Una banale lite di famiglia

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    Una brutta serata
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    Shin sbattè violentemente la porta dietro di sé ed iniziò a correre. Dietro di lui sempre più flebili giungevano irate urla femminili. A testa bassa, senza guardarsi intorno, lo shinobi svoltò in un vicino vicolo ritrovandosi poco dopo su una delle vie principali del Villaggio. Shin diede una rapida occhiata a destra e a sinistra. Vista la tarda ora il luogo era popolato da poche persone, per lo più impazienti di far ritorno alla propria dimora. Sotto un lampione sostavano due membri della polizia di Konoha, il ventaglio Uchiha ben in vista sulle divise, intenti a perlustrare la zona, forse alla ricerca di qualcuno. A passo rapido il ragazzo attraversò la strada, evitando di incrociare il loro sguardo e quasi trattenendo il respiro. Non era il caso di sfogare la propria rabbia su due pubblici ufficiali. Fortunatamente i due lo ignorarono e Shin scomparve nel dedalo di vicoli secondari che si snoda tra i quartieri residenziali e quelli commerciali. Quasi senza accorgersene, riprese a correre.
    Era tornato a casa solamente quella mattina, convinto di trascorrervi un paio di giorni di riposo dopo gli estenuanti allenamenti quotidiani cui si era sottoposto, insieme all'amico Shunsui, in Accademia. Aveva deciso di prendersi una pausa e passare del tempo con la sua famiglia anche per un'altra ragione: il suo compleanno. Quel giorno infatti Shin compiva diciassette anni e aveva deciso di festeggiarli con i parenti, come aveva sempre fatto. Di sicuro avrebbe fatto piacere a tutti, in specialmente alla sua amata sorellina, Asahina, che di anni ne aveva solo sei. Da quando lui si era trasferito in Accademia per seguire i corsi continuava a chiedere quando sarebbe tornato, o per lo meno questo gli veniva riferito dai genitori nelle lettere che settimanalmente gli inviavano. Un'occasione di festa dunque. Eppure, qualcosa non aveva funzionato. Una madre troppo apprensiva, una parola incauta, suo padre che nel tentativo di appianare il diverbio invece lo infiammava. Alla fine Shin aveva ceduto e alzatosi di scatto aveva abbandonato l'abitazione senza guardarsi indietro.
    Sempre lei deve aver ragione, sempre... alcune lacrime di rabbia misto a dispiacere gli colavano lungo le guance. Aveva bisogno di sfogarsi, sentiva il bisogno di fare del male a qualcuno. Iniziò a prendere a pugni il primo pilone della luce che gli capitò sotto tiro. Esclamazioni poco educate gli sfuggivano a denti stretti. A sentir lei una volta sembrava che fosse un incoscente che metteva in pericolo inutilmente la sua vita, la volta successiva che avesse scelto quella strada per evitare di trovarsi un lavoro vero. Come se mi divertissi tutto il tempo, maledizione! La mano iniziava a dolergli. Osservandola, notò le nocche sbucciate e sanguinanti, ma era ancora troppo imbufalito per fermarsi. Fosse stato per lui sarebbe ripartito immediatamente per l'Accademia, lì avrebbe almeno avuto Shunsui con cui condividere il suo malumore. In qualche modo il Sunese riusciva sempre a fargli ritrovare il sorriso. Tuttavia, doveva prima recuperare le sue cose. E salutare Hina, o non lo avrebbe mai perdonato. Fece alcuni respiri profondi, tentando di calmarsi. La fresca aria notturna aiutava un pochino. Alzò il viso verso il cielo. Nonostante l'inquinamento luminoso si intravedevano diverse stelle nell'oscurità. Certo che ce la prendiamo tanto per cose tanto piccole... Avrebbe dovuto essere più conciliante, lasciar perdere per quieto vivere anche quando aveva ragione, se lo riprometteva ogni volta, ma poi puntualmente ci ricascava. Una folata di vento gli procurò un'improvviso brivido lungo la schiena facendolo sobbalzare. Si accorse di essere stanco. Aveva una lunga giornata alle spalle ed essere arrabbiati consumava un sacco di energie, senza contare quelle necessarie a farsela passare. Decise di cercare una panchina dove riordinare le idee e raccimolare il coraggio necessario a tornare verso casa, e di affrontare sua madre. Non sapeva esattamente dove si trovava, trascinato dalla foga non aveva fatto caso alla strada, quindi riprese a vagare alla cieca. Dopo un paio di svolte intravide uno slargo in fondo al vicolo e immaginò si trattasse di una piazzetta nella quale avrebbe potuto trovare ciò che cercava. Fece un ultimo scatto per raggiungerla, ma appena sbucato dalla stradina andò a sbattere contro qualcosa, o qualcuno, che si trovava evidentemente appena dietro l'angolo, fuori dalla sua vista. Fortunatamente i riflessi automatici del suo corpo, temprati da lunghi allenamenti, fecero sì che le braccia si muovessero per tempo, attutendo la caduta. Prima di rialzarsi da terra digrignò i denti. Era quasi riuscito a farsi passare l'incazzatura, ma probabilmente il destino quella sera gli era avverso ed ora era di nuovo furioso. Rialzatosi, si preparò a riempire di insulti chiunque si fosse messo incautamente sulla sua strada.
     
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