gliela racconto! Minacciai l'Akuma, ovviamente scherzando, ma con uno strano ghigno maligno in volto.
    Alla mia provocazione non ci fu risposta mai più dolce, visto che entrambe le sue braccia andarono a cingere il mio collo e il suo corpo andò a finire sul mio. Eravamo entrambi stesi a terra, con il mio volto tra le sue braccia e i suoi fianchi tra le mie, mentre le nostre labbra si toccavano, più e più volte, per non so quanto tempo. Alla fine poggiò le sue mani sul mio petto, stringendo il maglione, mentre io andavo a portare le mie braccia dietro al mio collo, con le mani incrociate, così da formare una sorta di cuscino per la mia testa. I miei occhi scuri erano persi dentro ai suoi, e lo stesso valeva per lei. Niente sembrava capace di distrarmi da quella visione, nulla poteva rompere quel momento magico... Finché non nominò la parola dolce.
    Oh? Il dolce! Vero! Lo vado a prendere io, tranquilla! Esclamai, ingenuamente, senza finire di ascoltare le parole di Meika, alzandomi bruscamente, facendola sobbalzare di lato, credendo di fare cosa gradita ad entrambi. Mi scaraventai in cucina, prendendo il dolce dal frigo. Aveva preparato il kuzumochi, svariati pezzi tutti ben ordinati in un unico grande piatto circolare. Posai un attimo il piatto sul piano della cucina, mettendomi a cercare lo sciroppo dolce in varie credenze. Non volli disturbare Meika e, come sempre, feci un piccolo errore. Piccolo, alla fin fine, cosa significava confondere la boccetta dello sciroppo con quella dell'aceto balsamico? Cosparsi il dolce con lo sciroppo - aceto n.d.r. - quindi riportai il tutto in salotto, poggiandolo sul tavolino e ritrovando Meika dove l'avevo lasciata, probabilmente meno felice. Sembra squisito! Sei stata bravissima e dolcissima stasera a cucinare e ad avermi invitato... Sorrisi, ancora ignaro di cosa stavo per fare, mentre prendevo un piccolo pezzettino dal piatto e glielo avvicinai alla bocca, cercandola di imboccare.
    Inguaribile romantico. O disastro, fa lo stesso.

     
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  7. -Meika
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    Il Fiore e la Bestia

    IV



    Dolce. Non avrei dovuto pronunciare quella parola. Akira come ogni perfetto uomo che non comprendeva ciò che volesse dire una donna - ma che comprendeva perfettamente ciò che voleva dire il suo stomaco - si alzò, accorrendo a prendere il dolce che avevo preparato.
    Sospirai, rimettendomi seduta, cercando di sistemare (senza troppo successo) i capelli vagamente disordinati e calmare il battito del mio cuore che non accennava a ridursi. Sentii Akira armeggiare in cucina, ma non feci nulla, lasciandogli il compito di portare in tavola il kuzumochi. Quando lo vidi tornare non vidi lo sciroppo ma vidi che il denso liquido scuro era già stato versato sulla pietanza... per cui immaginai che l'avesse già fatto.
    Hai già versato anche lo sciroppo. Dissi facendogli spazio sul tavolino ingombrato di piatti e vettovaglie. Misi il mio piatto vuoto sul suo e ci sedemmo nuovamente vicini dalla mia parte.
    Ora, io non potevo immaginare che fosse stato in grado di incasinare qualcosa di semplice come un kuzumochi. Ero troppo con la testa tra le nuvole per immaginare che la zaffata di aceto che mi arrivò al naso provenisse dal dolce e non dal sounomono come immaginai. Così, seppur non senza imbarazzo (lui probabilmente era molto più romantico di me) accettai di assaggiare il primo boccone di quello che lui aveva trasformato in un disastro culinario.
    Bé, sì, volevo farlo... risposi abbastanza pateticamente ai suoi complimenti, dunque tirai indietro una ciocca di capelli per avvicinarmi verso il cucchiaino che reggeva il boccone della pietanza.


    Necessitai di alcuni secondi per elaborare il fattaccio. Non appena la lingua rimescolò gli ingredienti nella mia bocca la disgustosa combinazione di sapori esplose e tutte le reazioni che ne conseguirono furono riflessi di autodifesa: innanzitutto misi la mano sinistra davanti la bocca, mentre il mio viso assumeva un'espressione a metà tra il sorpreso ed il disgustato. Dunque la estra afferrò la bottiglia d'acqua e riempì un bicchiere mentre - per forza di cose - ero costretta a mandare giù il boccone dall'insolito sapore dolce-acido. Dunque tracannai con poca eleganza l'intero bicchiere di acqua, tossendo alla fine.
    Non... mangiarlo... riuscii a dire alla fine.
    Bleah. aggiunsi poi, osservando il "piatto".
    Devo aver sbagliato qualcosa, è disgustoso. E si vedeva che non era una esagerazione. Le mie reazioni erano state troppo forti per essere considerate una semplice "vergogna" per un piatto venuto male. Così mi alzai, afferrando il piatto di kuzomochi, per portarlo in cucina.
    Scusa, questa è venuta male davvero... Aggiunsi, sempre con quel tono disgustato. Mi voltai per andare a gettare il piatto quando sentii l'odore dell'aceto farsi più forte. Qualcosa allora iniziai ad intuirla: avvicinai il piatto al viso, lo annusai e conclusi che sì, quello era odore di aceto. Allora non mi fu difficile fare due più due.
    Ehm... Akira? Per caso hai preso la boccetta che c'era sul ripiano, quella con l'etichetta rovinata? Domandai... ed ovviamente era sì. Potevo vedere di lì che quella boccetta era spostata mentre quella dello sciroppo (che riposava tranquillamente in frigorifero) non era da nessuna parte. Così allora, morendomi un labbro, posai nuovamente il kuzomochi sul tavolo e mi sedetti.


    Con calma.


    Ma non potevo resistere.
    Improvvisamente le mie labbra si piegarono in una specie di sorriso evidentemente trattenuto. Hai... hai messo l'aceto sul kuzomochi... avrei dovuto aggiungere qualcos'altro a quella frase, ma non ci riuscii perché scoppiai a ridere, stendendomi a terra. Non potevo non ridere.
    Certo, Akira avrebbe potuto pensare che sarebbe stato normale che mi fossi infuriata, ma se ci pensava da che mi aveva conosciuto ero solita reagire con "rabbia" solo quando mi metteva in imbarazzo. Quella volta non ero io ad essere in imbarazzo, anzi, probabilmente lui si sarebbe sentito in imbarazzo per aver rovinato il dolce. Non che me ne importasse: per diverse ragioni quella serata da intendersi romantica stava proseguendo come circa i due terzi delle volte in cui, insieme, finivamo per fare cavolate o disastri di altro tipo.
    Passò più di un minuto prima di calmarmi, ed avevo le lacrime agli occhi. Non mi alzai però, guardando Akira dal basso verso l'alto, asciugandomi le lacrime che erano scese per il divertimento.
    Scusa per la risata. Dissi, non senza un po' di affanno nella voce. È che... dai come ci sei riuscito! Per caso ti ho mandato la testa tra le nuvole? Allungai una mano, punzecchiandogli un fianco con un dito. Cercavo di essere maliziosa, ma dopo tutto quello che era successo era più probabile che risultassi comica. Non fa niente, davvero. Era solo un dolce. Aggiunsi poi, giusto per essere sicura che non si sentisse troppo in colpa. Perché non lo provi? Così siamo pari. suggerii, quasi sfidandolo con lo sguardo. Sarebbe stato coraggioso abbastanza da assaggiare un cucchiaio della sua stessa opera culinaria?







    Edited by -Max - 10/1/2016, 15:52
     
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    Il Fiore e la Bestia

    IV


    Ero proprio un tesoro di ragazzo.
    Non che avessi avuto bisogno di conferme, d'altronde il mio grandissimo - ? - successo, continuo e ripetuto, con le donne testimoniava quelle parole, però faceva sempre piacere, anche solo in termini di autoconsiderazione - non che avessi problemi del genere, sicuramente - ammirare con i propri occhi la mia capacità con cui potevo mettere in difficoltà una ragazza, anche solo portando un semplice dolce e imboccandolo, dolcemente.
    Meika fece dapprima spazio sul tavolo, pieno di tutte le varie ciotole, piatti e piattini che avevamo utilizzato durante la lunga e squisita cena, composta da molteplici piatti e pietanze. Volevi farlo, e sei stata dolcissima... Sorrisi, anche io dolcemente, mentre si tirava indietro una leggera ciocca dei capelli scuri per avvicinarsi, in modo un po' impacciato, come tutta lei, d'altronde, verso il cucchiaino che avevo in mano. Ma la reazione fu del tutto inaspettata.
    L'espressione di Meika cambiò, radicalmente. Ehm... Che c'è? Chiesi, un po' spaesato. Ho messo troppo sciroppo? Domandai, mentre il boccone veniva mandato giù a forza e Meika procedeva a bere, tutto d'un fiato, un bicchiere d'acqua. Come è disgustoso? Dall'aspetto sembrava ottimo! Cercai di difendere la sua creazione. Sarai la solita esagerata! Non può essere così cattivo. Mi avvicinai al tavolino dove era riposto il resto del dolce, mentre Meika si alzava per buttare quello che era rimasto nel suo piatto. Presi il piatto in mano, con entrambe le mani, e incominciai a portarmelo verso il volto, così da poter guardare da vicino il dolce, per cercare di capire cosa non andasse.
    Non c'era niente che non andava, almeno non nell'aspetto. Uno strano odore arrivò al mio naso. Uhm? Incominciai ad annusare il piatto, in modo sicuramente poco elegante, come quasi fanno gli animali prima di cibarsi di qualcosa. In effetti... Ha un odore strano... E proprio in quel momento, Meika chiese se avessi preso la boccetta con l'etichetta rovinata. Si, quella dell'aceto, nella prima credenza in alto. P-p-perché? Capii solo adesso, ricollegando l'odore al prodotto, e la mia azione al disastro che avevo combinato.
    Forse, e dico forse, non avevo versato sciroppo dolce, ma aceto balsamico. Ehm... Inclinai leggermente la testa verso destra, sorridendo fanciullescamente, come quando un bambino che sa di aver appena fatto qualcosa di grave. Colpa... Mia...? Chiesi, ancora ingenuamente. Ma per fortuna Meika non si arrabbiò. Uff! Buttai fuori l'aria in un fragoroso sospiro, mentre Meika rotolava, letteralmente, sul pavimento per le risate. Scampato pericolo.
    Impiegò più di un minuto per riprendere l'autocontrollo, e io ne approfittai per versarmi un altro grosso bicchiere di vino. Il dolce era andato, ormai, ma non per questo la serata doveva finire così. L'imbarazzo, durato forse un paio di secondi abbondanti, lasciò presto spazio alla dolcezza e all'ironia con cui guardavo Meika ridere così di buon gusto. Non ti preoccupare, scusami per il dolce piuttosto! Gli avevo rovinato il dessert, e forse ne ero più dispiaciuto io che lei, vista la voglia di dolce che avevo in quel momento. Testa tra le nuvole?! Risi, rispondendo alla sua punzecchiatura con un piccolo pizzicotto alla sua guancia. A parte che ho sempre la testa tra le nuvole... Ma tu, ti devi impegnare un po' di più se vuoi farlo! La punzecchiai, ammiccando e facendogli un occhiolino. Ma a quel punto fu lei a sfidarmi. Ehm... No, grazie, rifiuto l'offerta! Declinai immediatamente l'invito. Preferirei sfidare un esercito di kappe! Anzi, ancora peggio, preferirei mangiare di nuovo quella specie di zuppa di muschio e radici che ci avevano servito! Ti ricordi che schifezza immane? Esclamai, poggiando il piatto del dolce di nuovo sul tavolo, per poi buttarmi nuovamente verso Meika, trascinandola con me sul pavimento, in un dolce, ma forte, abbraccio.
     
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  9. -Meika
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    V





    Pavido che non era altro! Io avevo assaggiato l'intruglio che mi aveva servito! Inoltre il ricordo del pessimo intruglio dei Kappa era una sensazione spiacevolissima da evocare. Tutti quei sapori di terra uniti all'acqua non avevano fatto altro che dare alla pietanza un gusto alquanto caratteristico. Fango.
    Il ricordo mi fece rabbrividire ma non feci in tempo a dir nulla che lui mi aveva ripresa ad abbracciata e finii sul pavimento stretta a lui. Penso che persino il kuzomuchi all'aceto sia meglio di quelle cose. Mormorai, non senza un certo divertimento.
    La testa era leggera. L'alcool che avevo ingerito aveva ovattato i miei sensi e la mia ragione. Leggera come non lo ero da molto tempo, felice di essere lì. Devo impegnarmi di più dici? sussurrai allora, riprendendo il discorso troncato dalla sua battutina, portando una mano sul suo viso. Potrei accettare la sfida, Hozuki. Sussurrai. Ero troppo presa da quella situazione per rendermi conto di cosa le sue parole avessero innescato nella mia testa. I Kappa. Non ci avevo pensato per un po', se non quando vedevo la foto di mia madre che campeggiava in casa... ma adesso che ero chunin poteva significare che ero pronta per tornare da loro. Ma non ci pensai, non volevo pensarci.
    Forse, semplicemente, non potevo farlo. Non mentre le nostre labbra si incontrarono ancora una volta, e poi ancora, ed ogni volta con più trasporto di prima. Sapevo di star perdendo il controllo delle mie azioni eppure non riuscivo a ritenere niente di tutto ciò un problema. Avevamo danzato per troppo tempo attorno a quei sentimenti.
    Il cielo plumbeo del pomeriggio scaricò la sua potenza sul Villaggio della Nebbia, spazzando via la coltre e sostituendola con un fitto manto piovoso che bombardava i tetti e le finestre di tutte le case dei kiriani con violenza. Il vento ululava, infiltrandosi tra le tegole del tutto di casa producendo strani sibili e fischi ai quali ero fin troppo abituata per farci caso. Nemmeno due minuti dopo e la luce tremolò prima di andar via del tutto. I tuoni rimbombarono nelle orecchie ma andava bene così.
    Akira... la mia voce ridotta ad un mugolio dall'intonazione strana. Mi alzai e nel farlo presi le sue mani per costringerlo a mettersi in piedi con me, dunque lasciai la sua mano destra. Il buio illuminato dalla tenue luce che proveniva dall'esterno forse non gli permetteva di scorgere i dettagli del mio viso ma l'espressione era ben diversa dal solito. Ero certa di ciò che facevo e l'alcool centrava ben poco. Ero leggera e stranamente lucida. A meno che non si fosse inspiegabilmente opposto l'avrei portato in camera mia, dimenticando - per il momento - il kuzomuchi all'aceto, i Kappa e tutto il resto.




    Il rumore della pioggia scrosciante riempiva ancora le mie orecchie. Di tanto in tanto un tuono obliterava quel suono frusciante col suo fragore e se il fulmine cadeva particolarmente vicino il rumore faceva tremare i vetri. Rimasi ferma a fissare il cielo scuro appena illuminato dalla luna che al di sopra delle nuvole splendeva luminosa. Mi voltai verso Akira, accoccolandomi contro il suo petto con dolcezza. La pioggia mi stava ricordando qualcosa che probabilmente avevo dimenticato... la pioggia, e l'acqua.
    Il pensiero dell'acqua mi fece tornare in mente la battuta sulle pietanze dei Kappa e dunque quel pensiero che mi aveva vagamente sfiorato precedentemente tornò quasi imperioso. Non potei trattenerlo.
    Sai... ora che sono stata promossa forse dovrei tornare dai Kappa. Dissi quasi distrattamente, anche se l'intenzione era seria. Shosei mi offrì di firmare il contratto con loro... e penso che lo farò. Dopotutto erano stati fedeli compagni di mia madre seppur per breve periodo e con onore ne avevano conservato i resti.
    Se avessi voluto legarmi a delle creature loro erano quelle con le quali intendevo farlo.




    Edited by -Max - 18/1/2016, 01:58
     
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    V


    Per fortuna, grazie anche alla frivolezza della situazione, contornata da quel leggerissimo velo di romanticismo che, anche se inconsapevolmente avevo provato a disfare con i miei fraintendimenti e casini vari, riuscii a scampare dalla sfida di Meika, ritrovandoci in men che non si dicesse a rotolare per terra. E mentre noi eravamo lì, distesi, senza pensieri se non quello che l'uno provava per l'altro, a baciarci, stringerci, giocare e scherzare, la pioggia cadeva battente sulla città, cancellando e spazzando via preoccupazioni e paure che fino a poco prima sembravano assalire i nostri cuori. Ad ogni tuono stringevo di più il suo corpo contro il mio, ad ogni nuova folata di vento un nuovo bacio sostituiva l'altro, ed ognuno era più intenso dell'altro. La mia mente era svuotata, il petto era pieno, ed ogni attimo in cui le nostre labbra si toccavano e poi si dividevano, sembrava che un'eternità passasse prima che il tutto ricominciasse da capo. Ancora, e ancora.
    Quando l'ennesimo tuono fece tremare l'aria attorno a noi, nel nostro piccolo regno sicuro che ci eravamo creati in quella sala da pranzo, Meika allontanò il suo viso dal mio, poi tutto il corpo, alzandosi in piedi e, facendolo, mi tirò a sé. Feci forza sulle gambe, e la seguii in piedi, in silenzio. Il gioco di ombre tra l'oscurità della sala e la sottile luce dei fulmini fuori non permettevano ai miei occhi di mettere a fuoco il suo viso, quindi con la mano destra cercai il suo volto, incominciando dai capelli, spostandogli la solita ciocca dietro l'orecchio, per poi scendere lentamente, dall'orecchio, alla guancia, alle labbra. Sussurrò il mio nome, e mi fece strada, tenendomi per mano. Non era più tempo di parlare, le parole avrebbero solo potuto far male, quindi mi limitai a seguire i suoi passi, dapprima sulle scale, poi nella sua stanza, e quando arrivammo nelle vicinanze del suo grande letto, bloccai il suo cammino, tirandola a me, lasciando la sua mano per afferrare i suoi fianchi con entrambe le mie mani. Avvicinai lentamente il mio viso al suo, toccando con il mio naso il suo per qualche, breve istante, prima di baciarla intensamente. Facendo forza sulle braccia, la presi in braccio, tenendola sospesa in aria dai fianchi, quindi, continuando a baciarla, la poggiai delicatamente sul letto, ed io mi distesi sopra di lei, sentendomi, per qualche tempo, in un certo senso, completo, come mai prima di allora.

    [...]

    La pioggia, dopo qualche ora, non aveva ancora finito di scendere. La fine della tempesta era vicina e almeno, in quel momento, il peggio era passato, infatti i grossi nuvoloni neri avevano lasciato apparire una splendente luna piena che con la sua luce illuminava i nostri corpi nudi, coperti solo da un leggero lenzuolo. Meika appoggiò la sua testa contro il mio petto ed io, in tutta risposta, le passai il braccio sotto la testa, sostituendomi al cuscino, mentre con quello opposto incominciai, delicatamente, ad accarezzare la sua spalla. Dopo tutto quel tempo di silenzio assordante, Meika parò nuovamente. Mh? Non potevo credere che quella era stata la sua prima preoccupazione dopo quel momento. Fammi capire... Non avrai mica pensato a qualche Kappa mentre noi... Beh, hai capito... Ridacchiai, mentre con una certa forza mi girai sul fianco, finendo per mettermi nuovamente sopra di lei, con entrambe le braccia ai suoi lati, e ricominciando a baciarla. Potevi dirmelo prima! Mica mi offendevo! La abbracciai e, sfruttando il peso del corpo e le mie braccia, girai su me stesso, abbracciandola attorno alla vita e finendo con me sotto, e lei sopra il mio corpo. La guardai, sorridente. Penso che potrebbe essere una buona idea... Sono brutti, e non sanno cucinare, però sono compagni fidati... Tua madre si fidava di loro, e loro l'hanno ripagata, in un certo modo. Baciai il suo naso. Potremmo farci una passeggiata la settimana prossima... Avvertendo Itai prima, questa volta. L'ultima cazziata mi era bastata, e non volevo che la mia permanenza sulle mura continuasse ad oltranza. Questa volta non dovrebbe esserci pericolo... Non dovrebbe... Non era mai detta l'ultima parola, la nostra sfortuna ormai era rinomata. Mmmhhh... La mia testa vagò tra i mille pensieri, dall'Artista al padre di mia madre, a Mizukami. Era ancora spezzata, era ancora nella teca su Aogashima. Dopo che la mia visita all'Artista si era rivelata, almeno per quanto riguardava quell'aspetto, fallimentare, non avevo più cercato veramente un modo per poter riforgiare la spada del clan di mia madre, e, tutto d'un tratto, mi sentii come in colpa per quella mancanza. Avevo dato importanza al mio addestramento, alla ricerca delle nuove spade di Kiri, alla mia crescita personale, lasciando da parte la promessa che avevo fatto a mio nonno. Forse potrebbe essere utile anche per me... Una strana idea nacque nella mia testa. Se non avevo trovato nessuno in grado di riforgiare Mizukami... Lo farò io! Esclamai, tutto d'un tratto, mettendomi improvvisamente in piede, lasciando cadere Meika al lato del letto, mentre le mie nudità erano messe in chiaro dalla luce della luna. Un uomo nudo, in piedi su un letto, che aveva appena deciso di diventare un fabbro.
    Tutto ciò che una donna poteva desiderare.


     
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  11. -Meika
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    Il Fiore e la Bestia

    VI



    Tentai, con scarso successo, di non ridere quando mi chiese, scherzando se non avessi pensato a Kappa nel mentre. Sentii il suo peso schiacciare il mio corpo, ma non ne fui infastidita. Passai le mani appena sulla sua schiena, aspettando che le nostre labbra si allontanassero per rispondere.
    Ah no, mi ci hai fatto pensare prima, puntualizzai. Lui non riuscì a rimaner fermo e ci rigirò e senza potermi e volermi opporre al movimento finii su di lui. Istintivamente intrecciai una gamba tra le sue e posai la testa sul suo petto e le parole giunsero da lì mischiate al battito del suo cuore. Socchiusi gli occhi mentre parlava, rendendomi conto che aveva accettato di venire con me ancor prima che glie lo chiedessi. Sorrisi, non riuscendo, a quel punto ad alzare lo sguardo ed allungarmi verso il suo collo, nascondendovi il viso per baciarne la pelle mentre iniziava a riflettere su qualcosa che era realmente importante per lui.
    Mh... sì, dovremmo dirglielo, dissi ricordando quanto fosse stata imbarazzante l'ultima sgridata da parte del Mizukage anche se, fortunatamente non c'erano state reali conseguenze. Quella riflessione silenziosa andrò avanti per qualche secondo finché poi - ovviamente - non accadde qualcosa di molto comico e molto strano. In questo caso lo scenario finale ero io, nuda, che sbattevo sonoramente il sedere per terra spinto da un improvviso eccesso di entusiasmo da parte dell'Hozuki.


    Quando riaprii gli occhi dopo aver mugolato un sacrosanto Ahia... ma che diavolo ti è preso, mi ritrovai Akira totalmente nudo in piedi sul letto in una posa alquanto trionfale. Adesso, il punto è che per quanto fosse incredibile il fatto quella posa mi imbarazzò. Non che avesse senso dato quanto accaduto fino a pochissimo prima ma le immagini erano confuse, anche per via del buio che era stato in parte spazzato via dal vento che, finalmente, aveva mosso le nubi dalla luna.


    Al che, con la mano, cercai qualcosa sul pavimento. C'erano i nostri vestiti lì ma non ero a quello che miravo: Ryo, il pinguino di peluches che lui stesso mi aveva regalato (adornato per qualche strano motivo con il mio reggiseno in testa) ed afferratolo lo scagliai a piena forza contro Akira, mirando esattamente ai gioielli di famiglia.
    Spero proprio che tu abbia deciso di fare qualcosa di realmente molto, molto, molto importante, esclamai riavvicinandomi al letto per poi afferrare una caviglia a tirarla in avanti così da farlo ricadere disteso. Cercai la coperta ed il lenzuolo e ci ricoprii, iniziando a sentir freddo, tirando una leggera gomitata al ragazzo del tutto involontaria nel mentre. Dunque, con totale nonchalance, mi rimisi esattamente dov'ero prima che quell'eccesso di entusiasmo tentasse di farmi volare dalla porta.
    No sul serio, sputa il rospo, questo volo deve avere un senso, mugugnai. Ma non ero offesa, poteva vederlo. Un po' perché ero troppo felice, un po' perché bé... sapevo che lui era così già da ben prima di quella notte, dopotutto. Avevo perso i diritti di arrabbiarmi sulle sue idiozie*.

    *Cosa che non si rivelerà per niente vera alla Riunione di Kiri

     
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    Il Fiore e la Bestia

    VI


    La mia posa da condottiero vittorioso fu interrotta solo da un attacco alla mia mascolinità.
    Il pinguino gigante che gli avevo regalato ormai un anno fa fu lanciato veemente verso le mie parti più intime... E fragili.
    Per fortuna avevo sempre un asso nella manica. Pensavo che la mia speciale abilità potesse essere utile solo in combattimento, ma scoprii, con mia estrema gioia, che poteva essere utile anche per gli scontri domestici. Il peluche si scontrò con il mio corpo, che però divenne totalmente liquido, giusto in tempo per lasciar passare indisturbato il peluche - giusto leggermente inumidito - che si abbatté sul muro, accompagnato dal reggiseno di Meika.
    Wow. Esclamai, mentre ritornavo nuovamente solido e Meika mi fece scivolare nuovamente sul letto, tirandomi per una caviglia. Questo è quel che si dice "appena in tempo"! Scoppiai a ridere, mentre accompagnavo il suo corpo e le sue mani a sdraiarsi di nuovo accanto a me, coprendoci con il lenzuolo. Ad essere importante, è molto importante. Esclamai, convinto.
    Non sapevo in verità quanto potesse essere importante per Meika, ma per me era una scelta più che vitale.
    Nel flusso dei pensieri... Strinsi il suo corpo contro il mio. Ho ripensato a Mizukami, la spada del clan di mia madre. Non so se te ne ho mai parlato... E' una storia abbastanza lunga, e anche abbastanza triste a dirla tutta. Le mie dita sfioravano delicatamente la sua spalla. Per farla breve e non angosciarti troppo... Ho fatto una promessa: quella spada, ora infranta, deve essere riforgiata. Ed ora, per farla ancora più breve, ho deciso di diventare un fabbro. Non avevo idea da dove si iniziasse per diventare un fabbro, ne da chi avrei potuto imparare adeguatamente l'arte, però ormai avevo deciso. E Meika sapeva che, se mi ero messo in testa una cosa, niente al mondo mi avrebbe fatto cambiare idea, per quanto assurda potesse essere l'idea o la convinzione. La guardai negli occhi, sorridente. Semplice, no? Forse la reazione è stata un po'... Esagerata? Forse si.
    Probabilmente si.
    Prima dobbiamo andare al Bosco, poi ne riparliamo... Va bene? Direi di partire settimana prossima... Che ne dici? Non dovrei avere altri... Appuntamenti. Scherzai, incominciando già prima di concludere la frase a bloccargli le braccia e le gambe con le mie per impedirgli una qualsiasi reazione nei miei confronti. Scherzo scherzo... Non creare draghi sputa fuoco, per favore... Sapevo bene che il suo vero potere e punto di forza non stava nella forza fisica, ma nei suoi temibili occhi. Allora... Settimana prossima... Va bene? Baciai il suo collo. Ma ora... Entrai con il corpo tra le sue gambe, ricominciando a baciarla, scendendo fino alla spalla destra con le labbra. Basta parlare...
    La notte non era ancora finita.
     
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  13. -Meika
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    Il Fiore e la Bestia

    VII



    Non senza un certo orrore vidi il basso ventre di Akira divenire acqua ed il povero Ryo passargli attraverso, lasciandolo praticamente indenne. Il mio naturale pensiero fu"Stupido Hozuki" per poi ripromettermi che in futuro avrei certamente evitato di colpirlo con oggetti contundenti attentando direttamente alla sua mente. Tanto ero certa che me ne avrebbe dato l'occasione molto presto, presto inteso nel giro di ventiquattr'ore o poco meno.
    Quando tornammo stretti sotto le coperte lui mi ricordò di Mizukami e di come la spada fosse spezzata e necessitasse di essere ricostruita. Rimasi ferma, accoccolata contro di lui ad ascoltare la sua storia e le sue intenzioni. Non accennai ad una reazione sulla battuta sugli appuntamenti, limitandomi ad una infantile quanto inutile linguaccia. Lui però ebbe come reazione quella di afferrarmi con forza e ribaltare le posizioni. Finii sotto di lui, di nuovo, ma passai le braccia attorno al suo corpo
    M sì va bene settimana prossima... Forse potresti chiedere ai Kappa... iniziai a dire ma le sue labbra sul mio collo mi fecero sussultare un attimo, mozzandomi il respito. ... della Fonte Dorata.., il pensiero era semplice. Forse lui non ricordava, ma stando al racconto di Shosei i Kappasi erano divisi in quattro Clan: i Kappa della fonte Pura, che erano rimasti quasi intoccati, quelli della Fonte Celestiale che degli umani avevano preso la profonda spiritualità con tutto ciò che ne conseguiva, i Kappa della Fonte Insanguinata che avevano preso la parte più violenta dell'animo umano ed in fine i Kappa della Fonte Dorata che invece dall'uomo avevano appreso l'ingegno (e l'avidità).
    Non riuscii a dire altro però, poiché le sue labbra tornarono sulle mie e di nuovo tutto divenne sfocato, il focus dei pensieri si perdette e non potei far altro che rispondere alle sue attenzioni. Socchiusi gli occhi mentre le sue labbra scendevano lungo il mio collo e scordai del tutto ciò che avevo avuto in mente fino a poco prima.


    E così la storia del Fiore e la Bestia giunge ad un nuovo capitolo ed apre la strada ad una nuova avventura. Dove avrebbe portato non era ancora dato dirlo: a breve però certamente ad una nuova gita nell'incantevole Bosco delle Mille Fonti in quel di Taki dove attendevano in un anfratto creature misteriose e strane, portatrici di vecchi segreti che sicuramente non lasceranno indifferenti la vita e le conoscenze dei protagonisti della nostra storia.


    Per l'appunto, il Fiore e la Bestia.



     
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