Il recinto degli schiaffi

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    ... e delle Margherite







    Circa le cinque del mattino, l’Hokage dormiva da qualche ora, abituato a chiudere gli occhi a notte tarda quando cominciava ad albeggiare dormiva solitamente da poche ore.
    Dormiva, fino a quando un terremoto di decibel non gli inondò le orecchie, insistentemente, e per quanto volesse ignorarlo… non poteva. Maledetto titolo da Hokage.
    Poteva essersi appena steso, poteva aver appena concluso una settimana di lavoro ventiquattrore su ventiquattro, ma se qualcuno bussava alla porta doveva rispondere.
    Ma niente lo obbligava a farlo con cortesia.

    Che c’è?
    Che c’è?
    Che c’è?


    Spalancò la porta di bottopng.

    Spera che sia abbastanza urgente da buttarmi giù dal letto perché giuro che altrimenti ti spedisco a raccogliere margherite col cul…

    Il sonno in un primo momento non gli aveva permesso di mettere perfettamente a fuoco la figura che aveva davanti, anche se l’altezza prima e i colori dei capelli poi gli avevano fatto notare che era Haruko ad averlo tirato giù dal letto.
    Strinse gli occhi, come se pensasse mentre l’ascoltava ed osservava entrare in casa senza troppi complimenti.
    Le permise di parlare, guardando l’orologio dopo l’ultima richiesta.
    Fece dardeggiare più di una volta lo sguardo dal viso di lei alle lancette, con sempre maggior dubbio.

    Ahhhhh.
    Ora ci sono!


    Uno sguardo attento avrebbe potuto notare davanti al basso tavolino del soggiorno una rivista scientifica aperta su quella che pareva essere la pagina degli articoli di spessore scientifico meno elevato, probabilmente l’ultima lettura dell’Hokage.

    Onestamente non ci credevo troppo, nel senso, a me va bene un po’ a tutti gli orari e non pensavo ce ne fossero di migliori, però a quanto pare non per tutti è così.



    Prese a camminare per la stanza, e mentre accendeva delle particolari luci si poteva notare che indossava solamente i pantaloni del pigiama, barcollava ancora lievemente per qualche piccolo postumo da sonno, ma si stava lentamente svegliando insieme alla luce delle lampadine a incandescenza, che cominciavano a proiettare una calda luce gialla che si poggiava morbidamente sull’arredamento della stanza.
    Che era l’abitazione di Raizen si poteva capire subito, soprammobili assenti, sostituiti da questo o quell’oggetto che doveva essere a portata di mano, una televisione allineata ai divani e un soggiorno tutto sommato spartano, con dei semplici divani in pelle che si scaldavano davanti ad un camino ormai pieno solo di cenere e qualche resto di brace che ancora emanava un po’ di calore.
    Il tiepido bagliore del focolare era qualcosa a cui Raizen non aveva mai saputo rinunciare, forza dell’abitudine probabilmente, dopotutto il fuoco era indispensabile per sopravvivere all’esterno.
    Intanto le luci avevano raggiunto il punto di massima luce e sulla stanza era ormai possibile vedere che Raizen portava ai piedi due morbide ciabatte, calzini in spugna e i pantaloni erano di un tessuto all’apparenza molto morbido quanto caldo, era però a petto nudo, anche se non era facile immaginarlo era un tipo freddoloso, nella stanza da letto se ci fosse stata la possibilità di recarvisi era infatti presente un voluminoso piumino a coprire il letto, probabile motivazione del torso nudo.
    I pantaloni portavano una simpatica fantasia, nuvolette tempestose.
    Non sapeva come riusciva a non vergognarsene, probabilmente a causa della comodità dell’indumento che gli impediva di pensare a qualsiasi altra cosa dopo averlo indossato.
    Tornò da Haruko solamente dopo aver dato alla stanza il giusto ambiente, anche se era stato praticamente impossibile comprendere quali interruttori avesse pigiato per attivare un impianto stereo dal suono particolarmente professionale che diffuse una musica d’ambiente calda e rilassante.
    Si avvicinò quasi scivolando verso Haruko.

    Beh, direi che adesso possiamo spogliarci entrambi.

    Avvicinò le mani ai fianchi di lei cercando di farli muovere a ritmo di musica mentre iniziava a far presa sui vestiti: aveva totalmente ignorato il metro, anzi, molto probabilmente credeva che se lo fosse portato dietro per verificare chissà quale leggenda sul suo conto.
    Nel suo angolino, assuefatto dal sonno e da chissà quale narcisistica visione, quel metro non serviva ad altro, e quella richiesta era un segnale più che inequivocabile, una promessa di notti lunghe e passionali quasi.
     
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